L'ala Nord della Reggia di Versailles ospita un gioiello che solo i tetti leggermente sollevati lasciano intravvedere, dopo i giardini, lungo la maestosa facciata di Jules Hardouin Mansart: l'Opera Reale, capolavoro dell'Architetto Ange-Jacques Gabriel ed ultimo grande cantiere del Regno di Luigi XV nella Reggia. La costruzione di questo teatro, dalle dimensioni impressionanti e dalle vaste possibilità, doveva regolare una volta per tuttela spinosa questione delle feste organizzate a Corte in occasione delle celebrazioni dinastiche o di solennità particolari come la ricezione di sovrani stranieri, per esempio. Terminato 20 anni prima della Rivoluzione, l'Opera Reale non è stata molto utilizzata e la sua storia dopo il 1789 non è che una successione di periodi sonnolenti, poco turbati da risvegli effimeri, e questo fino alla metà del XX° secolo.
Sotto Louis XV, il piccolo teatro della Corte dei Principi era scomodo e non si prestava più alle nuove mode del momento. Per distrarre il Re, Madame de Pompadour riunì una piccola truppa di attori, scelti tra i suoi amici; la marchesa stessa recitava un ruolo. La piccola truppa ebbe due teatri successivi a propria disposizione, teatri provvisori e smontabili, installati prima nella Piccola Galleria poi nella gabbia della scala degli Ambasciatori. Queste piccole sale accoglievano pochi spettatori e non erano considerate come i teatri di corte. L'Opera Royale occupa l'inizio dell'Ala Nord del Palazzo e domina, dalla sua facciata settentrionale, i grandi serbatoi destinati ad alimentare le fontane del Giardino.
Per accedervi dalla Reggia, bisogna attraversare una delle due gallerie che attraversano l'Ala in tutta la sua lunghezza, quella del pianterreno, che permette di accedere al parquet ed all'Anfiteatro, o quella del primo piano, partendo dalla Sala della Cappella e conducente direttamente all'entrata di un piccolo salone - il Foyer du Roi - che comunica con la Loggia Reale. Al piano terra, un largo vestibolo, che si affaccia sul giardino, permette anche di penetrare nel teatro, ad un livello situato sotto quello della Sala. Per contro, nessuna comunicazione è stata prevista fra l'Opera Reale e il lato della città di Versailles, tranne una porta che si apre sulla quinta sotto la gabbia scenica. Prima di pianificare il teatro all'interno di uno spazio architettonico preesistente, Gabriel doveva prendere in considerazione le costrizioni poste dalle differenze di livello. Era inoltre necessario che la loggia particolare del Re si situasse il più possibile al livello del primo piano del Castello, ma non bisognava che il Re avesse troppi gradini da scendere per prendere posto nell'Anfiteatro quando lo esigevano le circostanze; la gabbia scenica doveva anche offrire una altezza sufficiente per permettere la pianificazione dei retroscena e della parte del teatro che si trova sopra i decori e sotto la scena.
Tutti questi problemi furono risolti nel modo migliore possibile, sopportando qualche piccolo sacrificio: così il foyer riservato al servizio del Re, quando egli si trovava nell'anfiteatro dalla galleria, ricevette la luce da delle finestre alte impedendo così una visione dei giardini e dando così un aspetto di luogo incassato; l'accesso all'anfiteatro dalla galleria di pietra, essendo necessario scendere quasi un piano intero, fu quanto ad esso addolcito attraverso la costruzione di due rampe, disposte in due spazi in successione (un piccolo vestibolo e una sala delle guardie, oggi distrutte e rimpiazzate dalla scalinata Questel), soluzione poco pratica certo, ma inevitabile. Infine, bisognò ridurre l'altezza degli archi, teoricamente uguale a quella della scena stessa in modo che il tetto della costruzione restasse meno elevato possibile per non gravare la visione esterna dell'Ala Nord ed evitare un troppo grosso squilibrio architteturale.
Lo sblocco del teatro, scale, corridoi di circolazione, pianerottoli intermedi, furono trattati nella più grande semplicità, come per mettere in risalto i giochi dei volumi e la stereotomia che è qui di gran qualità. Le 4 scale serventi i piani riceverono cure molto particolari, specialmente il lato nord-ovest che adotta una forma triangolare attorno ad un vuoto centale. L'insieme libera una eleganza serena e prepara all'abbaglio che attende il visitatore quando supera una delle porte che permettono di penetrare nella Sala interna del teatro vero e proprio.
Adottando una planimetria elittica troncata, la sala da spettacolo è il frutto delle riflessioni e di ricerche condotte da Ange-Jacques Gabriel dal 1742, data in cui egli divenne primo architetto del Re. Quasi trentenne, Gabriel, persuaso che il castello fosse privo di un elemento fondamentale, ossia un grande teatro, e che Luigi XV avrebbe finito per riprendere i progetti del suo avo, maturò il suo proprio progetto, come lo testimoniano i numerosi disegni, tagli ed aumenti dimensionali conservati agli Archivi Nazionali a Parigi (che era il Palazzo dei Principi di Soubises). L'architettura teatrale era, nel XVIII° secolo, in piena evoluzione. Ovunque in Europa si costruivano dei teatri e ogni architetto si vantava di aver trovato una mappa ideale. Cosciente di questa ricerca permanente, Gabriel inviò qualche architetto francese in Italia allo scopo di rilevare le mappe delle principali sale della penisola e di studiarne le carte vincenti e gli inconvenienti.
Certi teatri, come quello di Torino, realizzato da Benedetto Alfieri nel 1740, attirarono la sua attenzione. Di fatto, il primo architetto adoperò la mappa di un teatro a forma elittica, già praticata in Italia, ma con una specifica particolarità francese: egli concepì la disposizione a gradini dei differenti piani in ritiri successivi, come una riesumanza dello stile a gradini dei teatri antichi. Soufflot, nel 1753, aveva già sperimentato questa soluzione a Lione, che fu ripresa in numerosi teatri e trovò la sua applicazione più radicale a Besançon, con la Sala concepita da Ledoux, terminata nel 1784 (distrutta da un incendio però nel 1958). Di vaste proporzioni, la sala da spettacoli si alza su 5 livelli (l'orchestra, l'anfiteatro, e tre livelli di logge). Un livello intermedio poteva aggiungersi all'insieme attraverso la costruzione provvisoria di un quarto balcone supplementare al piano delle tre logge, detto della Colonnata. Le logge grigliate degli oculi rimasero, in quanto utilizzabili fino al XIX° secolo. Gabriel scelse di trattare i tre livelli alla francese e non all'italiana, separando ogni loggia da un tramezzo basso all'altezza d'appoggio, cosa che permetteva una migliore visione della scena, liberando lo spazio al massimo. Numerosi architetti francesi esaltavano d'altro canto questa soluzione al fine di evitare l'effetto troppo verticale prodotto da tramezzi troppo alti.
E' soprattutto al livello della terza loggia che Gabriel mostra la sua genialità: rinunciando ad un quarto balcone, inizialmente previsto, diede al piano un altezza più importante, ritmata da una elegante serie di colonne, il cui fondo, costituito di arcate ricoperte di specchi, offre allo sguardo l'impressione dell'infinito. Al posto di sembrare schiacciata, la sala guadagna così in altezza e in leggerezza. Il quarto balcone, necessario, fu alla fine removibile: costituito da una ossatura facilmente smontabile, era installata unicamente per le rappresentazioni teatrali e tolto finite le stesse. Il trattamento del proscenio, ossia la parte che cinge il quadro del teatro, è più convenzionale e lo si ritrova in un buon numero di sale dell'epoca dal teatro di Torino fino alla nuova opera di Parigi, inaugurato lo stesso anno del Teatro di Versailles, passando per la sala delle Macchine, alle Tuileries, edificata un secolo prima: due gruppi di due imponenti colonne corinzie inquadrano l'apertura della scena, il cui frontone è decorato, al centro, con un medaglione portante le armi del sovrano. Il fondo della sala si dota di una abside a volta con forma di semicupola, sopra la loggia del Re. Questa abside risulta da un primo progetto di Gabriel che aveva previsto per il Re una grande loggia trionfale sormontata da un baldacchino, secondo la moda dei teatri tedeschi o italiani.
L'allargamento in abside permetteva a questo baldacchino di integrarsi nell'architettura generale. Ora, all'ultimo momento, Luigi XV rinunciò a questa soluzione, preferendo conformarsi all'uso francese che voleva il sovrano piazzato al primo livello dell'anfiteatro con tutta la famiglia reale, durante delle grandi cerimonie, desiderando soprattutto avere una loggia più discreta, come ne possedeva in ciascuno dei teatri delle residenze reali. Gabriel dovette ubbidire, ma l'abside, tale come l'aveva concepita all'inizio, rimase. Se Luigi XIV non sgarrava pressocché mai al cerimoniale di Corte, Luigi XV invece prendeva distanza dagli obblighi di rappresentazione della Maestà, non a caso fu in seguito denominato Il Sole Nero di Versailles. Ecco che volle tre griglie dorate riservate tutte per lui, discrete e piene di conforti in modo che potesse assistere agli spettacoli praticamente in incognito, accompagnato dai suoi cari o dalle sue amanti. Nella iconografia dell'Opera, il simbolo di Luigi XV è oltremodo assente, infatti il Re era poco interessato alla glorificazione della sua persona ed era più sensibile alle arti decorative a cui assegnò la funzione di ammaliare lo spirito ed i sensi. Intrecciata da schizzi grotteschi, il palco del Re vede degli uccelli razzolare al vano della sua griglia, mentre le sirene alate offrono dei vasi e cesti di frutti in un fiotto di rami fioriti e di nastri. Nelle altre due logge dei ministri si spiegano, su dei motivi dei fiori e di pampino, delle baccanti, pastorelle, cacciatrici, nereidi, amazzoni ed altre ninfe a torso nudo che rievocano le attrici come le si sognava. Louis Philippe ne è stato così urtato che egli le fece ricoprire di un strato di bianco calce. Fortunatamente, il primo restauro della sala tra 1952 e 1956 ha permesso di riscoprirli.
La Loggia trionfale fu rimpiazzata da una loggia più chiusa, una vera scatola abilmente inserita in mezzo alle seconde logge, e limitata da due altre logge di dimensioni più modeste. La decorazione di boiseries di queste logge fu affidato al pittore François Vernet, fratello di Joseph, così come a Crépinil giovane, seguendo i modelli forniti dall'architetto Charles de Wally. Una griglia movibile permetteva al Re di utilizzare la sua loggia a suo piacimento e di beneficiare di discrezione per la quale si era dimostrato sempre attaccato.
Un piccolo salone ovale, illuminato a metà giornata da una finestra che si affaccia sul foyer, decorata con 2 dipinti di Jacques-Louis-François Touzé, precede la loggia e dà direttamente nella galleria di pietra attraverso un portone monumentale.
Tutta in legno e teoricamente smontabile, la sala ha ricevuto una lussuosa decorazione, dove dominano i falsi marmi di differenti colori. Vi sono elementi scolpiti nel primo ordine di logge, a cui si aggiunge un vasto soffitto, dipinto, bordato a livello della colonnata, da un insieme di 12 piccoli soffitti, il cui autore fu il pittore Louis Jacques Durameau (1733 - 1796).
Ugualmente autore del soffitto della Nuova Opera di Parigi, l'artista scelse, in accordo con la direzione delle Costruzioni del Re, di rappresentare Apollo Incoronato dalle Arti, circondato da figure allegoriche: infatti ognuno dei 12 piccoli soffitti è consacrato ad una divinità del panteon greco-romano, evocato dal suo simbolo.
La maggior parte delle sculture del Foyer e della sala sono stati affidati ad Augustin Pajou (1730 - 1809) e al suo atelier. Nel Foyer, una serie di figure femminili evocano i differenti generi poetici (poesia lirica, pastorale, eroica e drammatica), due gruppi rappresentano l'uno Apollo e l'altro Venere, mentre ad ogni estremità della galleria due gruppi allegorici fanno allusione al matrimonio del Delfino, conseguenza dell'alleanza con l'Austria: La Gioventù e la Salvezza e L'Abbondanza e la Pace. Nella sala i due primi livelli di loggia hanno ricevuto una serie di bassorilievi dorati.
Gli Dei dell'Olimpo, incastrati di profilo da muse, ornano la prima loggia. Alle seconde logge, il programma ionografico, più laico, evoca qualche scena di opere liriche celebri, rappresentate da dei bambini (ARMIDE, CASTOR ET POLLUCE, ORFEO ED EURODICE, IFIGENIA...) o presenta delle allegorie varie (LA MUSICA, LA DANZA, LA COMMEDIA, ed anche L'ASTRONOMIA), separati dalla dozzina di segni zodiacali.
La terza loggia, alla serie di colonne, sono trattate più semplicemente, in balaustra, di cui i balusti imitano i bronzi dorati, con decorazioni di urne in falsi lapislazzuli. Il quadro di scena è sormontato nel suo centro da 2 grandi Famee sorgenti dalle nubi che tengono le armi di Francia. Due grandi cadute di trofei, dovuti ad Antoine Rousseau, ornano ognuno dei lati dell'apertura ed operano una congiunzione con i balconi del proscenio.
Di una capacità superiore a 1.400 posti (650 oggi di fatto dalla soppressione di tutte le logge situate sotto l'Anfiteatro, sotto le colonne del Proscenio, al livello degli oculi, e dall'abbandono definito del balcone movibile della quarta loggia), l'OPERA REALE è stata destinata a differenti utilizzi (sala di teatro, sala per feste o sala da ballo), e, per ciò, è stata dotata di macchinari perfezionati che permettono di modificare radicalmente la sala in funzione dei bisogni.
La variazione maggiore aveva per scopo di unire attraverso una stessa tavola il livello della sala e quello della scena al fine di creare uno spazio unico. Numerosi teatri praticavano già questo sistema (L'Opera di Parigi, per esempio, in sala da ballo), ma in modo molto semplice: ci si accontentava di gettare una tavola provvisoria, che si toglieva in seguito. A Versailles, siccome l'Opera Reale era stata concepita per poter esser modificata in modo ricorrente, il primo macchinista del Re, Baptiste-Henri Arnoult, concepì un sistema permanente, evitando la posa ed il deposito di un parquet. L'insieme del pavimento della sala poteva cosi, attraverso l'azione di un meccanismo situato sotto, salire e scendere innumerevoli volte, conforme i bisogni. Il pavimento dell'anfiteatro si abbassava, mentre quello della terrazza si sollevava, in modo da formare un solo e medesimo livello con la scena. Non restava in seguito che coprire la fossa dell'orchestra con un praticabile provvisorio.
I macchinari di Arnoult esistono ancora oggi e potrebbero funzionare se il pavimento non fosse stato fissato definitivamente da Luigi-Filippo e poi per i lavori di restauro del XX° secolo. Una volta livellato il pavimento, lo spazio ottenuto misurava, dalla porta dell'anfiteatro fino al fondo della scena, più di 45 metri di lunghezza. Si installava infine sul teatro stesso un decoro movibile che riprendeva - senza tuttavia imitarlo - l'ordine generale della sala.. Era ugualmente possibile, in occasione di feste reali, di bloccare il quadro della scena attraverso una grande arcata, limitata da colonne ed aprendo su un salone in cui si potevano agilmente tenere i 24 musicisti incaricati di suonare durante tutta la durata della festa.
La scena dell'Opera Reale di Versailles fu, fin dal suo inizio, considerata come una delle più grandi d'Europa per le sue dimensioni eccezionali. In Francia, essa non fu superata se non dall'Opera Garnier (ma inaugurata nel 1845!). Il palcoscenico e i suoi vasti sblocchi occupano una superficie di 720 metri quadrati. I piani sopra si sovrappongono per una altezza media di 13 metri e contano 5 livelli. Ognuno di loro rispondeva a un bisogno tecnico specifico e permettevano l'impiego di un machinario complesso del quale oggi purtroppo restano solo le vestigia, sebbene quelli più importanti: i grandi alberi longitudinali di circa 15 metri di altezza dal quinto livello superiore, la cui manovra sincronizzava il movimento di tutti i telai, fattorie e fregi di 7 primi piani della scena.
Altri elementi maggiori della scenografia tradizionale, le botole per le apparizioni, dalle quali si accedeva al livello del primo livello, sono state reintegrate nella loro funzionalità del meccanismo complesso all'inizio degli anni 2000. Le macchine degli appendini (che in termini teatrali sono lo spazio che si trova sopra il paesaggio di scena, sono delle griglie che scorrono per le varie scene) sono state definitivamente fatte sparire al momento del restauro nel 1953-1957, in un'epoca dove il patrimonio tecnico non suscitava grande interesse. Solo qualche fotografia ne conserva la testimonianza. Essa permette tuttavia dei movimenti spettacolari, come la discesa delle "glorie" con caricate una sessantina di persone!
Sulla scena, un decoro che utilizzasse il massimo spazio, poteva, senza considerare la tela di fondo, presentare fino a 12 piani in successione, e dal un quadro di scena più lontano, cioè una ventina di metri, una profondità di scena veramente considerevole all'epoca. E' naturalmente possibile ridurre questa prospettiva secondo i bisogni scenografici. Utilizzato in uno delle sue più vaste dimensioni, il palcoscenio poteva ugualmente permetere la sfilata di cavalli (come nel caso del 1770), che la si conduceva dai giardini grazie ad un piano inclinato. E' d'altro canto lo stesso cammino che prendevano gli immensi telai componenti i decori (più di 10 metri di altezza), abitualmente stoccati in una lunga costruzione bassa costruita a fianco ai giardini, lungo i serbatoi dell'acqua per le fontane.
I mezzi destinati alla illuminazione scenica erano proporzionati a queste grandezze. Una rampa telescopica, guarnita di candele a molla, sorgeva tutta illuminata a bordo del proscenio, una volta tolta la tenda, al fine di evitare l'effetto di richiamo d'aria provocato dal movimento della tela e la differenza di pressione atmosferica che esiste sempre fra la sala e la scena quando il tendone viene abbassato. Sul palcoscenico, ogni telaio era munito, nel suo retro, di pertiche portanti dei riflettori in ferro bianco divisi ad intervalli regolari su tutta l'altezza e nei quali si disponeva da una a tre fonti luminose. Si potevano contare fino a 70 luci per telaio e 140 per piano.
Qui sopra si nota una immagina del lato dell'Ala Nord di Versailles. Elevandosi ai piedi dei serbatoi che alimentano le fontane del Giardino, questa facciata della Reggia dall’incantato decoro costituisce la parte mancante del Castello di Luigi XIV, restato incompiuto per mancanza di fondi. Circa 24 anni dopo, Luigi XV scelse di edificare l’Opera Reale (1768-1770) nello stesso luogo, dal momento che la grande declività del terreno su cui erano stabiliti l’Ala nord ed i serbatoi permetteva di assicurare un importante sottoscena. Come la sala dell’Opera fu realizzata interamente in legno e si illuminava grazie a 3.000 candele, la presenza dell’acqua era indispensabile proprio per i rischi d’incendio. Così, si apportò una cura particolare alla concezione dell’edificio: Jacques Ange Gabriel optò per un inglobamento in pietra chiudente l’Opera che, in mancanza di salvare la sala, avrebbe impedito alle fiamme di raggiungere il resto del Castello. Le murature furono realizzate tra il 1764 ed il 1765, anche prima che si stabilisse un piano d’insieme della sala, poi la scultura della facciata Nord fu affidata nel 1769 ad Augustin Pajou e Jules-Antoine Rousseau. Al frontone dell’avancorpo troneggia “La poésie Lyrique” che appare sotto i tratti di una donna con corona d’allora e suonante la lira, seduta in mezzo delle nubi dove si alzano degli amorini. Nella chiave delle arcate del pianoterra e agli incroci del piano presiedono Apollo, Marte e Minerva. Ma le terrazze dei serbatoi, costeggiate sulla sinistra dall’edificio degli attori, non erano più accessibili al pubblico che oggi, sebbene questa meraviglia di decoro scolpita non parla alla fine che al vento del Nord. I fregi che delimitavano il decoro in altezza nascondevano dei disegni bidimensionali di 17 metri di lunghezza, contando talvolta fino ad 80 fonti luminose, al di sotto delle quali erano posizionati dei rifettori destinati a rinviare la luce verso il palcoscenico. Così, un decoro che utilizzava i 12 piani della scena poteva necessitare quasi di 3.000 luci contemporaneamente, cosa che, non se ne dubita, era alquanto dispendioso. A ciò, bisognava aggiungere la luminosità della sala stessa, dove, come minimo, 300 candele erano necessarie per riempire i lampadari.
Concepito su una scala inusuale, l'Opera Reale, la cui bellezza e le capacità sono state apprezzate fin dalla sua inaugurazione, non fu utilizzato, tra il 1770 e la Rivoluzione, che solo 37 volte - di cui 24 rappresentazioni teatrali.
Questa attività ridotta per alcuni storici di Versailles finiva per esser ritenuta un controsenso, idea che, oggi ancora, fatica a sparire. In effetti, è stato spesso detto - e talvolta anche scritto - che Luigi XV dotò il castello di una sala per gli spettacoli troppo grande e che si sarebbe dovuto rinunciare rapidamente al suo utilizzo per l'elevato costo.
Questa posizione è innanzitutto poco lusinghiera per l'insieme dei servizi che sono legati alla costruzione e pianificazione del teatro, ma in un periodo dove le finanze reali incontravano via via delle difficoltà, si vedeva male in effetti la trascuratezza direzionale delle Costruzioni del Re e quella dei Menus-Plaisirs di ciò che si chiamerebbe oggi il budget di funzionamento del teatro. Questo ragionamento non può svilupparsi se non si considera che l'Opera Reale non era vista come l'unica sala di teatro del Palazzo ma anche come una sala destinata ad accogliere unicamente le feste straordinarie (nel senso letterale del termine) e, per questo motivo, utilizzata in modo irregolare. Dunque, fu per le occasioni straordinarie che questo teatro fu concepito fin dall'inizio. Luigi XV volle che fosse terminato in occasione della festa, con tutto il clamore richiesto, per le nozze di suo nipote ed erede al Trono Luigi XVI e la giovane Arciduchessa Maria Antonietta nel maggio 1770. In seguito tutti i matrimoni dei piccoli di Francia vi furono celebrati, fino alla Rivoluzione. Vi si diedero lo stesso delle rappresentazioni eccezionali o dei balli in onore di Principi stranieri in visita in Francia, come l'Imperatore Giuseppe II, il Gran-Duca Paul di Russia o il Re di Svezia Gustavo III. Non c'era la necessità di darvi degli spettacoli ordinari a cui assisteva la Corte ogni settimana e che riunivano un numero infinitamente meno importante di spettatori:infatti per questo, il piccolo teatro della Corte dei Principi era sufficiente, fino a che Luigi XVI ordinò la costruzione di una nuova sala in un'ala nuova del Castello, quattro anni prima della Rivoluzione.
Gabriel aveva pensato un momento ad un'altra soluzione, consistente a pianificare all'interno della sala stessa, una sala più piccola. Per questo, l'architetto aveva previsto di costruire una vera struttura provvisoria, riducendo la scena, ed aveva ugualmente progettato un plafond mobile che permetteva di diminuire l'altezza, mascherando il piano delle colonne. Progetto ardito, rapidamente abbandonato, ma che lasciò delle tracce poichè un disegno - non identificato - della sala della commedia, firmata da Pierre-Adrien Paris, riprende l'idea del plafond mobile.
Inaugurato il 16 Maggio 1770 per la festa di nozze del Delfino Luigi, l'Opera Reale conobbe la sua prima rappresentazione teatrale il giorno dopo, quando fu data una versione adattata al gusto attuale del PERSEE di Lully. Il primo ballo adornato, che permetteva l'utilizzo della sala in tutta la sua ampiezza, ebbe luogo il 19 Maggio 1770. Il Teatro servì per il seguito dei festeggiamenti delle nozze dei fratelli del Delfino: nel 1771 per il matrimonio del Conte di Provenza e nel 1773 per quello del Conte d'Artois.
Sotto il Regno di Luigi XVI, nel 1775, vi si celebrò l'ultimo matrimonio della famiglia Reale, quello di Madame Clotilde, sorella del Re.
Dopo questa data, le utilizzazioni si fecero più rare: una rappresentazioni di CASTOR ET POLLUX in onore di Giuseppe II, in visita in Francia nel 1777; un ballo per l'occasione della nascita del Delfino nel 1782; due rappresentazioni ed un ballo per la venuta del Gran-Duca di Russia nel 1782.
L'ultima rappresentazione dell'Ancien Régime ebbe luogo il 14 Giugno 1784, al momento della visita del Re di Svezia Gustavo III, in onore del quale si diede l'ARMIDE di Gluck, e, un mese più tardi, un ballo dopo il quale non ci si prese neanche la briga di variare la sala, che restò dunque, fino al XIX° secolo, nella sua configurazione di sala da ballo. E' d'altronde in questo decoro ch'ebbe luogo il celebre banchetto delle guardie del corpo il 1° Ottobre 1789, così funesto per la Monarchia.
La Rivoluzione si accontentò di svuotare l'Opera Reale dei suoi mobili, delle sue tappezzerie, dei suoi specchi, delle sue luminarie e dei suoi decori. Il Teatro fu lasciato in tal stato e finchè a Frederic-Nepveu, l'architetto di Versailles di Luigi Filippo, gli fu ordinato di effettuarvi, a partire dal 1836, importanti lavori di rinnovamento che furono fatali per la decorazione originale.
La sala fu in effetti interamente ricoperta di pittura rossa con una serie di motivi d'oro e inquadramenti amarena, guarniti da nuove luminarie e da un nuovo mobilio. Una brillante rappresentazione consacrò l'apertura al pubblico del Museo di Versailles il 10 Giugno 1837, ma, malgrado queste feste inaugurali, il teatro non servì che di rado dopo: una rappresentazione nel 1844, un concerto nel 1849, sotto la Seconda Repubblica, una cena di gala offerta da Napoleone III in onore della Regina Vittoria nel 1855 ed una rappresentazione nel 1864.
La caduta del Secondo Impero portava a delle conseguenze inattese sul destino del teatro. La Repubblica fu proclamata il giorno dopo del disastro di Sedan, il 4 Settembre 1870. L'occupazione di una parte del territorio dalle armate prussiane ritardarono le elezioni che furono finalmente fatte nel febbraio 1871. All'inizio dello scrutinio, la Nuova Assemblea Nazionale, non poteva riunirsi a Parigi, i cui seggi che finivano per chiudersi a causa delle resa, si riunì dapprincipio a Bordeaux. Il clima insurrezionale della capitale, impedendo il ritorno dei deputati, portò a scegliere Versailles per ospitare il governo e la rappresentazione nazionale. L'Opera Reale, che offriva il posto necessario, fu trasformata in sala di seduta dell'Assemblea. A questa installazione seguirono delle modifiche architettoniche che andarono, col tempo, a rivelarsi funeste per una buona conservazione del luogo, come l'installazione di una vetreria al posto del plafond di Durameau, ossia l'attuale soffitto decorato presente dentro la sala teatrale.
Durameau ha dipinto il soffitto centrale, dove ha rappresentato Apollo che distribuisce delle corone alle Muse, ed i dodici piccoli soffitti del colonnato dove ha rievocato gli amori dei dei. Le loro tinte delicate armonizzano con lo scenario in falso marmo della sala, dove dominano il verde della regione Campan ed il marmo rosso con venature bianche tipico della regione Serrancolin. La cattiva impermeabilità di questa copertura di vetro comportò progressivamente dei disordini inquietanti al punto che il teatro minacciava la rovina alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale. Le leggi costituzionali del 1875, fondatrici della Terza Repubblica, instaurarono il bicameralismo creando, a fianco della Camera dei Deputati, una alta camera, il Senato. Per ospitare la prima, si costruì una nuova sala di seduta in un'ala del Midi del Castello (l'attuale Sala dei Congressi), mentre la seconda si vide attribuire l'Opera Reale.
Il Parlamento lasciò definitivamente Versailles nel 1879, ma restò sempre assegnatario dei luoghi che aveva occupato al Castello, situazione a cui la legge Debré del 2005 mise un termine, restituendo l'insieme degli spazi all'Istituto pubblico del Castello, del Museo e della proprietà nazionale di Versailles.
Dopo l'ultima guerra, la situazione dell'Opera Reale era allarmante e necessitava di un intervento urgente per evitare il crollo generale della costruzione. Il Senato finì per accettare non solo l'inizio di un restauro, ma anche che questo intervento desse alla sala un aspetto tipico del XVIII° secolo. I lavori, condotti dall'architetto André Japy, iniziarono nel 1953 e durarono 4 anni. In questa occasione, l'insieme della decorazione fu ripristinato.
Il biancocalce Luigi-Filippo scomparve a favore delle pitture in finto marmo (di cui qualche frammento si era potuto scoprire intatto). La loggia Reale, sventrata da Nepveu nel 1836, ritrovò le sue proporzioni e la sua decorazione originale.
Le luminarie e la mobilia furono rifatte nello spirito del tempo. Gli ateliers di Lione si dedicarono alla realizzazione di un nuovo grande sipario di scena in seta blu, ricamato con gli stemmi di Francia per rimpiazzare quello che era scomparso alla Rivoluzione. Se il restauro della sala fu un successo, non andò ugualmente per le installazioni sceniche che esistevano ancora. Senza remore, si sacrificarono i macchinari degli appendini, i cui elementi furono bruciati. Inoltre i piani posti sulla scena per i macchinari soffrirono ugualmente di pesanti distruzioni: lo scopo era di dotare il teatro di un equipaggiamento moderno, senza considerazione per lo straordinario patrimonio tecnico che sopravviveva tuttavia quasi intatto. L'intervento peggiore fu certamente la costruzione di un muro tagliafuoco destinato a supportare un sipario di ferro che doveva separare, in caso di incendio, la sala della scena. Questa costruzione determinava, in tutta l'altezza della gabbia scenica, la sparizione di tutto il primo piano del teatro e la mutilazione di una parte degli spazi destinati ai macchinari in scena. L'inaugurazione ufficiale dell'Opera Reale restaurata ebbe luogo il 9 Aprile 1957, in presenza della Regina Elisabetta II e del Presidente René Coty.
Durante una cinquantina d'anni, la sala venne usata regolarmente, ma le pianificazioni degli anni cinquanta invecchiarono rapidamente. Alla fine del XXI° secolo, dei nuovi lavori erano divenuti necessari, particolarmente per rimettere alle norme attuali di sicurezza gli impianti elettrici, il riscaldamento e una buona parte dei machinari. Questa fu l'occasione di condurre anche una riflessione sulla pertinenza di mantenere il sipario di ferro e del suo muro tagliafuoco. Questa riflessione generò una decisione fondamentale per l'Opera: la distruzione pura e semplice di questo insieme ed il ripristino dei primi progetti, sacrificati 50 anni prima. Con questi lavori (2007-2008), l'Opera Reale offre oggi una scena rinnovata nello spirito del suo stato originario, primo passo verso un restauro progressivo delle sue macchine di scena tradizionali.
A cura di Arsace da Versailles e Faustina da Versailles
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