Nella Francia del Seicento, come anche in Inghilterra nel Settecento, gli italiani furono sempre accusati da una parte della popolazione di praticare l’omosessualità. La libertà dei costumi così comune a Napoli, come nell’intera Italia Barocca, si riteneva fosse stata esportata attraverso l’Europa attraverso il canale artistico dei suoi cantanti, musicisti, poeti ed artisti. Alcuni francesi non amavano gli italiani proprio per questa caduta di moralità, reale o immaginaria che fosse, che essi provocavano. Al tempo Boileau, scriveva sul vizio imputato ai soli italiani:

 
Chi potrebbe oggi senza un giusto sdegno
Vedere l’Italia in Francia e Roma in Parigi?
Ma infine io non posso senza orrore e senza pena
Vedere il Tevere a grandi flutti mescolarsi nella Senna
E trascinare a Parigi i suoi marmocchi, i suoi burloni
La sua lingua, i suoi veleni, i suoi crimini e i suoi costumi
E ognuno con gioia in questo tempo pieno di vizi
Di crimini d’Italia arricchire la malizia…
 

Ma si tratta soprattutto della schiera di italiani giunti a Parigi tramite Mazzarino che furono oggetto di pamphlets sul libertinaggio dei costumi italiani, al punto di tacciare tutti gli omosessuali in quell’appellativo che fu noto come “La Setta di Roma”. Lo stesso Mazzarino durante la Fronda venne attaccato nella sua mascolinità, con delle allusioni che miravano non solo a vederlo legato ad un rapporto con la Regina Anna, ma anche con altri uomini: era visto come un perturbatore dell’ordine pubblico. D’altro canto però i francesi non tenevano conto che loro stessi avevano avuto personaggi illustri con gli stessi orientamenti che imputavano agli italiani: non era un mistero la serie di amori maschili di Luigi XIII°, in particolar modo per un paggio di nome Barrados, che amava violentemente. Ma non solo, come non tener conto prima di parlare contro gli italiani, che anche Luigi Filippo d’Orleans, fratello del Re Sole, era circondato da “Mignons”, fra cui il Cavaliere di Lorena ed il Conte di Guisa spiccavano come assoluti favoriti? In realtà la vita sessuale di tanti grandi signori di Francia, di artisti, di parlamentari, di letterati, poteva ben svolgersi fra l’intimità delle loro dimore, ma non si era tenuto conto dei devoti che come dei crociati dell’epoca moderna, si erano messi in testa di combattere contemporaneamente atei, blasfemi e sodomiti. Ai devoti non sfuggirono gli amori di Dassoucy e Chausson, ai quali era legato niente di meno che il famosissimo Jean-Baptiste Lully.

Charles Dassoucy, poeta, musicista (qualche saggio della sua arte) e liutista, frequentava i libertini senza dividere tuttavia il loro eccesso di linguaggio. Da buon viveur, non nascondeva che amava molto i piaceri, e scampò a Montpellier per poco al boia a causa di una relazione sodomitica. Nel 1658, Dassoucy fece un viaggio nell’Italia settentrionale, assieme al suo paggio Pierre-Valentin, un ragazzo dedito agli eccessi del vino, bugiardo e dissoluto che, malgrado tali pecche, lo attraeva moltissimo. Durante il loro soggiorno alla Corte di Mantova il Duca Carlo III notò la voce sublime del paggio e  decise di farlo rapire dai suoi uomini di fiducia e farlo castrare a Venezia, sotto la responsabilità del coordinatore del Teatro SS. Giovanni e Paolo, l’abate Grimani-Calergi. Dassoucy fece di tutto per recuperare e trovare il suo paggio passando molte vituperazioni e sforzi, cosa che divertì molto sia gli Italiani che la Corte di Francia. Si rideva ancora dopo sei anni, quando Dassoucy, dopo aver passato un periodo nelle prigioni romane, ritrovò Pierre-Valentin a Napoli: egli era diventato un castrato celebre, molto capriccioso ed ingrato, col suo nuovo appellativo d’arte, Valentino. Valentino si era messo in testa di voler rovinare il suo antico padrone, rubandogli le sue ultime ricchezze, prima di sparire per sempre….

Altra storia scoppiò proprio nelle vicinanze del Re: il ricco e bello, Chausson, giovane borghese parigino, era dedito ad un susseguirsi ininterrotto di serate dissolute. E proprio per questo venne preso come esempio punitivo e monito per tutti: anche Chausson era molto geloso del suo paggio, tanto che era valso il poema scritto dal suo amico Saint-Pavin:

Se quando il tuo paggio da da bere
Si getta l’occhio sulla sua bellezza
Subito in un umore nero
Tu ci guardi per traverso:
E’ una cosa così criminale
Per trattarci in questo modo
La natura ci vieta forse
Di ammirare un bel ragazzo?

Quando Chausson fu sorpreso una notte dalla polizia con un paggio del Principe Conti, i devoti ottennero il processo che desideravano. Lo scapestrato fu appeso e bruciato in piazza de Gréve: egli pagava per tutti i libertini.

E subito si sparse un libello di compianto:

Era un povero ragazzo
Di nome Chausson
Che è appena morto
Nel fiore della sua età.
E’ per l’amore di un paggio
Del Principe Conti.

Ma ciò che fece maggior scalpore fu l’affare che coinvolse Lully,e con lui i Signori di più alto lignaggio, così come i poeti, i musicisti ed altre perone in vista. Lully era accusato di essere il capo della Setta di Roma, confraternita potente ed organizzata che ammetteva solennemente nel suo seno principi di sangue ed ogni sorta di personalità. Si accusava Lully di diffondere, con i suoi amici, delle canzoni contro la religione e dei poemi inneggianti alla dissolutezza. E i libelli pullulavano:

Imitiamo Baptiste e Chausson
nient'affatto di religione, se non di bottigliette
non amiamo che i ragazzi.

I nemici dei libertini ancora:

Sarà sordo alla tromba
Lully nel giorno del Giudizio.
Bisognerà che un giovane angelo 
Scorreggi per trarlo dalla tomba.

Ed ancora:

Un giorno Amore chiese alla madre:
Perché non sono vestito?
Se Baptiste mi vede tutto nudo
Si fa il mio culo.
Venere disse: che pensi?
Se anche tu fossi vestito,
Se Baptiste l’avesse deciso
Bisognerebbe che tu ballassi.

C’era dunque una duplice concezione di Lully (busto a destra): il Compositore universalmente ammirato che esaltava la Corte con i suoi balletti e le sue opere, ed dall’altra parte il libertino, collezionista di prostitute e i amanti, che spargeva dei propositi grossolani nelle sue strofe. Il marito, padre di famiglia, che si recava a messa tutte le domeniche, e il calunniatore della Chiesa. Il suo carattere difficile, e le sue dittature in campo musicale di Corte, e le gelosie che ciò scatenava, non finirono che far giungere alle orecchie del Re le violente critiche ch’egli si muovevano contro. Ma le sue relazioni con il Re, così strette fin dall’adolescenza, conobbero il momento peggiore proprio per l’affare di Brunetto, scandalo che scoppiò nel 1662-1663. Lully si era innamorato perso di un paggio della Camera, di nome Brunet, “più bello di un Cupido”, come diceva una canzone, soprannominato “L’Amore Divino”. Fu una amante di Lully, la piccola Certain, che,in seguito ad un violento litigio col suo amante, andò a rivelare tutti gli altarini al Re, per vendicarsi. Sia i detrattori del Compositore, sia lo stesso Lully scrissero su Brunet: curiosa l’aria dello stesso Lully del 1672:

“Ah, è il mio destino di amare senza fine, l’amabile Amore Divino. 

Mai lo nascosi, io non sposso amarlo, fare l’amore con lui senza scrupoli. 

Ma io ho paura che dopo tanta felicità, un Gesuita non lo fot... 

Ma io ho paura che dopo tanta felicità, un gesuita ne sia il vincitore.”

 

Fu contro Brunet che si diresse tutta l’azione di intervento del Re (sopra in una raffigurazione presso la Galleria d'Apollo al Louvre): si arrestò il giovane paggio e lo si rinchiuse per qualche tempo presso i padri di Saint-Lazare, non senza prima aversi fatto dare la lista dei principali sodomiti della “Setta”. Dopo tale confessione il Re accettò di liberare Brunet e di farlo sistemare dal compositore Jean-Baptiste Boesset, che lo comandò a bacchetta. Il Re Sole si corrucciò molto di questa storia, giacchè adombrava le sue relazioni pressoché amichevoli con Lully. Ma lo scandalo fece sorgere una marea di libelli che finirono per coprire di ridicolo l’entourage del Re, con pamphlet di rimpianto per il povero Lully, privato del suo “Amore Divino”. Saint-Evremond paragonò Lully ad Orfeo:

D’Orfeo e di Lully 
il merito è simile:
Trovo tuttavia una differenza
Su un certo soggetto 
abbastanza considerevole:
Se Lully qualche giorno 
dovesse scendere all’Inferno
Con un pieno potere 
di grazie e di pene
Un giovane criminale 
uscirebbe dalle sue catene
Una povera Euridice 
vi manterrebbe i suoi ceppi.

I castrati, fin dai tempi della Fronda, sono stati assimilati al clan degli italiani e dunque alla “Setta di Roma”. Tant’è vero che in alcune canzoni la parola italiano prendeva del resto delle connotazioni sessuali ben precise in tal senso. Ma il loro soggiorno essendo breve aveva risparmiato loro dall’essere colpiti da tali libelli. Lully invece fu ancora bersaglio anche dopo la sua morte, e i detrattori si ricordarono dei suoi antichi amici, ora scoperti dalla sua protezione. Uno che fu colpito dalle canzonature fu il giovane Duménil, un ragazzo del cabaret, bell’uomo e ottimo cantante: Lully lo aveva elevato dalle sue cucine per elevarlo al ruolo di tenero amante nell’Opera. Si chiamava Louis Gaulard Duménil (ma lo si trova anche come Dumesny, Dumeny, Dumeni o Du Mesny, o Dumesnil): Era un haute-contre originairio della regione di Montauban, morto a Parigi nel 1715; Jean-Baptiste Lully lo scoprì quando non era che un garzone da cucina da  Foucault, intendente di Montauban: Duménil debuttò nel 1677 nell'opera ISIS di Lully. Cantò numerosi ruoli primari nelle opere di Lully, e le tragedie liriche come MEDEE, AMADIS, THETIS ET PELEE fino ad inizi del 1700, momento in cui si trasferì in Inghilterra, e perse la sua voce. Interpretò Acis, in ACIS AND GALATEE, Amadis in AMADIS DE GAULE, Renaud in ARMIDE, Triton in ISIS, Persée in PERSEE, Phatheon in PHATEON e Médor in ROLAND. Era considerato perfetto come attore e come cantante  haute-taille fra i più alti. Sebbene Quoique considerato da Lully un maestro di musica, egli era incapace di decifrare una partitura. Nella sua vita privata, egli era visto come un malizioso, un cleptomane, un ubriacone, un attaccabrighe (con Marthe Le Rochois o la Maupine). La datazione della sua morte è incerta: si ritiene veso il 1715.

E giù ancora satire:

Baptiste è morto
Addio la sinfonia
La musica è finita
Io piango la sua sorte
Bello Duménil (qui a sinistra)
Ritorna ai fornelli
Riprendi il tuo ruolo
E te Pecora
Con la tua gamba fine
Va fare l’amore.

Con la morte di Lully comunque il Re volle fare piazza pulita di questo malcostume: vietò ad ogni persona sospettata di praticare un amore omosessuale di entrare nell’entourage della Corte: cosa comunque assai difficile dal momento che un grosso centro di gravità per queste inclinazioni era proprio il fratello stesso del Re!

Comunque molti contemporanei vollero ricordare di Lully rammentando in lui l’Immenso Compositore, verso il quale il Regno doveva i suoi più bei capolavori e Luigi XIV° stesso doveva esser grato alla più bella esaltazione concepita da un compositore per un Monarca.

 

Che pietà l’Opera
Da quando si è perduto Baptiste!
Incessantemente si pubblicherà:
Che pietà l’Opera
Nessuno per lungotempo ci andrà
Senza apparire per niente triste
Che pietà l’Opera
Da quando si è perso Baptiste!
 

A cura di

Arsace da Versailles

 

 

Notizie tratte da LA MAISON DES ITALIENS del prof. Patrick Barbier

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