Rodrigo |
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Rodrigo ovvero Vincer si stesso è la maggior vittoria HWV 5
Dramma per musica in tre atti Musica di George Frideric Handel, composta nel 1707 Libretto di anonimo (Antonio Salvi?) da Il duello d'Amore e di Vendetta (1700) di Francesco Silvani Prima esecuzione: Autunno 1707, Teatro del Cocomero, Firenze Cast della prima:
Rodrigo, Re di Spagna: Stefano Frilli,
castrato soprano
Orchestra:
Note:
La vicenda narra dei disegni di vendetta
di Florinda contro il Re di Spagna Rodrigo, reo di averla violata e pure
ingravidata. Ora, la furibonda si allea con Evanco, lo spodestato Re di
Aragona (che naturalmente è innamorato di lei), e ha dalla sua anche il
fido fratello Giuliano. Rodrigo, che proprio non vuol più saperne di lei,
e intanto tiene in ostaggio suo figlio, può contare invece, oltre che
sull'astuto generale Fernando, soprattutto sulla moglie Esilena, una donna
piena di parole mielate e rappacificanti, ma che in realtà ha sempre bene
in mente l'interesse del marito, che ama alla follia nonostante i ripetuti
tradimenti. La vicenda è intrigante, e i personaggi
di Rodrigo, Esilena e Florinda sono veramente molto belli. Ma l'ascolto
risulta più faticoso rispetto ad altri drammi: sarà soprattutto per i
recitativi, molto più lunghi della media haendeliana, e soprattutto per il
testo astruso e ampolloso di Silvani. L’aria con cui Rodrigo consola Florinda si apre con grande semplicità, con
la voce accompagnata dal solo continuo: ma ben presto appaiono due violini
concertanti a fare eco alle parole del Re, e poi si intrecciano con la sua
voce in seducenti armonie. Alla fine della prima sezione compaiono anche
gli altri archi e gli oboi, secondo la tradizione compositiva Scarlattiana.
E l’orchestra al completo continua ad accompagnare la voce per tutta la
seconda sezione. Florinda si presenta al pubblico con un’aria di furore di grande impegno,
in cui da subito si richiede al cantore una grande abilità virtuosistica:
i gorgheggi ascendenti si sprecano, e in essi la voce gareggia in abilità
con gli oboi, mentre gli archi disegnano senza posa un motivo tempestoso e
irruento. Ma nella seconda sezione il cantante è lasciato da solo, per
farne meglio risaltare le qualità. Questa bellissima aria, dal sapore mozartiano, notevole soprattutto per la
grande aderenza della musica al testo, con cui la moglie del Re si
presenta al pubblico, si gioca tutta sul sapiente gioco concertante della
voce e di un concertino di violini e flauti. L’atmosfera della prima parte
e lieve e giocosa, anche se una sapiente modulazione sottolinea il
significato della parola “affanna”, ma nella seconda si accentua il
cromatismo e l’instabilità armonica, anche se l’orchestrazione rimane
invariata. L’aria di esordio del fido generale del Re si presenta come un pezzo in
cui si coniugano severità contrappuntistica e virtuosismo ad imitare
l’immagine della fiamma incostante. La voce è accompagnata dal solo
continuo in entrambe le sezioni. La prima aria eroica del dramma spetta al fratello di Florinda. La piena
orchestra accompagna la voce nei suoi virtuosismi e gorgheggi ascendenti,
e le risponde con un irresistibile motivo di fanfara. Nella sezione B si
fanno notare il commento minaccioso degli archi alle parole “alto
conflitto”, e le sapienti modulazioni armoniche. E’ la prima aria di furore di Rodrigo, in cui il Re rivela la violenza che
si nasconde dietro la maschera del seduttore, infierendo sul Re d’Aragona
vinto. Continuo e archi accompagnano e imitano la voce nel suo andamento
forzato e severo, e nella seconda sezione si aggiungono anche gli oboi,
dopo una raggelante parentesi in cui la voce è sostenuta dai soli violini. In quest’aria si alternano due motivi che passano dalla voce al concertino
di archi, in squisiti giochi concertanti: ma il momento forte è il
vocalizzo sui due registri accompagnato dalle viole sole, di grande e
persuasiva dolcezza. Ma nella sezione B la voce è accompagnata dal solo
continuo, sicchè ancor più deliziosa appare la ripresa del gioco
concertante, abbellita vieppiù dalle fioriture nella linea vocale. Anche Evanco si presenta al pubblico con un’aria eroica, ma dall’andamento
spezzato e concitato, quasi un’aria di furore, in cui la voce ha
sicuramente il principale ruolo espressivo, mediante una sapiente
alternanza di declamato, note tenute e vocalizzi, rafforzata dai motivi
concitati degli archi. E’ un’aria poco musicale ma dal grande impatto
drammatico, quasi un recitativo accompagnato molto elaborato. Anche nella sua seconda aria Giuliano esprime tutta l’eroicità del proprio
carattere: essa è infatti molto simile alla prima, con virtuosismi nella
parte vocale, che gareggia con l’oboe nella comune imitazione di
un’immaginaria tromba, e interventi della piena orchestra. Quest’aria breve ma efficace mostra l’ondeggiare dell’animo di Florinda
tra opposti sentimenti mediante sapienti modulazioni armoniche, passando
dal minore concitato della prima sezione al maggiore più disteso della
seconda: una lunga coda strumentale ribadisce ciò che già la voce aveva
affermato. L’angoscia di Rodrigo di fronte al nuovo pericolo che minaccia il suo
trono si esprime nell’affannoso accompagnamento del fagotto, sospeso in
una cadenza interrogativa, su cui la voce disegna tortuosi melismi di
raffinata arditezza armonica. La sezione B inizia appena ed è subito
sospesa dal recitativo. Rodrigo si cimenta con la sua prima aria eroica, ch’è invero di grande
impatto e bellezza: la voce gareggia con gli archi in vertiginose scale,
sostenuta da una figurazione ritmica “sospingente” e incessante: alla
parola “scocchi”, nella seconda sezione, gli archi rispondono con una
veloce figurazione, altro mirabile esempio di quella “pittura sonora” di
cui il Sassone era maestro. Grande aria di fine d’atto, in cui la primadonna può fare sfoggio di tutte
le sue abilità. Essa si apre con l’esposizione del tema principale da
parte degli archi, cui segue una lunghissima cadenza del violino solo. La
voce fa il suo ingresso sola, a sua volta con una lunga cadenza, per poi
esporre, accompagnata, il tema principale: ma ben presto lo abbandona per
lanciarsi in una sequela incredibile di virtuosismi e fioriture, in gara
col violino e poi con l’oboe, per finire con una magica nota tenuta
lunghissima, che parte in pianissimo per crescere progressivamente secondo
la tecnica della messa di voce usatissima all’epoca, mentre l’intervento
della piena orchestra ne sottolinea la trionfante conclusione. Chiude la
prima sezione un’altra cadenza del violino, più lunga e fiorita della
prima. Dopo una breve sezione B in cui la voce si trova sola col continuo,
la ripresa lascia senza fiato: sembra incredibile che possa riuscire più
bella della prima esposizione, eppure i ricami della voce e degli
strumenti moltiplicati e spostati sul registro acuto compiono
l’impossibile. Un’aria che spicca per originalità rispetto alle altre di questo
personaggio, tutte assai convenzionali: la voce si unisce agli archi in un
complesso disegno fugato, dalle ardite inflessioni armoniche, che si
intensificano nella sezione centrale: il tortuoso, difficile cammino
dell’eroe, anche se sulle parole “sparso di fiori” la musica si fa più
piana e distesa. L’amore di Evanco per Florinda è tutto in quest’aria sognante, una
passionale siciliana per sola voce e basso continuo, con una brevissima
sezione centrale, in cui il fascino è lasciato interamente al cromatismo
della melodia, che le dà un sapore un po’ dolente. La dolcissima linea vocale di quest’aria non è turbata da altro suono se
non quello del continuo, che tra l’altro ha l’agio di concertare con la
voce in più punti, anche nella seconda sezione, più tesa e cromatica, in
conformità del significato delle parole. Di fronte all’ostinazione di Florinda, esplode in Esilena una furia di cui
mai la si sarebbe creduta capace, e che si esprime in gorgheggi forzati
sul testo “Parto, crudel, sì, parto”, rafforzati da interventi veementi
della piena orchestra, cui fa seguito una sezione fortemente contrastante
sulle parole “per dare all’idol mio gli ultimi baci”. La sezione B è se
possibile ancor più concitata, con un eguale ricorso ai virtuosismi per
intensificare l’atmosfera drammatica. La grande suggestione di quest’aria si deve soprattutto
all’accompagnamento, nella sezione A, da parte di un concertino di violini
e flauti, che si contrappongono alla voce in strana armonia. Ma nella
sezione B i flauti tacciono, e i violini soli raddoppiano la linea vocale
rivelando appieno il gelo e il dolore che avvolgono il cuore della donna. Il gelo dell’aria precedente si trasforma in questa in vento inesorabile
di furia: l’accompagnamento secco degli archi nel registro basso fa da
contrappeso a una voce declamata che si lancia però in astrali vocalizzi
sulla parola “fulminando”: l’immagine musicale della maestosa tirannia.
Nella sezione B l’atmosfera pare per un attimo rilassarsi, ma è solo una
pausa prima che il vento ricominci a spirare. Anche Esilena si lascia coinvolgere dall’atmosfera di cupo dramma, e
lascia i suoi abituali toni dolci ed elegiaci per lanciarsi in un’aria dal
cromatismo esasperato, caratterizzata fin da subito dall’affannoso
rincorrersi di violini e viole. Ma nella sezione B l’accompagnamento,
sulle parole “nudo spirto, ombra vagante”, cambia totalmente: in
pianissimo e con armonie cangianti gli archi ora evocano uniti le ombre
del regno sotterraneo. Aria costruita apposta per la voce, qui accompagnata dal solo continuo,
non presenta particolarità di sorta, se non abbondanza di fioriture su
quasi ogni parola e il fagotto al posto del violoncello: però ancora una
volta ammiriamo, nell’incipit concitato, l’abilità del Sassone nel
costruire motivi che rispecchiano alla perfezione il senso del testo. La lunga sequenza di arie in minore che pervade la prima parte dell’atto è
definitivamente spazzata via da questa trascinante aria di tempesta, in
cui alla voce si richiede grande virtuosismo. Ma non manca anche qui la
finezza del grande maestro: l’aria infatti è legata a quella
tormentatissima di Esilena dalla presenza di un gioco concertante tra gli
archi acuti e quelli gravi. Quest’aria, una parodia di Se Licori Filli ed io della cantata Tu fedel,
tu costante?, unisce a un’accattivante, ingenua melodia, un sapiente
accompagnamento degli archi, specialmente nella szione B, dov’è affidato a
un concertino a parti reali. La gemella dell’aria precedente, anch’essa parodia di un’aria dalla
cantata Tu fedel, tu costante?, affida alla voce e agli oboi un motivo di
fanfara. Non presenta la consueta struttura ABA, ma una semplice struttura
binaria. La bellezza di quest’aria è data da un delizioso gioco imitativo tra la
voce e i violini, basato su una cellula motivica oltremodo fluida ed
accattivante, gioco che ne percorre entrambe le sezioni. Sullo stesso
motivo si baserà la più famosa aria di Cesare Al lampo dell’armi
nell’omonima opera. L’aria finale del secondo atto, affidata a Florinda, è meno elaborata di
quella di Esilena, tuttavia abbastanza da farci ritenere anche Aurelia
Marcello, che per prima sostenne questa parte, una grande virtuosa, anche
se un gradino sotto Anna Maria Cecchi Torri, che per prima impersonò
Esilena. Si tratta di un’aria di trionfo di squisita fattura, con tutto
quello che ci vuole per mandare in visibilio il pubblico: possenti
commenti orchestrali, oboi concertanti, acrobazie vocali a profusione. La
sezione B merita una particolare menzione per la sua ricercatezza, con
parchi ma incisivi interventi dei violini. Con quest’aria nel 1707 il castrato Stefano Frilli offriva al pubblico la
sua ultima prova da solista nell’opera (ma doveva ancora farsi udire in 2
duetti): ed è un’aria concitata e virtuosistica, in cui la voce si fa
udire in un breve motivo per poi lasciare spazio al ritornello
strumentale, e infine tornare sviluppando il motivo iniziale, secondo un
procedimento già caro a Scarlatti. La sezione A è molto brillante, ma
nella B il motivo svela tutti i suoi lati più nascosti e inquietanti. Questo suggestivo duetto è forse il più grande omaggio reso dal Sassone al
suo maestro Scarlatti in quest’opera. Il pezzo trae la propria forza dal
bellissimo disegno del basso, che sostiene le voci in entrambe le sezioni,
dopo un breve inizio declamato. Nella sezione A le voci si intrecciano
strettamente, mentre nella seconda ciascuna espone una propria melodia più
complessa, prima Rodrigo e poi Esilena. Dopo la ripresa, un altro momento
di pausa, in cui l’ipnotico disegno del basso cessa, infine un ritornello
strumentale chiude questo finissimo pezzo. L’ultima aria solista di Esilena è anche un ennesimo omaggio del maestro
tedesco alla tradizione italiana e a Scarlatti, allora maestro indiscusso
e modello per tutti coloro che si accingevano alla carriera del teatro
musicale. Con impeccabile maestria essa riprende il motivo al basso già
utilizzato nel duetto, ma lo piega ad inedite e angosciose inflessioni,
qua e là interrompendolo per lasciare la voce libera di vagare in indecise
cadenze, con costante attenzione al testo, come quando l’ondeggiare si
trasforma in una lunga nota tenuta sulla parola “riposo”. Il ritornello
strumentale finale, con la sua densissima scrittura ricca di cromatismi,
avrebbe certamente fatto la delizia del compositore Palermitano, e
annunciava al mondo musicale il sorgere di un nuovo Maestro. Il modo maggiore e lo spirito haendeliano ritornano trionfalmente
nell’opera attraverso la voce del tenore Francesco Guicciardi, che a
giudicare dai gorgheggi e dalle diminuzioni ancor più spericolate del
solito, doveva fare del suo proprietario davvero un gran virtuoso, forse
superiore alle stesse due primedonne e al primo uomo, il castrato Frilli.
Anche in quest’aria vi è un motivo ritmico che corre qua e là tra le
diverse sezioni strumentali, per poi emergere con magico (e sicuramente
applauditissimo) effetto nella voce del solista, e ricomparire infine tra
le pieghe del tessuto orchestrale. Una fugace apparizione la fa anche
nella sezione B, che presenta con la principale numerose altre affinità. La sconfitta Florinda si rivolge ad Evanco con quest’aria dolceamara che
testimonia della piaga ancor viva del suo animo. Ma la melodia,
accompagnata sempre dal solo basso continuo, si fa più positiva e solenne
nella sezione B. La stessa atmosfera ambigua pervade l’ultima aria di Giuliano,
accompagnato anche in questo caso dal solo basso continuo, che anzi imita
nel suo movimento ascendente imitativo del concetto di astro che sorge
presente nel testo. E anche qui l’atmosfera si fa più netta e distesa
nella sezione B. Ma in più si può udire un ritornello strumentale che non
smentisce, anzi accresce, l’ambiguità presente nella voce. Il belcanto, a differenza dello stile operistico ottocentesco, non faceva
distinzioni di genere: poteva accadere così che la stessa aria fosse
affidata a una donna oppure a un castrato, com’è il caso di questa, che fu
cantata per la prima volta nel 1707 da Caterina Azzolini, peraltro in un
ruolo en travesti, e poi rieseguita come E’ un incendio tra due venti nel
1711 a Londra dal castrato Nicolino Grimaldi nella parte di Rinaldo, con
qualche difficoltà tecnica in più, come si addiceva a quelle che erano le
macchine canore più pregiate del barocco musicale. E’ invero un’aria molto
accattivante, piena di giocosa vitalità tutta haendeliana, con una
profusione irresistibile di fioriture e un piglio deciso e passionale
nella melodia. Ma se ci spostiamo nella sezione B l’atmosfera cambia
completamente, adattandosi al mutato senso del testo che esprime dubbio e
angoscia, e assistiamo a una delle più sorprendenti metamorfosi di un
motivo musicale che sia dato riscontrare nell’ambito della produzione
haendeliana. Ed eccoci al duetto che nelle convenzioni dell’opera seria settecentesca
costituisce la prova di commiato del primo uomo e della prima donna del
cast, e che in Haendel è sempre l’occasione per sfoggiare tutto un
repertorio di squisitezze canore da mandare in estasi anche l’uditore più
disattento. Ed è anche il caso di questo pezzo, soprattutto della sua
prima sezione, coll’amoroso intrecciarsi delle due voci in sapientissimi e
dolcissimi giochi contrappuntistici e concertanti, mentre nella seconda i
due sembrano voler riaffermare ognuno la propria distinta individualità.
Ma alla fine proprio non possono fare a meno di riabbracciarsi. Solitamente al duetto dei due protagonisti segue, senza soluzione di
continuità o dopo un recitativo più o meno lungo, il coro finale che
chiude l’opera. Ma nel Rodrigo prima del coro udiamo ancora una volta,
forse per un capriccio di vanità delle cantanti, le voci dei due
antagonisti del dramma, Florinda ed Evanco. La prima a farsi sentire è
Florinda, con un’aria amorosa che riprende e anzi intensifica il carattere
agrodolce di Così m’alletti: sembra proprio che la poveretta non riesca a
provare gioia se non nella vendetta, e così seguiamo la sua voce
accomiatarsi da noi esaltando poco convinta il potere degli occhi
dell’amato su di lei, accompagnata in entrambe le sezioni, che peraltro
sono identiche anche nel carattere, dal solo basso continuo. Di tutt’altra natura è l’ultimo intervento di Evanco: una magica, cullante
cantilena, tutta calore e affetto, in cui la voce indulge in carezzevoli
abbellimenti: un pezzo mirabile nella sua candida semplicità, accentuata
dall’accompagnamento del solo basso continuo. E finalmente tutte le voci che sono state i vari personaggi del dramma, deposte maschere e costumi, si uniscono per dare un suono allo spirito del tempo, in questo caso lo splendido secolo decimottavo, e ci cantano la morale: l’amore è più forte dell’odio e della vendetta. Tra esse spicca quella della primadonna, che espone per prima il motivo, imitata dalle altre in blocco. Anche questo pezzo ha la struttura ABA tipica delle arie solistiche, con una seconda sezione più articolata e drammatica, che lascia infine il posto alla tersa, olimpica luminosità di cui il Caro Sassone darà ancora tante prove.
A cura di Rodrigo & Xenio |
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Ultimo aggiornamento: 17-10-21 |