Scarsi sono i documenti
biografici e alquanto oscure le origini di Henry Purcell, che nacque, forse,
a Westminster, e l'identità della sua famiglia è incerta. Dal testamento di
John Hingston, musicista alle dipendenze del re che morì nel 1683, si
presume che egli fosse figlio di un più vecchio Henry Purcell (morto nel
1664), cantore nella Cappella reale, maestro dei coristi nell'Abbazia di Westminster.
D'altro canto, Thomas Purcell (m. 1682), anch'egli cantore alla
Cappella reale e composer for the King’s violins, allude a Purcell come a un
proprio figlio. E’ possibile che vi
fossero due Henry Purcell della medesima generazione, ma il fatto non può
essere provato. Ammettendo che ve ne fosse uno solo, la carriera di Purcell
potrebbe essere così riassunta: da ragazzo egli fu corista nella Cappella
reale, dove ebbe come insegnanti successivamente Henry Cooke (fino al 1672)
e il genero di questi, William Humfrey; quando mutò voce nel 1673 fu
nominato assistente di John Hingston, che era sovrintendente degli strumenti
del re. L'anno seguente, e per un periodo di 3 anni, venne impiegato in
qualità di organaro all'Abbazia di Westminster. Nel 1675-76 ricevette un
compenso per aver copiato due volumi di parti organistiche per conto
dell'abbazia; tuttavia, si deve escludere che egli avesse anche uno
specifico incarico di copista. Nel 1677, a 18 anni, fu nominato "composer
for the violins", cioè per l'orchestra d'archi del re, istituita a
imitazione dei 24 Violons du Roy della corte di Versailles. In quello stesso
anno, scrisse un'elegia per la morte dell'amico Matthew Locke, al quale
appunto era succeduto in quella carica. Nel 1679 Purcell sostituì
John Blow come
organista dell'Abbazia di Westminster. Nel 1681 sposò una certa Frances, il
cui cognome era forse Peters. Nella primavera del 1682, accompagnò il re a
Windsor e il 14 luglio divenne uno dei 3 organisti della Cappella reale.
Intanto, sin dal 1675 Purcell aveva incominciato a pubblicare arie per voce
sola in antologie varie. Ma la prima testimonianza effettiva della sua
attività di compositore risale al 1680, allorché scrisse le fantasie a 4
voci per Consort di viole e un'ode per il ritorno di Carlo II a Londra.
Quest'ultimo lavoro fu il primo di una serie che egli scrisse annualmente
fino alla morte del sovrano. La serie fu poi continuata con analoghi
componimenti per Giacomo II nel 1685, 1686 e 1687. Dopo l'ascesa al trono di
Guglielmo III e Maria, egli compose un'ode per il compleanno della regina
ogni anno, dal 1689 al '94, data della morte della sovrana. Opere affini
furono scritte per altri membri della famiglia reale, oltre che per
particolari occasioni, come il centenario del Trinity College di Dublino
(1694) e le celebrazioni per il giorno di Santa Cecilia (1683 e 1692).
L'attività teatrale, invece, ebbe inizio nel 1680 con le musiche per il
dramma di Nathaniel Lee, Theodosius. Continuò a scrivere musica
di scena fino alla morte, ma la maggior parte di queste musica è degli
ultimi sei anni della sua vita. Riprendendo il filo della narrazione dei
fatti biografici, sappiamo che nel 1683 succedette a John Hingston
nella carica di sovrintendente agli strumenti del re. Nel 1685 ebbe la
nomina a clavicembalista della musica privata del nuovo sovrano, Giacomo II,
pur mantenendo sempre i precedenti incarichi e adoperandosi soprattutto come
conservatore degli organi del re. Nel 1689 a Giacomo II succedeva Guglielmo
III e ancora una volta Purcell preparava la parte musucale della cerimonia
dell'incoronazione. In luglio, riceveva la conferma a membro della musica
privata del re. Gli ultimi anni trascorsero in piena attività, specialmente
teatrale. Ma nell'autunno del 1695 improvvisamente si ammalò. Non per
questo abbandonò la composizione, continuando a lavorare alle musuche per il
Don Quixote di Durfey. Il 21 novembre, vedendo prossima e inevitabile
la fine, fece un breve testamento nel quale dichiarava di lasciare tutto il
proprio avere alla moglie. Poche ore dopo, in quello stesso giorno, vigilia
di Santa Cecilia, il compositore si spegneva. Il capitolo di Westminster decideva
di dargli sepoltura a proprie spese nell'abbazia stessa, ai
piedi dell'organo che Purcell aveva suonato per tanti anni. Dei figli nati
dal matrimonio con Frances, tre erano morti in tenerissima età, una figlia
sopravvisse, mentre un quarto figlio, Edward, nato nel 1689, perpetuò la
tradizione musicale familiare in qualità di organista. Il di lui figlio
Edward Henry svolse pure attività musicale. Non bisogna dimenticare,
inoltre, che già un fratello di Henrv, Daniel, si era rivelato buon
musicista. E infatti nella versione The Indian Queen, edita
recentemente dalla NAXOS a modico prezzo, The Masque of Hymen che
corona la conclusione della opera di Henry, è di pugno del fratello Daniel
Purcell (1661 - 1717), il cui stile non è affatto da sottovalutare e ricorda
molto il fratello più noto.
I
lavori teatrali
Le condizioni del
teatro inglese ai tempi di Purcell non erano favorevoli alla creazione di
opere nel significato che il termine aveva sul continente. L'imponente tradizione
teatrale che l'Inghilterra poteva vantare alla fine del XVI secolo e
all'inizio del XVII, impedì, forse, la penetrazione di forme nuove: la
circostanza può spiegare perché non sia stato fatto alcun tentativo
durante il regno di Carlo I (1625-49) per introdurre dell'opera
continetale, nonostante la musica fosse considerata abitualmente un
elemento importante dell'azione teatrale. Durante la guerra
civile e l'epoca dell'instaurazione repubblicana (1642-60), i teatri
rimasero chiusi, stante l'opposizione che per motivi di pubblica moralità
i Puritani avevano avanzato nei confronti dell'attività teatrale. Sir
William Davenant tentò di introdurre l'opera nel 1656 presentandola come
uno spettacolo musicale, ma l'iniziativa non fu seguita dopo la
Restaurazione di Carlo il (1660), probabilmente perché la ripresa
dell'attività drammatica fu ritenuta di fondamentale importanza e
superiore, quindi, al problema di un teatro musicale vero e proprio.
E' questo il motivo
per cui le rappresentazioni teatrali dei tempi di Purcell consistevano,
principalmente, in commedie nelle quali la presenza di musica strumentale
e di canzoni era elemento accessorio. Talvolta, tuttavia, si poteva
offrire l'opportunità di dar vita ad un masque o a una scena di sacrificio
che richiedeva la presenza di un ampio brano musicale con coro. La maggior parte della
musica di scena di Purcell consiste di brevi pezzi che potevano
facilmente essere staccati dal loro contesto e cantati o suonati
separatamente. Cinque lavori offrono
un contributo più sostanziale e possono, come tali, meritare la
definizione di "opere con dialogo": Dioclesian (1690), adattato da
Beaumont e Flechter; King Arthur (1691), su testo di John Dryden;
The Fairy Queen (1692), ridotta da A Midsummer Night’s Dream
di Shakespeare; The Indian Queen (1695); The Tempest (1695),
anche questa ridotta da Shakespeare. Caratteristica comune
a tutti questi lavori è la grandiosità della vicenda e dell'apparato
scenico, uno degli elementi condivisi conl'opera veneziana. Frequenti
sono i cambiamenti di scena, in virtù dei quali, in parecchi casi Purcell
ha provveduto a inserire brani di musica strumentale. E' evidente che la
grandiosità dello spettacolo non fosse un elemento mutuato soltanto
dall'opera italiana, ma risentiva anche del gusto francesi; ed è
ugualmente chiaro che molti dei pezzi strumentali di Purcell, come quelli
dei suoi contemporanei, furono modellati sullo stile francese, per lo più
seguendo l'esempio di Locke e di Blow. Una rappresentazione
moderna di questi lavori che trascurasse le esigenze scenografiche sarebbe
inadeguata. Trovo inoltre che la
principale ragione per cui questi lavori possono oggi essere ripresi è
l'alta qualità della musica di Purcell. La maestosa ciaccona con cui in
Dioclesian termina il masque, sembra ricordare i modelli
continentali; il basso stesso è convenzionale e l'opposizione di trombe,
oboi e archi è tradizionale. Ma il pezzo ha una profonda dignità che è
accresciuta dal pathos della parte centrale scritta in tonalità minore;
la stessa osservazione vale per molti altri pezzi di Purcell concepiti in
questa maniera. Si può dire che Purcell mostrò una elevatissima abilità e
estrema destrezza nell'uso dell'ostinato. La finzione scenica
permise a Purcell di impadronirsi rapidamente di un metodo espressivo
pittoresco-descrittivo: i Baccanali in Dioclesian, gli eroici
Britanni in King Arthur (un'opera patriottica), il modesto pastore
e la pastorella in The Fairy Queen si avvalgono tutti di una musica
che tanto vivamente li distingue da farli sembrare ai nostri occhi reali
e attuali. Lo stesso si può dire del Cold Genius che sorge da un deserto
gelato nel King Arthur accompagnato da un agghiacciante vibrato
degli archi; della danza delle scimmie in The Fairy Queen, o
dell'impressione di un suono di campane nella canzone di Arielle «Full
fathom five» in The Tempest. Accanto a queste felici illustrazioni
del testo vi è tutta la serie di solo-songs (così come i duetti e i cori)
costantemente impegnati a avvincere l'ascoltatore. In queste "opere"
della Restaurazione i personaggi principali non cantavano, di modo che
Purcell non era costretto a tener conto delle eventuali deficienze
musicali degli attori. Nella maggior parte dei casi egli poteva scrivere
per esecutori che erano soprattutto cantanti, e per essi compose pezzi che
sempre più rivelano un'incomparabile vena melodica. Oltre alle opere sopra
citate, Purcell compose musica, sia vocale, sia strumentale, per più di 40
commedie. Questi lavori contengono molti fra i migliori songs di Purcell
e da essi è stato tratto il materiale per parecchie suites strumentali.
Un discorso a parte
merita, invece, Dido and Aeneas rappresentato in una scuola
femminile di Chelsea (ora sobborgo di Londra) nel 1689. Benché il lavoro
sia breve, dura poco più di un'ora, esso è, in effetti, un'opera seria in
miniatura. Le convenzioni che impedivano l'esecuzione di opere complete su
pubblici palcoscenici, non riguardavano le rappresentazioni private.
Un precedente storico
dell'opera di Purcell si può trovare nel Venus and Adonis di Blow
(reperibile a modico prezzo fra i cd della HARMONIA MUNDI) che era stato
rappresentato a corte fra il 1680 e il 1687 e che, quantunque fosse stato
definito un masque, è, in realtà, un'opera breve, come Dido and Aeneas.
La somiglianza di
stile e di struttura fra i due lavori non è, probabilmente, casuale: è
significativo il fatto che entrambi terminino con un coro di prefiche. Il
lavoro di Purcell si serve di un tipo di monodia che differisce dal
recitativo dei compositori italiani del tempo ed è assai più appassionato
ed espressivo. Tale stile è tipico di una tradizione musicale inglese, che
traeva le proprie origini dalle Nuove musiche di Caccini. Lo stile della
monodia di Caccini (arioso al posto del recitativo) era stato applicato a
testi inglesi da Nicholas Lanier e Henry Lawes ed era stato impiegato,
con qualche modifica dovuta all'influenza francese, da compositori come
Matthew Locke, attraverso il quale era poi passato a Purcell. A fianco di
questo arioso espressivo si trovano canzoni ritmiche, cori e danze in
parte influenzati dall'opera francese, ma in parte di gusto pienamente
inglese, specialmente nei canti dei marinai nel III atto. L'opera è troppo breve
per una profonda caratterizzazione dei personaggi: Enea non ha quasi il
tempo di affermarsi come personaggio; Belinda è poco più di una
confidente; ma la strega è vividamente presentata come una figura
diabolica, e la stessa Didone è caratterizzata da una musica che le
conferisce una certa dignità. Purcell aveva tutte le
qualità necessarie per scrivere una lunga opera. Se avesse vissuto
abbastanza l'avrebbe certamente scritta, gareggiando magari con Handel a
Londra, per lo meno sugli oratori, quindi su composizioni su testo
inglese. La composizione di odi
in onore del re o di altri membri della famiglia reale, non sembra fosse
in uso prima del Commonwealth. Essa sembra essere stata suggerita
dall'abitudine italiana di onorare i governanti nel prologo di un'opera
celebrativa, abitudine adottata anche dai compositori francesi. Ma, come
forma indipendente, l'ode inglese della fine del sec. XVII è unica. Essa
prende la forma di una cantata, con parti strumentali, interventi di
solisti e del coro collegati ininterrottamente e la cui struttura ricorda
gli anthems con orchestra scritti per essere eseguiti nella Cappella
reale. Le odi erano composte per le seguenti occasioni: 1 - il Capodanno
2 - i compleanni 3 - i matrimoni 4 - il ritorno del re
(o del suo rappresentante) a Londra. Nei lavori pubblicati
dal poeta Marthew Prior è compreso il testo di un'ode per il Nuovo Anno,
che pare sia stata composta da Purcell nel 1694. La musica di questo
lavoro non ci è pervenuta, e non si conoscono altre odi di Purcell per il
Nuovo Anno. Vi sono cinque
welcome songs per Carlo II, quattro per Giacomo II (una del periodo in cui
egli era ancora duca di York), sei odi per il compleanno della regina
Maria (consorte di Guglielmo III), un'ode per il matrimonio della
principessa (più tardi regina) Anna, e un'ode per il sesto compleanno di
suo figlio, il duca di Gloucester. La qualità dei testi
poetici di questi pezzi varia molto. È difficile pensare che un
compositore potesse essere ispirato dai testi destinati a onorare la
principessa Anna ed il suo giovane figlio, tranne nel caso in cui non
fosse un sostenitore della monarchia. Altrove Purcell riuscì perfettamente
a superare le limitazioni del testo, e nelle odi per il compleanno della
regina Maria raggiunse uno stile che unisce felicemente la profondità
dell'ispirazione con la pompa esteriore. In effetti le limitazioni
testuali furono spesso superate con tecniche differenti: musicare il testo
una volta sola, aumentando i commenti musicali fra una parola o un’altra,
concentrandosi su una parola sfruttandone la sua adattabilità al tema
melodico: per cui un testo banale, una volta musicato diventava alle
orecchie grande. È notevole il fatto che nelle prime odi per Carlo II, la
parte strumentale sia assai più curata di quella vocale. Se si pensa che
Purcell in seguito sarebbe stato in prevalenza compositore di songs, ciò
potrebbe sorprendere. Ma le sue fantasie per viole (1680) e la prima
serie di sonate in trio (1683) sembrano provare che nei primi anni la
composizione strumentale fosse per lui la forma espressiva più spontanea.
Considerate nel loro
insieme le odi mostrano una maestria in costante sviluppo. Esse includono
tutte le forme possibili di musica scenica: ouvertures nello stile
francese, ariosi di ampia costruzione, talvolta con uno strumento
obbligato, arie e duetti che vanno dalle semplici canzonette alle
strutture più elaborate, e cori che utilizzano le combinazioni, tipiche
del Barocco, di voci e strumenti, e il loro impiego alternato. In quattro
delle sei odi per il compleanno della regina Maria, il tono brillante e
maestoso è accentuato dall'uso delle trombe, che non compaiono nelle
precedenti odi per Carlo II e Giacomo II. Fra i lavori scritti
per occasioni che non riguardassero la famiglia reale, il più importante
è l'Ode per il giorno di Santa Cecilia (1692). Pare che Cecilia
sia stata adottata come Santa Patrona della Musica all'inizio del sec.
XVI: più tardi, ma sempre nel medesimo secolo, furono istituite sul
continente numerose celebrazioni in suo onore. In Inghilterra la prima
celebrazione ebbe luogo a Londra nel 1683: in quella occasione Purcell
scrisse l'ode Welcome to all the pleasures (1683). Si tratta di un
lavoro dai toni tenui, benché assai gradevole. L'ode del 1692, Hail,
bright Cecilia (una bomba in cui ogni pezzo è un gioiello, uno più
bello dell'alto dove i bassi ostinati coronano gran parte della
composizione: basti pensare alla favolosa aria "Wondrous Machine") è
assai più elaborata, con ampi cori, arie solistiche, duetti che richiedono
virtuosismo, e l'accompagnamento di tre flauti (due soprani e un basso),
oboi, trombe (l'aria per controtenore "The Fife and all Harmony of War"
con trombe e timpani, che si alternano con la voce e cembalo: altra
cannonata!), timpani e archi (e il coro iniziale e finale "Hail, bright
Cecilia": crollano i muri di casa, e rasentano la magnificenza Handeliana).
Questo lavoro rappresenta l'apice della produzione corale di Purcell.
A parte l'anthem per
l'incoronazione di Giacomo II, "My heart is inditing" (che poi sarà anche
il testo che musicherà Handel, con toni più caldi, dal momento che il
Caro Sassone l’aveva composto per l’incoronazione della Regina - Handel
aveva studiato le composizioni di Purcell sullo stesso testo: si potrebbe
dire che Purcell fu l’agente catalizzatore nella formazione dello stile
inglese di Handel) non si trova né nella sua musica religiosa, né in altre
odi, nulla di più imponente del «Soul of the world» o del coro finale «Hail!
bright Cecilia», in cui i bassi introducono il tema principale in
aumentazione come accompagnamento del tema stesso.
La Musica sacra
Poiché i Puritani
disapprovano l'uso della musica in chiesa, a parte i salmi in versi (cioè
gli inni), ci fu una rottura delle tradizioni durante gli anni della
guerra civile e del Commonwealth. Nel momento della Restaurazione, il
repertorio inizialmente consisteva di anthems che erano stati composti
durante il regno di Elisabetta I (1558-1603), Giacomo I (1603-25) e Carlo
I (1625-49). Questi anthems continuarono a essere cantati nelle cattedrali
e nella Cappella Reale. Ma ben presto vennero
ad aggiungersi altri lavori scritti da musicisti che conoscevano bene gli
sviluppi che si erano prodotti nel campo della musica profana. Questi
compositori erano in maggioranza giovani e non trovavano difficoltà ad
adottare un nuovo stile; alcuni di essi, inoltre, scrivevano musica sin da
quando erano ragazzi nel coro della Cappella reale. Purcell crebbe, perciò
in un ambiente in cui vi erano due tipi di musica religiosa: la vecchia e
la nuova. Questa esperienza si riflette nelle sue composizioni, alcune
delle quali, particolarmente le prime, sono composte nello stile «a
cappella», benché l'accompagnamento d'organo sia abituale. Altre - e fra
queste sono comprese alcune delle prime composizioni - introducono ariosi
per una o più voci soliste, simili a quelli che troviamo nelle odi (le
arie a struttura simmetrica non sono comuni). La sezione affidata alle
voci soliste era chiamata verse e gli anthems che ne facevano uso erano
detti verse-anthems. Un numero limitato di anthems di questo tipo si
trova nei lavori dei compositori operanti prima del Commonwealth, ma lo
stile è differente, la voce solista essendo accompagnata da un complesso
d'archi (o da una equivalente parte organistica) secondo lo stile delle
canzoni di Byrd: Psalmes, Sonets, & Songs of Sadne's and Pietie (1588).
Nel verse-anthem della
Restaurazione, l'accompagnamento è normalmente affidato al continuo.
Quando Carlo II era presente nella Cappella reale, era d'uso cantare
anthems con orchestra d'archi (i 24 violins), ma l'orchestra serviva
principalmente a presentare sinfonie introduttive e ritornelli, oltre che
ad accompagnare il coro, la cui funzione era in gran parte supplementare.
Purcell scrisse parecchi lavori di questo genere, il più elaborato dei
quali è "My heart is inditing" per l'incoronazione di Giacomo II. Come
nelle odi, le sinfonie introduttive si ispirano sovente allo stile
dell'ouverture francese, anche se non in tutti i casi. Talvolta
l'introduzione affidata agli archi compare nuovamente nel corso dell'anthem
e talvolta è anche col tema collegata con la parte vocale. Lo stile di
questi anthems e dei verse-anthems che hanno solo l'accompagnamento
d'organo, è stato talvolta definito profano, poiché essi si servono di
formule melodiche di motivi ritmici che ricorrono anche nella musica
profana di quel periodo. Ma questa mescolanza di sacro e di profano era
già usuale nel continente. Ciò significa che il medesimo linguaggio era
usato per cantare le lodi di Dio e del monarca e le stesse inflessioni
erano appropriate tanto a un innamorato senza speranza, quanto a un umile
penitente. La vivacità che
contraddistingue alcuni degli anthems più spettacolari di Purcell, come "Rejoice
in the Lord alway", non è solo un segno di frivolezza, bensì
l'espressione di un'esuberante energia di vita. Nell'insieme, i
verse-anthems tendono a essere armonicamente più convenzionali dei
full-anthems composti nei primi anni. In alcuni punti si possono trovare
dei passaggi sorprendenti; particolarmente degli ariosi, mentre nei lavori
a cappella l'impiego di uno stile brillante è alquanto moderato. Ciò
concorda col carattere generale della produzione di Purcell, che mostra
una tendenza crescente a adottare una schietta struttura diatonica,
caratteristica di gran parte della musica italiana del suo tempo. Le
stesse tendenze si trovano nei Services, cioè nella musica richiesta per
le preghiere del mattino e della sera e per il culto della Santa
Comunione, nella liturgia anglicana. Il festoso Te Deum e il
Jubilate, scritti per la celebrazione del giorno di Santa Cecilia nel
1694, sono composizioni molto più estroverse dei primi lavori in
si bemolle maggiore e in sol minore.
Le Arie a una
o più voci
Tre anni dopo la morte
di Purcell Henry, Playford pubblicò il primo volume di una collezione di sue
arie sotto il titolo di Orfeus Britannicus. Il titolo stesso indica la
stima in cui Purcell era tenuto come compositore di arie, stima che è
espressa ancor più chiaramente nella prefazione che Playford scrisse per la
seconda edizione:
«Lo straordinario
talento dell'autore in ogni tipo di musica, è sufficientemente conosciuto;
ma egli fu particolarmente ammirato per la musica vocale, e dimostrò un
ingegno particolare nell'esprimere l'energia delle parole inglesi,
appassionando e destando ammirazione in tutti i suoi uditori».
I due volumi di Opheus
Britannicus comprendono sia arie provenienti dalla musica teatrale, sia
arie a una voce che non hanno alcuna relazione con la scena. Molti esempi di entrambi
i tipi erano stati pubblicati in antologie durante la vita di Purcell. E'
impossibile fare delle distinzioni fra i due tipi, poiché il medesimo stile
- o la medesima varietà di stili - si trova in entrambi. Molte delle arie sono di
avvincente semplicità e si servono di un linguaggio melodico assai
differente da quello corrente in Francia e in Italia, tanto da giustificare
la definizione di britannicus. Lo stesso si può dire di quei songs elaborati
in due o più parti, con gli ariosi che si alternano alle arie e che sono
costruite sul medesimo schema della cantata solistica italiana, ma senza
alcuna imitazione pedissequa del suo stile. Solamente negli ultimi anni
Purcell tentò una specie di imitazione dell'aria «da capo» italiana, e
perfino in questo caso la sua musica e evidentemente il prodotto di un
ambiente diverso, come le ariette italianizzate che si trovano nell'opera
francese del XVIII secolo. Non è neppure sufficiente dire che questi songs
sono inglesi: è più esatto definirli «purcelliani». Purcell occupa un posto
a parte fra i contemporanei per l'uso estremamente abile delle alterazioni
melodiche e ancor più per i numerosi pezzi in cui la linea melodica si
dispiega, per così dire sotto il proprio slancio, senza ripetizione di frasi
e con una crescente intensità, un esempio in pieno secolo XVII di quella che
Dante definiva una «oda continua usque ad ultimum progressive». Inoltre, le
sue composizioni dimostrano un rispetto per l'accentuazione delle parole
inglesi che difficilmente è stato eguagliato da altri compositori inglesi.
Nella maggior parte dei songs la musica non soltanto interpreta vivamente il
senso delle parole, ma sembra coincidere perfettamente con loro. Le parti di
arioso nei pezzi più lunghi mostrano le medesime caratteristiche che abbiamo
già notato parlando di Dido and Aeneas. Questo stile appare anche nel
numero limitato di sacred songs che Purcell scrisse, la maggior parte dei
quali è pubblicata nei due volumi dell'antologia Harmonia Sacra (1688 e
1695). Tali pezzi, destinati a esecuzioni private, rivelano uno stile molto
più personale degli anthems, e sovente appassionato a tal punto da essere
eccessivo. Purcell scrisse pure numerosi pezzi sacri per tre o quattro voci
(molti di essi sono composizioni di salmi in versi) che mostrano le stesse
particolarità.