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" C'erano maschere
dappertutto, dai gondolieri in platea ai contegnosi mercanti nei
palchi, con le mogli in decorosi abiti neri. Il brusio delle voci e il
tintinnio dei bicchieri giungevano come ondate il cui ritmo era
difficilmente percettibile.
« Tonio, tu sei troppo giovane per queste cose », disse Catrina
voltandosi verso di lui.
« Ma aspetta, ti racconto di Caffarelli…. » Lui preferì non guardarla,
per non vedere il taglio della sua bocca, deliziosamente animalesco,
nudo e rosso, sotto la maschera bianca che faceva apparire i suoi
occhi quasi felini. Le braccia nell'abito di raso rosso vino erano
così morbide che dovette stringere i denti di fronte alla fuggevole
visione di se stesso che gliele strizzava senza pietà alcuna.
In compenso, ascoltò attentamente le varie sciocchezze riguardo al
grande castrato che avrebbe cantato quella sera, secondo le quali
sarebbe stato sorpreso dal marito della sua amante a letto con lei, a
Roma. A letto, aveva detto Catrina. Si sentì ardere il volto al
pensiero che sua madre e Alessandro stessero ascoltando. A sentir le
chiacchiere, pareva che, costretto a fuggire, Caffarelli avesse
trascorso la notte nell'umido nascondiglio di una cisterna. Per giorni
e giorni i bravi del marito lo avevano inseguito; ma la dama aveva
dato a Caffarelli i suoi “bravi” privati che erano stati i suoi angeli
custodi finché lui non aveva lasciato la città.
Tonio ricordò confusamente le parole di Andrea, qualcosa riguardo al
mondo, alle prove del mondo. Il mondo….. Ma in quel momento riusciva a
fissare l'attenzione solo su Caffarelli. Per la prima volta in vita
sua stava per ascoltare un grande castrato e tutto il resto poteva
aspettare, per quanto gliene importava; del resto, tutto quanto era
fuori del suo controllo.
« Dicono che si batterà con tutti prima di cedere e che, se la prima
donna è graziosa, non la lascia mai sola nemmeno per un secondo. E’
vero, Alessandro? »
« Signora, voi siete molto più informata di me », rispose Alessandro
ridendo.
« Bene, gli concedo cinque minuti », disse Vincenzo, « e se non mi
avrà preso il cuore o l'orecchio entro quel tempo, ne andrò al San
Moisé! »
« Non essere ridicolo, ci sono tutti stasera », ribatté Catrina «
Questo è l'unico posto giusto e inoltre sta piovendo ».
Tonio girò la sedia e vi si mise a cavalcioni, guardando palcoscenico
con il sipario ancora abbassato. Sentiva sua madre ridere. Il vecchio
senatore aveva detto che sarebbero dovuti andare tutti a casa a
sentire lei e Tonio cantare qualche canzoncina. E lui avrebbe
finalmente potuto avere la sua cena.
« Canterete presto per me, miei cari, vero? », aveva aggiunto.
« A volte ho l'impressione di avere sposato soltanto uno stomaco »,
osservò Catrina. « Allora giocati i vestiti, uno alla volta », disse
poi rivolta a Vincenzo. « Incomincia con il panciotto; anzi, no, la
camicia. Mi piace quella camicia ».
Nel frattempo era scoppiata una zuffa nel ridotto. Si udirono grida e
calpestii, ma tutto fu rapidamente ricondotto all'ordine. Ragazze
bellissime passarono tra le poltrone offrendo vino e altre bevande.
Alessandro si alzò in piedi e si appoggiò alla parete del palco, alle
spalle di Tonio, come un'ombra.
In quel momento comparvero i musicisti, sistemandosi sulle sedie
imbottite con gran manovre di lampade e fruscii di carta. La gente
sfogliava i libretti che erano andati a ruba nel foyer.
E quando il giovane e sconosciuto compositore dell'opera si presentò
alla ribalta, fu accolto da acclamazioni e dal fragorosi applausi del
loggione.
Le luci si attenuarono. Tonio appoggiò il mento alle mani posate sullo
schienale della poltrona. Il compositore, con la parrucca e il pesante
abito di broccato troppo grandi per lui, era terribilmente nervoso.
Alessandro fece un lieve segno di disapprovazione.
Il compositore sedette goffamente al clavicembalo. I suonatori
sollevarono gli archetti e, all'improvviso, il teatro fu pervaso da
un'ondata di musica festosa.
Era una melodia deliziosa, lieve, piena di allegrezza, priva di
qualsiasi senso di tragedia o di presentimento e Tonio ne fu
immediatamente incantato. Si curvò in avanti, mentre dietro di lui la
gente chiacchierava e rideva. Proprio nel punto in cui la balconata si
incurvava, la famiglia Lemmo, seduta davanti a fumanti piatti
d'argento, stava già cenando. Invano un inglese iracondo fischiò per
ottenere silenzio.
Ma quando si alzò il sipario ci furono esclamazioni di ammirato
stupore. Sullo sfondo di uno sconfinato cielo azzurro di stelle
magicamente scintillanti, si stagliavano portici ed arcate dorate. La
musica, nel silenzio improvviso, sembrò elevarsi fino alle travi del
tetto. Il compositore continuava a pestare sulla tastiera con i
riccioli incipriati che gli ricadevano massa intorno al viso, mentre
uomini e donne in abiti sontuosi facevano il loro ingresso sul
palcoscenico, dando inizio all’affettato, ma necessario recitativo con
cui si apriva la trama anche troppo familiare e del tutto assurda
dell'opera. Uno dei personaggi era sotto mentite spoglie, un altro
rapito o oltraggiato. Un altro ancora era destinato alla follia. Ci
sarebbe stato un combattimento con un orso e un mostro marino prima
che l'eroina riuscisse a ritornare al proprio sposo che la credeva
morta; e il fratello gemello di qualcuno avrebbe avuto un premio dagli
dei per aver sconfitto il nemico.
A Tonio non importava del libretto in quel momento: lo avrebbe mandato
a memoria in seguito. Quel che lo mandava su tutte le furie erano le
risate della madre e le improvvise esclamazioni della famiglia Lemmo
davanti a un'elaborata vivanda a base di pesce alla griglia.
« Scusatemi », disse Tonio, facendo scostare Alessandro per uscire.
« Ma dove state andando? » Per la mano grande e calda di Alessandro
non fu difficile prenderlo per la vita.
« Vado di sotto. Devo sentire Caffarelli. Voi rimanete con mia madre,
non perdetela mai di vista. »
«Ma, Eccellenza... »
« Tonio », lo corresse sorridendo. « Alessandro, ve ne prego, Giuro
sul mio onore che non mi allontanerò dalla platea, mi potrete vedere
da quassù. Io devo sentire Caffarelli! »
Non tutte le poltrone erano occupate. A metà rappresentazione
avrebbero lasciato entrare senza biglietto molti altri gondolieri e
allora ci sarebbe stata una gazzarra. Ma ora Tonio potè senza
difficoltà avvicinarsi al palcoscenico; si fece strada tra la folla
degli spettatori più rozzi e sedette, solo, a pochi metri
dall'orchestra fragorosa. Finalmente, sentiva solo la musica e ne era
estasiato.
In quel momento comparve sulla scena l'alta, imponente figura del
grande Caffarelli.
Alcuni definivano, senza esitazioni, il discepolo di Porpora come il
più grande cantante del mondo; mentre avanzava verso le luci della
ribalta con l'enorme parrucca bianca e il fluente mantello carminio,
sembrava un dio piuttosto che il grande re che impersonava nello
spettacolo. Squisitamente bello, lasciò che tutti se lo mangiassero
con gli occhi, poi, con scatto all'indietro del capo, incominciò a
cantare. Alla prima nota il teatro piombò nel silenzio.
A Tonio mancò il respiro. I gondolieri accanto a lui facevano mugolii
e esclamazioni di compiaciuta ammirazione.
La nota, di crescente intensità, si librava nell'aria come se nemmeno
il cantante riuscisse a trattenerla. E quando l’ebbe conclusa, si
tuffò nel vivo dell'aria, apparentemente senza prendere fiato, mentre
l'orchestra faticava a stargli dietro.
Quella voce superava ogni immaginazione: non acuta ma con un che di
violento. Del resto, il volto delicato del castrato sembrò come
sfigurato dall'ira prima ancora che terminasse l'aria.
Quel viso era stato dipinto, incipriato, «civilizzato» il più
possibile, incorniciato da bianchi riccioli; ma gli occhi ardevano,
mentre camminava a grandi passi su e giù per il palcoscenico,
inchinandosi con indifferenza a coloro che dai palchi lo salutavano e
lo applaudivano con gesti di approvazione, ma rivolgendo qualche
occhiata alla platea e ogni tanto alle file dei palchi più in alto,
come per un qualche remoto calcolo.
Ma intanto aveva incominciato a cantare la primadonna e sembrò che
l'opera le cadesse in pezzi attorno. O forse dipendeva semplicemente
dal fatto che ora Tonio notava tutta la confusione tra le quinte:
signore armate di spazzola e pettine, un servo che schizzò fuori in
quel momento a mettere altra cipria a Caffarelli.
Malgrado questo, l'esile voce della primadonna continuò
coraggiosamente al di sopra del suono ininterrotto del clavicembalo.
Ora Caffarelli stava davanti a lei, ma voltandole le spalle, come se
lei non esistesse, addirittura ostentando uno sbadiglio. Tutt'intorno
riprese il brusio delle conversazioni, mentre una cappa di noia e
monotonia calava, rovinando l’effetto della musica.
Intanto intorno a Tonio tutti i veri intenditori dello spettacolo
esprimevano i loro pareri, senza raffinatezze, ma in compenso molto
acuti. Le note alte di Caffarelli non erano eccezionali quella sera;
la primadonna era uno strazio.
Una ragazza offrì a Tonio una coppa di vino rosso; lui, palpando la
borsa delle monete, guardò quel volto mascherato e pensò che doveva
sicuramente essere Bettina! Ma quando si ricordò di suo padre e della
fiducia che era stata da poco riposta in lui, chiuse gli occhi
arrossendo intensamente.
Caffarelli avanzò di nuovo verso le luci della ribalta e guardò fisso
la prima fila, buttò all'indietro il mantello rosso. Ed ecco ancora
quella magnifica prima nota che si gonfiava palpitante. Tonio vedeva
il volto del cantante lucido di sudore, il suo immenso torace dilatato
sotto le squame metalliche della sua scintillante armatura greca. Il
clavicembalo esitò e ci fu gran confusione tra gli archi.
Caffarelli non stava cantando la musica giusta, aveva intonato
qualcosa che suonò immediatamente familiare. Tonio capì - proprio come
tutti gli altri spettatori - che aveva ripreso l'aria che la
primadonna aveva appena terminata, e la stava ricreando mettendo
impietosamente alla berlina la cantante. Gli archi tentavano di
assecondarlo, il compositore era assolutamente sbalordito. Intanto
Caffarelli canticchiava le note, riproducendo i trilli della
primadonna con tale incredibile facilità da far apparire
insignificante il talento di lei.
Scimmiottando le sue lunghe note in crescendo, le portò al ridicolo
dell'altezza eccessiva con una potenza mostruosa. La ragazza era
scoppiata in lacrime, ma non aveva abbandonato il palcoscenico e gli
altri attori erano rossi in volto per l'imbarazzo.
Dalla galleria partirono fischi, poi si levarono grida di
disapprovazione un po' dappertutto. I sostenitori della cantante
incominciarono a pestare i piedi agitando i pugni furiosamente, ma
quelli del castrato si sbellicavano dalle risa.
Finalmente, avendo ottenuto la totale attenzione di ogni uomo, donna e
bambino presenti in teatro, Caffarelli concluse la sua farsa con una
parodia del tenero e sussurrato finale della primadonna, eseguita con
voce piatta e nasale. Subito dopo attaccò la sua aria di bravura a un
volume terrificante.
Tonio si abbandonò sulla poltrona, con un sorriso dipinto sul volto.
Questa era dunque la voce dei castrati ed era esattamente come
gliel'avevano sempre descritta: uno strumento umano così potente e
perfettamente accordato da far apparire debole tutto il resto al suo
confronto.
Quando il cantante terminò, da ogni angolo del teatro scrosciarono
applausi, ed urla di “bravo!” risuonarono dalla platea al loggione.
I fedeli sostenitori della ragazza tentarono di opporsi a quella
ondata crescente di entusiasmo ma finirono per esserne sopraffatti.
Intorno a Tonio si alzarono rauche e violente urla di approvazione.
« Evviva il coltello! »
« Evviva il coltello », gridò anche lui. « Evviva il coltello » che
aveva fatto di quell'uomo un castrato, recidendogli la virilità per
conservare per sempre quello stupendo soprano.
caro nipote, dicevo che tu assomigli moltissimo a tuo fratello”.
Tratto
da Un grido fino al cielo (titolo originale Cry to Heaven)
di
Anne Rice, Editore Sperling & Kupfer.
A cura
di Arsace
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