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Il caso della
collana è contemporaneamente una delle più famose frodi della storia ed
un rocambolesco intrigo di Corte, le cui conseguenze politiche furono estremamente gravi. Per quanto sia esagerato farne una delle principali cause della Rivoluzione, esso ha sicuramente incrinato le fondamenta dello Stato, sepolto sotto la cenere la dignità reale ed inferto un colpo mortale al prestigio della monarchia.
“L’avvenimento
mi riempì di spavento come la testa della Medusa”, scriverà Goethe. Tutto ha inizio alla fine del regno di Luigi XV. Due gioiellieri attirati a corte, ebrei di origine sassone, Charles Auguste Boehmer e suo genero Paul Bassenge – detti i Boehmer – realizzarono la “collana più bella del mondo”. Guarnita di ricchi diamanti – 21 pezzi da 647 gemme, pesanti 2.800 carati – era in effetti una “collana legata”, secondo l’espressione del tempo, di gusto un po’ eccentrico. Persuasi che il Re l’avrebbe
acquistata per
Madame du Barry,
decisero di indebitarsi e montarla in segreto. Purtroppo quando l’opera fu compiuta, Luigi XV era morto e la sua favorita esiliata a Louviciennes. La sola cliente possibile rimaneva la nuova Regina Maria Antonietta, di cui era nota l’attrazione per le collane. Il prezzo fu fissato a 1.600.000 lire (sterline). Contro ogni aspettativa, lei trovò l’oggetto troppo caro. Nel 1779, dopo la nascita di Madame Royale, i gioiellieri tentarono un’altra volta di persuaderla. Sfortunatamente, c’era in corso la guerra d’America. Maria Antonietta proclamò che la Francia aveva bisogno di un vascello, prima che di un gioiello! Nel 1782, dopo la nascita del Delfino, i Boehmer,
presi alla gola dagli interessi, tornarono alla carica per la terza
volta. Invano. I mesi passarono. Verso la metà di luglio 1785, incontrando Maria Antonietta, i gioiellieri, con l’aria rapita, la riempirono di complimenti per il suo “acquisto”. Di fronte alla sua sorpresa, spiegarono di essere in possesso della copia di un trattato firmato da lei e dal cardinale di Rohan. Che cosa???!!!!! Lei cadde dalle nuvole. L’indomani, per sua stupefazione, venne a conoscenza del testo che portava sul retro la firma “Maria Antonietta di Francia”. Il falso era grossolano: lei firmava generalmente col suo nome, mai così! Supponendo che il cardinale, con il quale non era in buoni rapporti, l’avesse coinvolta in questo affare, richiese l’aiuto del barone di Breteuil (qui sotto i un ritratto), segretario di stato alla Casa Reale, con facciata del suo castello e consorte.
Questi interrogò i Boehmer, che si spiegarono tutta la vicenda senza giri di parole. Avendo conosciuto una certa contessa di La Motte-Valois, amica della Regina, e avendo condiviso con lei il loro forte desiderio di vendere la collana, avevano ricevuto dalla stessa rassicurazioni che Sua Maestà era finalmente desiderosa di acquistare il gioiello.
Qui sopra Jeanne Saint-Remy de la Motte-Valois Tuttavia, l’operazione doveva essere fatta il più
discretamente possibile per intercessione del cardinale di Rohan. Breteuil pensò di aver capito la manovra: era noto
che il prelato viveva a credito. Si era procurato la collana senza
pagarla, facendo credere di agire per conto della Regina. Era sua
intenzione smontarla e venderla a prezzo bassissimo per coprire una
parte dei suoi immensi debiti. A questa truffa, aggiungeva quindi un crimine di Lesa
Maestà, per avere compromesso la Regina con un falso.
Discendente di una delle più nobili famiglie di Bretagna, Louis René Edouard, principe di Rohan-Guémenée, era, a cinquantun’anni, un bell’uomo dal viso un po’ paffuto e dagli occhi di un limpido azzurro. Una comoda rotondità, un viso gonfiato con grossi occhi globulosi sottolineati da pesanti borse bistrate, un’aria soddisfatta e stupida contemporaneamente, così si presentava ai suoi contemporanei che lo descrivevano Sua Eminenza Monsignore il Principe de Rohan, vescovo di Strasburgo, membro dell’Accademia francese, gran cappellano di Francia. Curioso prelato, per il quale la religione costituiva la minore delle preoccupazioni, durante la sua ambasciata a Vienna era riuscito a scandalizzare l’Imperatrice Maria Teresa d’Austria, che scriveva “E’ un grosso volume farcito di ben cattivi propositi poco conformi al suo stato di ecclesiastico e di ministro e che palesa con impudenza ad ogni incontro”. Giuseppe II ammetteva di esser divertito “per le sue insulsaggini, bravate e turpiloqui.” In generale, lo si giudicava “senza religione, ma in compenso sciocco e vanitoso all’eccesso, di facili costumi coperto di debiti malgrado i suoi immensi redditi”. Verso il 1775, la disperazione del Cardinale era di aver meritato la disgrazia di Maria Antonietta, e malediceva ogni giorno l’idea che egli ebbe avuto di scherzare sull’Imperatrice Maria Teresa. Che situazione paradossale però! Come gran cappellano egli assisteva alla alzata del Re, officiava ad ogni grande festa della Corte, ed aveva appena battezzato pure il piccolo Duca di Normandia, il futuro Luigi XVII. Ma la Regina non gli rivolse mai la
parola! E Rohan per rientrare nelle grazie era letteralmente pronto a
tutto: dietro
un’affabilità ed una cortesia estreme, nascondeva un’ambizione divorante, unita ad
una grande ingenuità.
Poco devoto, amante dei fasti e
delle belle donne, accumulava incarichi ed onori: Principe del Sacro
Impero, feudatario d’Alsazia, alto prelato di Francia, comandante
dell’Ordine dello Spirito Santo, vescovo di Strasburgo, dove che
possedeva un palazzo invidiabile tutt'ora esistente nei pressi della
Cattedrale, superiore del Quinze-Vingts,
Nell’aprile del 1770, (a lato un arto di Trionfo eretto in occasione del matrimonio con Luigi XVI) quando l’arciduchessa Maria Antonietta aveva per la prima volta passato il Reno, fu lui a pronunciare il lungo discorso d’accoglienza. Due anni più tardi, fu promosso
ambasciatore straordinario a Vienna, dove si dedicò ad uno stile di vita
fastoso, che scioccò l’austera Imperatrice Maria Teresa.
Rimproverandogli il carattere disinvolto e frivolo, lei gli imputava di
aver fatto delle frecciate, approfittando del carattere civettuolo di sua
figlia. Alla morte di Luigi XV, il Principe Luigi de Rohan fu
sostituito nella città imperiale dal barone di Breteuil. Dopo
un’ambasciata così poco decorosa, il suo successore faticò a farsi
accettare e rispettare, da cui il feroce rancore del barone nei confronti del
Cardinale. Nel 1777, Luigi XVI si rassegnò a dargli l’incarico
di grande cappellano di Francia, promesso da tanto tempo, ma gli fece
capire che non era gradito rifiutando di proporlo a Roma per la carica
di cardinale. Ma che importa! Rohan l’ottenne l’anno seguente, grazie
alla quota riservata al Re di Polonia! E nessuno gli impedì di ottenere
il vescovato di Strasburgo alla morte di suo zio, qualche mese più tardi…
Breteuil pregò i Boehmer di redigere una memoria,
tralasciando il nome di Mme de La Motte. Chiaramente, voleva affossare
il suo nemico. Lunedì 15 agosto 1785 si celebrava a Versailles la festa
dell’Assunzione. La messa solenne doveva aver luogo alle undici del
mattino. La folla si accalcava nella Galleria degli Specchi e
nell’Attico.
Verso le dieci, Maria Antonietta entrò nell’ufficio
del Consiglio, dove si trovavano il Re e il barone di Breteuil. Furono
raggiunti dal Guardasigilli Miromesnil. Fu chiamato anche il cardinale
di Rohan, che doveva celebrare la messa. Luigi XVI aveva letto la memoria dei gioiellieri con
indignazione, ma, contrariamente a sua moglie che reclamava l’arresto
immediato del colpevole, voleva preventivamente ottenere una spiegazione
completa. Porse la memoria all’alto prelato. Quando Rohan ebbe
completato la lettura, riconobbe che era tutto vero. Vedendo il suo
grande turbamento, il sovrano gli propose di mettere per iscritto ciò
che sapeva. Con la Regina e i ministri, Luigi XVI si ritirò nella
biblioteca, lasciando il cardinale a raccogliere le sue idee.
Qualche minuto più tardi, quest’ultimo li raggiunse, tenendo tra le mani la sua confessione. Il prelato ammetteva di aver voluto corteggiare la Regina negoziando per suo conto la collana e di essere stato odiosamente ingannato da un’avventuriera, Madame de La Motte.
“Dov’è questa donna?” Gli chiese il Re. Rohan rispose che non lo sapeva. “Avete la collana?” riprese Luigi. “Mio Signore, è nelle mani di quella
donna, pagherò la collana…”. Maria Antonietta prese allora la parola:
“Com’è
possibile, cardinale, che non avendovi io parlato per otto anni, voi
abbiate potuto credere che avrei voluto servirmi della vostra
intermediazione per concludere un simile acquisto?” “Signore – riprese il Re – farò in modo di consolare
i vostri genitori per quanto potrò. Desidero che vi possiate
giustificare. Faccio ciò che devo, come Re e come marito. Andatevene”. Livido, annientato, Rohan attraversò come un automa la sala dei Pendoli, dopo la sala del Consiglio, dirigendosi verso l’Occhio di Bue sotto gli sguardi interrogativi dei cortigiani. Era in sottana scarlatta e pizzo inglese. Decine di paia d’occhi gli si incollarono. Nella galleria degli Specchi, Breteuil chiamò un ufficiale delle guardie
del corpo: “Vi ordino, signore, da parte del Re, di arrestare il signor
cardinale e di risponderne!”. Ci fu un grido generale di sorpresa! La
folla era colpita da stupore.
Rohan non oppose alcuna resistenza, ma chiese al tenente di poter scrivere. Si chinò, come a rimettere a posto la sua veste, prese dalla tasca una matita e scrisse qualche parola su una foglio, che fece scivolare nelle mani di uno dei suoi domestici. Questi
galoppò a briglia sciolta fino all’albergo del Principe, in rue Vieille-du-Temple, dove l’abate Georgel, suo uomo di fiducia, bruciò un
portafoglio rosso contenente una gran quantità di lettere. Verso mezzanotte, il cardinale fu alloggiato in un appartamento della Bastiglia (qui sotto in una stampa dell'epoca), con tre domestici al suo servizio. Sfidando la collera reale, una parte della Corte venne a fargli visita.
Il prelato teneva la tavola imbandita, facendo arrivare da una trattoria
del luogo ostriche e champagne. Lungi dall’indignarsi per lo scandalo,
che aveva finito per lasciar passare, l’opinione pubblica pendeva fin
dall’inizio dalla sua parte. Passava per vittima. Presto, una nuova moda
prese piede – senza dubbio l’unica che Maria Antonietta non lanciò mai!
Si esponevano nastri rossi e gialli che venivano chiamati “cardinale
sulla paglia”!
Due ministri, il conte di Vergennes (qui sopra) e il maresciallo di Castries, furono incaricati dei primi interrogatori. Rohan confessò per iscritto ciò che sapeva. Parlò inoltre loro di una corrispondenza
segreta con la Regina e di un incontro avvenuto in un boschetto di
Versailles. I suoi interlocutori furono scioccati. Ma queste lettere,
azzardò Castries, le aveva? Rohan rispose che aveva bruciato tutto. Il 18 agosto 1785 la contessa de La Motte fu arrestata a Barsur-Aube e trasferita in una cella alla Bastiglia. Sfuggito alle ricerche, suo marito era scappato in Inghilterra. Il 23 ottobre 1785 due intimi amici del cardinale, il mago Cagliostro e sua moglie, furono arrestati nella loro villa parigina. Infine, nella notte tra il 19 e il 20 ottobre
1785, ci
si occupò a Bruxelles di una “spalla”, Nicole Leguay.
Il 25 agosto 1785, a Versailles, il Re tenne un consiglio al quale parteciparono la Regina, Miromesnil, Vergennes, Castries e Breteuil. A Maria Antonietta non era passata la collera: l’opinione pubblica l’accusava di aver ricevuto la collana, senza averla pagata. Volendo far emergere tutta la verità su questa truffa, lei si augurava che il caso fosse sottoposto al Parlamento. Vergennes e Castries, che temevano gli effetti disastrosi di una apertura pubblica, consigliarono d’agire, al contrario, tramite “lettre de cachet” (lettere firmate dal Re e contenenti suoi ordini). Alla fine, Luigi XVI risolse la questione: il 5 settembre 1785 affidò il caso al Parlamento. Due magistrati istruttori raccolsero le deposizioni degli accusati. Dignitoso e conciso, il cardinale ripeté ciò che sapeva. Madame de La Motte si comportò al contrario come un’isterica, alternando
pianti, scoppi di risa, accessi di rabbia e convulsioni, mentendo con
impudenza, contraddicendosi con sfrontatezza, negando ogni sua
partecipazione al furto della collana, accusando Rohan e il suo mago
Cagliostro di averla presa e venduta in Inghilterra. Ma la verità non tardò ad emergere, soprattutto dopo la completa confessione dell’amante di Madame La Motte, Marc Antoine Rétaux de Villette, rinchiuso alla Bastiglia nel marzo 1786.
Rohan, è vero, aspirava a guadagnare i favori reali, in particolare di Maria Antonietta, che era stata molto fredda con lui dopo il ritorno da Vienna. Sognava di diventare primo ministro. Per intermediazione di Madame di Boulanvilliers, moglie del prévot (funzionario/ufficiale di giustizia) di Parigi, fece la conoscenza di Jeanne de Saint-Rémy di Valois, contessa di La Motte, una piccola giovane donna dal fascino ammaliatore. Discendeva da un figlio naturale di Enrico IV, ma il suo augusto lignaggio era caduto nell’oscurità e nella miseria, al punto che Jeanne, orfana, aveva dovuto mendicare vestita di stracci. Raccolta dalla caritatevole Marchesa di Boulanvilliers, fu mandata in apprendistato dalle religiose, poi divenne di volta in volta lavandaia, portatrice d’acqua, cuoca, sarta. Nel 1780 sposò a 24 anni un ufficiale
di gendarmeria, Marc Antoine de La Motte, (qui sotto) un personaggio mediocre, pieno
di debiti.
Il principe Luigi di Rohan, commosso dal toccante racconto di questa deliziosa Cenerentola, prese lei e suo marito sotto la sua protezione. La ricevette magnificamente nella sua residenza di Saverne e si lasciò presto sedurre. Divenne la sua amante ed ottenne per
il suo sposo il grado di capitano sovra-numerario nelle guardie del
corpo del Conte d’Artois. Presto, la coppia lasciò la provincia per
insediarsi a Parigi, dove affittò una piccola casa al Marais, non lontano
dal palazzo di Rohan, qui sotto in una immagine.
Contessa di fantasia per matrimonio, Jeanne (qui
sotto) si
sentiva di razza superiore, di sangue reale. Non aveva che una sola idea:
farsi riconoscere a Corte come discendente dell’antico ramo regnante. A Versailles, inseguì le anticamere, entrando negli uffici dei ministri, facendo smancerie, facendo gli occhi dolci a chiunque.
Un giorno finse uno svenimento al passaggio di Madame Elisabeth. Fu sollevata. La sorella del Re, commossa, le fece donare 200 lire. Qualche tempo dopo, ripeté la stessa finzione davanti alla Contessa d’Artois, cognata del Re, poi tentò la fortuna con la Regina. Maria Antonietta però non la notò
nemmeno, almeno quella volta.
Fu allora che a Jeanne de La Motte venne l’idea di truffare il suo protettore prelato. Gli raccontò di essere divenuta intima con la Regina e che poteva lavorare per la sua riabilitazione. Rohan esultò. La incaricò di consegnare alla sovrana una prima lettera. Madame de La Motte incaricò di trascrivere la risposta al suo amante, Rétaux de Villette, un anziano gendarme. E’ così che fu elaborata la presunta
corrispondenza tra il cardinale e Maria Antonietta. Le lettere del falsario erano sempre più
amabili,
La diabolica
contessa immaginò il seguito. Suo marito e complice, che trascinava spesso sotto i
portici del palazzo reale, le presentò una giovane modista che
commerciava le sue grazie, Nicole Leguay (qui a destra), le cui misure, la silhouette,
la gola appariscente, il profilo romano, ricordavano la Regina. Madame de La Motte le disse che Maria Antonietta l’aveva incaricata di trovare qualcuno che accettasse di recitare in una piccola commedia, dietro ricompensa. La sartina acconsentì volentieri. L’ 11 agosto 1784, ribattezzata baronessa d’Oliva, fu condotta a Versailles nel bilocale affittato dalla La Motte all’hotel La Belle Toile. Là, una cameriera le fece indossare un abito bianco di lino decorato. A notte fonda, coperta da un mantello ed acconciata con una veletta, fu accompagnata da Madame de La Motte nel parco del castello, dal lato dell’Orangérie. Il posto si chiamava boschetto di Venere (questo boschetto oggi è il Boschetto della Regina presso i Giardini di Versailles). Ciò che lei doveva fare era
semplice: un grande signore le si sarebbe avvicinato, lei gli avrebbe
dato una rosa e una lettera dicendogli: “Voi sapete ciò che significa”.
Era tutto. Verso mezzanotte, lo sconosciuto si presentò in panciotto scuro e cappello calato sulla fronte. Si inchinò profondamente mentre Madame de La Motte osservava la scena in disparte. Col cuore palpitante, Nicole gli dette la rosa, farfugliando la formula convenuta e dimenticò la lettera in tasca. Accorciando il suo supplizio, Jeanne esclamò “Presto, presto, Madame e la contessa d’Artois stanno arrivando!”. La giovane si ritirò, lasciando il cardinale in estasi. Come non fare affidamento in Madame de La Motte dopo una scena simile? Arrivarono allora le prime richieste: due prestiti di 60.000 lire. Per la Regina! Pur ricoperto di debiti, il cardinale
chiedeva prestiti senza battere ciglio. Tutto finiva nelle tasche dei La Motte e nell’arredamento della spaziosa casa che avevano acquistato a
Bar-sur-Aube. I Boehmer avevano sentito parlare di Madame de La Motte come di una dama “nelle grazie della Regina”. La contattarono. Forse sarebbe riuscita a piazzare la loro invendibile parure? Le mostrarono il prezioso oggetto nel suo scrigno di cuoio oro e rosso ornato di diamanti. Tre settimane più tardi, Jeanne annunciò loro che un uomo importante si era fatto carico della negoziazione. Il 29 gennaio 1785,
consegnò al cardinale il documento firmato “Maria Antonietta di
Francia”, che sanciva che l’acquisto si sarebbe perfezionato con
quattro
versamenti di 400.000 lire, la cui prima rata scadeva il primo agosto. Il 1° febbraio 1785, i gioiellieri consegnarono la collana al cardinale. In cambio, egli stesso permise loro di avere copia del documento. Poi Rohan, tenendo il prezioso cofanetto tra le sue mani
inguantate, si recò a Versailles dalla contessa. Là si svolse l’ultima
scena. Qualcuno suonò. Il cardinale si ritirò nell’alcova. Il
visitatore, che portava la livrea della Regina (era in realtà Rétaux de
Villette), prelevò il gioiello.
Non appena il cardinale partì, i tre ladri si
precipitarono sul prodigioso tesoro e lo smontarono con un coltello da
cucina. Poi Rétaux corse dagli usurai parigini e La Motte partì per
Londra, dove svendette le pietre più grosse. Il cardinale fu deluso di notare che il 2 febbraio 1785, giorno della Purificazione, la Regina non potava la collana. Madame de La Motte gli spiegò che non aveva ancora avvertito suo marito. Pazienza! Il
24 maggio 1789, giorno della Pentecoste, nuova delusione: la sua scollatura
non scintillava ancora per l’incomparabile parure. Sappiamo le conseguenze…
L’opinione pubblica, contemporaneamente rabbuiata ed attratta, andò a nozze con le peripezie del processo. Si trovava a Parigi una flotta di avvocati, un diluvio di articoli velenosi, un’orgia di fogli volanti, piccanti, pesantissimi, ingiuriosi. Il nome della Regina era gettato in pasto agli scribacchini, ai mercanti di gazzette, ai caricaturisti che, fingendo indignazione virtuosa, facevano sfoggio della più vile pornografia. Perché lei non avrebbe potuto essere l’amante del cardinale? Perché non avrebbe scambiato i suoi favori con un gioiello tanto prestigioso? Perché il duca di Normandia non avrebbe potuto essere loro figlio? I suoi tradimenti notturni nel parco di Versailles non rendevano tutto possibile?
Senza dubbio la pastorella di Trianon aveva la sua parte di responsabilità nell’immagine deplorevole
che dava di sé, con le sue fesserie, le sue imprudenze, le sue
civetterie di donna spensierata. Dal 22 al 29 maggio 1786 i membri del Parlamento si riunirono. Gli accusati furono introdotti al mattino del 30 maggio 1786. Rétaux de Villette confessò di essere l’autore della falsa firma e delle presunte lettere della Regina. Jeanne de la Motte ritirò le sue dichiarazioni,
affermando al contrario che provenivano proprio dalla Regina. In questa
corrispondenza, aggiunse scaltramente, Maria Antonietta dava del tu al
cardinale e gli dava appuntamento. Venne il turno di Rohan. I suoi tratti tesi e la sua
aria pentita giocarono in suo favore. Ripeteva di essere stato accecato
dal suo immenso desiderio di riguadagnare le grazie della Regina, che
tutta la macchinazione della collana era stata concepita da Madame de La
Motte. Sosteneva la sua buona fede e ingenuità. Nicole Leguay apparve di seguito, intenerendo
l’assemblea con i suoi singhiozzi e le sue lacrime. Infine arrivò Cagliostro, vestito con uno strano
costume verde con frange dorate, i capelli intrecciati gli cadevano
sulle spalle. Si perse in un gergo esoterico che divertiva. Essendo
arrivato a Parigi dopo il furto della collana, non poteva essere
complice. L’indomani, il procuratore generale Joly de Fleur
pronunciò la requisitoria convenuta con Breteuil, chiedendo per il
cardinale un atto di sanzione a favore dei sovrani, le dimissioni dai
suoi incarichi, un’offerta ai poveri e l’esilio. I mormorii dei presenti
dimostrarono che la pena richiesta, pur modesta, era considerata fin
troppo forte. La corte deliberò quello stesso giorno e alle 21 emanò il verdetto: la galera per Monsieur de La Motte, il bando per Rétaux de Villette, marchio d’infamia e reclusione a vita per Jeanne de Valois, il rilascio per Nicole Leguay e Cagliostro.
La V di voleur, ossia ladra, venne incisa a fuoco sula pelle di Jeanne Per 26 voti contro 23, il
cardinale di Rohan fu scagionato da ogni accusa. Non era nemmeno
costretto a chiedere perdono per la sua mancanza di rispetto alla
Regina. Per Maria Antonietta la sentenza fu come uno schiaffo. Il Re fu sopraffatto: restava convinto della colpevolezza del cardinale, che aveva voluto appropriarsi della collana prima di essere truffato da Madame de La Motte. Ma avevano perso loro il processo. Sebbene
sarebbe stato facile aspettare le sue
L’opinione pubblica gridò all’arbitrarietà. L’immagine del
buon Re cedeva il posto a quella del Re tiranno. Intorno alla Bastiglia, oltre diecimila adulatori acclamarono Rohan ( qui a destra) al grido di “Viva il Parlamento! Viva il cardinale innocente!”. L’indomani, le donne di le Halle portarono dei mazzi di fiori al suo palazzo e l’obbligarono ad apparire al balcone in compagnia di Cagliostro. Tutto il quartiere del Marais era in festa. Infine, dopo aver firmato
un riconoscimento di debiti in favore dei Boehmer, garantita sui suoi
redditi futuri, il principe partì in esilio.
Che Rohan, raggirato, sia stato vittima della mistificazione di un’avventuriera è fuori dubbio. Che abbia avuto una responsabilità schiacciante per le conseguenze morali del fatto è fuori discussione. Tutto il resto è stato tramato dall’intrigante madame
de La Motte. Resta tuttavia qualche zona d’ombra. La principale concerne il ruolo di sua Maestà Maria Antonietta. Totalmente estranea al furto del gioiello, non è stata coinvolta nella mascherata notturna al boschetto di Venere? Ce lo si è chiesti. Per ridere sotto i baffi di questo babbeo del cardinale, che disprezzava, lei si sarebbe nascosta dietro un cespuglio, mentre la signorina d’Oliva gli porgeva la rosa, una scena che ricorda quella dell’ultimo atto delle Nozze di Figaro, messe in scena qualche mese più tardi? non è totalmente da escludere.... Jeanne de la Motte sostenne questa versione nelle sue Memorie. Alcuni hanno sottolineato la facilità con la quale
quest’ultima, nel giugno 1787, era evasa dalla Salpétrière e aveva
trovato rifugio in Inghilterra. Questi argomenti sono però ben lontani
dall’essere convincenti. L’evasione di Madame de La Motte sembra essere stata organizzata dal suo stesso guardiano, Mathieu Tillet, che era amministratore generale dell’Ospedale generale, caduto come molti altri nella rete di questa donna fatale. Non c’è alcun bisogno di cercare complici più importanti. Quanto alle sue memorie, pubblicate in Inghilterra, non sono
che odiose menzogne e calunnie, condite di pesanti rancori, la cui
lettura porta al vomito. Il fatto è che Maria Antonietta ha sempre negato di conoscere la contessa, tacciando con un comune disprezzo tutti definendo “Cagliostro ciarlatano, La Motte, sua moglie e una di nome Oliva, burattini di strada”. “Questa intrigante del più basso livello”, scriveva a suo fratello l’imperatore Giuseppe II il 22 agosto 1785, "non si è mai avvicinata a me”. Su questo punto si potrebbe essere più cauti, infatti non era la prima volta che la Regina frequentava persone discutibili o cattive compagnie, tanto che Luigi XVI stesso si lamentava di non vedere al suo seguito “che dei scrocconi e delle donnacce”. Jeanne de La Motte non è stata certamente intima
della Regina, ma è molto probabile che lei abbia più o meno ben conosciuto
qualche intrigante che non cessava di assillare il suo entourage. Influenzato da sua moglie, Luigi XVI aveva accumulato errori e goffaggine. ma fece del suo meglio per evitare lo scandalo. Una lettre de cachet sarebbe stata sufficiente per rinchiudere in un convento la signora La Motte per il resto dei suoi giorni, un’altra lettera per inviare Rohan in esilio. Ciò avrebbe consentito di rimborsare i gioiellieri, e nessuno ne avrebbe più sentito parlare. L’errore era
stato scegliere la procedura più trasparente, che offriva ai
magistrati ostili alla Corona l’occasione insperata di prendersi una rivincita. “Grande e fortunato affare!" Si rallegrava il consigliere Fréteau de Saint-Just (qui a sinistra). "Un cardinale truffatore, la Regina implicata in un affare di falsi! Quanto fango sullo scettro! Che trionfo
per le idee di libertà!” "Fu", scrive il barone di Frémilly nei suoi Ricordi, "come gettare una miccia su un barile di polvere, e il barile è esploso con un baccano spaventoso..."
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