Il Re Sole splende anche in Musica La Grandezza del Re Sole si può anche riscontrare nell'ambito musicale. Lo scrittore Philippe Beaussant ha spesso riportato nelle sue opere le molteplici sfaccettature di Luigi XIV° musicista, sia anche come danzatore che come chitarrista, che sceglieva lui stesso i suoi musicisti, controllava i dettagli di un balletto, supervisionava il lavoro dei compositori, influiva sulle scelte dei libretti d'opera e che in sostanza viveva dalla mattina alla sera di Musica. A queste caratteristiche, il Re Sole univa un formidabile orecchio, un senso innato di ciò che era bello ed una memoria sorprendente delle melodie già ascoltate, unita alla capacità di ricordare le persone. Nulla sfuggiva all'occhio vigile del Monarca, neppure qualsiasi mancanza del più piccolo dei suoi servitori. Un giorno mentre il Re si trovava a Fontainebleau (a sinistra la facciata principale), si diresse a messa attraverso la Galleria Francesco I°, e si accorse da una finestra che 4 musicisti della Cappella erano più preoccupati di stuzzicare delle carpe piuttosto che arrivare puntuali al loro incarico. L'errore essendo stato constatato, il Maestro della Cappella difese subito la causa dei suoi musicisti, ma invano. Il Re pretese che questi ritardatari fossero ripresi come caso esemplare: il loro comportamento fu sanzionato attraverso una trattenuta sul loro stipendio. Le reazioni de Re erano ancora più dure per quei musicisti che aggiungevano ad un errore professionale un inganno. Si narra di un musicista che un'altra volta giunse troppo in ritardo ad un impegno di lavoro in occasione di una esecuzione di una messa a Versailles, lasciando troppo tardi il proprio domicilio presso Saint-Germain-en-Laye. Ma egli, piuttosto di farsi riprendere dal Re, fece marcia indietro e si fece dire malato, chiedendo un salasso al proprio medico. Ma colui che andava a controllare le assenze dei musicisti, appena da lui giunto, si rese conto che malgrado la presenza del salasso, egli godeva di buona salute e non era contemplata nessuna malattia da lui dichiarata. Il Re, saputa la menzogna, pretese una punizione più intensa: trattenute dallo stipendio a partire dal giorno del suo ritardo e per tutti quelli in cui durò la sua malattia immaginaria. Ma il Re si dimostrava molto generoso invece con quei musicisti e compositori che si trovavano veramente in difficoltà economiche e quelli che si trovavano veramente in situazioni di grave malattia, o di crisi artistica. Se un cantante o uno strumentista si ammalava, era accompagnato in una lettiera della Piccola Scuderia (Petit Ecurie), tutto a spese del Re. Sua Maestà inoltre inviava dei messaggeri per apprendere le condizioni del malato, e finchè lo sfortunato non guariva completamente. Frequenti erano le gratificazioni che andavano a compensare l'impedimento lavorativo della malattia, usanza che fu mantenuta anche da Luigi XV°. Il Re Sole quindi appare onnipresente nella vita musicale dell'epoca, dirigendo le tre categorie fondamentali, in cui poteva ripartirsi il corpo dei Musicisti:
Ognuna delle tre categorie aveva dei responsabili, dei musicisti, un suo finanziamento autonomo ed la propria tipologia di repertorio. Da questi tre corpi cui dipendeva tutta la Musica di Corte, sicuramente la più importante era quella della Cappella sia da un punto di vista della gerarchia delle cariche, sia per il prestigio che si riceveva nel cantare ogni giorno le lodi a Dio. Il Re Sole guardava molto alla qualità dei suoi cantanti, tanto che voleva supervisionare egli stesso l'entrata di un nuovo cantante attraverso un cerimoniale immutabile che era bastante a comprovare la minuzia della sua scelta. I fratelli Bêche (Pierre, Marc-François e Jean-Louis), cantanti e memorialisti, raccontano che il Re Sole, amava appassionatamente la musica, che conosceva abbastanza bene: Egli aveva saggiamente giudicato che era necessario continuare con l'antica usanza di ascoltare più di una volta una voce nella Cappella, prima di determinare se era il caso di ammetterla al suo servizio. Nel momento in cui un candidato era presentato dal un maestro di musica al suo superiore di Cappella, quest'ultimo lo proponeva all'ascolto del Re in tre offici diversi: terminati i tre saggi, il Re riceveva il cantante candidato dopo la messa, nel Salone della Guerra a Versailles (qui a sinistra), o in un altro luogo, e lo informava della sua decisione positiva o meno: "Allora sua Maestà, ben a conoscenza del suo valore, si pronunciava egli stesso, lo riceveva se il suo talento ne valeva la pena, altrimenti gli faceva dire dal suo superiore, sempre presente, di continuare a lavorare impegnandosi nell'arte del canto, o altre parole consolanti". Ogni nuova ammissione era importante in quanto essa finiva nelle schiere del coro della Cappella e i fratelli Bêche ben si ricordavano degli effetti di scelte azzardate o di incompetenti generanti effetti disastrosi nel coro: era meglio pagare questi nuovi acquisti per farli ...tacere! Il Candidato ammesso doveva poi affrontare l'ultima prova: ossia esser presentato dinnanzi alla Corte, ossia quando vi era il passaggio del Re nei Grandi Appartamenti, quando si rendeva a messa. Questa circostanza rendeva un grande onore al candidato, proprio perchè a Corte l'onore dato ad una persona con tali riconoscimenti era superiore alla occupazione della stessa. Il problema più difficile al tempo era quello legato alle casistiche di una bella voce, capace di sedurre ed affascinare al primo ascolto, e l'assoluta manchevolezza di una tecnica che accompagnasse tale dote, giacchè evidentemente il cantante non aveva base solide di solfeggio: questo poteva generare un vero fardello per tutto il gruppo canoro. Alcuni musicisti rimproverarono al Re di essersi troppo presto infiammato di una voce, senza considerare la capacità professionale del cantante. Luigi XIV° fin dai primi passi che mosse nel suo Regno, si rese immediatamente conto che la sua Corte doveva immergersi nel lustro, e come in tutte le cose che riguardavano il suo entourage, anche la truppa canora doveva dimostrarsi eccezionale oppure non se ne faceva nulla: Il Re si informò del numero di musicisti a servizio dell'Imperatore d'Austria, e venendo a conoscenza che era di 65 elementi, dichiarò che egli ne avrebbe avuti 130: questa dichiarazione di un Re giovane mostra già subito la coscienza del suo valore: ma il problema non fu tanto il numero, quanto possederne una tale quantità di qualità, quindi ottenere ciò che c'era di più stupefacente, di più solenne, specialmente quando si trattava di cantare le lodi divine. Ecco dunque la necessità di ricorrere alla voce dei castrati, che giunsero a Versailles progressivamente fino a stabilirsi definitivamente a Corte. Fin dalla sua giovinezza, il Re nel tempo libero era entrato in contatto con un paggio della sua Cappella, che tra l'altro era coetaneo di Sua Maestà: si tratta di Antonio Bagniera (chiamato anche Bagnera, Baniera o Bannieri, anche se si usava chiamarlo "il Signore Antonio"). Costui era di origine svizzera ed era giunto in suolo francese all'età di 12 anni, tramite suo padre che era nel corpo delle Guardie Svizzere del Re. Fin dagli inizi si era fatto subito notare per la sua superba voce di bambino soprano: la leggerezza inconcepibile delle note flautate che spandeva nell'alto dei rivestimenti dei Grandi Appartamenti e su, nelle più alte volte della chiesa, suscitò una ammirazione enorme; egli venne inglobato per cantare le pagine della Cappella e la Regina Anna fece erigere nei suoi appartamenti, una tavola su cui il piccolo montava per farsi meglio ascoltare. Antonio Bagniera, conscio delle ammirazioni che sollevava decise di non perdere uno strumento di fascino così incantatore, e si fece così castrare clandestinamente, e quando questo fatto venne svelato sorprese moltissimo i francesi. Questo fatto è importante perchè testimonia la presenza di una tendenza controcorrente rispetto la norma del fenomeno della evirazione nel sei-settecento: in questo caso, come anche in alcuni casi verificatesi in Italia, numerosi bambini domandavano di esser castrati anche contro la volontà dei parenti oppure si facevano castrare clandestinamente di loro iniziativa, per tentare di conservare la propria voce fuori dal comune, in vista di una fortuna ed onori futuri. Antonio Bagniera temeva di perdere non solo la voce, ma pure i rischi che potevano sorgere nel dover rinunciare al suo impiego e alla considerazione che fino a quel momento, prima della muta della voce, godeva. Fin dall'inizio venne ricoperto di atti generosi da parte della Regina Anna, che non poteva lasciare, ma si rendeva anche conto che l'unica sua qualità era la voce. In effetti la natura fu arcigna con lui: la sua corporatura era davvero di piccola stazza ed aveva un fisico disgraziato che non gli permetteva di riuscire in altro se non il canto: la muta della voce era per lui un ostacolo insormontabile, un incubo che lo avrebbe gettato in ombra per sempre non potendo sfruttare altri doti, giacchè per il suo aspetto le porte della società sarebbero state ben chiuse. Chiese ad uno dei suoi cugini, chirurgo a Parigi, di praticargli l'evirazione attraverso l'ablazione dei testicoli, con la promessa che mai avrebbe rivelato la sua identità. Ed ecco la contrapposizione fatta natura: Angelo per la sua voce radiosa e pura, mostro per il fisico mortale. Questo uomo rispettabile era dotato di una figura la più grottesca possibile: era alto circa un metro e trenta, ed era gobbo dietro e davanti, aveva due gambe storpie e da tartaruga, il naso e il mento di una lunghezza smisurata che si toccavano quasi l'uno con l'altra. Con tali credenziali fisiche sarebbe stato impossibile entrare al servizio della Cappella Reale, se non ci fosse stata una voce eccezionale a riscattare tali disgrazie di natura....Antonio Bagniera (qui a lato in una immagine ipotetica), con la sua statura piccola non trovò degli impedimenti nell'espletare la sua arte, poichè essa unita alla sua voce incantatrice, gli permise di interpretare i ruoli d'opera che richiedevano un fisico bambinesco, ed ecco quindi che Antonio Bagniera fu il solo castrato in Francia a cui si affidarono dei ruoli in scena, come nell'ALCESTE di Lully nel 1677, o in CADMUS ET HERMIONE del 1678, dove interpretò il ruolo d'Amore, o in BELLEROPHON nel 1680 dove fu un fauno nel prologo nel 1680 e nel balletto TRIOMPHE DE L'AMOUR, dove ebbe un'altra particina. Antonio Bagniera non solo era sfuggito all'espulsione dalla Francia, ma era riuscito a nascondere in seguito per parecchi anni la sua castrazione. La gente si meravigliava di questa voce di bambino che non finiva di amplificarsi e di incantare gli spettatori. Quando non riuscì più a nascondere che era stato castrato, il Re si accese in un furore estremo e gli intimò di svelare il nome di colui che l'aveva operato. Antonio supplicò il Re e rifiutò di parlare, rammentando la promessa solenne che aveva fatto. Una simile circostanza fa vedere come il comportamento Regale fosse ambiguo nei confronti della presenza dei castrati nell'ambito musicale: finchè la castrazione veniva effettuata all'estero, non aveva nulla da ridire e se ne giovava per gli offici musicali, ma non si poteva pretendere che il Re, difensore della causa francese e di una certa deontologia artistica, potesse tollerare un atto simile sotto il suo tetto. Cacciato dai Musicisti del Re per essersi risolto a questa operazione, Antonio Bagniera dovette la sua redenzione alle ingiunzioni del capitano dei Guardie Svizzere, che tentò di persuadere il Re che il cantante aveva fatto ciò solo per piacergli e conservare alla sua Cappella Reale una voce di una splendente bellezza. Luigi XIV°, dopo un bel po' di tempo, alla fine cedette, ed Antonio Bagniera fu il cantante del Re che ottenne la più lunga carriera in Francia . Il Fenomeno dei castrati in Francia quindi non prese piede come una moda/tradizione, allo stesso modo di come avvenne in Italia, ma questo non impedì la presenza di castrati in suolo e nell'ambito musicale: il Re, con l'allontanamento e con lo stacco dall'invadenza italiana che si era verificata sotto la reggenza del cardinale Mazzarino, arginava l'estensione di questi cantanti in suolo francese: in fondo questo rispondeva anche all'esigenza, ben compresa da Lully, di creare una Musica Francese, che si staccasse dal dominio imperante italiano europeo. Gli artisti italiani non erano spariti in Francia con la presa di potere del Re Sole e l'affermazione conseguente di un francesismo centrista: fra i nomi illustri si può ricordare dall'ideatore di scena e decoratore Carlo Vigarani, che era entrato a servizio della Corte in successione di Giuseppe Torelli dopo il 1659. Molto presto egli diventò insostituibile agli occhi del Re Sole per mettere in opera la pompa del Regno: Divertissements Reali nei diversi parchi, balletti, commedie-balletti, fuochi d'Artificio, erano genialmente messi in scena per soddisfare la megalomania del Reale. Leggendaria la collaborazione di Vigarani con Lully: la maggior parte delle decorazioni e delle macchine delle tragedie liriche di Lully sono state ideate e realizzate dal Vigarani appunto: Palazzi sontuosi, prospettive infinite, tornei, catastrofi naturali di qualsiasi genere, "glorie" su cui salivano e discendevano gli attori, erano all'ordine del giorno negli spettacoli teatrali di Corte. Tutta la scienza italiana strumentalizzata per ingrandire il modello lirico francese. Col titolo di "inventore delle macchine del teatro e dei balletti" nel 1669, egli fu naturalizzato francese nel 1677, finendo col morire a Parigi nel 1713. A cura di Arsace da Versailles Notizie tratte da LA MAISON DES ITALIENS del prof. Patrick Barbier
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