In
questa tripartizione affluisce lo studio degli scritti di
Dionigi Areopagita ed il suo insegnamento circa l'amore divino
trinitario come forza che muove la creazione, manifestandovisi
e convertendo ogni cosa a sé in un circolo sempre
rinnovantesi. In lui sono uniti anche tutti i contrari, poiché
gli esseri terrestri conseguono il loro fine nel completamento
delle diversità, nella "coincidentia oppositorum"
della quale acutamente scriverà il cardinale Nicolo Cusano.
Riprendendo
la definizione platonico - aristotelica, l'essere umano è un
microcosmo organizzato in maniera somigliante a quella
dell'universo. Si comprende bene, in questa prospettiva,
la triplice
espressione della musica dapprima
nell'universo, poi nell'essere psichico, poi ancora nella
sfera più bassa, quella degli elementi terrestri. È notevole
constatare che Boezio conosceva la natura delle onde sonore:
egli paragona l'origine del suono al gettare un sasso in un
laghetto od in acque tranquille, ove si forma dapprima una
piccola onda circolare, e poi via via onde per cerchi sempre
più ampi, fino al dissolversi del movimento 5.
Nell'aria ha luogo un fluttuare di onde sonore sferiche finché
esse colpiscono l'udito.
Nè Boezio ignorava che il suono più
grave ("obscurior vox") proviene da fonte più
lontana, considerando la gamma dei suoni, ovvero da onde più
lunghe perché più distanziate al loro prodursi.
Il
proemio dell'opera è interamente dedicato alla natura etica
della musica, al potere che essa ha di far vibrare le corde
dell'animo e di suscitarvi un'attività spirituale. È questa
una proprietà del tutto peculiare dell'arte dei suoni,
cosicché essa può "cohonestare", rendere migliori,
oppure "evertere", sovvertire, distruggere i
costumi, a somiglianza della musica che venga ascoltata.
Essa
possiede la natura intrinseca e, potremmo dire, la funzione di
rispecchiare più di ogni altra arte l'armonia della creazione
e il movimento di ritorno delle creature del Creatore, non
solo per riflesso, ma realizzandolo intrinsecamente per mezzo
della consonanza, che non è altro se non il comporsi
armonioso di elementi dissimili. Ne il 'De Institutione
Musica' sì limita a esporre le teorie greche, da Pitagora ad
Aristosseno, a Tolomeo; su ogni argomento egli esamina quali
siano le nozioni errate, che vengono scartate, e quelle
giuste, che Boezio riordina organicamente e porta ad
ulteriore, mirabile sviluppo. Così egli è veramente il
fondatore, non solo il nomenclatore, della teoria musicale nei
secoli successivi.
La
musica nel "De Consolatione"
Quando
Boezio scrisse, in carcere, il 'De Consolatione Philosophiae', in questa ammirevole sintesi della sua attività di
pensiero e della sua vita spirituale non poteva mancare la
presenza della musica 6
. Già essendo un'opera mista di prosa e di poesia (ed i poemi erano destinati al canto), all'inizio
del II libro vi fa la sua comparsa la Musica, che, insieme
alla Retorica, addolcisce l'animo amareggiato di Boezio e,
sottolineando con dolci suoni il discorrere della Filosofia,
quale medicina dell'animo, lo dispone ad un armonioso
discorrere degli argomenti più ardui ed elevati.
È
la Filosofia che convoca le discipline sorelle: "Ci
assista dunque, con la sua dolcezza persuasiva,
la Retorica,
che allora soltanto procede sul retto cammino, quando non
abbandona i nostri principi, e con essa la Musica, da sempre
ancella della mia casa, alterni melodie ora liete ora
severe".
Perché
la Filosofia, personificata in una dama dal nobile aspetto,
convoca insieme la Musica e la Retorica? Secondo la tradizione
derivata da Marziano Capella (inizio del v secolo), le
discipline fondamentali del discorso, riunite nel Trivium,
erano chiamate "artes sermocinales" o "artes
dicendi": la grammatica, la dialettica, la retorica. La
musica, appartenente invece al Quadrivium con l'aritmetica, la
geometria e l'astronomia, era accostata alla retorica in
qualità di "ars bene modulandi" o "ars bene
canendi", quando "ars bene dicendi" era la
definizione della retorica medesima, modulazione anch'essa
della voce parlata.
Veniamo
ora ad esaminare da più vicino le composizioni
poetico-musicali nel 'De Consolatione Philosophiae'.
Qual
era la situazione della metrica e della versificazione latina
al tempo di Boezio?
Si
trova frequentemente l'asserzione che la tradizione del verso
latino classico, basato sulla metrica quantitativa, ovvero
sull'alternanza di sillabe lunghe e brevi, si fosse già quasi
spenta nel m secolo d. C., soppiantata dalla metrica
accentuativa. I poeti cristiani, quali Ausonio e Prudenzio,
composero tuttavia seguendo i metri classici; non vi è
ragione di pensare che si trattasse di un espediente
artificioso ed anacronistico, bensì d'una continuità, non
solo una sopravvivenza formale, della tradizione classica.
Composizioni quali la poesia di Commodiano (III sec. d. C.) o
di sant'Agostino, nel Psalmus Abbecedrius, si valsero della
versificazione accentuativa; l'accentuazione
facilitava il canto o la recitazione corale nelle scuole e
nelle chiese.
Gli
Inni di sant'Ambrogio, celebrati da sant'Agostino e conosciuti
da Boezio, si fondavano su una metrica prevalentemente
accentuativa, che dava luogo alla composizione di facili
melodie destinate all'assemblea dei fedeli.
Nel
'De
Consolatione Philosophiae' abbiamo esempi tanto della metrica
classica quanto della metrica accentuativa.
Boezio
padroneggiava perfettamente tutto l'arco delle espressioni
poetiche latine e delle corrispondenti composizioni musicali.
Del resto, il grande scrittore affermava non solo la
preminenza del musicista ben istruito teoricamente sul mero
esecutore di musiche altrui, ma anche la superiorità del vero
musicista sul poeta o versificatore sprovvisto di nozioni
musicali, poiché quest'ultimo componeva le musiche ad
orecchio; mentre il vero musico sapeva giudicare anche
dell'adeguatezza dei versi, "de poetarum carminibus".
Era
ancora vivo il senso latino del "cursus", cioè del
ritmo quantitativo della prosa, considerato elemento
essenziale di una prosa elegante, soprattutto alla conclusione
delle frasi. La "dulcedo", la dolcezza della prosa
boeziana si riscontra nell'andamento quieto e frequentemente
ternario: le sillabe lunghe appaiono alquanto distanziate e
gli accenti delle parole seguono spesso un pacato ritmo di una
sillaba lunga e due brevi.
Le
poesie de 'De Consolatione Philosophiae', dato il carattere
dialogico e meditativo dell'opera, sono destinate quasi tutte
al canto a voce sola; perciò si fondano prevalentemente sulla
metrica quantitativa, trattata con una certa libertà, in
un'ampia gamma di versi, distici, strofe.
Nella
prosodia latina, alla differente quantità delle sillabe
corrispondeva un'intonazione differente del discorso parlato:
la sillaba lunga era intonata circa una terza
al di sopra della sillaba breve.
Certamente
Boezio aveva composto anche le musiche dei suoi carmi, ci è
pervenuto un manoscritto del 'De Consolatione Philosophiae'
che reca tracce di Rotazione musicale, ed inoltre è da
ritenere che al tempo di Boezio fosse già iniziata la
notazione musicale scritta, poiché esistono documenti scritti
di notazione musicale ambrosiana in un palinsesto del VII
secolo, e, pare, di notazione latina in un palinsesto del VI
secolo. L'opinione degli studiosi è favorevole ad attribuire
alla notazione diastematica, che indicava l'altezza precisa
delle note, un'antichità che risale almeno al IX secolo dopo
Cristo. Anche al tempo di san Gregorio Magno (590-604) non è
da escludere che fosse possibile scrivere i suoni secondo la
loro altezza. Dunque è probabile che la notazione fosse già
abbastanza evoluta; non va dimenticato che proprio Boezio è
l'autore della scala musicale m lettere latine, dove la A
corrisponde al nostro DO.
L'inizio
del I libro è un componimento poetico in distici elegiaci,
definiti "maestos modos", modi dolenti.
L'espressione "modos" indica la musica sulla quale
veniva intonato questo genere di versi classici dal contenuto
malinconico.
Nello
svolgersi dell'opera, ogni brano in prosa è seguito da un
carme. La scelta di Boezio per le differenti specie di
metrica, e conseguentemente di toni musicali, rileva una
sensibilità compositiva dallo sguardo singolarmente ampio.
Evitando le ripetizioni, gli schemi metrici e melodici si
rinnovano continuamente, e tutto il 'De Consolatione
Philosophiae' obbedisce ad un disegno armonioso, ad un
"cursus" interno. Il numero dei poemi in ogni libro
va dai cinque agli otto nei libri I, II, IV e V; soltanto il
III libro ne contiene dodici. Il maggior o minor numero di
poemi è in uguale proporzione alla maggiore o minore
consistenza di ciascun libro; esiste dunque una
"ratio" intera all'opera, che intende evitare
eccessive prolissità del discorso filosofico.
L'esame
dei poemi boeziani permette di constatare che non è possibile
classificarli rigorosamente secondo i canoni della metrica
latina antica, nè tantomeno di quella greca. È plausibile, ci
sembra, una suddivisione dei 39 poemi in tre generi, come
segue:
1.
Poemi scritti secondo la metrica latina classica;
2-
Poemi in metrica accentuativo-quantitativa, dove la quantità
delle sillabe lunghe, per Io più accentate, è adoperata per
costruire versi di tipo accentuativo, ma suddivisi ancora
secondo i 'piedi' della metrica classica, disposti con una
certa libertà di invenzione. Davvero notevole è la dovizia e
l'armoniosità degli schemi metrici di questo tipo,
3
- Poemi in ritmo accentuativo, in versi per lo più
tetrametri, riconducibili alla tradizione dell'innodia
cristiana.
Nel
primo gruppo compaiono, oltre all'elegia iniziale, un numero
non amplissimo di carmi; vi troviamo ancora distici elegiaci,
endecasillabi fateci ed esametri. Non vi compaiono ritmi
agitati, ma solo i metri della poesia elegiaca, esortativa,
narrativa.
La
musica di questo gruppo di poemi poteva rispondere alla
tradizione latina dei 'toni' o modi corrispondenti a ciascun
genere; dunque la musica agiva quale 'ancella della poesia’
, poiché la durata dei toni, nonché la 'cantilena', la linea
melodica, erano un ornamento, un complemento della poesia -
II
poema IX del III libro, in esametri, è una solenne e maestosa
invocazione al Creatore, quasi una sinfonia, che lo celebra
nelle leggi della creazione: ternarietà dell'essenza
spirituale e binarietà del movimento.
Veniamo
ora al secondo gruppo di poemi, il più ampio: si tratta di
poesie liriche nelle quali il succedersi quantitativo delle
sillabe coincide spesso con il ritmo accentuativo; più
raramente l'arsi — il punto di appoggio ritmico — è
rilevabile secondo la quantità; ne risulta una metrica che
potremmo definire quantitativo-accentuativa.
Il
secondo elemento (l'accento) tende ormai
ad affermarsi; la poesia boeziana, però non rinnega mal il
principio quantitativo sul quale è saldamente basato ogni
poema. Ne deriva una costante ed intensa armonio sita,
prerogativa del tutto peculiare del grande scrittore latino;
armoniosità che si fonda sulla successione di
ritmi ternari o sulla loro opportuna disposizione a seconda
del contenuto del discorso poetico.
La
maggiore libertà della versificazione corrisponde certamente
al contemporaneo cambiamento, al maggiore sviluppo della
teoria musicale.
Nel
'De Institutione Musica' Boezio porta la teoria della
ternarietà come perfezione e della binarietà come
imperfezione ad un'ampiezza ed una profondità fin allora
sconosciute. La ternarietà risponde alla perfezione per il
fatto che essa obbedisce al moto circolare; ora, la medesima
esigenza di far convergere elementi dissimili per ottenere la
consonanza, che è anch'essa perfezione, si trova nello studio
dell'altezza dei suoni.
La
teoria boeziana apre la strada ad un'amplissima gamma di
possibilità e di combinazioni ritmiche, delle quali i poemi
da lui composti costituiscono l'esempio migliore. La musica
non è più ancella della poesia, ma sorella, riconosciuta in
tutti i suoi aspetti, riguardata nella sua vera e completa
fisionomia.
L'inizio
anacrusico, cioè "in levare", è frequente in
questo tipo di versificazione. Esso non sottrae nulla al ritmo
successivo, poiché anticipando una o due sillabe non
accentate la frase musicale risulta arricchita da una o due
note "in levare" che alleggeriscono e abbelliscono
il ritmo.
Un
piccolo numero di poemi, infine, può essere avvicinato all'innodia
latina ed ambrosiana. Riguardo a quest'ultima, nel 'De
Consolatione Philosophiae' possiamo individuare degli inni
strettamente apparentati con quelli del grande vescovo
milanese, poiché la tradizione del canto ambrosiano si
estense e continuò anche a Pavia.
Reminiscenza
diretta di sant'Ambrogio è l'invocazione "O stelliferi
conditor orbis" che inizia il carme V del I Libro; un
bellissimo inno, dalla classica struttura in versi tetrametri,
cioè di quattro piedi metrici, ora bisillabi ora trisillabi;
il carme è dedicato a Dio creatore e ad invocarne la
misericordia. È evidente la somiglianza con l'inizio del
celebre inno ambrosiano "Aeterne rerum conditor",
sia nell'appellativo sia nel ritmo: la binarietà ritmica,
caratteristica dell'accentuazione del verso ambrosiano, in
quello boeziano è sottintesa in un andamento più ampio (unità
metriche di due o tre sillabe) ma ben individuato sia dalla
cesura a metà di ogni verso sia dalla composizione
quaternaria dei versi medesimi che corrisponde ai quattro
accenti dell'ottosillabo ambrosiano.
Il
canto ambrosiano, come è noto, costituisce un campo di studio
passibile di nuove aperture sulla conoscenza della musica
latino-cristiana, perché tramanda un'arte musicale
antichissima. È molto verosimile che le melodie tramandate
dai manoscritti siano le stesse dell'epoca in cui questo canto
nacque, a metà del IV secolo d. C., giunte fino a noi senza
particolari modificazioni. La melodia ha carattere di
semplicità, vorremmo dire di essenzialità: essa procede
preferibilmente per gradi congiunti, nell'ambito di una
quarta. Gli intervalli ampi, specie se discendenti, sono
riempiti di noie. Inoltre esso canto non rientra nelle leggi
degli 'otto modi', limitandosi a tre 'corde' o 'toni' di canto
su DO, RE, MI. Gli inni, essendo destinati all'assemblea dei
fedeli, erano composti di una linea melodica
semplice, sillabica, espressiva, modulata sia dal contenuto
della parole, sia sulla qualità e quantità di ciascuna
sillaba. Nei canti ambrosiani si è voluta riconoscere a volte
un'origine gallicana od orientale; a noi sembra, almeno per
quanto riguarda gli inni, che essi rientrino, senza elementi
che vi contraddicano, nel quadro della tradizione
tardo-latina, così come Boezio la spiegava nel 'De
Institutione Musica'.
Altre
reminiscenze del canto liturgico nel 'De Consolatione
Philosophiae' le troviamo nel libro III: vi è una citazione
della prima delle grandi antifone dell'Avvento: "O
Sapientia (...) fortiter suaviterque disponens omnia";
questa volta è un canto liturgico romano conosciuto da Boezio
a Roma, precedente l'epoca di san Gregorio Magno 7
.
Ma
l'innodia cristiana poteva annoverare anche altri gloriosi
esponenti, vissuti nell'epoca tra sant'Ambrogio e l'autore del
'De Consolatione Philosophiae': i più illustri furono
sant'Ilario di Poitiers e Prudenzio. Quest'ultimo aveva
scritto negli antichi metri latini. Anche nell'opera boeziana
si trovano numerose composizioni che seguono questa
tradizione, già instauratasi, di comporre inni, specialmente
in lode del Creatore, in versi classicheggianti.
Il
carme VIII del II libro, una mirabile lode di Dio Creatore
(che sembra quasi anticipare, nella visione del cosmo, il
dantesco "l'Amor che move '1 sole e l'altre
stelle"), è scritto in versi ottosillabici come gli inni
ambrosiani; la metrica, tuttavia, se ne discosta alquanto,
seguendo un ritmo classico quantitativo.