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Sedecia: Gérard Lesne, controtenore
Anna: Virginie Pochon, soprano
Ismaele: Philippe Jaroussky, sopranista
Nabucco: Peter Harvey, basso
Nadabbe: Mark Padmore, tenore
Il Seminario Musicale, dir. Gérard Lesne
Virgin Veritas (2 CD, 2001)
Quella che mi accingo a recensire è la prima registrazione integrale di
uno degli oratori più rappresentativi della produzione di
Alessandro
Scarlatti. Prima di questa, infatti, intorno agli anni ’60 erano già state
realizzate, sotto la direzione di Luigi Bianchi, delle incisioni
incomplete di cinque dei circa 30 oratori che probabilmente il compositore
produsse.
La prima esecuzione di questo componimento, realizzato da Scarlatti nel
suo secondo periodo romano (1703-1708) su libretto di Filippo Ortensio
Fabbri, ebbe luogo, probabilmente, a Roma o ad Urbino nel 1705. In
contrapposizione alla coeva produzione oratoriale del musico palermitano,
che aveva come soggetti eventi riportati nel Nuovo Testamento o gesta
attribuite ai santi, la vicenda è basata su un episodio descritto
nell’Antico Testamento. Dei personaggi che danno vita alla trama, soltanto Sedecia e Nabucco sono biblici: Nadabbe e Anna, infatti, furono inventati
dal librettista, mentre Ismaele rappresenta i numerosi figli del
protagonista uccisi dal re di Babilonia.
L’esecuzione è basata principalmente sul manoscritto MA/ 548, reperibile
presso la Carl von Ossietzky State and University Library di Amburgo. A
questo sono state aggiunte le varianti ritrovate nel manoscritto di
Vienna, al fine di rendere la registrazione il più simile possibile alla
prima rappresentazione.
Questa edizione è da possedere assolutamente: non si può muovere davvero
nessuna critica ai cantanti. Di fronte ad una prestazione così eclatante,
la pronuncia, che è, peraltro, quasi sempre ottima, passa davvero in
secondo piano. Soltanto la registrazione in sé e per sé può destare
qualche malcontento, dal momento che gli strumenti a corda sono in primo
piano a tal punto, che è possibile sentire lo stridore delle corde sotto
l’azione dell’archetto.
Bisogna, inoltre, tener presente che il direttore, nonché interprete del
personaggio principale dell’oratorio, è uno specialista del genere. Gerard
Lesne, infatti, ha all’attivo altre buone pubblicazioni nel campo della
musica barocca italiana, tra cui un volume di mottetti di Scarlatti
stesso. Egli viene indicato nelle note del libretto, in maniera erronea,
come controtenore: Lesne stesso, infatti, ama definirsi “male alto”.
Ovviamente, come d’altronde spesso accade quando si tenta di classificare
qualche cosa, queste indicazioni vanno considerate con le adeguate
cautele, anche se risulta evidente che la tecnica di Lesne è molto diversa
da quella usata dall’altro interprete maschile nel registro alto, Philippe
Jaroussky, che viene giustamente indicato come sopranista. La sua
prestazione, al di là delle discussioni che possono sorgere sul modo di
classificare la sua voce, è ineccepibile. Sarà per la bellezza intrinseca
dell’oratorio, sarà per le sue capacità vocali, egli riesce veramente a
coinvolgere l’ascoltatore, rendendolo partecipe del dramma personale che
il re di Gerusalemme vive: sconfitto, prima, dal suo avversario Nabucco,
poi, spettatore dell’uccisione del figlio e, infine, accecato dal re di
Babilonia. Con le splendide coloriture della sua voce, Lesne arricchisce
le già belle arie di Sedecia, risultando commovente nella sua esecuzione,
specialmente in quei frangenti in cui è richiesta una particolare
partecipazione emotiva da parte del cantante stesso. Mi riferisco a
componimenti come la bellissima “Copri, o sol, l’aurato manto”, in cui
Sedecia si rivolge pietosamente al sole affinché copra la sua fuga
vergognosa. La scelta dei tempi d’esecuzione, i vocalizzi…tutto è
perfetto. A mio avviso si tratta dell’aria più riuscita di tutto
l’oratorio: si ama al primo ascolto!
Il medesimo discorso va fatto anche per lo splendido duetto che egli
esegue con la soprano Virginie Pochon dopo la barbara uccisione di
Ismaele: l’intreccio di voci trasmette tutta la malinconia, l’impotenza ed
il dramma dei genitori di fronte al barbaro assassinio del figlio. Le
emozioni forti ritornano, poi, nell’aria che Sedecia intona dopo essere
stato privato della vista. L’accompagnamento dei due violini, simbolo
delle due pupille ormai perdute, sottolinea il dolore del sovrano e
l’interpretazione vocale porta in scena l’intimità del personaggio, ormai
consapevole dei suoi tragici errori (non ultimo quello di non aver
impugnato il brando al momento opportuno) e pronto ad andare incontro alla
sua sorte senza più autocommiserarsi, eseguendo un mea culpa di fronte al
suo fido sottoposto, Nadabbe. Quest’aria risulta particolarmente
interessante, oltre che per l’intrinseca bellezza, anche perché
rappresenta un punto cruciale della vicenda personale di Sedecia: si attua
un mutamento di personalità di non poco conto. Il sovrano, infatti, passa
da un atteggiamento vittimistico ad uno in linea, invece, con la massima
“Omnis faber fortunae suae”, mettendo in mostra per la prima volta nella
rappresentazione un po’ di coraggio e di personalità forte. E’ netto il
distacco rispetto alle arie della prima parte dell’oratorio, in cui, in
maniera del tutto aleatoria, il regnante auspicava la sua vittoria su
Nabucco, invocando la sorte che, fino a quel momento, non lo aveva mai
costretto a battaglia. “Sì, che il barbaro tiranno” è il componimento che
più rappresenta questo comportamento del sovrano, che con voce altezzosa
figura la fuga impetuosa cui costringerà il re di Babilonia, mettendo così
a tacere i dubbi di Nadabbe, che, intonando la dilettevole “ Le corone ad
un regnante”, aveva tentato di mostrargli un quadro reale della
situazione. Il ruolo del fedele confidente del re, nonché generale
dell’esercito reale, è affidato al tenore Mark Padmore, che si produce in
una bella esecuzione, complice anche il suo bel timbro. Le arie sono molto
orecchiabili e di non difficile esecuzione e, per lo più, sono
riconducibile ad uno schema comune, se si eccettua l’ultima, “Io v’adoro,
o mie ritorte”, in cui Nadabbe dà al suo re prova di estrema fedeltà.
In conclusione, se nella prima parte Sedecia è il protagonista indiscusso
dell’azione, nella seconda, pur cedendo questo titolo per lungo tempo alla
coppia Anna-Ismaele, rimane al centro della vicenda, grazie al complesso
sviluppo della personalità di cui è fatto oggetto.
Sul rapporto madre-figlio è incentrata, infatti, buona parte del secondo
atto, che vede questi due ruoli protagonisti. Ismaele è interpretato in
maniera eccellente da Philippe Jaroussky, noto ai più per esser stato
giudicato dalla rivista francese Victoire de la Musique una “rivelazione
nel campo della musica lirica”. In effetti, il giovane sopranista ha una
padronanza davvero notevole, che gli permette di eseguire le difficile
arie del suo personaggio in maniera agile e, apparentemente, senza
difficoltà: una delizia per le orecchie! Il suo timbro gli permette di
calarsi perfettamente nei panni dell’adolescente figlio di Sedecia,
caratterizzato dall’instabilità e dall’ardore tipici di questa età.
Costui, infatti, esorta più volte il padre ad intervenire celermente
contro il nemico, intonando le splendide “Nel mio cor nel più segreto” e “Il nitrito dei fieri cavalli”, senza riuscire, però, a convincerlo. Jaroussky si lancia in una performance impressionante, mettendo in mostra
la sua agilità canora e catturando l’attenzione dell’ascoltatore, che
rimane sospeso in attesa del successivo vocalizzo. Il sopranista è ben
accompagnato dall’orchestra, che sottolinea con decisioni alcuni passaggi
e, in “Il nitrito dei fieri cavalli”, “doppia” (consentitemi il termine)
la voce del cantante, che assume, perciò, un maggiore spessore. Il giovane
si trova, infine, in una situazione più grande di lui: scegliere tra la
vita e la morte. Ed è proprio in merito a questo argomento che si
evidenzia il rapporto (e l’ingerenza, anche) di Anna, la madre,
impersonata da Virginie Pochon. Ella appoggia il figlio e invoca il marito
affinché lo ascolti, ritenendo l’inquietante sentore che il primo ha
nell’animo un avvertimento del fato. Inoltre, cerca, inizialmente, di
distogliere il figlio dall’andare in battaglia e, poi, presa dall’amore
per il consorte, fa giurare al pargolo di frapporsi tra il padre e la lama
del nemico in caso di necessità. Dall’alte mura della città istruisce il
figlio, facendogli notare la furia omicida di Nabucco ed invitandolo ad
imparare a distinguerlo nella mischia. Ed è in questo frangente che Anna
ed Ismaele eseguono il duetto “Caro figlio / Madre cara”, che permette
ancora una volta di apprezzare l’abilità del sopranista, che non viene
affatto messo in ombra dalla soprano: una prestazione da sbattere in
faccia (o nelle orecchie, se preferite) a tutti coloro che si rifiutano
di legittimare il ruolo dei sopranisti nell’opera barocca!
Alla fine, Ismaele sarà ucciso dal barbaro Nabucco, che, seppur agendo in
preda alla furia vendicativa, rappresenta il mezzo inviato
dall’Onnipotente per punire Sedecia. Il re babilonese è impersonato da
Peter Harvey, che caratterizza in maniera molto forte il personaggio. Le
arie vengono ben eseguite e, dal punto di vista interpretativo, sono
perfette: traspare tutta la furia e anche il sarcasmo del sovrano, che,
intonando l’aria “ Va’ d’Egitto ai regi indegni”, invita Sedecia a
rivolgersi ai sovrani egiziani per implorare salvezza. Imponente nella sua
crudeltà, Nabucco si mostra pietoso nei confronti del sovrano sconfitto,
concedendogli di non vedere la sua rovina, privandolo letteralmente della
vista.
In conclusione, si può affermare che questo personaggio dalle tinte molto
forti e crudeli può essere univocamente interpretato come nemesi divina,
elevandolo dal semplice rango di “barbaro tiranno” (per dirla con Sedecia)
e proiettandolo in una dimensione, secondo me, al di là del bene e del
male. In fondo, la sua ira omicida è solo un mezzo terreno per portare a
compimento un progetto al di fuori della sfera dello scibile umano.
Che dire, poi, della conduzione del “Seminario Musicale”? In organici di
piccole dimensioni, ma di grande affiatamento credo sia più l’espressione
del singolo che si amalgama con quella dell’intero a prevalere, piuttosto
che una linea direttiva salda.
Il risultato finale è ottimo: promosso a pieni voti!
A cura di
Gentario
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