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L'opera Radamisto di Handel è
reperibile in Cd nell'edizione dell' Harmonia Mundi France (numero di catalogazione: 907111.13)
in tre cd della durata di 62.16 - 72.21 - 55.34 minuti; la direzione è
affidata a Nicolas McGegan, a capo della Freiburger Barockorchester.
Personaggi ed interpreti:
Radamisto, figlio di Farasmane:
Ralf Popken, controtenore
Zenobia, moglie di Radamisto:
Juliana Gondek, soprano
Polissena, moglie di Triridate e sorella di Radamisto:
Lisa Saffer, soprano
Tigrane, principe di Ponto:
Dana Hanchard, soprano
Faarte, fratello di Tiridate:
Monika Frimmer, soprano
Tiridate, Re d'Armenia:
Michael Dean, basso-baritono
Farasmane, Re di Tracia:
Nicolas Cavallier, basso
Organico strumentale:
5 violini primi
5 violini secondi
2 viole
2 violoncelli
2 violoni
1 flauto
2 oboi
2 fagotti
2 corni
2 trombe
1 clavicembalo
Il continuo è dato da
cembalo, arciliuto e violoncello.
Si inizia con una Ouverture, grave dall'andamento francese, seguita subito da un Allegro, tutto formato da archi che si intrecciano, e giocano innestando
tema su tema. Poi il tutto sfocia, né in un recitativo, né in un arioso, ma
in una cavatina.
Atto primo
Polissena sola davanti al suo padiglione; la scena si apre infatti in un campo militare, dove i padiglioni
sono disposti dinnanzi alla città da espugnare, presso la quale passa il
fiume Arasse, sopra il quale s'erge un ponte (facente parte della
scenografia del 1720).
"Sommi Dei, che scorgete i mali miei, proteggete un mesto cor!"
Arriva Tigrane che preannuncia che Tiridate si è invaghito di Zenobia:
consiglia di lasciare il marito.
Faarte stesso, fratello di Tiridate, sfogia in un'aria di una freschezza ed
energia, mossa anche da un intento personale: cova amore per la cognata:
"Dhe
fuggi un traditore!"
Da sottolineare che Faarte in questa registrazione è impersonato da un
soprano, per cui le note scattano a picchi altissimi: il tutto indorato da
fiumi di note, anche se tutta l'orchestrazione si basa essenzialmente agli
archi.
Insiste anche Tigrane: preannuncia che Polissena vedrà quanto è invaghito
Tiridate, e poi sfocia in un'aria che sfoltisce gli archi alla voce:
"L'ingrato non amar, ma rendi a un fido cor se non amor pietà".
Ma arriva Tiridate, circondato dalle guardie: e in un recitativo, già si
vede la perfidia del personaggio, dove si sfoga ordinando la strage di Città
vecchi donne e fanciulli: templi e altari devono essere distrutti; poi
confida sottovoce il suo amor ad una delle guardie che stanno lì appresso
a Polissena che voleva intercedere per la critica sorte del padre Farasmane:
"Partiti o Donna!"
Ed ecco un'aria "Tu vuoi ch'io parta, io parto!" dove si delinea il
carattere sottomesso della moglie, che comunque non odia il marito per ciò
che sta facendo ("idolo del mio cor" lo definisce nell'aria lenta in
questione).
Ecco che arriva Farasmane incatenato perché catturato, e circondato dalle
guardie: Tiridate gli comunica che vuole la città, se non l'avrà tutto il
suo odio si scaglierà su suo figlio Radamisto: Farasmane si propone di esser
nunzio delle richieste del nemico - genero (Tiridate appunto): Tiridate
concede a Farasmane di vedere il figlio, ma che sia accompagnato da Faarte,
che circondi la città con l'esercito: se c'è qualche trucco "ogni cosa sia
orror lutto e cordoglio!"
Ed ecco un'aria con archi in allegro di Tiridate:
"Con la strage dei nemici
sono avvezzo a trionfar", a mio avviso davvero bellissima, dove i gorgheggi
possenti del baritono riescono ad evocare la furia del Re d'Armenia.
Cambia la scena, siamo sotto le mura della città: escono Zenobia e Radamisto;
Zenobia vuole seguire Radamisto, che arriva quasi a scusarsi per la cruda
sorte del suo sposo poichè sa che la "cagion" di tutto è lei: Tiridate
infatti ha mosso guerra solo per poterla avere. Radamisto la consola
affermando che non sempre il ciel irato volgerà il suo sdegno su di lui:
"Cara sposa, amato bene", dove al cembalo e ad un mesto violoncello non
s'aggiunge alcun altro strumento, se non che alla fine per rafforzare il
ritornello.
Ma arriva Faarte, con l'esercito; fra essi c'è Farasmane incatenato: si
incontrano.
Faarte: renditi e libero vai o Radamisto, altrimenti si prenderà la città
con la forza e Farasmane sarà ucciso: al titubare di Radamisto, Zenobia
propone una soluzione: la sua morte.
E qui parte un'aria meravigliosa::
"Son contenta di morire, crude stelle,
astri tiranni, per placar il vostro furor!"
I violini, che si staccano dal continuo, la voce di Juliana Gondek (pura
limpida di elevata agilità), alla terza volta parte con i gorgheggi su
"placar". All'energia del primo pezzo, si passa alla fase centrale, dove il
ritmo è lo stesso costante, ma spariscono i violini, e agisce solo il
continuo: ma alla parola "sì la morte darà fine al mio dolor" tutto si
ferma anche il continuo che è ostinato in tutta l'aria. Ritorna il
ritornello iniziale: cambiano però a tal punto gli ornamenti vocali di
Juliana, che abbellisce, infioretta gli "astri tiranni", uscendo dalla
posizione di note che aveva rpima: ma senza cadere in eccessi: credo che sia
un abbellimento che possa definirsi calcolato e non eccessivo.
Farasmane incita il figlio Radamisto a seguire la sua sposa, implicitamente
decidendo la sua sorte.
Parte lo sprezzo di Radamisto, che rivolto a Faarte: "Perfido! dì a
quell'empio tiranno che l'alme grandi non hanno timor": un'aria incisiva,
che però non è caratterizzata da una varietà strumentale (archie cembalo).
Rimasto solo con Faarte, farasmane chiede la morte: Tigrane però impedisce
che il soldato esegua l'ordine. Lo stesso Faarte non voleva macchiarsi del
sangue di un "sì nobil rege". Farasmane viene condotto alla tenda scortato
dalle guardie.
Farasmane poi parte con una possente aria, "Son lievi le catene, a un petto
forte", dove si dà coraggio per affrontare la situazione "e di costanza
armato il petto sempre avrò" e "costante nelle pene" alla fien trionferà.
Ma qual era l'ordine di Tiridate se la città non si arrendeva?
"ogni cosa sia orror lutto e cordoglio!"
Faarte e Tigrane partono ad espugnare la città: e giù una corroboante
sinfonia per la circostanza.
La città è presa.
Tiridate giunge con la scorta nel cortile dinnanzi al palazzo di Radamisto:
eppure non vede Zenobia. Tigrane intercede per Farasmane, Tiridate preso
dalla preoccupazione di non vedere Zenobia, glielo concede.
Vuole vedere ai suoi ceppi Radamisto e Zenobia.
Polissena cerca di placare tiridate nel suo disappunto, chiedendo la grazia
per Radamisto, ma il Re non connette "Alle morti, alle stragi alle
vittorie!".
Polissena intanto ringrazia l'operato di Tigrane che ha salvato il padre.
Tigrane dice che "avrà prove di fedeltà dal fido amante (che poi sarebbe
lui)", così sfocia il recitativo cnell'aria, arricchita da oboi, "Segni di
crudeltà".
Polissena rimasta sola, si rende conto di quanto il suo adorato Tiridate
abbia perso la testa per Zenobia.
Il primo atto si conclude con "Dopo l'orride procelle", arricchita da oboi
con archi, dove esprime la sua peranza di un ritorno alla felicità che prima
aveva.
Atto secondo
La scena si apre su una campagna bagnata dal fiume Arasse, da una parte si
notano ruine di fabbriche antiche, fra le quali una sotterranea. Radamisto e
Zenobia escono da quest'ultima, ed ecco che Zenobia
sfocia in un'aria senza il da capo, con oboi dal suono intenso, che simulano
un continuo lamento, il tutto coronato da note di arciliuto "Quando mai
spietata sorte fine avrà tanto penar!".
Arrivano i nemici, Zenobia è risoluta a morire e chiede a Radamisto di
ucciderla, i nemici si apprestano... presto Radamisto che fai? l'uccidi o
lasci che cada nelle mani del terribile Tiridate?
Cerca con la spada di ferirla, ma non riesce, gli cade la spada: Ah! Zenobia
sdegnata della viltà dello sposo, si getta nel fiume, chiedendo di vendicar
la sua morte: nel recitativo si sente l'urlo della caduta.
Ma giungono i soldati capeggiati da Tigrane, Radamisto si lancia verso i
soldati che puntano contro di lui.
Tigrane li ferma: quando mai tutti contro uno solo? c'è un codice d'onore!
Radamisto vuole morire rendendosi a Tigrane, ma Tigrane volendo far felice
la sua sovrana, "vuol trarlo in nascosto": e qui indca in un'aria ancora una
volta la sua passione per Polissena, in un'aria andante, con continuo
rafforzato da arciliuto.
Radamisto sconsolato, segue Tigrane, ma "il suo perduto tesor" ora non c'è
più: e parte la struggente aria con orni oboi, violoncelli, "Ombra cara di
mia sposa, deh, riposa e lieta aspetta la vendetta che farò!", unisono di
voce con fagotto, messe di voce, interventi cupi di archi, ornamento di
arciliuto: è questa la melodia che Handel associava a "Cara Sposa" in
Rinaldo come la sua più bella Melodia.
Faarte cattura intanto Zenobia, salvandola dai flutti del fiumi: non è
morta! ah, ma Radamisto non lo sa...
Niente da fare: viene condotta via da faarte, che la esorta a sperar in una
sorte migliora:
"Esplode l'aria squillante "Lascia pur amica speme le tue pene a consolar",
aria con oboi, che accompagnano la voce durante l'aria a tratti.
Naturalmente i violini non è che se ne stanno calmi, e come onde nel mare
arrivano a decorare il testo dell'aria con freschi riflussi. Suvvia Zenobia,
in fondo dice faarte :" Lieti i giorni che verranno, faranno poi scordar le
pene tue".
Un recitativo accompagnato da accordi di cembalo, è preludio di un'aria
incisiva di Zenobia, che cerca di opporsi alla sua cruda sorte:
"Giacchè morir non posso, furie del cieco abisso accompagnatemi nel mio
dolor": quest'aria presenta la particolarità che al ritornello iniziale, la
voce canta con pochi strumenti, per poi essere interrotta da andate di
violenti interventi di archi e cembalo. L'effetto è bellissimo, pur non
avendo una varietà fuori dallo standard.
Cambio scena: Siamo in guiardino con veduta del Palazzo.
Faarte comunica a Tiridate che Zenobia è in suo potere, dopo aver lui
raccontato le ragioni della ferita inflittale da Radamisto e del perchè era
fra i flutti.
Ed ecco: L'amor che ha genrerato tutta l'opera: Zenobia e Tiridate una di
fronte all'altro.
Sdegno dell'una lusinghe di Tiridate che le si offre con tutto il regno.
Tiridate è sicuro di se stesso: "Sì che ti renderai, quando vedrai quanto il
mio cor ti sia fedel". L'aria è in allegro.
Dopo un breve recitativo con arciliuto dove Zenobia pensa al suo sposo,
sorge un'altra aria in ritmo lento, e dove il cembalo si evidenzia bene,
arciliuto si inserisce a commentare il"soffrir potrò il mio fato". Anche i
flauti con tono cupo sottolineano la disperazione della sventurata Zenobia.
L'aria è "Fatemi, o cieli, almen saper dov'è il mio ben".
Intanto Tigrane porta Radamisto abbigliato in modo non regale alla sorella
Polissena. Ancora Tigrane si bea della gioia che è riuscito a provocare con
quest'azione nel cor di Polissena: aria in andante con oboi: "La sorte il
ciel amor promettono al tuo cor gioia e contento". Ci sono dei pezzi del
ritornello rafforzati dall'arciliuto che danno un carattere aulico all'aria,
per non parlare dell'oboe.
Ed ecco Polissena e Radamisto, ma mentre Polissena si slancia nell'amore per
il fratello, Radamisto le chiede di esser condotto in sì mentite spoglie
dove giace il tiranno Tiridate: Polissena dice, uccidi me prima: Radamisto
si offende e si stupisce per i lcomnportamento della sorella:
"Vanne sorella ingrata! Vanne rapisci a morte quel barbaro consorte che ti
tradisce ancor!" e qui Radamisto, con oboi, sfoggia una buona dose di trilli
vocali, non solo nella rpima parte, ma pure nella parte centrale, dove si
inalbera con un acuto.
Polissena è ancora sola: Fra incudine e martello: da che parte schierarsi?
chi proteggere? straziata da 2 amori, quello per il crudele marito e quello
per l'adorato fratello: un bel dielmma: poi alla fine decide di schierarsi e
proteggere chi si trova più in difficoltà ed in pericolo: e così l'aria con oboi, "Che farà quest'alma mia".
Ecco che parte ora un arioso seguito da un commento di
Zenobia "Troppo sofferse già quetso mio petto, numi del cielo (con flauti)
in tanto dolor": naturalmente fa sempre capolino oltre gli archi e il
cembalo il bell'arciliuto.
Due seggi, olà - sbotta Tiridate
Ma mentre si siede con Zenobia, arriva Tigrane che annuncia che Radamisto è
morto, portando il mantello del nobil uomo. Tigrane presenta un servo Ismeno
che ha
assistito Radamisto negli ultimi istanti della sua vita.
Ismeno profferisce:
"Eccoti illustre donna il cor di Radamisto egli al tuo piè si prosta,
s'inginocchia e per bobba d'Ismen così ti dice:
"Cara adorata sposa, se
questa man vibrò crudele il ferro contro il casto
tuo sen, se questo spirto fede non ebbe e ardire di
seguirti nell'acque e morir teco, perdonami ten' priego."
E ancora:
" Se ben schiava u sei in man del mio più fiero empio nemico,
serbami l'amor tuo, la pura fede! odia!, sprezza un tiranno,
mio perverso uccisore! e ....".
Tiridate interviene: troppo quell'Ismeno si avvicina alle labbra di Zenobia!
Parte l'aria di Zenobia:
"Empio perverso cor! a Tiridate con furore
"Caro fedel Ismen a Ismeno con dolcezza
L'aria è un correre e frenarsi con un maggior indugio da parte del Caro
Sassone sul tema patetico.
Visto il buon ascendente di Ismeno verso Zenobia, Tiridate gli chiede di
spianargli la strada in cambio di compensi.
Rimasti soli Ismeno e Zenobia, si scopre che sotto le spoglie di Ismeneo,
c'è Radamisto, i due sposi si riabbracciano... ed ecco completarsi il secondo
atto con un duetto dall'andamento andante/allegro: presenza di oboi discreti
e rispettosi del dialogo dei due sposi: "Se teco vive il cor" dove le voci
partono staccate, a poi cantano insieme contemporaneamente...
Atto terzo
Si riapre le scena:
siamo nel cortile del palazzo reale;
Tigrane propone a Faarte di levare le armi in segno di rivolta a Tiridate:
"Non è disegno mio - espone Tigrane - che a Tiridate o la vita si tolga o la
corona: gli si tolga la via d'esser più ingiusto e ravveder si faccia il
cieco amante".
Faarte appoggia l'idea ed eplode in "S'adopri il braccio armato, il ciel gli
dia favor" dove sulla "a" di armato si concentrano turbinii di gorgheggi che
riescono ad vocare il valore del personaggio: l'aria è frechissima ed ha la
particolarità di alcuni fagotti che accompagnano le note dei violini.
Tigrane sa che non riuscirà mai ad aver Polissena, ma il suo amor è discreto
e pur avendo una matrice ingiusta, si distingue da quello irruento di
Tiridate, perchè è generoso, nel senso che tutto l'operato è per placare il
tormento dell'alma della sua amata Polissena.
Intanto in una delle stanze reali, Radamisto e Zenobia sono in in intimità,
e Zenobia teme che Tiridate ben riconosca in Ismeno la nobil figura di
Radamisto, e propone che per la sua salvezza se ne vada.
Ma Radamisto, già una volta ha perso la sua adorata sposa e replica:
"Dolce bene di quest'alma, no giammai ti lascerò", un'aria lenta dove
arciliuto cembalo e violoncello rappresentano il continuo, mentre oboi e
fagotti, danno un tocco malinconico a tutto l'exploit di Radamisto:
quest'aria è un grosso esempio di come Handel riesca a variare i temi che
precedentemente aveva creato: in effetti la melodia proviene da una cantata
degli anni romani, una Grande cantata, Apollo e Dafne: l'aria in questione è
"Come in ciel Benigna stella di Nettun placa il furor": melodia dolente in
Radamisto, furiosa (in allegro mi sembra davvero troppo poco per descrivere
le pirotecniche nella cantata) nell'aria di Dafne. Anche gli strumenti
cambiano di peso: in Radamisto oboi e fagotti spiccano rispetto gli archi.
Arriva Tiridate con corona e scettro, la vuole... l'afferra, lei si oppone
esce Radamisto con il ferro in mano, ma Polissena fa schermo col suo petto a
Tiridate: Farasmene interviene e depreca l'atteggiamento della figlia:
perchè bloccare la vendetta di Radamisto?
Tiridate furioso, ordina la morte di Radamisto e Farasmane! Ha riconosciuto
il rivale Radamisto: ormai i giochi sono allo scoperto!
Vani gli interventi e le intercessioni di Zenobia e Polissena.
Ed ecco il recitativo accompagnato: Radamisto gli offre il petto... "saziati
spietato del mio sangue onorato!"
e ancora Radamisto insiste: "essa (la morte) per il mio cor non ha terrore,
le sono andato mille volte incontro, e l'ho vista per me piena d'onore.
"Vile! se mi dai vita,
Vile! se mi dai morte,
vedrai che l'alma forte sempre ti sprezzerà";
questa è un'aria eroica dell'eroe handeliano sventurato che combatte contro
le avversità.
E continua in concitato, provocando Tiridate: "Empio! non hai sì ardita la
destra senza gloria? compisci la vittoria con atto di viltà!"
Polissena in ginocchio prega Tiridate, di salvare padre e fratello,
ricordando che lei col suo petto lo ha salvato dal ferro di Radamisto:
Tiridate gli concede la vita del padre, ma quella del fratello non se ne
parla:
Polissena, all'ordine del monarca "Parti!" sboccia in un'aria "Barbaro!
partirò, ma sdegno poi verrà!" che non la caratterizza più come una semplice
donna sottomessa: promette vendetta, e se oserà realizzare il suo proposito
di uccidere Radamisto, le sarà per sempre sua nemica. Non si è più dinnanzi
a arie lente "deboli", ma dinnanzi ad un'aria più decisa: la strumentazione
evoca la risolutezza della decisione della Regina d'Armenia.
Tiridate dinnanzi alla risolutezza anche di Zenobia di voler morire, salva
pure Radamisto, "Orsù, vedi la bontà, vedi la clemenza! Perdono a
Radamisto,
purchè tu sia mia sposa....Zenobia o la tua mano o il capo di colui vuol
Tiridate".
"Alzo al volo di mia fama la speranza che ho nel cor": ecco la possente aria
ricca di strumentazione di Tiridate: dove i bassoon e i corni coronano le
pirotecniche del basso-baritono Tiridate Michael Dean: epica, mitica, chissà
se ci sono altri aggettivi per esaltarne la bellezza.
Zenobia e Radamisto decidono di morire: quindi non gli dà la mano, per cui
il capo di Radamisto sarà dato a Tiridate...Zenobia però risolve di morire
pur'essa.
Ed ecco un'aria di Zenobia con 2 affetti: il primo esprimente il dolore per
lasciare il caro sposo "Deggio dunque, o Dio, lasciarti, dolce spene di
quest'alma!" un pezzo lento con oboi e violoncelli che danno quell'ombra a
tutta l'esposizione, ma poi sente che è enorme l'ingiustizia del Fato, e
invoca con furor "Ciel pietà del mio dolor" dove violini violenti, con basso
ostinato e oboi coronano la richiesta.
Zenobia esce dalla scena e Radamisto se ne resta da solo:
"Qual nave smarrita tra sirti e tempeste": una dolente aria di Radamisto:
pochi strumenti, mentre c'è la voce, il ritmo sembra un respiro, si
evidenziano le note "cupe" evocate dal violoncello: l'andamento lento
permane anche nel motivo centrale dell'aria "tal io senz'aita fra doglie
funeste non trovo conforto al misero cor".
Al Tempio, Tiridate pregusta il matrimonio con Zenobia, Farasmane
preannuncia che sprezzo avrà e non amore da Zenobia, e quest'ultima aggiunge
lo sprezzo per il "crudel tiranno": Tiridate vuole eliminare
Radamisto, ma
....
ecco rigiunge Polissena: e .."trema (verso Tiridate)! stanchi de' tuoi
misfatti, hamn preso le armi, han preso le armi i tuoi guerrieri, e seco son
Tigrane e Faarte".
Rivolta, insurrezione... la situazione gli sta sfuggendo di mano:
ma Toirridate è Re, e ben saprà morir: All'armi amici! - ordina Tiridate -
ma tutti fuggono...
"Dove fuggite? il vostro Re, felloni, s'abbandona così?! Son Tiridate e su
quel trono istesso, che mi diede il valor più che la sorte, regnar saprò,
saprò morir da forte."
E mentre cerca di andar a combatter, viene trattenuto.
Parte un quartetto "O ceder o perir !" sublime, a mio avviso di una
bellezza pari a quella dal Trionfo del Tempo e del Disinganno del 1707, si
formano 2 fazioni, uno specie di duello canoro:
da una parte i tre personaggi perno: Radamisto, Zenobia e Polissena,
invitano tiridate a riflettere e a canmiar desio, dall'altra parte Tiridate
che sceglie piuttosto di morire anzichè rinunciare alle sue posizioni
"cedi all'amore! gli dice Polissena
"cedi all'onore!" gli dice Zenobia
"cedi alla virtù!" gli dice Radamisto,
due soprani e un controtenore, ecco come i timbri alti si contrappongono,
marcando la differenza di posizione, con la risposta basso-baritonale di
Tiridate "Perir!"
Arrivano in scena il ministro Tigrane e il fratello Faarte: e alla vista
Tiridate "su venite, già mi toglieste il trono, eccovi il btrando,
toglietemi la vita!" e getta la spada a terra....
Tigrane consegna il trono a Farasmane. Ma ecco che Radamisto perdona
Tiridate, : Tiridate confessa il suo error e ringrazia per il generoso
perdono (davvero generoso): E poi trova conforto nel perdono di Polissena.
Ma non finisce qui: Radamisto riconsegna il trono a Tiridate dell'Armenia,
su cui regnerà con Polissena, e
giù un altro duetto:
"Non ho più affanni, no" dove Zenobia e Radamisto esprimono la gioia di
ritrovarsi dopo sì gran pene...
Poi si ordian il festeggiamento generale...
Ec ecco il bel coro che chiude il Terzo atto:
"Un dì più felice, bramarsi non licesperarsi non può".
Il coro è inframmezzato da duetti: Zenobia e Radamisto in primis, coro,
duetto Polissena e Tiridate, coro, e Faarte e Tigrane, e coro finale.
Naturalmente oltre agli archi e al ritmo allegro andante, si affiancano le
trombe , e gli altri fiati.
Fine dell'Opera.
A cura di
Arsace
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