La prima visita della morte a Luigi XV
risale all`Agosto
del 1744 mentre la guerra di successione d'Austria imperversava, il Re Fu preso da forti febbri,
quando si trovava a Metz. Mentre i medici che
lo circondavano presagivano il peggio, il monarca di 34 anni si era
miracolosamente ristabilito.
La seconda visita avvenne nel
Gennaio 1757, quando egli era riuscito a
scappare all'attentato commesso da Robert François Damiens. E' a Versailles che bisogna ammalarsi!
Il
27 aprile1774, il Duca Emmanuel de Croÿ, maresciallo di campo,
qui a sinistra, scrisse
nel suo giornale: Da otto giorni il Re aveva spesso un viso molto brutto
e delle macchie.
Il mercoledì 27 aprile riscrive
confermando le sue paure.
Luigi
XV che soggiornava al Petit Trianon, si svegliò con forti dolori nella
gamba.
Ha
una forte emicrania mentre dei lunghi brividi scuotono il suo corpo. Durante
il pasto che divide con suo nipote il delfino e futuro Luigi XVI, e la
sua favorita,
Sebbene di robusta costituzione, Luigi XV non trovò la forza di andare
spingersi oltre: restò nella sua carrozza come colpito da un gran freddo. Il tempo é umido. Non mancò di confidare al Duca di Croÿ.
Era chiara la
situazione: il Re era malato. Ma
la principale ossessione del Re era di morire brutalmente, senza aver
avuto il tempo di confessarsi. Qualche
giorno prima, la Contessa du Barry sorprese il suo amante in ginocchio
ed in preghiera come s'egli sentisse la sua fine prossima.
Molto
rapidamente Germain Pichault de la Martiniére, primo chirurgo del Re
(qui sopra),
diagnosticò una febbre seria. Luigi XV prese atto della diagnosi del
suo chirurgo, ma per paura della morte non volle lasciare il Trianon,
malgrado che a La
Martiniére andava tutta la fiducia del Re. Il medico allora fu costretto a dargli un
monito duro, fermo e chiaro al Re
“Sire,
é a Versailles che bisogna essere ammalati!” Contro l'opinione del medico della Contessa du Barry, che affermava che la malattia del Re non era che passeggera, il chirurgo del Re organizzò il trasporto del Re dal Trianon a Versailles.
Secondo l'etichetta, tranne
che in caso di guerra, era al palazzo che un monarca aveva il dovere di
morire. In
camicia da notte, sotto il suo mantello, Luigi XV che batteva i denti,
venne spronato da La Martiniére di montare nella sua carrozza. Qualche
minuto fu sufficiente per effettuare il tragitto tra il Petit Trianon e
la Reggia. Per l'ultima volta della sua vita, Luigi XV attraversò il parco di Versailles.
Arrivato a destinazione, il Re con aria immiserita, avvolto
nel suo mantello dovette pazientare qualche minuto negli appartamenti di
sua figlia, Madame Adelaide, il tempo che il suo letto
fosse preparato.
Piazzato davanti al coltro Reale, un letto di campo venne piazzato ai
piedi del giaciglio regale (qui sotto la Camera da letto di Luigi XV a
Versailles), ció doveva permettere di cambiare più comodamente le
lenzuola sudate del Re.
Louis
Guillaume Le Monnier, primo
medico del Re, (qui sotto) discusse subito con La Martiniére per individuare la
cura da somministrare,al loro paziente.
I
due uomini decisero di applicare delle sanguisughe sulle tempie del malato
e di somministrargli dell'oppio. Luigi
XV passò una notte durante la quale agitazioni e torpori si
succedevano. Le
sanguisughe lo spossarono, mentre l'oppio lo stordiva. Il
giorno dopo i medici si risolsero a procedere ad un salasso, il solo
rimedio che conoscevano. Nessun
effetto. Considerarono
di effettuarne un secondo, poi un terzo se necessario. Cio'
non senza inquietare molto il Re, poiché egli sapeva che il protocollo
esigeva che dopo un terzo salasso, egli avrebbe ricevuto gli ultimi
sacramenti. Per
evitare di arrivare ad una tale esagerazione, i medici si limitarono ad
ordinare una seconda salassata che fu più lunga della prima. Notando la gravità crescente della malattia, La Martiniére e Le Monnier inviarono due dei loro confratelli per assisterli al capezzale del Re: Théophile de Bordeu, il medico della Contessa du Barry, e Anne-Charles Lorry, che esercitava medicina a Parigi, dove aveva acquisito una alta reputazione.
Se Luigi XV riprese conoscenza sembrò molto immiserito,
collocato nel suo letto di campo. Tuttavia la sua vita é retta dal etichetta al punto che ordinò che il suo atto di coricarsi fosse circondato dalla cerimoniale abituale.
Nella
notte fra il 28 ed il 29 aprile 1774 una eruzione cutanea apparve sul
volto reale. Sono i primi sintomi visibili del vaiolo. La Martiniére fu
allora il solo medico che osó diagnosticare apertamente la presenza
della malattia e dire che egli vedeva il Re perso, opinione
cui finirono per arrendersi i colleghi. La famiglia Reale venne
allora pregata di non avvicinarsi al letto del Re.
Nella
sua agenda in marocchino nero, il Delfino annoto' queste parole funebri: Il
vaiolo si é manifestato. In
tutto il castello, la notizia si sparse come un vortice di polvere, dai
cortigiani ai domestici. Nei corridoi, nelle scale, le stesse parole si
fanno sentire
Il
Re ha il vaiolo! Luigi
XV fu preso da una enorme angoscia. Di
fronte ai bubboni purulenti che iniziavano ad invadergli il viso ed il
corpo, egli ben preso realizzo la causa del suo male:
E' il vaiolo! Gridó.E' incredibile! I
medici che lo circondavano sui sforzavano di rassicurarlo:
Vostra
Maestà ha già avuto altre volte la varicella. Ciò sembra una ricaduta
improvvisa, ma senza pericolo. Il
Re, in effetti, era stupito di essere vittima di una malattia che egli
credeva di aver contatto a Fontainebleau nel 1728, quando aveva 18 anni,
sapendo d'altro canto che la varicella non colpisce che una volta sola. Sfortunatamente,
egli non era infatti che vittima di una eruzione cutanea banale.
Il
Re sapeva che questa malattia non lasciava praticamente alcuna speranza
di sopravvivere. Le sue figlie gemelle, Elisabeth ed Henriette, avevano tutte e due riportato il vaiolo a 22 e a 14 anni prima.
Fin da quel momento, le tre
figlie del Re, Adelaide, Victoire e Sophie, tutte tenendosene a
distanza, si recavano a far visita al padre durante il giorno. La
notte invece, era la Contessa du Barry che vegliava al capezzale del suo
amante. La
favorita in titolo non poteva talvolta trattenere le lacrime sia sul
brutale deterioramento dello stato di salute del Re, sia
sull’imminenza della sua disgrazia. Lei
sapeva che Luigi XV era il solo a proteggerla e che nessun membro della
Famiglia Reale avrebbe mostrato la benché minima indulgenza nei suoi
confronti e non avrebbe avuto alcuna pietà per la sua sorte un volta
che il Re fosse deceduto. E’ per questo motivo che il 1° Maggio 1774, la Contessa du Barry iniziò a trasferire rapidamente ed in modo furtivo i suoi gioielli, le sue carte ed i suoi migliori effetti personali.
Lo stesso giorno, la
malattia del Re riprese con gran acutezza senza tregua. Il Santo
Sacramento fu esposto giorno e notte alla Capella Reale, mentre alla
Corte di Versailles, come alla Cattedrale di Notre-Dame di Parigi, iniziò
la preghiera delle 40 ore. A
mezzogiorno l’arcivescovo di Parigi, Christophe de Beaumont du Repaire
(qui sotto),
70 anni compiuti e bloccato da coliche nefritiche, giunse malgrado ciò a Versailles
allo scopo di ricevere la confessione del Re.
Grazie all’appoggio del Delfino e della Delfina Maria Antonietta, l’arcivescovo di Parigi venne introdotto presso Luigi XV. Benchè divenuto “una semplice creatura agli occhi del Signore”, il Re non si risolse ancora a ricevere i soccorsi della religione. Il Re si accontentò di prendere il polso del vecchio arcivescovo e domandargli novità sulla sua nefrite.
In una camera distante da quella del morente,
il futuro Luigi XVI e la sua sposa domandavano in ogni momento notizie
sul Re e passarono delle notti a vegliare, piangere e pregare. Dall’altro
lato, il Parlamento di Parigi inviò Nicolas Félix Van Dievoet, detto
Vandive, consigliere notaio, segretario della Casa e della Corona di
Francia, cancelliere al Gran Consiglio, per informarsi sulla salute del Re. Il
libraio parigino Siméon-Prosper Hardy scrisse così nel suo giornale:
“La
nuova corte del Parlamento non aveva mancato, seguendo l'uso consueto,
di designare il nominato Vandive, uno dei primi principali impiegati
alla cancelleria della Grande Camera e dei suoi notai segretari, per
andare a Versailles per informarsi sulla salute del Re. Ma questo
segretario non poteva rendere conto della sua missione all'inamovibile
compagnia se non il seguente martedì, dopo solita vacanza del lunedì 1°
maggio". Il
2 Maggio 1774, l’eruzione dei bubboni si generalizzò sul viso ed il
corpo del Re. Quest’ultimo sembrava molto disperato sul suo letto da
campo, il dorso appoggiato contro la balaustra del letto che lui
occupava di consueto.
Cortigiani
e membri della Famiglia Reale assistevano, impotenti e costernati, dal
Gabinetto del Consiglio (qui sopra), al deperimento della salute del Re, certi
andando anche ponendosi un fazzoletto acetato sulla bocca.
“La
sua testa – scrisse il Duca de Croÿ – era rossa e grossa come uno
staio
della massa del vaiolo.” La giornata del 3 Maggio 1774 è segnata da un piccolo miglioramento della salute del Sovrano. Egli, che parlava come sempre, era soprattutto animato dalla volontà di proteggere la Contessa du Barry.
Sapeva
che nei minuti che sarebbero seguiti al suo ultimo respiro, lei sarebbe
stata esclusa dalla Corte, destinata ad esser esposta come cadavere nei
luoghi deputati ad accogliere i criminali dopo l’esecuzione ed oggetto
delle peggiori infamie. Così
domandò al Duca d’Aiguillon, il suo segretario di Stato agli Affari
esteri, di ben voler accogliere nella sua casa di campagna di Rueil,
alle porte di Parigi, la
Contessa du Barry (qui sotto) e di condurvela finchè era
possibile.
Il Re intese metterla al riparo dalle umiliazioni che l’attendevano. Ma ugualmente forse, cosciente del male incurabile che lo consumava, Luigi XV si decideva ad affrontare in modo Reale la morte che si avvicinava, ed assumersi come conveniva le responsabilità che gli incombevano.
Per
far ciò, egli doveva mettersi in regola con Dio e con gli uomini. Il Re
ebbe allora un ultimo colloquio con la
Contessa du Barry all’inizio
del quale egli le disse: “Al momento che io sono conscio del mio
stato, io mi do a Dio ed al mio popolo. Così, bisogna che voi vi
ritiriate seduta stante”. Con
la morte nel cuore ed obbedendo ai desideri del suo amato, la
Contessa du Barry, piangendo, lasciò Versailles per non ritornarvi mai più. Preso
dai rimorsi, Luigi XV volle, fin dalla sera stessa, che lei ritornasse
al suo capezzale, ma, verosimilmente sotto la pressione della Famiglia
Reale, la Contessa du Barry non sarà più invitata a ritornare a
Versailles. Non
restò al Re che affrontare i suoi ultimi doveri con coraggio, con forza
di carattere e lucidità, malgrado le sofferenze che egli sopportava e
che gli fecero perdere il sonno per molto tempo.
Il 4 Maggio 1774, dopo la messa celebrata nella sua camera, il Re si intrattenne con l’arcivescovo di Parigi.
Il giorno dopo, il
5 Maggio,
è la volta dell’abate Louis Maudoux, suo confessore, che si era discretamente
installato in una stanza vicino agli appartamenti reali, pronto a
rispondere alla chiamata del morente. Per
il momento, la risposta del sovrano alle ingiunzioni degli uomini di
chiesa era incerta. I suoi svenimenti e le suppurazioni delle sue piaghe
gli impedivano di trovare quella pace di spirito necessaria per la
confessione suprema. Tuttavia
il 6 Maggio 1774, alle tre ed un quarto del mattino, bruciando di
febbre, il Re sussurrò al Duca de Duras: “Andate a cercare l’abate Maudoux!” L’ecclesiastico
corse per intraprendere una conversazione col Re che durò
esattamente 17 minuti. Luigi XV finì la sua confessione mormorando con
una voce spezzata dalla febbre: “Voi non mi lascerete più”. Il
Re domandò in seguito che le sue figlie fossero svegliate in modo che
potessero entrare nella sua camera con il Santo Sacramento, ma non mancò
di informarsi dai suoi medici del limite fino al quale esse potevano
avvicinarsi a lui.
Alle sette del mattino. Il Re si fece somministrare il Santo Sacramento dall’Arcivescovo di Parigi. Madame Adelaide, Victoire e Sophie restarono allora sul soglio della porta della Camera da letto del Re, mentre la Delfina e sua cognata, la Contessa di Provence, si tenevano nella stanza accanto, il Gabinetto del Consiglio.
Per contro, per
evitare il contagio, Luigi XV impedì con fermezza la presenza vicino a
sè del
Delfino e dei suoi due nipoti, i Conti d’Artois e di Provence, i
futuri Luigi XVIII e Carlo X. Così
il Delfino restò al pianoterra del Castello, sulla prima rampa delle
scale, circondato dai suoi fratelli e dalla sua Corte di gentiluomini. Il
clero si riunì quindi attorno all’agonizzante. Il Cardinale
Charles-Antoine de La Roche-Aymon pronunciò la sua esortazione, prima
che il Re ricevesse il santo-viatico.
Il Delfino Luigi di Francia mentre riceve il viatico a Fontainebleau il 13/11/1765 Dopo
aver fatto la comunione durante la messa celebrata, di nuovo, al suo
capezzale, il Re fece trasmettere un messaggio all’attenzione del suo
Gabinetto, raggruppato nella sala attigua. Era
un grido pieno di pentimenti di cui il Cardinale de la Roche-Aymon fece
lettura: “Il Re mi incarica di dirvi che domanda perdono a Dio per
averlo offeso e per lo scandalo che egli ha dato al suo popolo…. Se
Dio gli rendesse la salute, si occuperà poi di fare penitenza, di
sostenere la religione e di curarsi del suo popolo”.
Cardinale de la Roche-Aymon Questa dichiarazione sollevò Luigi XV. Egli confidò a sua figlia Adelaide “Io non mi sono mai trovato né meglio né più tranquillo”. Un po’ più tardi, il Re chiese a La Martinière: “Sentitemi il polso, come lo trovate? -
Sire, migliore che prima di confessarvi – gli rispose il
chirurgo. -
Guardate le mie vesciche, come è la mia piaga? -
Molto buona Sire, cosi come la vostra testa” E’ vero che le giornate del 6 e 7 Maggio 1774 furono segnate da un miglioramento dello stato di salute del Re. Lo scolo purulento delle sue lesioni sembrava essersi prosciugato. Una immensa speranza di sopravvivere rinacque, ma scomparve subito fin dall’ 8 Maggio.
Quel
mattino, in effetti, il delirio si manifestò, così come la cancrena. “Il suo viso cambiava”, notò il Duca de Croÿ. Il breve ottimismo dei due giorni precedenti era sparito. La malattia si aggravò brutalmente ed irrimediabilmente.
L’infezione si generalizzò. Il malato respirava e deglutiva con
fatica. Luigi XV sembrava perso. Tuttavia ciò non gli impediva di piegarsi con la migliore grazia possibile al protocollo immutabile delle entrate dei Cortigiani al suo risveglio, l’ultimo della sua esistenza.
I suoi
servitori si spaventavano e cominciarono a fuggire. Il 9 Maggio 1774, l’agonia del Re sembrava interminabile. Era molto provato fisicamente, considerabilmente indebolito.
Le sue palpebre sono
accecate da croste, il suo viso pressoché nero, molto gonfio. Tuttavia Luigi XV restava pienamente cosciente ed ebbe dei lunghi colloqui con il suo confessore. Il Re sembrava accettare la sua sorte, con calma e rassegnazione.
Quanto doveva durare questa agonia che non finiva? Quella
del Re Enrico II, era durata dieci giorni. Sei
settimane di sofferenza avevano preceduto il decesso di Luigi XIII (qui
sotto in un dipinto a Copenaghen).
Il
Re Luigi XIV, quanto a lui, aveva sopportato la malattia per due
settimane circa. Nella
Notte fra il 9 ed il 10 Maggio, una candela venne accesa nel balcone
della Camera da letto del Re e sarebbe stata spenta quando il decesso sarebbe
stato constatato. Alle tre del mattino del 10 Maggio 1774, le prime croste caderono. Dei bubboni seccati e neri lo sfigurarono ancor di più.
Accecato dalle croste, il
Re non vedeva più. Il suo confessore non lo lasciava. I suoi ministri,
le sue figlie, e gli altri membri della famiglia Reale si erano
ritirati.
Luigi XV desiderava tanto intrattenersi con il suo successore imminente, ma egli non poteva rischiare di contagiarlo.
“Questa crudele malattia –
sospirava – che mi impedisce di vedere i miei ragazzi!”
Dal
canto suo il Delfino, il futuro Luigi XVI, garantì simbolicamente i desideri del Re dando
disposizioni per distribuire la somma di 200.000 livree ai poveri.
Il
Re era ancora cosciente fino a mezzogiorno. A partire da questo momento
nessuna persona fu autorizzata ad entrare nella camera del morente.
Affinchè l’antica tradizione monarchica fosse rispettata e che la
morte del Re fosse pubblica, i membri del governo e della Corte si
presentarono nella camera del Consiglio, dove, dietro l’inquadramento
delle porte rimaste aperte, era possibile assistere alla agonia
Reale ad una distanza ragionevole per evitare il contagio. Gli
ecclesiastici si tennero in ginocchio attorno al letto da campo dove
colui che fu considerato per la sua grande bellezza durante tutta la sua
vita, ora non era che una miserabile creatura sfigurata che impestava
l’ambiente.
Tra
le 15.15 e le 15.30 il Re morì. La candela venne simbolicamente spenta. Tutta Versailles era così al corrente del lutto. Secondo un rituale, già antico, il ciambellano apparve alla finestra della Camera da letto del Re, pettinato con un cappello di piume nere, ed annunciò alle persone ammassate nella Corte di Marmo: “Il Re è morto!”.
Poi
riapparve in mezzo alla folla sotto, con un cappello dotato di un
pennacchio bianco e dichiarò: “ Viva il Re!” Luigi
XV aveva regnato 54 anni, otto mesi e nove giorni, il secondo Regno
della storia di Francia per lunghezza temporale.
Le anticamere furono immediatamente sgomberate da una ressa terrificante. I Cortigiani si travolsero e corsero il più velocemente possibile fino all’appartamento di colui che era stato fino a qualche istante prima il Delfino e che ormai era diventato il Re di Francia. Ognuno voleva esser il primo a presentare i suoi omaggi al nuovo monarca.
Da sedici
ore, la nuova coppia Reale e la totalità della Corte avevano lasciato il
Palazzo di Versailles ed il suo cattivo odore per ritirarsi nel castello
di Choisy.
Il
primo gentiluomo della camera del Re, il Marchese di Villequier, uscì
dalla Camera del defunto e pregò Jean-Baptiste-Antoine Andouillé du
Tremblay, secondo chirurgo del Re, di praticare l’imbalsamazione, di
asportare il cuore, di mummificarlo al fine di depositarlo, secondo la
consuetudine, in una chiesa di Francia. Essendo
visto lo stato in cui si trovava il corpo senza vita del Re, Andouillé
du Tremblay sapeva il rischio di lasciarci le penne.
“Io sono pronto
– disse al Duca di Villequier – ma mentre io opererò, voi terrete
la testa: le usanze lo comandano”. La putrefazione è tale che il Marchese preferì lasciare la Camera del defunto Re. Non ci sarà imbalsamazione. E’ il solo Re di Francia a non aver ricevuto questo omaggio post mortem.
Il cuore di Luigi XV rimase al suo posto e furono dei servitori e degli operai che si occuparono di purificare questi resti pestilenziali, come scrisse Jeanne Louise Henriette Campan (qui sopra), dama da camera di Maria Antonietta.
Tranne i
domestici ed i valletti, tutti hanno lasciato Versailles abbandonando il
cadavere nella sua tripla bara. Solo un abate vegliò sul Sovrano morto. Egli si è installato in un angolo, il più distante possibile dalla bara, tenendo un fazzoletto di merletto davanti al naso, mentre una puzza pestilenziale inondava la Camera. Contrariamente al protocollo usuale, le spoglie Reali non furono deposte su un letto di parata. Nessuna cerimonia fu prevista.
Dell’etanolo fu versato nella bara che lasciò nottetempo Versailles, scortata da una quarantina di guardie e di paggi, per esser inumato discretamente e in tutta fretta alla Basilica di Saint-Denis, alfine di evitare le esaltazioni popolari.
Nessun membro della Famiglia Reale, nessun
Cortigiano fece la trasferta, ad eccezione del Principe Charles Rohan-Soubise
(qui sotto), amico d’infanzia del Re e ministro di Stato. Al
passaggio della carrozza funebre, qualche urlo si fece sentire:
“Dagli! Dagli! Guardate che passa il piacere delle dame!” Il termine
propriamente pronunciato è “Taïaut!” “Taïaut!”… è un grido
di caccia profferto dal cacciatore alla vista di un animale…. Sembrava
molto lontano il tempo in cui il Re era soprannominato
“il Ben
Amato”.
Gli ossequi si svolsero il 12 Maggio 1774. Se i parigini manifestarono una certa forma di indifferenza all’annuncio del decesso di Luigi XV, numerose testimonianze attestarono una profonda tristezza da parte delle province, che seguirono in gran numero, nel corso della fine della primavera del 1774, le cerimonie organizzate in tutte le città e i grossi borghi di Francia e di Navarra per il riposo dell’anima del Re.
E’ vero che la maggior
parte dei francesi del tempo nacque sotto il Regno del Re che era appena morto….
Per la prima volta, dopo 175 anni nella storia della Regalità, la morte del Re non fu seguita da un periodo di reggenza (con Luigi XIV c'era la Regina Anna sua madre ad esser Reggente, e con Luigi XV, si era avuto Luigi Filippo d'Orléans, figlio di Monsieur, il fratello del Re Sole). Di 28 anni, il Delfino si trovò a regnare da solo.
Ciononostante all’annuncio della morte del Re
Luigi XV, il Delfino e la Delfina, divenuti istantaneamente Luigi XVI e
la Regina Maria Antonietta, piansero nelle braccia l’uno dell’altra,
gridando “Mio Dio, proteggeteci, noi regniamo troppo giovani!” Venti anni più tardi, giorno per giorno, il 10 Maggio 1794, Madame Elisabeth, sorella minore di Luigi XVI, venne ghigliottinata a Parigi. Qualche mese prima, il 16 ottobre 1793, il giorno stesso in cui la Regina Maria Antonietta era stata giustiziata, vi fu una profanazione delle tombe Reali della Basilica di Saint Denis, condotta notoriamente dai rivoluzionari allo scopo di aprire la bara di Luigi XV.
Essi scoprirono un cadavere galleggiante in un’acqua abbondante, fenomeno legato allo scioglimento del sale marino di cui il suo corpo era stato ricoperto.
Oramai esposto all’aria aperta, il cadavere cadde
rapidamente in putrefazione. Così i rivoluzionari bruciarono della
polvere per purificare l’aria che scatenava un odore infetto, poi
gettarono il corpo del Re come gli altri, in una fossa comune su della
calce viva. |