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Recensione
HWV 99: DELIRIO AMOROSO di G. F. Handel
Si tratta di una cantanta davvero corposa, anche nell'organico: oboe,
violino, violoncello, contrabbasso, cembalo, flauto sono le tipologie
di strumenti impiegate.
Ne esiste una versione della HUNGARATON, con il soprano
Magda Kalmar - e Frigyes Sandor come direttore, n° catalogazione
11653 - 2
(fra l'altro assieme alla ormai celeberrima NEL DOLCE DELL'OBLIO HWV
134).
La cantata si compone di 13 brani, e si distingue anche per una
corposa
"Introduzione" strumentale con oboi e di splendida ed accattivante
melodia
dalla durata di ben 5.57 minuti: tale apertura è suddivisa in tre
parti.
Tutte le arie sono sostenute da strumenti a fiato e da corde.
Dal mio punto di vista, poichè la cantata si apre con un
recitativo "Da quel
giorno fatale" che spiega cosa è successo a Tirsi, che è morto, e
narra cosa
succede a Clori dopo la dipartita di Tirsi, può vedersi come una
seconda parte alla cantata "CLORI,TIRSI E FILENO", alis
"COR FEDELE
IN VANO SPERI" HWV 96 (di cui segnalo fra l'altro l'esistenza di un
bellissimo cd di Nicholas McGegan per questa cantata della casa
Harmonia Mundi).
La prima aria "Un pensiero voli in ciel...", introduce un
consistente
ritornello iniziale dove il violino solo gioca un ruolo di spicco
prima dell'intervento sopranile vocale che si inserisce con uno di
quei gorgheggi pirotecnici che simula il volo verso il
cielo, puntando mille vocalizzi sulla ultima -e- di pensiero e di
lungo respiro,
che davvero sorprende. E l'aria dura moltissimo, 9 minuti circa.
Il recitativo n° 4 si suddivise in sezioni di recitativo
convenzionale, e altre parti ("Si, sì, rapida io scendo") sono
concitate, e quindi assume la connotazione di accompagnato: Clori
delira, e vuole raggiungere Tirsi all'inferno.
L'aria successiva "Per te lasciai la luce", presenta il
violoncello
solista, mentre la voce svetta verso il cielo, creando un forte
distacco fra suono pastoso del violoncello, e ricami vocali aerei, su
un'aria che ha un ritmo andante.
Dopo un recitativo standard, riparte un'altra aria "Lascia o mai le
brune vele", dove spicca il flauto solista a becco, con ritmo allegro
non troppo.
Ma poi Clori ginge alle sponde del Lete, e la musica si fa imponente,
malgrado l'organico che non è orchestrale ma più cameristico: è
serissimo il pezzo, e di una levatura e severità coinvolgente, che mi
ricordano i pezzi grandiosi francesi di De Lalande con il suo "Les
Divertissement de Versailles": questa Entrée, perchè è a questa
che
mi riferivo, è seguita da un minuetto, che funge da introduzione
all'aria, "In queste amene spiagge serene": nella prima parte di
quest'aria il soprano è accompagnato dal solo basso dell'orchestra,
mentre solo nella seconda parte appare il tutti orchestrale,
accrescendo l'intensità della frase "Tra suoni e canti,
sempre clemente, spiran gli amanti aura d'amor". Il motivo di questo
minuetto con il tutti, ancora più consistenze riprende dopo un breve
recitativo e si sostanzia nella conclusione della cantata, in modo
originale: difficilmente infatti una cantata Handeliana italiana, e
di questo periodo come appartiene questa, ossia del biennio fecondo
1707/1708 italiano, si conclude con un pezzo strumentale.
Benedetto Panfili è l'autore dei versi, come pure del
testo del TRIONFO DEL TEMPO E DEL DISINGANNO e di APOLLO E DAFNE.
Le parole narrano - seguendo il gusto dell'epoca per i soggetti
ispirati all'antichità - la triste storia di Tirsi e Clori: il Dolore
d'amore fa perdere a Clori la ragione prima e poi la vita stessa:
chiaro è che Tirsi non corrisponde tali sentimenti.
Libretto
A cura di
Arsace
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