Nel XVIII°
secolo
nella lontana e chiusa provincia di Gévaudan si aggirava una creatura mostruosa.
Massacrando piccole mugnaie e giovani ragazzi, la bestia del
Gévaudan instillò il terrore in tutto il paese che se ne ricorda tutt’oggi.
Tuttavia, malgrado il tempo trascorso, la natura esatta di questo animale non è
mai stata formalmente stabilita.
Sul mercato di Mende, in Lozére, un raggruppamento silenzioso
di paesani si era formato. Arroccato su una piattaforma non troppo stabile, un
venditore ambulante sgranava gli interminabili distici di un lamento che faceva
fremere di spavento il suo auditorio: “Venite, cogli occhi
in lagrime/Ascoltate, vi prego/Il racconto dell’orrore/Di una bestia che
furiosamente/tiene la sua preda./Questa crudele bestia, /ne divora il fegato, il
cuore con la testa…”
In quel periodo, la Provincia di Gévaudan visse nel terrore:
quello che semina al suo passaggio una enigmatica bestia, animata da una ferocia
omicida mai incontrata fino ad allora.
La faccenda iniziò nel giugno del 1764.
Al limite della fitta foresta di Mercoire, non lontano dal
borgo di Langogne, una ragazza di campagna vigilava sul suo bestiame come era
solita ogni giorno fare dall’inizio della primavera.
Tutt’un tratto la mandria palesò un insolito nervosismo: i
cani sono sul chi-vive, chiaramente impauriti. La pastorella non ebbe il tempo
di comprendere ciò che le stava giungendo addosso che venne gettata a terra con
una terribile brutalità. Le zanne affilate di un strano animale minacciavano di
farla a brandelli. La sua salvezza lei la dovette alle sue mucche che
proteggendo i loro piccoli probabilmente, caricarono contro il predatore.
Quando la pastorella raccontò le sue disavventure, insistette
molto sul fatto che questa bestia era molto più grande e forte di un lupo.
L’inquietudine di alcuni rispose alla incredulità di altri e gli animi
cominciarono a scaldarsi.
Nei giorni che seguirono, i corpi di parecchie bambine e di
giovani ragazzi vennero scoperti atrocemente mutilati, smembrati e eviscerati.
Allora si organizzarono le prime battute talmente bene che le
autorità locali richiesero al rappresentante del Re Luigi XV, il Conte di
Montcan, l’intervento dei soldati. Ebbene una brigata di 57 dragoni, stazionati
a Langogne e comandati dal Capitano Duhamel fu spedito sul posto.
Monti, vallate e foreste furono setacciate, a pettine col
rinforzo pure della popolazione. Mentre tutti erano affaccendati nelle ricerche
al nord lungo i tragitti di implacabili cacce, fu al capo opposto che la bestia
dilagò! Le vittime, per la maggior parte bambini ed adolescenti si accumulavano
come dati in una macabra conta. Il flagello di Dio come l’aveva battezzata il
vescovo di Mende, monseigneur Choiseul-Beaupré, si era abbattuto sul Gévaudan!
Luigi XV temeva un sollevamento
popolare. La tensione si propagava al di là della contrada di Gévaudan e la
faccenda superò molto presto il palcoscenico della notizia. I giornali
moltiplicarono gli articoli su questo argomento. Le Courrier d’Avignon o La
Gazette de France fecero della bestia feroce il supercaso. I venditori ambulanti
anche rilasciavano informazioni da villaggio a villaggio, contribuendo a
rafforzare il clima drammatico ed alimentare la paura.
Ben presto fu tutto il Languedoc a
vivere nel terrore. Le voci si gonfiarono tanto che giunsero sino a Parigi. A
Versailles, Luigi XV era venuto a sapere della bestia grazie al cappellano della
Regina Maria Leszczynska, che era originario del Gévaudan. L’odore di questi
morti in serie rappresentava una minaccia. Il Regno di Francia era già troppo
debole per il fatto che nella Guerra dei Sette Anni aveva appena perduto il
Canada e la Louisiana cadute nelle mani degli Inglesi.
Un sollevamento popolare, anche se in una provincia così lontana che ben pochi a Corte sapevano
individuarla nella mappa, non era tollerabile. Allora, con tamburo e tromba, il
Re prese una decisione che egli volle radicale: alla primavera del 1765 inviò
sul posto François Antoine de Beauterne,
luogotenente delle capitanerie reali e porta archibugio di Sua maestà.
Questo
cecchino d’altri tempi era perfetto per un grande progetto, abituato a formare
piani di battaglia ed a comandare in modo quasi militare gli uomini.
L’uomo aveva una reputazione da difendere ed era tanto più
motivato giacchè se vinceva la sfida una ricompensa fenomenale gli fu promessa.
La somma presentata sarebbe stata uguale a 1000 volte quella attribuita ad un
guardia-caccia che abbatteva un semplice lupo – animale che pullulava al tempo
nella regione e nei monti forestali del Mercoire.
Requisendo sistematicamente i guardia-caccia locali, gli
archibugieri, e uomini di più di 14 anni, mise in moto una vera piccola armata,
che raggiungeva più di 1000 uomini.
Ma malgrado le gigantesche battute, la bestia non si trovava.
Ben presto lo scoraggiamento prese François Antoine de Beauterne.
Il freddo
autunnale che avanzava fece terminare le ricerche. Fino a quel giorno memorabile
del 21 Settembre 1765, quando un lupo di stazza eccezionale venne abbattuto nei
pressi di Saint-Julien-des-Chazes, in Auvergne.
L’ufficiale del Re era fra gli angeli: la bestia gettata ai
suoi piedi. Il Gévadudan poteva re iniziare a vivere tranquillamente.
Soddisfatto della riuscita di questa campagna, il Re Luigi XV nominò
“Monsieur Antoine” capitano e gli diede la croce di
Saint-Louis. Le spoglie della bestia furono imbalsamate e instradate fino alla
Corte per esser trionfalmente esposte.
La calma non durò molto finì esattamente il 2
dicembre del 1765. Quel giorno due giovani vaccari sorvegliavano la
loro mandria sul monte Mouchet, in Margeride (sopra un villaggio) quando furono attaccati da
“una
specie di animale molto feroce, dalle zampe molto robuste, dal pelo bruno con
una riga sul dorso… con dei forti denti ed una lingua enorme”.
E le aggressioni ed i massacri ricominciarono di buona lena.
Questa volta Versailles non reagì. Il
Re non voleva più sentir parlare del Gévaudan e della sua “bestia”. Altri affari
importanti lo preoccupavano, come quello riguardante la riforma del parlamento.
L’anno 1766 vide di nuovo colare il sangue nella provincia, dalle rive dell’Allier
ai contrafforti dell’Aubrac. Non furono le preghiere del vescovo
di
Mende che decretavano il periodo di digiuno e “40 ore di preghiera per 3
domeniche di seguito” che rassicurarono i parrocchiani. E non funzionarono
nemmeno le processioni mariane che volevano esorcizzare il male.
All’inizio del 1767, un certo Jean
Chastel fece parlar di lui.
Questo coltivatore e birraio, nato a
Darnes, un villaggio del Cantone di Brioude, padre di 9 bambini, era noto per i
suoi talenti
di cacciatore e di bracconiere. Era un gran taciturno, dal
carattere semplice che preferiva non cercare grane. Questo personaggio ripeteva
alto e forte che voleva la pelle della bestia. Fece benedire i suoi fucili e si
fabbricò dei proiettili facendo fondere delle medaglie della Vergine.
Il 19 Giugno
1767,
affiancato da suo figlio Antoine, prese la testa di una ennesima battuta nella
foresta della Tenazeyre.
Quando giunse nel luogo chiamato Le Songe d’Auvers,
bingo, la bestia era lì, davanti a lui a portata del fucile. Armato dal solo suo
coraggio, lui gli si avvicinò di più, sempre più vicino. L’animale era come
pietrificato. Jean Chastel recitò delle preghiere prima di ucciderlo con un solo
proiettile, a bruciapelo. Quando gli assistenti si avvicinarono alla spoglia di
questo impressionante lupo (o almeno identificato tale), Jean pronunciò queste
parole: ”Bestia, tu non mangerai più!”
La storia della Bestia del Gévaudan si concluse al tempo in modo poco eroico,
nel senso che l’abile cacciatore Jean Chastel, dopo aver spese tempo e fatica
nello studiare le mappe, le aggressioni ed i cadaveri, dopo esser riuscito ad
uccidere il mostro, era convinto di ricevere una grossa ricompensa da parte del
Re: decise quindi di imbalsamare presto la carogna e si avviò verso Parigi,
nella speranza di sfoggiarlo orgogliosamente al sovrano ricevendo lodi per
il suo coraggio.
Ma il Re, con Madame du Barry e con i balli di Corte non volle nemmeno ricevere
il poveretto. Il mastodontico lupo, mal imbalsamato e non pronto ad un tale
trasporto, fu gettato in una cantina dove iniziò a decomporsi emanando un tale
puzzo che i maggiordomi, non potendone più, decisero di bruciare i resti del
mostro, privando ahimè gli scienziati illuministi che avrebbero voluto studiare
da vicino la terribile creatura.
La storia finisce qui? Mica tanto in quanto un’ombra viene ad
addensarsi su questo finale. Jean e Antoine Chastel sono “gli uomini” di Jean-François-Charles de Molette, il Conte di Morangiès. Questo membro di una
delle più importanti famiglie di baroni del Gévaudan non godeva della migliore
reputazione. Sulla base di questi soli fatti, si avanzò l’idea che la bestia
sarebbe potuta esser una creatura ibrida dei Chastel, l’incrocio di geni di un
mastino con quelli di un lupo. Creazione che sarebbe in seguito servita
all’assolvere i crimini sadici comandati dal Conte di Morangiés. Questa ipotesi
fu piuttosto tarda: non vide la luce che attorno agli anni 1930.
Sempre fu Jean Chastel l’eroe che uccise la bestia fino al
1789. Fu interrato velocemente in modo anonimo, senza alcuna pietra tombale, né
segno della sua presenza. La sua casa inoltre venne bruciata e rasa al suolo.
In totale si ascrive alla
“Bestia du Gévaudan” almeno 130 vittime, di cui 81
morte. Sorprende sapere che nessuna seria autopsia venne mai realizzata;
che
almeno 15 di essere furono decapitate; che gli interrogatori delle persona
attaccate non sono mai stati approfonditi, aumentando appunto in questo modo il
mistero.
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