Gli ultimi giorni di Luigi XIV         

Il 10 Agosto 1715, in preda alla fatica e ad un dolore di stomaco, 

Luigi XIV ritorna da Marly a Versailles.

 

Il 19 Agosto 1715, si reca per l’ultima volta nell’appartamento di Madame de Maintenon, e, a partire dal 20 Agosto di sera, egli non lascia più la sua Camera, nella quale egli renderà il suo ultimo respiro il 1° Settembre 1715 di mattina. 

 

Cronaca degli ultimi istanti del Re Sole, 

da coloro che hanno assistito alla sua lenta agonia

 Il Re Sole raffigurato nei vari suoi stadi di vita

Riguado il 20 Agosto 1715, il Duca di Saint-Simon, che frequentava in quel periodo la Corte di Versailles, riportava nelle sue MEMORIE che la sua sposa, ritornata quel giorno lì dalle acque di Forges, si trovava nella strada del Re: “Il Re, entrando dopo cena nel suo Gabinetto del Consiglio, la vide. Fece fermare la sua sedia a rotelle, le testimoniò molta bontà sul suo viaggio e sul suo ritorno, poi continuò a farsi spingere da Blouin nell’altro Gabinetto delle Parrucche. Questa fu l’ultima donna di Corte a cui egli abbia parlato […]. Madame de Saint-Simon mi disse la sera che non avrebbe riconosciuto il Re se l’avesse incontrato altrove che presso la sua dimora. Lei non era che partita da Marly per Forges che il 6 luglio”.

Nel momento stesso in cui il Re non lasciò più la sua stanza, gli accessi alla stessa si modificarono completamente.

Versailles in subbuglio

A partire dal momento in cui il Re non lasciò più la sua camera, l’anticamera Occhio di Bue, l’area mitologica della Camera reale, al sud, era stata requisita dai medici e dai domestici. Il Duca di Saint-Simon ha lasciato una descrizione della “meccanica dell’appartamento del Re durante la sua ultima malattia”: “Tutta la Corte si teneva tutto il giorno nella Galleria degli Specchi. Nessuno si avvicinava nell’anticamera Occhio di Bue, la più vicina alla Camera di Sua Maestà, tranne i consueti valletti  e la farmacia, che vi facevano riscaldare ciò che era necessario. Vi si passava solo e velocemente, da una porta ad un’altra.”

Mentre la parte delle anticamere, a sud della camera del Re, era riservata al servizio domestico più stretto, tutta la Curia è, sistemato a Nord, e i Gabinetti servirono fin da quel momento d’anticamera: “Le entrate (di ufficiali e cortigiani) passavano nei Gabinetti (Gabinetto del Consiglio e Gabinetto delle Parrucche) attraverso la porta di specchi che si affaccia alla Galleria adiacente, che stava sempre chiusa e che non si apriva se non vi si grattava, e si richiudeva subito. I Ministri ed i segretari di Stato vi entravano anche e tutti si mantenevano nel Gabinetto che univa la Galleria. Né i Principi di Sangue né le Principesse, figlie del Re, entravano più avanti, a meno che il Re non le chiamava, cosa poco frequente.

Il Maresciallo di Villeroy, il Cancelliere Voysin, i due figli adulterini (il Duca del Maine e il Conte di Tolosa), Monsieur il Duca D’Orleans, il padre Tellier, il curato della parrocchia (Huchon), il primo chirurgo del Re Georges Mareschal, il primo medico Fagon e i primi valletti da camera, quando non erano nella Camera, stavano nel Gabinetto del Consiglio, che si trova fra la Camera del Re e questo piccolo Gabinetto (quello delle Parrucche), dove c’erano i Principi e le Principesse di Sangue, le entrate ed i Ministri”.

Il 21 Agosto 1715 al mattino, i medici entrarono nella Camera del Re e gli presero il polso ognuno a proprio turno, iniziando da quello più vecchio. Si accontentarono di prescrivere un lassativo al loro Reale paziente.

La sera, Luigi XIV si concede il piacere di un momento musicale, sempre nella sua Camera.

Il 22 Agosto 1715, dei nuovi medici venuti da Parigi giunsero al suo capezzale: gli prescrissero del latte d’asina, considerato come un fortificante, così come della china, un antipiretico.

Il 24 Agosto 1715, alle 21.00, il Re cenò nella sua Camera con un piccolo coperto alla presenza di qualche cortigiano. Saint-Simon era lì e raccontò: “ Io osservavo che non poteva più inghiottire se non del liquido e che aveva dispiacere ad esser guardato in quelle condizioni. Egli non potè terminare e disse ai cortigiani che li pregava di passare, ossia di uscire”.

Secondo il Marchese di Dangeau, che teneva una cronaca quotidiana della Corte, il Re era in quel momento in preda a dei grandi dolori: “Si temeva che la cancrena non fosse nella sua gamba”. Questa diagnosi emanata dal primo chirurgo Mareschal, che era insospettito da qualche giorno da una nefandezza al piede. Dovuta ad una ostruzione dei vasi sanguigni causata da dei coaguli, questa terribile malattia comprometteva le possibilità di sopravvivere del Re.

primo chirurgo Mareschal

Identificata tardi questa spiegò come Luigi XIV avesse domandato di confessarsi al padre Tellier, il suo confessore gesuita.

A partire dal 25 Agosto 1715, gli ultimi momenti della vita del Re furono ancora più precisamente conosciuti grazie alla “MEMORIA SU CIO’ CHE E? SUCCESSO NELLA CAMERA DEL Re DURANTE LA MALATTIA”, redatto dal Marchese di Dangeau, fedele cortigiano ed amico di Luigi XIV.

Così, verso le sette di sera, Luigi XIV si risvegliò "con un polso molto cattivo ed una assenza di spirito che spaventò i medici e che fece decidere di dargli immediatamente  il viatico, l’eucarestia per chi sta per lasciare la vita terrena, per prepararlo a passare alla vita eterna".

Il viatico e l’estrema unzione sono allora eseguiti dal Cardinale de Rohan, Grand cappellano di Francia. Saint-Simon ha rafforzato l’impressione, sentita da Dangeau, di una cerimonia compiuta con fretta ed un po’ improvvisata.

Al contrario i fratelli Anthoine hanno descritto l’accaduto come un corteo imponente, una cerimonia degna, e un momento commovente.  Autori di un prezioso “Giornale storico o recita fedele di ciò che è successo nei più importanti momenti della malattia e della morte di Luigi XIV”, questi due fratelli sono uno un ragazzo della camera e l’altro il tutore dei piccoli cani del Re, tutti e due porta-archibugio del Re. La loro testimonianza in realtà venne a completare quella di Dangeau, più affidabile, ma talvolta meno precisa e meno dettagliata.

Immediatamente dopo aver ricevuto gli ultimi sacramenti, Luigi XIV si fece portare su una piccola tavola e scrisse “con la sua propria mano quattro o cinque righe sulla quarta pagina di un codicillo che il Re aveva fatto e di cui le tre prime pagine erano già riempite” (Dangeau).  

Oggi conservato al Palazzo di Soubise, questo documento così recita:

“Io nomino per precettore del Delfino il signor de Fleurry, antico vescovo di Frégeous, e per confessore il padre Tellier. Questo 23 Agosto 1715. Luigi. Luigi.”

Queste parole sono state scritte con calligrafia incerta ed approssimativa e l’errore di data (era il 25) fa comprendere come il Re era affaticato dalla malattia. Luigi XIV domandò in seguito di vedere il Duca d’Orleans. 

Il Marchese di Dangeau

Secondo Dangeau sempre, “gli parlò per parecchio tempo e gli parlò con molta stima e amicizia, e assicurandolo che non avrebbe trovato niente nel suo testamento di cui avrebbe potuto dispiacersi, raccomandandogli la persona del Delfino e l’interesse dello Stato. Dopo questa conversazione, la notizia si sparse per tutta la Corte che il Re l’aveva nominato Reggente”.  

Duca di Saint-Simon

Elle sue MEMORIES, Saint-Simon ritornò su questo colloquio: "Il Re gli testimoniò molta stima, amicizia e fiducia: ma, ciò che è terribile, con il corpo di Cristo ancora sulle labbra ancora, gli assicurò che non avrebbe trovato nulla nel testamento di cui essere scontento, poi gli raccomandò lo Stato e la persona del futuro Re. Tra la sua comunione, l’estrema unzione, e questa conversazione, non passò che mezz’ora: il Re non poteva aver dimenticato le strane disposizioni a cui si era dedicato con tanta pena e che testé appena ritoccato recentemente nel mezzo del suo codicillo, che metteva il coltello alla gola a Monsieur il Duca d’Orleans, poichè egli consegnava la sua sorte nelle mani del Duca del Maine. Questo pettegolezzo, il primo che il Re avesse mai avuto con Monsieur il Duca d’Orleans, si diffuse istantaneamente: tutti sapevano che era stato nominato Reggente".

      

Ma in che consiste dunque questo codicillo di cui fa menzione il memorialista, redatto il 25 Agosto 1715?

Questo documento viene a completare il testamento del Re del 1714, che ha previsto un consiglio di reggenza, del quale il Duca d’Orleans ne sarebbe stato il capo e dunque il Duca del Maine avrebbe ricoperto solo il ruolo di uno dei membri, incaricato di sorvegliare la sicurezza e l'educazione del futuro Re, che era ancora minorenne.

Tuttavia, e Saint-Simon si dimentica di ricordarlo, il ruolo del Duca del Maine era già stato dimezzato da un primo codicillo che viene datato il 13 aprile 1715, che nomina il maresciallo de Villeroy tutore del futuro Re minorenne.

Ora quanto al secondo codicillo non riguarda semplicemente il Duca del Maine e non lede il Duca d’Orleans, contrariamente a quello che lascia intendere Saint-Simon. Egli ha scritto le sue Memorie tardi a partire dagli anni 1740: con tutto il suo odio verso il Duca del Maine, il memorialista ha esagerato il ruolo che egli riteneva pregiudizievole verso il suo amico, il Duca d’Orleans.

Il Duca d'Orleans, Reggente Il Duca del Maine

L’accusa di Saint-Simon è grave e lascia capire che il Re, avendo appena mentito a suo nipote dopo aver fatto la comunione, si era reso colpevole di un sacrilegio e aveva compromesso la sua salvezza.

In più formulata tardi, dopo la morte del Re e la presa del potere Duca d’Orleans - che si fece proclamare reggente del regno a costo di una modifica del testamento del Re - il giudizio di Saint-Simon non tiene conto del contesto di successione degli eventi del 1714-1715. 

Nominando in Agosto 1714 il Duca d’Orleans come capo del consiglio di Reggenza, Luigi XIV ha di fatto rifiutato di tener conto delle eventuali pretese del suo proprio nipote, il solo ad essere  sopravvissuto e designato succedergli un giorno.

Questo nipote, divenuto Re di Spagna sotto il nome di Filippo V, aveva ufficialmente rinunciato al trono di Francia quando fu firmato il trattato d'Utrecht nel 1713.

Tuttavia egli non aveva escluso di ritornare da momento all'altro su questa rinuncia, giudicata contraria alle leggi fondamentali del regno di Francia.

Infatti a partire dal Maggio 1715, Filippo V confidò al suo ambasciatore, il Principe de Cellamare, il desiderio di formare alla Corte di Francia un partito che stia dalla sua parte, e con una lettera spedita da Madrid il 12 Agosto, Luigi XIV apprese dal suo ambasciatore che il Re di Spagna, inquieto sul tenore del testamento, ha pianificato di riavvicinarsi alla frontiera dei Pirenei.

Così nell'Agosto 1715, la grande questione non è quella di sapere se i poteri del Duca d’Orleans saranno più o meno limitati dal consiglio di reggenza, ma se, semplicemente, egli sarà mantenuto negli affari di Stato. In altri termini il dibattito non è tra il Duca d’Orleans ed il Duca del Maine come lascia intendere Saint-Simon, ma tra il Duca d’Orleans e Filippo V.

Il 25 Agosto 1715, Luigi XIV così in grado di rassicurare suo nipote senza alcun doppiogioco o falsità. L’essenziale gli rimane confermato: non è una questione di far spazio a Filippo V a costo di una abdicazione per questo ultimo al trono spagnolo

Inoltre, contrariamente a tutta la tradizione storiografica di cui Saint-Simon è responsabile, Luigi XIV confida non solo a suo nipote il ruolo politico maggiore, ma gli ricorda implicitamente che egli sarà il primo Principe ad accedere al trono in caso di scomparsa del Re minorenne.

Gli addii

Al mattino del 26 Agosto 1715, la gamba del Re è incisa fino all’osso: “Come fu trovato che la cancrena era giunta fino là, non c’era più possibilità di dubitare, anche per chi avrebbe voluto ancora adulare, che essa veniva da dentro e che non si poteva apportarvi alcun rimedio” (Dangeau)

Ormai sicuro dell’imminenza della sua morte, Luigi XIV fece i suoi addii, regolati da sette entrate in successione, come un balletto di Corte,  per i diversi membri del suo entourage lungo tutta la giornata del 26 Agosto 1715: i Principi della famiglia Reale, il curato della parrocchia, il futuro Re minorenne, i Cardinali presenti a Corte, gli ufficiali della sua Casa, Madame de Maintenon, infine le Principesse della Famiglia Reale.

A metà giornata, il discorso d’addio al futuro Re è concepito come un testamento politico. Il testo è stato riportato da Dangeau:

“Ragazzo, voi sarete un gran Re, ma ogni vostra felicità dipenderà dall’esser sottomesso a Dio e dall’impegno che voi avrete nell’occuparvi dei vostri popoli. E’ necessario perciò che voi evitiate per quanto potrete di muovere guerra: è la rovina dei popoli. Non seguite il cattivo esempio che io ho dato in questo. Io ho intrapreso spesso la guerra con troppa leggerezza e l’ho sostenuta per vanità. Non imitatemi, ma siate un Principe pacifico, che il vostro principale impegno sia di curarsi dei vostri sudditi. Approfittate della buona educazione che Madame la Duchessa di Ventadour vi dà, obbeditegli, e seguite anche per ben servire Dio, i consigli di padre Le Tellier, che io vi affido come confessore.”

Questa pressante esortazione alla pace permette di vedere meglio, a posteriori, la ragione per l’esclusione di Filippo V dal testamento del 1714: dare posto alle pretese del sovrano spagnolo al Trono di Francia rischiava di rianimare la guerra in Europa.

Solo Saint-Simon, nelle sue MEMORIE, vi aggiunge il dispiacere, apocrifo, di Luigi XIV d’aver troppo amato le costruzioni. Lì, ancora, il celebre memorialista, che ha redatto tardivamente il suo testo, ne approfitta per esprimere il suo odio su Versailles; tuttavia riguardo le memorie vi sono altri coevi del Re Sole che sono risultati nelle loro testimonianze meno rancorosi e più obiettivi; tra le altre cose c’è da osservare che se Saint-Simon non poteva soffrire Versailles, avrebbe ben potuto ritirarsi nelle sue proprietà….

Cardinale de Rohan Cardinale de Bissy

All’inizio del pomeriggio, Luigi XIV si rivolse ai Cardinali di Rohan e di Bissy, eminenti rappresentanti del clero francese. Il Re li mise a conoscenza della sua inquietudine sulla questione giansenista ed aggiunse che egli avrebbe voluto morire come aveva vissuto, “nella religione apostolica e romana, e che avrebbe desiderato di più perdere 1.000 vite che aver altri sentimenti”. (Dangeau)

Nel corso delle cinque entrate della giornata del 26 Agosto 1715, con gli ufficiali della sua Casa, Luigi XIV si mostrò preoccupato anche dell’avvenire del suo successore, la cui età non poteva non ricordargli la sua infanzia nel 1643: “E’ un ragazzo di 5 anni, che può affrontare bene le difficoltà, perché io mi ricordo di averne affrontate diverse durante la mia giovane età”.

Il Re pronunciò la sua famosa frase, senza dubbio la più importante della giornata: “Io me ne vado, ma lo Stato resterà sempre”.

Al contrario di quella, apocrifa, spesso attribuita a Luigi XIV – “Lo Stato sono io” – essa testimonia una concezione moderna della Monarchia Francese – al servizio dello Stato di cui i Re ne sono certamente ancora l’incarnazione, ma provvisoria – e di un senso nuovo per l’interesse generale, del bene comune – che al limite potrebbe trascendere tutti i sistemi politici.

Gli ultimi momenti di lucidità

Luigi XIV diede una ultima disposizione il 27 Agosto 1715: “Appena io sarò morto, voi spedirete una licenza per far passare il mio cuore alla Casa professa dei gesuiti e lo vi farete piazzare nello stesso modo di quello di mio padre. Io… non voglio che vi si facciano altre spese….Il Re diede questo ordine con la stessa tranquillità con cui impartiva gli ordini, in salute, per una fontana di Versailles o per Marly” (Dangeau).

Era in effetti tradizione di separare il corpo del Re morto dal cuore ed interiora: mentre il corpo era inumato a Saint-Denis, la Basilica Reale, il sovrano poteva disporre liberamente delle sue interiora e del suo cuore. In previsione della sepoltura in questo o quell’atro santuario, il Re poteva scegliere i luoghi che preferiva onorandoli ed affermando lì la sua presenza e preferenza. presenza anche.

La scelta dalla chiesa dalla Casa professa dei Gesuiti, che oggi è l’attuale chiesa Saint-Paul-Saint-Louis a Parigi – rivela una importanza particolare: testimonia l’attaccamento filiale di Luigi XIV al suo predecessore, così come il sostegno inflessibile apportato ai gesuiti nella loro lotta al giansenismo.

Il Giovedì 29 Agosto 1715, il Re si rimise a mangiare. Nelle sue MEMORIE, Saint-Simon riporta che si era recato quel giorno lì dal Duca d’Orleans: “Fin dal momento che mi vide, si mise a ridere perché io ero il primo uomo che egli vedeva da lui durante tutta la giornata, che fino a sera non aveva visto anima viva in sua casa. Ecco il mondo.”

Madame de Maintenon, in gioventù

Saint- Simon annota anche per il giorno 29 Agosto 1715 il Re manifestò una gran tristezza nel notare la mancanza di Madame de Maintenon. Secondo il memorialista quest’ultima non pensava di ritornare. Il Re la chiese in sua presenza più e più volte durante la giornata, e non si potè nascondergli più che lei era partita. Il Re inviò dunque qualcuno a cercarla a Saint-Cyr, così tornò solo la sera. 

Al contrario, più vera sembra la Memoria di Dangeau, poiché scritta il giorno stesso che ci riferisce che Madame de Maintenon, certamente partita il giorno prima per Saint-Cyr, ma con l’intenzione “di ritornare, se la vita del Re si fosse prolungata”, passò “quasi tutto il giorno” nella Camera del Re, ai lati del suo sposo. Lei ritornò ancora il venerdì 30 ed il sabato 31 Agosto 1715.

L’agonia e la morte

Il 31 Agosto “il Re è rimasto senza conoscenza tutto il giorno, con momenti di lucidità molto brevi, e piuttosto con una conoscenza meccanica che di personalità. Nelle poche cose che ha detto, sembrò che fosse impaziente di non vedere la fine di questa agonia”.

Sempre secondo Dangeau, “Egli prese, come ieri, della granita e qualche bicchiere d’acqua. Quando gli si dava della granita o da bere col biberon, bisogna aprirgli la bocca e tenergli le mani, perché senza questo, tratteneva nella sua bocca tutto quello che gli si dava”.

Alle dieci e mezza di sera, i cappellani del Re ed altri ecclesiastici venuti in gruppo nella sua Camera, recitarono le preghiere degli agonizzanti: “La voce dei cappellani che facevano le preghiere scosse il Re, che, durante queste preghiere, disse, a più alta voce di loro, l’Ave Maria ed il Credo a più riprese, ma senza alcuna coscienza e per la grande abitudine che Sua Maestà aveva di dirle”. (Dangeu)

Luigi XIV pronunciò tutte le sue ultime parole nella notte del 31 Agosto 1715 al 1° Settembre: “Fatemi misericordia, o mio Dio, venitemi in auto, affrettatevi a soccorrermi”.

Effige Re sole

Egli rese il suo ultimo respiro il mattino dell’1° Settembre 1715, alle ore 8.23. Egli avrebbe avuto 77 anni il 5 Settembre 1715.

Il 2 Settembre, le spoglie Reali subirono l’autopsia nell’anticamera dell’Occhio di Bue. Si trattava di verificare la natura e l’estensione della malattia che ha subito il Re, ma anche di procedere alla sua eviscerazione: è in questo momento che il Cuore e le interiora sono separate dal corpo e piazzate in delle urne distinte, mentre il corpo imbalsamato ed installato in una doppia bara di piombo e legno.

Marche funèbre per il Corteo del Re Luigi XIV

André Philidor, "l'aîné" (1647 - 1730)

 

Le tre parti furono in seguito esposte sul letto funebre nel Salone di Mercurio del Grande Appartamento di Versailles.

Il 9 Settembre, il feretro del corpo del Re è solennemente trasportato da Versailles a Saint-Denis, dove egli giunse, accompagnato da un convoglio funebre di più di 1000 persone, all’alba del 10 Settembre 1715.

Venne allora piazzato nel santuario della Basilica di Saint-Denis, dove egli rimase fino ai Funerali del 23 Ottobre 1715.

Questi ultimi furono celebrati in presenza del Duca d’Orleans, Reggente del Regno. Per l’occasione, un gigantesco catafalco venne costruito nel cuore della Basilica: questo monumento d’architettura temporanea, che si elevava fino alla volta, fu ornato di statue simbolizzanti le virtù del Re, così come tutto un decoro funerario. 

Nel corso della Cerimonia, il vescovo di Castres, Honoré de Quinqueran de Beaujeu, pronunciò una grande orazione funebre.

Delle cerimonie alla memoria del Re Luigi XIV furono organizzate per tutto il Regno ed anche all’estero, ma quella del 17 Dicembre 1715 nella Saint-Chapelle di Parigi rimase famosa per l’orazione funebre che pronunciò Massillon. Essa iniziava con “Dio solo è grande, fratelli miei….”.

Torna alla Home

Torna a Versailles

Vai in GFHbaroque

Vai in haendel.it