CANTORE E MAESTRO DELLA CAPPELLA PONTIFICIAALLA FINE DEL XVII SECOLO
LA FAMIGLIA DE GIUDICI DI CECCANO
La Famiglia de Giudici si stabilì a Ceccano, nella Diocesi di Ferentino, nel 1617, con l’Illustrissimo Signore Salvatore de Giudici, Capitano di Casa Colonna di Paliano, nativo della cittadina di San Lorenzo, l’attuale Amaseno. Il 24 gennaio 1617, nella Chiesa Arcipretale di San Giovanni Battista, Salvatore si unì in matrimonio con Donna Divitia Poti, figlia del Signor Fabio, di antica ed illustre famiglia ceccanese. Come registrato nell’atto a firma dell’Arciprete Fabrizio Pandolfi, lo sposo, per il “bacio”, attribuì a Donna Divitia Poti la considerevole somma di cinquanta scudi d’oro (1). La dote della sposa venne stabilita con atto del notaio Ambrogio de Ambrosi, nel quale erano contenuti i capitoli matrimoniali e la “risposta” del Capitano Salvatore, il quale accettava di trasferirsi nella Casa di Fabio Poti, ricevendo come dote la somma di scudi romani mille, di cui centocinquanta in beni mobili e ottocentocinquanta in beni immobili (2). Il Capitano Salvatore de Giudici godeva di grande prestigio e di una particolare considerazione da parte della Eccellentissima Casa dei Principi Colonna di Paliano, testimoniata da un corposo carteggio di lettere indirizzate da Salvatore a Filippo I e Girolamo Colonna, conservate nell’Archivio Colonna a Subiaco. Dai registri comunali, risulta che il Capitano svolse una intensa attività pubblica in Ceccano, come Viceconte del Principe Filippo I Colonna nel 1615 e come membro autorevole del Consiglio della Comunità. Nei periodi di assenza del Viceconte rappresentante dei Colonna, negli anni 1633-1634 e 1636, Salvatore presiedeva il Consiglio in qualità di “Luogotenente” del Viceconte ed in tale veste firmava il verbale delle sedute con la formula in latino <<Salvator pro V. Comes>> ed in un caso con il nome e cognome in italiano <<Salvatore di Giudici>> (3). Sempre i documenti di quegli anni testimoniano l’intervento del Capitano in alcune importanti decisioni, tra le quali si ricorda la costruzione del Convento dei Frati Minori Conventuali attiguo alla Chiesa di San Sebastiano. Il 6 gennaio 1623 la Comunità di Ceccano provvide alla nomina di un Camerlengo per la conservazione di tutte le entrate della Chiesa di San Sebastiano e delle offerte necessarie per la costruzione del Convento (4). Il 30 giugno 1638, dinnanzi al Notaio Ambrogio Ambrosi, la Comunità di Ceccano ed i Frati Minori Francescani stipularono una Convenzione per la Chiesa ed il Convento di San Sebastiano. Nell’atto, egli compariva come primo rappresentante della Comunità: <<Ill.mus D. Capitaneus Salvator de Judicibus>> (5).
Per quanto riguarda gli affari familiari, Salvatore, dopo il suo matrimonio, procede a vari acquisti di case e terreni, di cui abbiamo memoria in numerosi atti notarili di quegli anni, conservati nell’Archivio Notarile di Ceccano, presso l’Archivio di Stato di Frosinone.
Il palazzo della Famiglia de Giudici, ancora visibile nella Piazza Vecchia di Ceccano, con le sue caratteristiche proporzioni seicentesche, è il frutto degli interventi di ampliamento operati a più riprese dal Capitano Salvatore sulla casa appartenuta alla Famiglia Poti. Il grande portale del Palazzo in pietra bianca con cornice, si affaccia sulla Piazza che un tempo era la principale della cittadina, a pochi metri dall’antico ingresso della Chiesa Arcipretale di San Giovanni Battista. Nella seconda metà del XIX secolo, con i lavori di ampliamento della Chiesa Collegiata di San Giovanni Battista, una parte notevole della Piazza pubblica venne occupata dal grande presbiterio della Chiesa, la cui entrata principale venne capovolta verso l’attuale Piazza del Municipio. Al piano terra della facciata del Palazzo è inglobato un arco che immette in una stradina, la “Stretta Criscio”, che prosegue sotto il primo piano dell’abitazione ed al cui interno vi sono alcune porte di ingresso a Casa Giudici ed alle cantine.
Dal matrimonio del Capitano Salvatore con Donna Divitia nacquero cinque figli, tra cui il primogenito Federico e l’ultimo Gregorio. Federico fu notaio pubblico, agente dei Colonna di Paliano, Cancelliere della Comunità di Ceccano, Consigliere civico e Luogotenente in più occasioni, fra il 1689 e il 1690 del Viceconte Carlo Antonio de Carolis (6). I volumi dei suoi Protocolli notarili hanno inizio nel 1653 e terminano nell’anno 1696 (7). Fin dalla sua prima giovinezza, il padre Capitano Salvatore si impegnò ad ottenergli privilegi e distinzioni da parte dei Colonna di Paliano, come conferma una lettera della Principessa Anna Barberini-Colonna del 2 agosto 1636, nella quale la nobildonna segnalava al Capitano che l’assenza da Roma del Gran Connestabile Colonna gli aveva impedito di proporre al Principe l’assegnazione al giovane Federico dei “Benefici che erano per vacare in Patrica” (8). Nel corso dei decenni, il figlio del notaio Federico e di Donna Flamina, Salvatore junior, coadiuvò il padre nella gestione del patrimonio di Famiglia, che nel catasto del 1667 era stimato in ben 37 appezzamenti, con una proprietà di circa 100 tomoli di terreni, una delle maggiori della cittadina (9). Salvatore junior sposò a quarantotto anni la Signora Giovanna Paterni ed ebbe due figli Fabio e Federico, quest’ultimo nato pochi mesi dopo la morte del padre. Fabio fu per molti anni membro del Consiglio della Comunità di Ceccano, sostituito nell’ufficio dal nipote Costantino (figlio di Federico e della sua sposa Angela Maria Lauretti, figlia del notaio Domenico Lauretti). Costantino, Sindaco della Comunità nel 1771 e Consigliere per molti lustri, fino al 1805 (quando venne sostituito da uno dei figli, il notaio Salvatore), si segnalò per notevoli capacità amministrative, rafforzò il patrimonio di Famiglia con numerosi acquisti di terreni e di case, assumendo anche importanti incombenze. Il 24 ottobre 1765, egli stipulò un contratto con il Capitano Francesco Liburdi, delegato dell’Erario di Casa Colonna Felice Con salvi, divenendo “Affittuario dei terreni di Ceccano, della Fida dei Principi Colonna di Paliano” (10). Il fratello di Costantino, Domenico fu uno stimato chirurgo e morì nel settembre del 1772, senza aver fatto testamento, circostanza che rese necessaria la redazione dell’inventario dei suoi beni, giunto fino a noi. Il figlio di Domenico, Lorenzo sposò la Signora Elisabetta Gizzi, figlia di Antonio. Tra i figli di Costantino si distinsero Salvatore, notaio pubblico in Ceccano, Saverio e Vincenzo. Da Vincenzo e la sua sposa Giovanna Lauretti, il 16 marzo 1817, nacque Angelo, giovane di grandi speranze, che morì a soli trent’anni, lasciando grande rimpianto per le sue qualità personali ed umane. Angelo curò i beni di Famiglia e sposò la Signora Maddalena De Nardis, da cui ebbe tre figlie, Nazzarena, Lucia e Colomba. Nel gennaio 1842 presentò l’offerta per l’ufficio di Esattore Comunale di Ceccano, chiedendo come emolumento il 4% e proponendo come “Sicurtà solidale” il Signor Giuseppe Bonanome (11). Pochi mesi prima della morte, Angelo, per gli atti del Notaio Giovanni Battista Gizzi, rogò il suo testamento, nel quale innanzitutto invocava la Misericordia Divina per l’Anima <<come più nobile del corpo>> e disponeva come ultima dimora il sepolcro della Confraternita della Buona Morte nella Chiesa Arcipretale di San Giovanni Battista, sua parrocchia, prescrivendo la celebrazione dei funerali con <<Messa Parata, coll’Officio doppio di Requiem>> (12). In qualità di “tutore” delle sue tre figlie femmine, deputava il Signor Giuseppe Meschini, padrino di battesimo di Nazzarena e uomo d’affari molto noto in Ceccano, <<confidando molto nella sua attività e bontà per esse>> (13).
Nel Catasto Gregoriano, fra i beni di Lucia, Nazzarena e Colomba, provenienti dall’eredità del padre Angelo Giudici, figurano dei terreni in Contrada Cardegna di oltre 4 ettari, in Contrada Sant’Angelo e Contrada Maiura (14). Una grande casa posta in Contrada Le Querciole, appartenuta ad Angelo e proveniente dal patrimonio del nonno Costantino, venne venduta dalle figlie Lucia, Colomba e Nazzarena nel 1865, per 122 scudi e 95 bajocchi al Signor Domenico Peruzzi (15). La Signora Lucia Giudici nel novembre 1859 sposò il Signor Leone Gizzi ed i giovani sposi si stabilirono in Casa Giudici nella Piazza Vecchia, nella quale nacquero tutti i figli, fra cui l’ultimo, il nonno dell’autore di questa memoria biografica, Cesare Benedetto, nel 1884. Proprio in quell’anno, la Famiglia si trasferì nella nuova casa costruita da Leone Gizzi nei pressi dell’abside della Chiesa di San Nicola. L’antica abitazione della Famiglia Giudici venne venduta al Dottore Pirro Pirri, il quale nel luogo dell’antica Loggia della Comunità installò la Farmacia Comunale.
Lo stemma gentilizio della Famiglia de Giudici raffigura una bilancia a due piatti, con il Motto “Aequa Ministrat”, simbolo araldico della giustizia e dell’equità, ispirato direttamente al cognome.
NOTE
1) Archivio della Collegiata di San Giovanni Battista in Ceccano, Liber Matrimoniorum, carte 82.
2) Archivio di Stato di Frosinone, Archivio Notarile di Ceccano, Atti del Notaio Ambrogio Ambrosi, Fald. 49, Prot. 134, f. 82, r et v.
3) Archivio Comunale di Ceccano, Libri dei Consigli, Pre.2/7, f. 184r, 189v, 261v e 262r; Pre.2/5, f. 133v.
4) CARLO CRISTOFANILLI, Storia della Chiesa di San Sebastiano di Ceccano, Amministrazione Comunale di Ceccano, Assessorato alla Cultura, 1995, pagg. 67-68.
5) Ibidem, pagg. 69-70.
6) Archivio Comunale di Ceccano, Libro dei Consigli, Pre.2/11;
7) Archivio di Stato di Frosinone, Archivio Notarile di Ceccano, Atti del Notaio Federico de Judicibus, anni 1653-1696.
8) Ibidem, Fald. 81, Prot. 203, Lettera del 2 agosto 1636, terza di copertina.
9) Archivio Comunale di Ceccano, Libro del Catasto Anno 1667, f. 116 r et v.
10) Ibidem, Libri dei Consigli, Pre. 2/16-20; Archivio di Stato di Frosinone, Archivio Notarile di Ceccano, Atti del Notaio Loreto d’Ambrosi, Fald. 190, Prot. 414, cc 354-355 rr et vv e 370-371 rr et vv.
11) Archivio Comunale di Ceccano, Pre.10/1;
12) Archivio di Stato di Frosinone, Archivio Notarile di Ceccano, Atti del Notaio Giovanni Battista Gizzi, Fald. 309, f. 43 r et v.
13) Ibidem, f. 43 v.
14) Ibidem, Catasto Gregoriano, Ceccano, Registro Matrici, Vol. II, 585, n. 747.
15) Ibidem, Archivio Notarile di Ceccano, Atti del Notaio Luigi Bucciarelli, Fald. 326, Prot. 716, ff. 96-98 rr et vv. La divisione dei beni di Casa Giudici fra le tre sorelle Colomba, Lucia e Nazzarena è contenuta in un atto del Notaio Luigi Bucciarelli del 3 marzo 1863, Fald. 325, Prot. 713, ff. 31-42 rr et vv.
ALBERO GENEALOGICODELLA FAMIGLIA DE GIUDICI DI CECCANO
(parziale)
CAPITANO SALVATORE DE JUDICIBUS di San Lorenzo + Il 24 gennaio 1617 sposa nella Chiesa Arcipretale di San Giovanni Battista in Ceccano Donna DIVITIA POTI, figlia di Fabio | | ________________________________________________________________________ | | | | | FEDERICO Anna STEFANO Vittoria GREGORIO nato il 2 maggio 1621 n. 28 agosto 1623 n. 4 agosto 1626 n. 22 luglio 1630 n. il 24 dicembre 1633 morto nel 1697 battezz.il 29 agosto battezz. 10 agosto battezz. il 25 luglio batt. il 27 dicembre | morta nel 1681 morto dicembre 1697 | | + sposa Donna Flaminia | | _________________________________________ | | | FILIPPO SALVATORE FABIO MODESTO nato il 18 ottobre 1645 nato il 12 giugno 1648 battezzato il 19 ottobre morto nell’estate 1697 + il 23 marzo 1693 sposa Giovanna Paterni | | _________________________________________ | | FEDERICO FABIO Antonio Epifanio nato il 20 aprile 1698 nato il 6 gennaio 1694 battezzato il 21 aprile battezzato il 7 gennaio + + sposa la Sig.ra Angela Maria Lauretti sposa la Sig.ra Lucia Muccosi di Ferentino figlia del Notaio Domenico figlia del Tenente Filippo Andrea | | | IGNAZIO BENEDETTO | nato il 21 marzo 1732 | | | | | | _____________________________________________________ | | COSTANTINO DOMENICO nato il 6 giugno 1726 nato il 30 luglio 1728 morto il 1 giugno 1806 morto nel settembre 1772 + + sposa la Sig.ra Anna de Luca sposa la Sig.ra Colomba Caprini romana | | | | | | ________________________________________ | | | | | VINCENZO SALVATORE SAVERIO LORENZO nato il 9 luglio 1772 Notaio batt. il 3 settembre 1766 morto il 22 novembre 1826 + + sposa Elisabetta Gizzi Il 3 aprile 1809 nella figlia di Antonio Chiesa di San Giovanni Battista sposa Giovanna Lauretti | | ANGELO nato il 16 marzo 1817 battezzato nella Chiesa Abbaziale di San Nicola morto il 6 dicembre 1847 + il 21 febbraio 1841 nella Chiesa Arcipretale di San Giovanni Battista sposa Maddalena De Nardis | | | __________________________________________________________ | | | LUCIA COLOMBA NAZZARENA nata il 2 giugno 1843 nata il 25.XI.1845 nata l’8.II.1842 battezzata nella Chiesa di + + San Giovanni Battista il 4 giugno sposa sposa morta il 25 agosto 1926 ALESSANDRO PATRIARCA BENEDETTO TASSI | | + Il 29 novembre 1859 Sposa LEONE GIZZI
NASCITA, GIOVINEZZA ED ASCESA AL SACERDOZIO
Ultimo figlio del Capitano Salvatore e di Donna Divitia Poti, Don Gregorio de Giudici nacque a Ceccano il 24 dicembre 1633 nel Palazzo di Famiglia, sito nella Piazza principale della cittadina. Il 27 dicembre venne condotto nella Chiesa di San Giovanni Battista, contigua alla sua abitazione, dove l’Arciprete Fabrizio Pandolfi gli amministrò il Sacramento del Battesimo, di cui resta memoria nell’atto registrato al termine della cerimonia e conservato nel Liber Baptizatorum della Chiesa Arcipretale:
<<Gio: Gregorio Preforo Rocco nato di Cap.no Salvatore de Giudice e da D. Divitia sua moglie è stato battezzato da me Arcip.te e patrino è stato il Sig.r Francesco Ant.o Conti di Pofi e S. Portia Lucia nacque al 24 d.m.>> (1).
E’ significativa la presenza come Padrino di un membro della Famiglia Conti di Pofi, legata strettamente ai Colonna, a conferma dei legami sapientemente intessuti da Salvatore con i dignitari dello stato feudale dei Colonna, di stanza nella piccola capitale di Pofi. L’ambiente familiare, la condizione di prestigio e le qualità umane dei suoi genitori garantirono a Gregorio ed ai fratelli una sicura ed adeguata educazione, che li fece vivere in un’atmosfera piena di premure, e serena di affetti. La Famiglia de Giudici, guidata dal senso di responsabilità e dal rigore del Capitano Salvatore ed illuminata dall’amore materno di Donna Divitia, costituì una realtà umana che si impresse durevolmente nell’animo di Gregorio.
Dopo la morte del Capitano Salvatore, avvenuta quando Gregorio aveva cinque anni, fu Donna Divitia a curare l’educazione personale, umana e religiosa dei figli, vigilando sulla loro adolescenza e prima giovinezza.
Il 17 gennaio 1657, Donna Divitia Poti, vedova de Giudici, gravemente malata, con suo testamento stabiliva come luogo di sepoltura la Cappella di San Carlo Borromeo all’interno della Chiesa Arcipretale di San Giovanni, disponendo, per il suo funerale, l’Ufficio doppio e la Messa Cantata. Dei figlioli, Federico era ormai un notaio di prestigio e ben avviato verso una carriera di successo, già sposato e padre di alcuni bambini. Le preoccupazioni principali per questa donna di doti non comuni, che univa al grado sociale uno spirito profondamente religioso, erano tutte per il suo ultimogenito, da lei educare personalmente, che aveva reso meno tristi i lunghi anni della vedovanza.
Da lei, Gregorio aveva imparato a vivere rispettoso dei doveri verso se stesso e verso gli altri, con grande senso di riguardo e stima per tutti. Intelligente e volonteroso, con la sua spiccata personalità, egli rispondeva brillantemente alle premure materne ricevute. L’ambiente semplice di un piccolo borgo come Ceccano, la protezione e l’immenso amore della madre, lo stimolo a vivere con coerenza gli insegnamenti della Chiesa e con l’assidua frequenza ai Sacramenti, favorirono la maturazione nel fanciullo di una sincera vocazione sacerdotale. Proprio dal testamento della madre apprendiamo che, nel 1657, Don Gregorio era alla vigila del conseguimento dell’importante traguardo del sacerdozio.
Nell’atto, di cui conosciamo solo l’incipit, Donna Divitia lasciava al figliolo, affinché egli potesse accedere agli Ordini Sacri, la somma di scudi trecento, in stabili minuziosamente specificati:
<<A’ D. Gregorio suo figliolo leg.mo, et naturale, la terza parte d’una Casetta, che sta fuori della Terra di Ceccano nella c.ta dove si dice Le noci durante, vicino gli altri beni d’essa testatrice; Lascia al d.o D. Gregorio suo figlio come sopra, acciò arriva agl’ordini sacri in tanti stabbili scudi trecento, e con li detti stabbili s’intendano specificati, e nominati primieram.te l’Alboreto d’essa Testatrice che stà posto nel Terr. Di Ceccano nella c.ta detta La Fontana Vecchia di cap.tà circa sei tommoli vicino li beni delli Sig.ri Angeletti, la strada pub. da tre lati, et altri fini; la Casa, dove abitava, e stava il q.m m.e Fabio Poti Padre d’essa d. Testatrice, con patto, che esso D. Gregorio sia tenuto, et obligato annuatim consegnare ad un Sacerdote da messa tom. mezzo di grano, quale sii obligato celebrare tante messe per l’Anima d’essa Testatrice, sino à tanto, che non arrivarà esso D. Gregorio alla Santa Messa, e doppo, ch’esso sarà arrivato à cantare la Messa>> (2).
Con il conferimento degli Ordini Sacri, il giovane si consacrò definitivamente ed irrevocabilmente al Signore, iniziando un fecondo apostolato a servizio dei suoi concittadini. Come manifestazione di stima e di rispetto per la sua opera, il Consiglio della Comunità di Ceccano, nella seduta dell’8 dicembre 1660, rilevando che Don Gregorio de Giudici era l’unico sacerdote ceccanese a non avere alcun beneficio ecclesiastico, lo elesse Cappellano della Chiesa della Madonna de Loco, di juspatronato della Comunità, in sostituzione prima di Don Cesare Britio e successivamente di Don Pertio Poti suo parente (3).
Fra le prime preoccupazioni del giovane sacerdote vi fu anche quella di svolgere una attività educativa e pedagogica nella piccola scuola della Comunità in favore dei fanciulli, come ci conferma una deliberazione del Consiglio pubblico di Ceccano del 6 novembre 1662:
<<Il Sig.r D. Gregorio Giudici ha intent.ne d’aprir scuola di grammatica et insegnarli alli scolari leggere e scrivere e grammatica col salario solo delli scudi dodici senza prete.dere salario dalli scolari, ma solo legna e norma>> (4).
E questa sincera e generosa aspirazione del giovane sacerdote venne apprezzata dal Consiglio Pubblico della Comunità di Ceccano, che all’unanimità, gli affidò ufficialmente la piccola scuola comunale, unica istituzione in grado di assicurare ai giovani poveri e bisognosi i primi indispensabili elementi del sapere.
Anche alcuni atti notarili conservati nell’Archivio Notarile di Ceccano, testimoniano la presenza di Don Gregorio nella cittadina natale, prima del suo trasferimento a Roma. Il primo è l’atto rogato dal Notaio Silverio Ceccoli, datato 4 maggio 1648, un contratto di vendita della Selva nella Contrada Celletta per Scudi romani 510, effettuato dall’Illustrissima Signora Divitia Poti, vedova del Capitano Salvatore de Giudici, presente anche il loro ultimo figlio, Gregorio. Il giovane non era ancora entrato in seminario, poiché non viene citato come chierico. La vendita è fatta in favore dell’Eccellentissimo e Reverendissimo Mons. Egidio Colonna, Arcivescovo di Amasia, rappresentato dall’Illustrissimo Signore Giovanni Rosato Saltasbarre (5).
In un atto del Notaio Domenico d’Ambrosi di Ceccano, datato 5 febbraio 1663, Don Gregorio concede in affitto novennale ad un suo confratello nel sacerdozio, Don Gregorio Liburdi alcuni beni di Casa Colonna:
<<Costituito il Sig.r Sacerdote D. Gregorio Giudici da Ceccano pr.nte asserendo che da S.E. li nà stato dato in allocat.ne vita durante l’affitto del Castello come meglio appare all’ordine di S.E., quale affitto di Castello dico delle Casi che comincia col primo portone e segue dentro comprenti però l’horto e lavorativo di lo retrocede, e concede al Si.r D. Gregorio Liburdi p.nte per anni nove d’ancominciare hoggi, e finire come, per il quale affitto durante gl’anni nove esso Sig.r D. Gregorio Liburdi p.nte promette e s’obliga pagare al d.to Sig.r Giudici o a chi per lui un scudo l’anno a Santa Maria d’Agosto, et esso Sig.r D. Gregorio Giudici promette mantenere detto affitto per dett’anni nove di dette casi del Castello, e non rimuoverlo sotto qualsivoglia quesito ogni volta che detto Sig.r Liburdi pagarà come s.a detto scudo in detto tempo e così in solido s’obbligano loro stessi>> (6). L’atto è rogato nella Chiesa di Sant’Angelo, alla presenza dei testimoni, il Signor Nicola Colone e Lionardo Paterno da Ceccano.
Il luogo ed i musicisti con i quali il giovane chierico completò la sua formazione artistica non sono noti, ma la condizione agiata della sua Famiglia ci induce a pensare che non furono risparmiati maestri e precettori di sicuro valore. In ogni caso, fin dagli esordi della sua carriera musicale, Don Gregorio si trasferì a Roma con l’intento di perfezionare la preparazione e per tentare l’ingresso in qualche prestigiosa istituzione musicale della Città Eterna.
NOTE
1) Archivio della Ven. Collegiata di San Giovanni Battista in Ceccano, Liber Baptizatorum anni 1613-1646, c. 120r.
2) Archivio di Stato di Frosinone, Archivio Notarile di Ceccano, Atti del Notaio Federico de Judicibus, Faldone 77, c. 4r.
3) Archivio Comunale di Ceccano, Preunitario, Delibere del Consiglio anni , vol. 10, f. 34 r et v e f. 117r.
4) Ibidem, ff. 70v e 71r.
5) Archivio di Stato di Frosinone, Archivio Notarile di Ceccano, Atti del Notaio Silverio Ceccoli di Frosinone, Faldone 71, Prot. 183, cc 40-43 rr et vv.
6) Ibidem, Atti del Notaio Domenico D’Ambrosi, Faldone 60, Prot. 160, c. 164r.
MEMBRO DELLA CONGREGAZIONE DEI MUSICI DI SANTA CECILIA IN ROMA
Quando Don Gregorio de Giudici giunse a Roma, la città gli apparve come uno straordinario scrigno di tesori di arte millenaria, nel quale erano incastonati i migliori gioielli del rinnovamento urbanistico promosso dai pontefici negli ultimi decenni. L’immagine dell’Urbe che si spalancò dinnanzi agli occhi attoniti del giovane chierico offriva una serie imponente di opere architettoniche, senza eguale al mondo, fra cui si ergevano, accanto a ruderi dell’antichità classica, i modelli più ammirati dell’arte costruttiva del momento, che ispiravano un senso di vivissima sorpresa e di intensa emozione per grandiosità, linee, colori e concezione spaziale. Proprio in quegli anni, Bernini aveva completato il Colonnato di San Pietro, Francesco Borromini lo strepitoso Sant’Ivo alla Sapienza e pittori del calibro di Pietro da Cortona e Carlo Maratta, nobilitavano sale e cappelle con affreschi ammiratissimi. L’immagine della Roma pontificia tracciata da Sisto V con l’apertura di nuove strade, piazze e monumentali palazzi era stata ripresa e perfezionata dai suoi successori, Alessandro VII Chigi e Clemente IX Rospigliosi, che avevano promosso grandiose opere di incredibile suggestione, simboli del potere pontificio, capaci di dettare legge in Europa per oltre due secoli. Roma era meta di schiere di letterati, pittori, artisti, musicisti, viaggiatori e attori, che convenivano da ogni parte d’Europa. Con regolari cadenze ed in occasione di particolari cerimonie, fioriva una serie impressionante di celebrazioni con musiche, cori, luci, decorazioni, scenografie e grandi apparati nei luoghi sacri, negli oratori e nei palazzi nobiliari e degli ambasciatori stranieri. Come centro mondiale della Cristianità, la Roma papale aveva accentuato, anche per mezzo di cerimonie ed apparati fastosissimi, quel sincero rinnovamento religioso e spirituale promosso dal sacrosanto Concilio di Trento. Sede del Sommo Pontefice, la città era divenuta un centro ineguagliabile di committenza artistica in cui facevano a gara fra loro i cardinal-nepoti, gli alti prelati, i nobili romani e stranieri, le confraternite e le numerose fiorenti istituzioni religiose. Un aspetto fondamentale caratterizzava la religiosità barocca: la Chiesa militante celebrava la Gloria del Signore ed il suo splendore incomparabile, attraverso l’opulenza dei materiali e delle forme, esaltando la Fede e la Religione per mezzo dei migliori aspetti sensibili che alludevano e preludevano, in terra, a quelli spirituali ed ultraterreni della beatitudine celeste. All’interno delle chiese, l’arte barocca celebrava i suoi suggestivi trionfi: dorature, stucchi, drappi di stoffa pregiata, panneggi, marmi policromi, pitture e sculture, tutto convergeva verso l’Altare, sul quale la Chiesa offriva il Santo Sacrificio della Messa. Il fasto echeggiava anche nelle facciate esterne delle chiese, popolate da un susseguirsi di statue di santi, cornici, capitelli, colonne, stemmi ed emblemi.
Alla straordinaria e memorabile attività culturale che contrassegnò la seconda metà del XVII secolo a Roma, diede un impulso notevole la Regina Cristina di Svezia, convertitasi alla vera fede e stabilitasi nella Città Eterna fin dal 1655, accogliendo nel Palazzo Riario, sede della sua residenza, numerosi intellettuali, letterati, scienziati e musicisti (come Bernardo Pasquini, Alessandro Stradella ed in seguito Arcangelo Corelli ed Alessandro Scarlatti). La Regina Cristina promosse rappresentazioni, concerti, accademie culturali, cerimonie ed eventi festivi, in cui veniva accentuata al massimo la meraviglia e l’effimera bellezza delle forme e la caducità delle cose. L’idealizzazione classica con ninfe, muse e pastori, ispirata ai miti greci, portò, nel 1690, alla fondazione dell’Arcadia, un nuovo e prestigioso sodalizio letterario ed artistico che influenzerà il gusto dell’Europa intera. Fra i mecenati che si susseguirono negli anni di presenza di Don Gregorio a Roma ebbero maggior luce i cardinali Benedetto Pamphili e Pietro Ottoboni. Il primo fu rinomato per le accademie domenicali che riuniva nel suo Palazzo al Corso, in cui venivano rappresentate importanti composizioni e gli Oratori per i quali egli stesso scriveva il libretto. Con l’elezione di Alessandro VIII Ottoboni, avvenuta nell’ottobre 1689, il pronipote del Papa, il giovanissimo Card. Pietro Ottoboni, inaugurò un eccezionale periodo di mecenatismo artistico e musicale, che lo fece salutare come uno dei più grandi mecenati di tutti i tempi. Con una vastità di interessi culturali e musicali di certo non comuni, il Card. Ottoboni promosse una serie di eventi musicali di genere sacro e profano con il concorso dei migliori musicisti, fra cui le celebrazioni nella Chiesa di San Lorenzo in Damaso, le Cantate per la Notte di Natale nel Palazzo Apostolico, alla presenza del Papa e dei cardinali, numerosi oratori, cantate e sonate da camera, eseguite nel suo Palazzo della Cancelleria, a cui guardavano con ammirazione i musici di tutta l’Europa. Fra i musicisti che operarono alla corte del Pamphili e poi dell’Ottoboni ricordiamo innanzitutto Arcangelo Corelli, geniale violinista e compositore fra i più grandi di tutta la Storia della Musica, membro dell’Arcadia e vera autorità musicale della Roma di fine seicento. Grande stima godette anche Bernardo Pasquini, uno dei maggiori cembalisti e organisti del secolo, che brillava per le sue improvvisazioni, con cui sbalordiva gli ascoltatori. Verso il 1670, Pasquini divenne Maestro di Cappella del Principe Giambattista Borghese, poi della Regina Cristina e membro infine dell’Arcadia. Giacomo Carissimi, considerato ed ammirato come il padre della forma moderna dell’Oratorio, Maestro di Cappella della Chiesa di Sant’Apollinare del Collegio Germanico-Ungarico dei Padri Gesuiti, portò a grande perfezione il genere oratoriale, in cui la varietà drammatica era sostenuta da un accuratissimo accompagnamento orchestrale. Come compositore di musica sacra si impose Giuseppe Ottavio Pitoni, Maestro di Cappella fra i più celebrati dell’epoca, autore di un numero immenso di messe, mottetti, antifone e salmi, che concluse la sua carriera musicale come Maestro della Cappella Giulia in Vaticano e venne sepolto nella Chiesa di San Marco. Molti musicisti di assoluto talento del periodo barocco soggiornarono a Roma, dove iniziarono la loro parabola ascendente, propagando la loro influenza in tutta l’Europa. Fra i compositori che si formarono a Roma e vi dimorarono per un certo tempo, ricordiamo Alessandro Scarlatti, giuntovi a soli dodici anni, che fin dalla sua prima giovinezza operò con successo nell’ambiente musicale romano, presentando la sua prima opera nel 1679, a diciannove anni, sotto la protezione della Regina Cristina di Svezia e del Cardinal Pamphili. Ugualmente, il giovanissimo musicista modenese Antonio Maria Bononcini fu presente a Roma negli ultimi anni di residenza di Don Gregorio de’ Giudici, facendosi ammirare per le proprie geniali qualità di violoncellista e compositore. Negli anni cruciali per l’affermazione dell’arte musicale barocca, con il rinnovamento dei gusti, degli stili, tecniche e pratiche musicali e l’emancipazione dai vincoli polifonici, l’ambiente romano fu estremamente idoneo all’affermarsi di iniziative musicali che impegnavano una folta schiera di protettori e mecenati, esecutori, editori e tipografi nel genere sacro e profano, nell’intento di superare con fervida fantasia, i canoni del classicismo rinascimentale. Proprio a Roma si dispiegò l’opera di numerosi artisti di prima grandezza, verso le nuove conquiste estetiche del melodramma e della musica strumentale che iniziarono a definirsi con una propria ed acclamata dignità artistica.
In questo particolare momento, assunse un ruolo di primissimo piano la Congregazione dei Musici di Santa Cecilia, un organismo a statuto pontificio ordinario, riconosciuto ed approvato con vari documenti papali, fra cui una Bolla di Papa Sisto V ed un Breve di Urbano VIII (1). Queste disposizioni apostoliche simili a quelle emanate in occasione della costituzione di nuovi ordini religiosi, istituti, collegi e confraternite, assegnavano al sodalizio ceciliano dei compiti molto prestigiosi nel panorama artistico e culturale della Città Eterna. Le cerimonie musicali negli appuntamenti prestabiliti per statuto nel suo calendario liturgico e l’assistenza sociale dei musici confratelli infermi o indigenti, ne fecero un eccellente istituto di arte musicale e di provvida assistenza benefica. Alla metà del XVII secolo, i membri della Congregazione erano interpellati dall’alto patriziato romano per gli interventi musicali in occasioni festive e celebrative, fornendo strumentisti, musici, cantori e organisti di primissima scelta e svolgendo una assidua vigilanza nei settori della vita musicale pubblica romana. Proprio in quegli anni, l’attività dei Barberini e dei Rospigliosi nell’organizzazione degli spettacoli musicali, consentì alla Città di Roma di assumere una posizione di assoluta preminenza nel panorama del teatro musicale dell’epoca. La Congregazione dei Musici di Santa Cecilia aveva una struttura interna precisamente definita nelle cariche onorarie ed effettive. Il Cardinale Protettore conferiva prestigio, lustro e protezione al sodalizio in tutte le sue difficoltà, mentre il Prelato Primicerio assumeva le vere funzioni di presidente dell’istituzione. Accanto a queste figure si affiancavano, per i compiti pratici ed organizzativi, i “Guardiani”, presidenti delle varie categorie dei congregati: maestri di cappella, strumentisti, cantanti (musici) e organisti. Il Camerlengo era il tesoriere e responsabile amministrativo, afiancato dal Segretario. Molta importanza rivestivano le cariche di Infermiere e Visitatore delle Carceri, impegnati scrupolosamente nelle pratiche assistenziali in favore dei congregati, che costituivano una parte ammirevole dell’attività del sodalizio ceciliano.
I Verbali di due sedute della Congregazione dei Musici di Santa Cecilia documentano l’aggregazione del sacerdote e musico ceccanese Don Gregorio de Giudici all’insigne istituzione romana e, nel contempo, offrono uno squarcio di luce sulla sua biografia artistica e sulla sua personalità umana. Egli risultava aggregato al sodalizio ceciliano nella categoria degli esercenti, come musico cantore che svolgeva stabilmente ed ufficialmente una apprezzata attività artistica nelle cappelle e basiliche romane. In ogni caso, i dati su Don Gregorio che si ricavano dalle due sedute, hanno valore retrospettivo e ci inducono a ritenere che il giovane cantore facesse parte del sodalizio già da qualche tempo, figurando fra i congregati intervenuti alle riunioni nella categoria degli artisti che godevano di una posizione sociale e di una affermazione artistica riconosciuta professionalmente. Nel caleidoscopico e fervido ambiente musicale romano, Don Gregorio era una personalità musicale già in vista ed un serio professionista, che svolgeva la sua attività in posizioni di prestigio e con una precisa vocazione musicale. Certamente, egli si sentiva molto fiero del grande privilegio che gli veniva concesso di appartenere alla istituzione, considerandosi quasi insignito di una preziosa onorificenza artistica.
La prima seduta in cui figura il nome di Don Gregorio de Giudici si tenne il 18 marzo 1664, nella Chiesa di Santa Maria Maddalena, presso i Padri Ministri degli Infermi di San Camillo de Lellis (2). In quella occasione, la Congregazione Generale composta da ben 48 membri, venne chiamata ad eleggere i nuovi Officiali, cioè i quattro Guardiani, il Camerlengo, il Segretario, i Sindici e gli Infermieri. Nel corso delle votazioni, fu confermato Guardiano dei Maestri di Cappella Antonio Maria Abbatini, mentre per l’ufficio di Guardiano degli Organisti, si fronteggiarono varie candidature fra cui quella di Ercole Bernabei e Arcangelo Lori. Il Verbale della seduta costituisce un documento di grande importanza storica, nel quale Don Gregorio risulta a diretto contatto su un piano non solo artistico, ma anche umano e sociale, con alcune personalità del mondo musicale romano di assoluto rilievo ed estremamente influenti, come Antonio Maria Abbatini, Francesco Foggia, il celebre violinista Carlo Mannelli ed il cantore Francesco Litrico. Questi personaggi, con intenti di sincera fraternità e spirito di collaborazione, partecipavano all’attività di un sodalizio che preparava, in quegli anni, una nuova epoca per l’arte musicale, scenica, vocale e strumentale romana, promovendo, nello stesso tempo, una serie ammirevole di iniziative di carità.
Il nome di Don Gregorio è nuovamente citato nel Primo Volume dei “Verbali delle Congregazioni Generali e Segrete”, in data 22 ottobre 1669 fra i partecipanti alla Congregazione che si riunì sotto la presidenza del Primicerio, Mons. Girolamo Casanate, celebre letterato e futuro cardinale (3). Nella seduta vennero assunte delle importanti decisioni in ordine alla organizzazione di grandi celebrazioni musicali per l’imminente festa di Santa Cecilia.
Come attestano i due verbali, in queste sedute della Congregazione vennero trattati problemi di particolare natura e di significativa portata, relativi ai domini dell’arte e dell’assistenza sociale, a conferma dell’importanza dei compiti assunti dal sodalizio ceciliano negli anni del rinnovamento culturale e musicale della società romana, che caratterizzarono la seconda metà del XVII secolo.
NOTE
1) Sulla Congregazione dei Musici di Santa Cecilia, si veda REMO GIAZOTTO, Quattro secoli di storia dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, 2 voll., Roma 1970. Per uno sguardo d’insieme sul periodo romano negli anni di Arcangelo Corelli, si veda lo Speciale Amadeus su Arcangelo Corelli, De Agostini – Rizzoli Periodici, Milano 1998, con articoli di Massimo Rolando Zegna, Gloria Staffieri e Carlo Vitali.
2) Archivio dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Verbali delle Congregazioni Generali e Segrete, Volume I, cc. 41 r et v. Nei registri del sodalizio, la posizione di Don Gregorio de Giudici come congregato è la numero 299.
3) Ibidem, cc. 21 r et v. NELLE PRESTIGIOSE CAPPELLE MUSICALI ROMANE
Nelle istituzioni ecclesiastiche della Città Eterna si susseguivano a ritmo incessante occasioni estremamente propizie e sagacemente disciplinate, in cui veniva affidato alla musica di genere sacro il compito di rendere solenne e splendido il culto divino. Con grandi risorse e protezioni autorevoli, le realtà musicali cittadine formavano ed arricchivano gli orientamenti estetici di numerosi maestri di cappella, cantanti e strumentisti, per i quali non rari erano gli attestati di stima e di onori da parte della Corte Pontificia e degli ambienti aristocratici ed ecclesiastici. Anche Don Gregorio de Giudici, negli anni precedenti al suo ingresso nella Cappella Pontificia, strinse intensi e fecondi legami con alcune Cappelle Musicali romane, fra cui quella della Chiesa di Santo Spirito in Sassia e di San Luigi dei Francesi, dove fu al servizio in iniziative musicali importanti e prestigiose, che gli consentirono di affinare il gusto, la tecnica e lo stile del canto sacro romano.
L’Ospedale di Santo Spirito in Saxia, affidato nel 1204 da Papa Innocenzo III al Beato Guido di Montpellier ed ai suoi confratelli e suore nel borgo presso San Pietro, era considerato da secoli l’Hospitale Pontificium per eccellenza, il più celebre ed antico di Roma ed il più grande d’Europa. Nella Chiesa annessa all’Ospedale, secondo Don Antonio Allegra, autore di uno studio sull’Archivio Musicale di Santo Spirito in Saxia, <<fiorentissima era l’attività musicale liturgica, che aveva occasione di esplicarsi, sia nelle esecuzioni ordinarie, sia in quelle straordinarie delle festività più solenni, nelle quali la Chiesa di Santo Spirito, privilegiata per la sua posizione, (San Pietro essendo da quella poco distante), doveva mantenere un eccezionale decoro, tanto più che non di rado aveva l’onore di essere sede prescelta per la Cappella Papale. Così spese straordinarie si facevano nell’occasione della processione di Pentecoste, a cui il Pontefice interveniva>> (1). Sempre secondo Don Allegra, l’epoca del più grande splendore per la Cappella di Santo Spirito fu proprio il XVII secolo, quando Ercole Pasquini e Girolamo Frescobaldi erano organisti, Giovanni Francesco Anerio, Gregorio Allegri ed Oratio Benevoli Maestri di Cappella. La Cappella Musicale di Santo Spirito in Saxia era composta dal Maestro di Cappella, dai Cappellani Cantori e dall’organista, che assistevano in Choro alle Sante Messe, ai Vesperi ed alle Feste che si celebravano nella Chiesa, con il concorso della Cappella Musicale. I Cantori utilizzavano degli splendidi Codici musicali, alienati in seguito e passati ad arricchire la collezione della Scuola Benedettina di Ratisbona, che oggi si ammirano nella Biblioteca Prose-Haberl a Ratisbona. Nella Chiesa erano presenti due organi, uno dei quali maggiore, fabbricato da Nicola Dezzano da Cremona, costato ben 400 scudi ed inaugurato nel 1546. In particolar modo, la Domenica ed il Lunedì di Pentecoste, con la processione, richiedevano la partecipazione di cantori e strumenti, che sotto la guida del Maestro di Cappella eseguivano brani musicali durante le funzioni. Varie altre feste liturgiche si tenevano in Santo Spirito e richiedevano ugualmente la solenne presenza della Cappella Musicale. Proprio nell’esame dei documenti che testimoniano la vita musicale di questa Cappella Romana, Don Antonio Allegra ha rinvenuto il nome di Don Gregorio de Judicibus, come secondo basso e nella data del 4 agosto 1668 (2). Nel periodo in cui è attestato il servizio di Don Gregorio come Cappellano Cantore nella Cappella di Santo Spirito, l’ufficio di Maestro di Cappella era ricoperto da Don Francesco Berretta, religioso della Congregazione ospedaliera e quello di organista da Pietro Angelo Guidoni.
Dalla lista dei candidati ad un posto di Basso nella Cappella Pontificia del 1670, risulta che Don Gregorio de Giudici faceva parte in quel periodo della Cappella Musicale della Chiesa di San Luigi dei Francesi di Roma, in qualità di “Musico”, cioè cantante (3). Jean Lionnet, autore di un saggio sulla storia musicale di San Luigi dei Francesi ha ipotizzato che Don Gregorio sia succeduto a Giuliano Reali, quando questi aveva lasciato Roma alla volta di Monaco di Baviera, alla fine del 1665 (4). Il periodo di attività nella Cappella Nazionale francese a Roma fu molto importante per la carriera artistica di Don Gregorio, in quanto l’istituzione era formata da musici di primissimo piano, gravitanti nell’ambiente dell’Ambasciata di Francia, i quali, con grandiose rassegne musicali nelle solennità religiose (come le festività di San Luigi IX Re di Francia e di Sant’Ivo di Chartres) accrescevano lustro alla potenza politica e diplomatica alla “Figlia Primogenita della Chiesa”nella sede del Vicario di Cristo. Maestro di Cappella in quegli anni era un compositore molto apprezzato nella cerchia della Regina Cristina di Svezia, Ercole Bernabei, che di lì a poco avrebbe assunto l’ufficio di Maestro della Cappella Giulia in Vaticano, succedendo al suo maestro Orazio Benevoli, prima di raggiungere con grandi onori la Corte Elettorale di Monaco di Baviera.
Per il Prof. Giancarlo Rostirolla, <<parallelamente alla sua attività sistina, il Giudici partecipò spesso a celebrazioni con musica che si tenevano per festività e ricorrenze speciali nei maggiori istituti ecclesiastici di Roma>> (5).
Il Rostirolla cita in proposito due importanti presenze di Don Gregorio nella Basilica di Santa Maria Maggiore, la prima nella Messa Solenne della Domenica fra l’Ottava della Natività di Maria, l’11 settembre 1672, quando, come cantore in voce di Basso, figura in un cospicuo gruppo di musici, che cantò sotto la guida del celebre compositore e Maestro della Cappella Liberiana Antonio Maria Abbatini (6) e la seconda il 5 agosto 1679, per le grandiose celebrazioni di Santa Maria ad Nives, cioè nell’anniversario della Dedicazione della Madonna della Neve, celebrata in Santa Maria Maggiore con grande solennità e fasto, in ricordo della miracolosa nevicata che delimitò l’area della futura basilica, la prima dedicata alla Vergine Maria a Roma (7).
Dalla lista di pagamenti del 1672, si apprende che Don Gregorio sarebbe stato attivo anche nella Cappella Musicale della Chiesa di Santa Maria in Traspontina.
NOTE
1) Don ANTONIO ALLEGRA, La Cappella Musicale di S. Spirito in Saxia di Roma: appunti storici (1551-1737), in Note d’Archivio per la Storia Musicale, Anno XVII, n. 1-2 (gennaio-aprile 1940), pagg. 26-38.
2) Don ANTONIO ALLEGRA, Mastri e Cantori nella Cappella di Santo Spirito in Sassia (1551-1737), Tesi per Magistero in Composizione Sacra, Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma, 1937 (alla data).
3) Biblioteca Apostolica Vaticana, Cappella Sistina, Diario n. 88, 1670, c. 14v e 15r;
4) JEAN LIONNET, La musique à Saint-Louis des français de Rome au XVII° siècle, Edizioni Fondazione Levi, Venezia 1985-1986, supplemento a Note d’Archivio per la Storia Musicale, n.s. Anno III, 1985, I Volume, pag. 106 e supplemento a Note d’Archivio per la Storia Musicale, n.s. Anno IV, 1986, II Volume, pag. 111.
5) GIANCARLO ROSTIROLLA, La musica nelle istituzioni religiose romane al tempo di Stradella, in Chigiana, Firenze Leo S. Olschki Editore, MCMLXXXIX, pag. 744.
6) GALLIANO CILIBERTI, Antonio Maria Abbatini, Perugia 1996, pagg. 553 e 596. Il compenso attribuito a Don Gregorio fu di 0,60 scudi romani.
7) JOHN BURKE, Musicians of S. Maria Maggiore Rome 1600-1700/a social and economic study, Edizioni Fondazione Levi, Venezia 1984, pag. 117. Il compenso attribuito a Don Gregorio fu di uno scudo romano.
CANTORE E MAESTRO DELLA CAPPELLA PONTIFICIA
L’attività svolta da Don Gregorio, con serietà e dedizione, in molte cappelle musicali romane lo aveva posto in luce negli ambienti musicali ecclesiastici, procurandogli rispetto e considerazione. Ormai, nel complesso e suggestivo ambiente musicale romano, egli era considerato un cantore nella voce di Basso di notevolissime qualità, dedito al solo genere sacro, romano a tutti gli effetti, per scuola, vocazione ed elezione, dotato di una forte personalità in cui convergevano gli aspetti migliori della scuola artistica e culturale erede della tradizione polifonica palestriniana e del canto gregoriano. Legittimamente, la sua personalità aspirava alla dignità ed al prestigio della maggiore Cappella musicale Romana, quella Pontificia, di rinomanza mondiale, che costituiva simbolicamente ed idealmente il coronamento delle sue aspirazioni di artista, consentendogli di sviluppare a pieno le esigenze della sua vita musicale e, come sacerdote, di servire da vicino la sacra persona del Pontefice Romano.
La Cappella Musicale Pontificia, vantava le sue antiche e nobilissime origini nella Schola Cantorum riorganizzata da San Gregorio Magno nella Basilica di San Pietro allo scopo di conservare i canoni interpretativi dei canti della tradizione ecclesiale romana. Divenuta il coro personale del Pontefice, fu denominata anche Sistina, perché Papa Sisto IV, con Bolla del 1 gennaio 1480 aveva riorganizzato la Cappella Musicale come cantoria stabile e riservata per le funzioni papali, dandole nuova disciplina giuridica ed amministrativa. Per tali motivi, il Collegio dei Cantori era impiegato nelle funzioni papali, la cui ufficiatura avveniva nella Cappella Sistina <<Sacellum Sixtinum>>, del Palazzo Apostolico in Vaticano, affrescata da Mino da Fiesole, dal Signorelli, dal Beato Angelico, dal Perugino e poi da Michelangelo. I Cantori Pontifici dovevano cantare ogni giorno nella Cappella o nelle altre chiese in cui si recasse il Pontefice, impreziosendo le grandi ufficiature delle Cappelle Papali nelle feste e nelle domeniche.
La Cappella dei Cantori Pontifici costituiva il complesso di voci adibito al servizio liturgico presso la Corte Papale e godeva di una universale e vivissima stima, sempre rinnovata da parte dei Pontefici Romani, di molte Case Regnanti e di numerosi personaggi di rilievo. L’illustre ceto dei Cantori era annoverato tra gli ordini più cospicui della gerarchia ecclesiastica e già Papa Eugenio IV, nella sua Bolla “Et si erga cunctos”, del 1 febbraio 1403, onorava i Cantori come veri “Famigliari, e continui commensali del Pontefice” (1).
Andrea Adami, Cantore soprano della Cappella Pontificia, autore di un prezioso volume Osservazioni per ben regolare il Coro de i Cantori della Cappella Pontificia, a tal proposito, così si esprimeva:
<<La stima fatta sì da i Pontefici Romani, che dagli altri Principi, e Personaggi insigni de i Cantori della Cappella Pontificia, è stata sempre tale, che non poca ragione si ha di poterli annoverare tra gli ordini più cospicui della Gerarchia Ecclesiastica ne i secoli passati>> (2). <<Hanno poi i Sommi Pontefici sempre procurato di avere i migliori Virtuosi d’Europa per il servizio della loro Cappella>> (3).
Nel corso dei secoli, si erano succedute numerose Bolle e Brevi Pontifici che specificavano i grandi privilegi, le prerogative e le alte distinzioni concesse dai Sommi Pontefici all’illustre Collegio dei Cantori Pontifici.
Anche Gaetano Moroni, nel suo Dizionario di Erudizione Storico-Ecclesiastica, aveva parole di vivo elogio per la Cappella Musicale Pontificia, a testimonianza della grandissima stima di cui l’istituzione continuava a godere nei secoli:
<<Il Collegio dei cappellani Cantori della cappella Papale, è composto di ecclesiastici, scelti dopo gli sperimenti più rigorosi ne’ concorsi, sì per le voci, che per la perizia del canto. La loro musica è composta di sole trentadue voci, quando il numero è pieno, senza l’aiuto di verun istrumento; ed è tanto armonica, esatta, e divota, che in un alla sua gravità ecclesiatica, ha formato sempre lo stupore, e l’ammirazione delle più colte nazioni, ed accresce maestà alle auguste funzioni sagre, assistite o celebrate dal Sommo Pontefice e dal sagro collegio de’ Cardinali>> (4). Sempre il Moroni ricordava con profondo rispetto ed ammirazione gli <<uomini illustri ed insigni per dignità, santità, dottrina e scienza musicale che fiorirono nella Scuola dei cantori, e nel collegio di essi, i più rinomati professori di musica, e insigni cantori che accrebbero lustro al collegio e che lo arricchirono di preziose composizioni>> (5). <<Quando il Pontefice dispensa al trono nella cappella, le candele, le ceneri, le palme, e gli Agnus Dei benedetti, quattro cappellani cantori vi si recano a riceverle dopo i cubicularii, e nel venerdì santo altrettanti vanno all’adorazione della Croce, mentre gli altri proseguono il canto in coro, cioè nella cantoria. Anticamente tutto il collegio de’ cantori si recava all’adorazione della Croce, e al trono per ricevere dal Papa le sopradette cose. Il loro posto nelle processioni è avanti la prelatura, che ha l’uso del rocchetto>> (6). <<Nelle cappelle Cardinalizie, e prelatizie, fanno da diacono e suddiacono due cappellani cantori, assumendo allora i rispettivi paramenti sagri. Il Passio della domenica delle palme è cantato da tre sacerdoti cantori, cioè da un tenore, un contralto, e un basso, vestiti di amitto, camice, cingolo, e stola diaconale>> (7).
Enrico Celani, nel 1903, ricordando che la Cappella Pontificia <<tanto racchiude per la storia della musica sacra in Italia>> (8) pubblicò alcune notizie tratte da un manoscritto conservato nella Biblioteca Corsiniana di Roma, redatto dal Cantore della Cappella Sistina Matteo Fornari, nel 1749. Il Fornari, nel riflettere, con vari argomenti, sulla considerazione che i Pontefici avevano sempre manifestato per la <<celebre>> Cappella Pontificia e <<del pregio in cui hanno i medesimi in ogni tempo tenuto il canto ecclesiastico, distinguendovi i professori con laute grazie>> (9), illustrava lo scopo della sua narrazione storica: <<che il Collegio dei Cantori Pontifici abbia notizia di tanti valenti uomini che parte con la perizia e maestà del canto, parte con le scelte composizioni con le quali arricchirono il nostro archivio, hanno appo tutto il mondo resa cospicua la Cappella del Papa>> (10).
Del Collegio facevano parte i “Cantori esercenti”, cioè quelli iscritti al ruolo nell’attuale ed effettivo servizio, per ciascuna delle quattro parti di Soprano, Contralto, Tenore e Basso, ed i “Giubilati”, cioè i cantori che avevano raggiunto il traguardo dei 25 anni di servizio presso l’istituzione e continuavano a ricevere gli emolumenti fino alla loro morte.
Nella erudita ricostruzione operata da Gaetano Moroni, la “Famiglia Pontificia”, composta da quegli ecclesiastici e secolari addetti al domestico e personale servizio del Sommo Pontefice, ed agli uffici del suo Palazzo Apostolico, si divideva in due ceti, cioè i “Famigliari intimi e personali del Papa” ed i “Famigliari addetti al servigio dei Palazzi apostolici”. I Cantori Pontifici, riuniti in Collegio, per l’ufficio e la carica a loro conferita, godevano del titolo e della considerazione di “Famigliari e commensali del Papa”. Per questo, secondo le antichissime graduazioni e precedenze relative alle qualifiche dei “Famigliari intimi e personali del Papa”, il Collegio dei Cantori Pontifici era registrato nel ruolo del Sagro Palazzo Apostolico con le sue proprie prerogative, precedenze e con particolari attribuzioni ed emolumenti. Il superiore della “Famiglia Pontificia” era il prelato Maggiordomo Prefetto dei Sagri Palazzi Apostolici. Sempre secondo il Moroni, prestare domestico e personale servigio al Pontefice Romano, <<sovrano d’uno de’ più floridi stati d’Italia, che ha per capitale l’antica regina del mondo, riunisce la sublime e suprema dignità ed autorità di vicario di Gesù Cristo, e di capo della Chiesa Cattolica: grado eccelso che non ha pari sulla terra>> (11) costituiva una preziosa onorificenza ed una soddisfazione religiosa. Grande onore provavano i familiari del Papa nel vedersi continuamente impiegati nel suo servizio, abitare nella sua stessa nobile residenza e sperimentando gli effetti benefici, spirituali e temporali, di questa fortunata condizione. Per tali motivi, ai “Famigliari del Sommo Pontefice”, fra cui i Cantori Pontifici, si richiedevano <<bontà di vita, esemplarità di costumi ed integra condotta>> (12) quali veri omaggi di profonda venerazione prestati al Successore del Principe degli Apostoli.
Il Collegio dei Cantori Pontifici aveva il diritto al Sigillo grande e piccolo, con l’immagine di Maria Santissima Assunta in Cielo, titolo della Cappella, insieme ai privilegi della immediata privativa dell’ordinamento amministrativo di governare se stesso ed il diritto di fare leggi interne e multare i colleghi con pene pecuniarie e di altro genere, minuziosamente prescritte e regolate dalle Costituzioni.
Don Gregorio de Giudici partecipò per la prima volta al concorso per voce di Basso nella Cappella Pontificia il 18 giugno 1668 e fra molti concorrenti ottenne 20 voti in favore ed 11 contrari, risultato lusinghiero, ma non sufficiente per l’ingresso nel Collegio (13). Il 24 novembre 1670 tentò nuovamente la sorte, partecipando al concorso per la parte di basso, a cui veniva attribuita la mezza paga vacante per la morte del Cavalier Loreto Vittori, ma ottenne solo 6 voti favorevoli e 25 contrari (14).
Nel 1672 venne emanato l’Editto per un posto di Basso e Don Gregorio, al termine di un intenso periodo di preparazione, consapevole delle sue potenzialità, per la terza volta partecipò al concorso, che si svolgeva secondo delle norme ben precise e severe.
Con Bolla “Romanus Pontifex Christi Vicarius”, datata apud S. Petrum il 17 novembre 1545, Papa Paolo III aveva approvato le Costituzioni della Cappella presentate da Mons. Ludovico Magnasco, Vescovo di Assisi, Maestro della Cappella, concedendo al Collegio il privilegio di poter ammettere un nuovo Cantore, nella mancanza di un altro, per mezzo di una elezione da parte dei Cantori stessi con voti segreti. S’intendeva ammesso all’ufficio il concorrente che giungeva al partito di un voto in più di due terzi dei votanti. Paolo V con Breve del 7 febbraio 1607 confermò tale Bolla ed in particolar modo il privilegio della scelta dei nuovi Cantori, secondo le solennità prescritte dalle Costituzioni della Cappella, con concorso fatto per pubblico Editto e successivo esame dei candidati ad opera dai membri del Collegio stesso, a cui seguiva una votazione segreta.
Preliminarmente, si riunì la Congregazione del Collegio per un esame di quelli che dovevano concorrere e sopra le loro qualità, con una verifica dei loro “buoni costumi e buona nascita”. Il 14 dicembre 1672, si svolse la sessione solenne del Concorso. Il Cardinale Protettore, Virginio Orsini, romano, creato da Urbano VIII e nominato protettore da Clemente X il 5 settembre 1671, in abito corale, sedente sul ripiano del Trono della Cappella Pontificia, fu chiamato a presiedere alla prova dei concorrenti al cantorato, assistito dal Prelato Maggiordomo Prefetto dei SS. Palazzi Apostolici. I trenta membri del Collegio dei Cantori Pontifici, vestiti con sottana paonazza e ferraiolo nero, presero posto nei banchi dei Cardinali. I concorrenti, dopo aver fatto i consueti esperimenti, uno per volta cantarono una lezione. Fatti uscire aveva inizio la votazione da parte dei cantori presenti, che giudicavano così la performance del candidato. Il Collegio iniziava a votare e di mano in mano si portavano le bussole al Signor Cardinale, che provvedeva personalmente a porre i voti ancora segreti in un contenitore, su cui veniva scritto sopra il nome del concorrente. Al termine dell’esame e delle votazioni ed alla presenza del Collegio, il Cardinale Orsini procedette all’apertura dei piccoli contenitori ed allo spoglio dei voti.
Il risultato, questa volta premiò pienamente la tenacia e le grandi qualità vocali di Don Gregorio. Caso molto raro in un concorso della Cappella Pontificia, egli ottenne all’unanimità il voto degli esigentissimi cantori pontifici e conseguì immediatamente l’ambito e prestigioso ufficio. Il Diario Sistino del 1672, nella sua immediatezza ci offre la cronaca del grande successo conseguito da Don Gregorio:
<<Don
Greg.o de Judicibus in fav.re 30>> <<E così con commune applauso fù chiamato il Sig.r D. Greg.o e gli fù data dall’Em.mo Protett.re la Cotta con gusto un.le, e dopo si mise all’ult.o luogo e li fù dato l’osculum pacis>> (15).
Con sua grande soddisfazione, Don Gregorio poté ricevere le congratulazioni dei suoi nuovi colleghi e rivestirsi dell’Abito dei Cantori Pontifici, cioè la veste talare, fascia e collare di seta paonazza, con mostre, asole e bottoni cremisi e mantello o ferraiolone di seta nera. Quando era in servizio nelle Cappelle e Funzioni liturgiche, sulla veste o sottana paonazza, egli doveva indossare la cotta clericale.
Il canto solenne, i luoghi ricchi di storia e i riti legati al loro servizio musicale avevano fatto sì che il Collegio assumesse un significato quasi mitico. I Cantori Pontifici, infatti erano partecipi di un’aura leggendaria ed immersi nell’atmosfera sacrale della Corte Pontificia, che si era mantenuta e rafforzata nel tempo, tra storia e leggenda, con le sublimi creazioni del Palestrina e con la piena applicazione delle direttive musicali sancite dal Sacrosanto Concilio di Trento. Il canto nel suo stile solenne aveva le sue caratteristiche “romane” specifiche nella sobrietà e nell’atmosfera sacra della lode divina, da cui emanava una interpretazione artistica della scrittura polifonica di prima grandezza e suggestione.
Solo dopo che Don Gregorio, nella sua qualità di novizio, ebbe prestato il giuramento di fedeltà alle Costituzioni del Collegio, i Cantori Pontifici iniziarono a disvelare ai suoi occhi le chiavi interpretative ed i segreti nel canto di cui erano gelosi depositari, insieme alle notizie sulla vita collegiale dei maestri cantori e sulle consuetudini della Cappella Pontificia. Possiamo ben immaginare con quanta emozione egli fece il suo ingresso, per la prima volta, nella Cantoria monumentale della Cappella Sistina, opera di Mino da Fiesole e G. Dalmata, la loggia marmorea destinata ai cantori, a forma di parapetto sporgente, nella quale il coro intonava le sue splendide melodie.
I luoghi delle celebrazioni solenni in cui interveniva il Pontefice erano in primo luogo la Cappella Sistina nel Palazzo Apostolico Vaticano, la Cappella Paolina nel Palazzo del Quirinale e la Basilica di San Pietro in Vaticano. Nei fastosi apparati e cerimonie della Roma papale, il Collegio dei Cantori Pontifici utilizzava dei preziosissimi Codices Cantorum, cioè dei libri musicali in pergamena, con le esclusive opere musicali dei più famosi cantori-compositori, scritti con bellissimi caratteri da eccellenti calligrafi ed adornati con splendide miniature, capolettera e fregi spesso di soggetto religioso, secondo lo stile dei tempi. Un solo codice di notevoli dimensioni, posto sul leggio, permetteva la lettura delle note da parte di tutti i cantori del coro. Per il loro ufficio musicale, i Cantori potevano consultare l’Archivio del Collegio dei Cantori Pontifici, che aveva il suo ingresso nella quarta porta della Sala Ducale, su cui era affisso il cartiglio:“Archivio de’ Musici cantori della Cappella Pontificia”. Negli armadi delle sue stanze, si conservavano libri e pergamene delle più preziose composizioni musicali utilizzate nelle funzioni fatte dal Papa o in cui interveniva un Cardinale. Un posto d’onore era riservato alle nobilissime composizioni del Principe della Musica, Giovanni Pierluigi da Palestrina, che conferivano ogni splendore al canto ecclesiastico della Chiesa di Roma.
Gli emolumenti spettanti ai Cantori Pontifici erano molto pingui. Gregorio XIV con Breve datato 1 ottobre 1591 aveva stabilito le rendite del Collegio dei Cantori, concedendo 200 scudi annui a ciascuno di essi. Quali Famigliari Pontificii, i Cantori avevano diritto, dal 1672, al pane ed al vino, concessione che traeva la sua origine dalle colazioni e pranzi che essi in passato ricevevano nel Palazzo Apostolico ogni volta che in Cappella celebrasse un Cardinale o un Vescovo Assistente al Soglio Pontificio. Inoltre, a turno ricevevano una scatola di confetti. Numerose e molto consistenti erano le propine di cui godevano da sempre in occasione della concessione dei cappelli cardinalizi, di cerimonie cardinalizie e con vescovi assistenti al Soglio Pontificio e di vari introiti, in occasione di canonizzazioni, beatificazioni ed esequie di cardinali e vescovi. Al suo ingresso nella Cappella Pontificia, come era antica consuetudine, Don Gregorio ebbe “metà della paga” ed il 20 settembre 1680, con esplicito mandato del Cardinale Protettore, Felice Rospigliosi, venne ammesso a godere dell’altra “mezza paga”, godendo così dell’emolumento pieno (16).
Nel Diario Sistino del dicembre 1672, sono compiutamente registrati i primi impegni ufficiali di Don Gregorio de Giudici, nella sua nuova veste di Cantore Pontificio (17). Domenica 19 dicembre, Cappella Papale, Cantò la Messa Mons. De Angelis, Vice Gerente, alla presenza del Pontefice Clemente X. 24 dicembre, Cappella Papale per la Natività di N. S.re Gesù Cristo, alla presenza di Sua Santità Clemente X, rivestito della Cappa Magna. Notte di Natale, Cappella Papale senza la presenza del Papa. Cantò la Messa l’Em.mo Cardinale Carpegna, Datario. Mattina di Natale, Cappella Papale in Monte Cavallo, cioè nella Cappella Paolina del Palazzo del Quirinale, colla presenza di N. S.re. Cantò la Messa il Cardinale Barberini, Decano del Sacro Collegio. Lo stesso giorno, dopo il pranzo, il Collegio cantò il Vespro Segreto nelle Camere di N. S.re. Lunedì 26 dicembre, Festività di Santo Stefano Protomartire, Cappella Papale, colla presenza di N. S.re. Cantò la Messa il Cardinale d’Este. All’Offertorio, il Collegio dei Cantori Pontifici intonò il mottetto Cum autem esset Stephanum, del Palestrina Martedì 27 dicembre, Festività di San Giovanni Apostolo ed Evangelista, Cappella Papale colla presenza di N. S.re. Cantò la Messa il Cardinale Portocarrero. All’Offertorio, venne eseguito il mottetto Hic est Beatissimus Discipulus, del Palestrina.
Il Pontefice regnante, al cui servizio entrò Don Gregorio era il romano Emilio Altieri, eletto Papa con il nome di Clemente X, a ottanta anni, dopo cinque mesi di conclave, il 29 aprile 1670. Di animo mite e consapevole delle difficoltà del governo, aveva affidato gli affari amministrativi dello Stato della Chiesa al Cardinal Paluzzo Paluzzi degli Albertini, concedendogli il cognome Altieri. In politica internazionale fu amico di Giovanni Sobieski, favorendo la sua elezione a Re di Polonia nel 1674. Il pontificato di Clemente X fu fecondo di opere volte ad assicurare il benessere dei sudditi e l’abbellimento di Roma, sede del Papato, favorendo le arti e le ultime opere dell’ormai anziano Bernini, che su mandato del Papa eseguì il ciborio in bronzo per la Cappella del Santissimo Sacramento in San Pietro ed alcune statue per la decorazione di Ponte Sant’Angelo. Sempre il Pontefice nominò architetto di corte Carlo Rainaldi, in sostituzione del Bernini. Nelle ultime promozioni cardinalizie di Papa Clemente X, ottennero il galero illustri personalità ecclesiastiche: il 16 gennaio 1673, il Cardinale Felice Rospigliosi, nipote di Clemente IX; il 12 giugno 1673, Francesco Nerli, Girolamo Gastaldi, il celebre letterato Girolamo Casanate e Pietro Basadonna, mentre l’ultimo Concistoro del Pontificato si tenne il 27 maggio 1675.
Papa Clemente X celebrò il XV Giubileo della Storia della Chiesa, l’ultimo del XVII secolo. Il primo Anno Santo era stato introdotto da Papa Bonifacio VIII, nel 1300, su ispirazione dello zio, il Beato Andrea Conti dell’Ordine Francescano. Clemente X lo aveva indetto alla veneranda età di 84 anni, con la Bolla “Ad apostolicae vocis oraculum” del 16 maggio 1674. Per il Collegio dei Cantori Pontifici, l’Anno Santo fu ricco di impegni solenni, a cui il Collegio seppe far fronte in maniera impeccabile, destando l’ammirazione dei pellegrini, accorsi da ogni parte del mondo nel numero di un milione e mezzo, che poterono apprezzare quanto fossero accurate le esecuzioni della Cappella, insuperabile nell’arte polifonica e nello spirito liturgico.
La Notte di Natale del 1674, il Pontefice aprì solennemente la Porta Santa nella Basilica di San Pietro. Assistevano alla cerimonia la Regina Cristina, insieme a molte principesse e principi tedeschi. I romani videro in quell’occasione, per la prima volta, il ricco Tabernacolo della Cappella del Santissimo Sacramento, eseguito secondo il disegno di Gian Lorenzo Bernini e costato 40.000 scudi romani. La solenne cerimonia ebbe inizio nella Cappella Sistina, dove Papa Clemente X giunse in Sedia Gestatoria <<alle 20 hore, accompagnato dal Sacro Collegio>> (18). Dopo aver pregato dinnanzi al Santissimo Sacramento esposto, il Papa intonò l’inno Veni Creator Spiritus, proseguito dal Coro dei Cantori, che intonarono tutti i versetti nella processione che giunse in Piazza San Pietro e, successivamente, nel Portico della Basilica. Giunto il Pontefice in Sedia Gestatoria nel Portico, salì sul Trono ed il Coro intonò il versetto conclusivo dell’Inno. Come nota puntualmente il Diario Sistino del 1674, una metà dei Cantori Pontifici rimase fuori dal piccolo coro eretto per loro, cosa che creò qualche piccolo problema. Anche se il Maestro di Cappella aveva inviato due Cantori vicino al Papa, <<per il gran tumulto del Popolo>>, fu molto difficile per il Coro rispondere ai vari versetti. Sceso dal Soglio, il Papa prese dalle mani del Cardinale Penitenziere Maggiore il Martello d’Argento, con cui percosse la parete della Porta Santa, intonando le parole: Aperite mihi Portas iustitiae A cui il Coro rispose Ingressus in ea confitebor Domino.
Percuotendo poi la seconda volta la Porta con il Martello, il Papa cantò le parole: Introibo in domum tuam Domine. Sempre il Coro dei Cantori rispose: Adorabo
ad templum sanctum tuum, in timore tuo. Percuotendo la terza volta la Porta Santa il Papa cantò: Aperite Portas, quondam nobiscum est Deus. E il Coro rispose: Qui fecit virtutem in Israel. Subito dopo cadde la Porta e mentre venivano puliti gli stipiti, il Coro dei Cantori intonò il Salmo Jubilate Deo. Dopo altre cerimonie, il Papa, tenendo nella mano destra la Croce e nella sinistra una candela accesa, si inginocchiò in mezzo alla Porta ed intonando il Te Deum laudamus, proseguito dal Coro dei Cantori, entrò nella Basilica di San Pietro per la Porta Santa, mentre il Coro, dopo aver terminato il canto dei versetti dell’inno, si poneva nello spazio ad esso assegnato, accanto all’altare degli Apostoli. Il Sommo Pontefice rientrò quindi nelle sue stanze ed il Vespro venne cantato dal Cardinale Orsini. Il Mattutino fu cantato dal Cardinale Carpegna e la mattina della Festa del Santo Natale di Nostro Signore Gesù Cristo, fu il Cardinale Francesco Barberini a cantare la Santa Messa nella Cappella Sistina, alla presenza di Clemente X. Come registra il Diario Sistino, tutti i cantori furono presenti e diligenti nel prestare il servizio musicale durante la celebrazione solenne.
La Domenica in Albis, 21 aprile 1675, presso l’Altare della Cattedra nella Basilica di San Pietro, Clemente X pubblicò il Breve Pontificio con cui veniva dichiarato Beato il Servo di Dio Giovanni della Croce, celebre mistico e fondatore dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi. Domenica 30 giugno, di nuovo nella Basilica Vaticana, venne dichiarato Beato il francescano spagnolo della stretta osservanza, Francesco Solano, inviato da Re Filippo II nelle Americhe, dove si era distinto per l’amore per i nativi, tanto che nel Paraguay ed in Perù venne chiamato “il Taumaturgo del nuovo mondo”. Sempre nella Basilica Vaticana, il 24 novembre 1675, Clemente X proclamava Martiri e Beati i 19 Servi di Dio martirizzati a Gorkum in Olanda, nel 1572. Clemente X, che aveva promulgato i decreti di Canonizzazione di San Gaetano da Thiene, Francesco Borgia, Filippo Benizi e Rosa da Lima, nel 1675 beatificò anche Caterina da Genova.
La Settimana Santa, in particolare, fu dedicata a solenni cerimonie e all’accoglienza ed assistenza dei pellegrini. La Regina Cristina di Svezia, si recava presso la sede della Confraternita della Santissima Trinità, accompagnata da altre dame della nobiltà e le varie Compagnie organizzavano ogni giorno una solenne processione, con macchine raffiguranti i misteri della vita del Signore, commissionate al celebre architetto Fontana. Il Venerdì Santo, la Confraternita della Trinità, guidata dal Cardinale Paluzzo Altieri, fornì la cena a 13.000 pellegrini. Il vecchio Pontefice ottantacinquenne, si distinse per la particolare cura prodigata nell’assistenza dei pellegrini. Impartì la solenne benedizione sette volte e visitò le Sette Chiese per cinque volte, recandosi personalmente nell’ottava della Festa della Beatissima Vergine del Rosario ad una funzione in Santa Maria della Minerva, ove personalmente recitò il Rosario a voce alta, con grande edificazione dei fedeli. Il 25 novembre 1675, il Collegio dei Cantori Pontifici ottenne dal Pontefice il privilegio di poter lucrare l’indulgenza plenaria del Santo Giubileo con la processione dal Quirinale e la visita della Basilica di San Pietro. A tale scopo, il Cardinale Protettore, intimò a tutti i membri del Collegio, i Maestri delle Cerimonie ed i Prelati della Cappella Pontificia di intervenire alla cerimonia, stabilendone anche il giorno e l’ora.
La sera di martedì 24 dicembre 1675, venne celebrata in San Pietro la funzione per la chiusura della Porta Santa. Il Vespro venne intonato dal Cardinale Virginio Orsini, Protettore della Cappella dei Cantori Pontifici, alla presenza del Sacro Collegio, ma non del Pontefice, che non vi assisteva per la sua grave età. Al termine del Vespro, tutti i cardinali in abiti sacri si recarono nella Cappella del Santissimo Sacramento, dove venne mostrato per l’adorazione il Volto Santo della Veronica. Con l’arrivo di Clemente X <<si diede principio alla Processione verso la Porta Santa, tutti con candele accese, et essendo stato l’ultimo N.ro Sig.re come fu il P.mo nell’aprirsi, così nel principio della Process.ne, la S.tà Sua intonò Cum Jucunditate vestitis>> a cui il Coro dei Cantori rispose in contrappunto (19). Giunti al Soglio, il Papa si assise e senza la mitra, scese per benedire i cementi, pronunciando alcuni versetti. Durante l’apposizione della prima pietra, il Coro cantava il Celestis Urbis Jerusalem. Al termine, il Papa tornò a sedere nel Trono e deposta la mitra, recitò alcuni versetti, seguiti dall’intonazione del Te Deum, alla conclusione del quale, sempre dal Soglio nel Portico della Basilica, diede la Benedizione con l’Indulgenza Plenaria, in forma di Giubileo. <<I Sig.ri Compagni tutti presenti, e v’intervenne anche la maggior parte de Sig.ri Giubilati>> (20). Mancò solo il soprano Giuseppe Fede, recatosi a cantare nella Basilica di Santa Maria Maggiore, con licenza del Cardinale Altieri. La Notte di Natale, cantò all’ora solita il Mattutino e la Messa, il Cardinale Gastaldi, alla presenza del Sacro Collegio e tutti i Cantori furono presenti, eccettuato Giuseppe Fede. La mattina del giorno di Natale, vi fu Cappella Papale in Vaticano, presente Clemente X ed il Sacro Collegio. Cantò la Messa il Cardinale Francesco Barberini, Decano del Sacro Collegio ed il Papa, dalla Loggia delle Benedizioni, impartì la Benedizione con l’Indulgenza Plenaria in forma di Giubileo. Tutti i Cantori furono presenti, eccettuato Giuseppe Fede. Come annota il Diario Sistino, a causa della gran confusione di gente per l’Anno Santo, non venne offerto ai Cantori Pontifici il solito pranzo nel Palazzo Apostolico, ma il Santo Padre attribuì ugualmente ad ognuno di essi uno scudo romano, come da tradizione (21).
Clemente X morì il 22 luglio del 1676 alle ore 17 del pomeriggio, ed alle ore 20, conclusa la ricognizione canonica del cadavere, le sue spoglie vennero condotte nel Palazzo Vaticano. Il 26 luglio, dopo il tramonto del sole, venne sepolto nei pressi della Cappella del Santissimo Sacramento, da dove poi fu traslato, il 15 ottobre 1691, nel suo monumento funebre innalzato presso l’Altare di Santa Petronilla. I nove giorni delle solenni celebrazioni di suffragio, i Novendiali, furono contrassegnati dalle Messe Pontificali di Requiem per l’anima del defunto Pontefice, celebrate nella Cappella della Pietà in San Pietro, alla presenza del Sacro Collegio. In queste funzioni il Collegio dei Cantori fu intensamente impegnato, con la magistrale ed impeccabile interpretazione delle struggenti melodie gregoriane e di alcuni brani polifonici, che inondarono la Cappella di una profonda mestizia e vivo raccoglimento. Dal settimo al nono giorno, le Solenni Esequie prescrivevano anche le Assoluzioni al Catafalco, nel corso delle quali, quattro cantori assistevano ai quattro angoli del Catafalco i cardinali vestiti di piviale nero che impartivano le solenni assoluzioni. Nel Diario Sistino era registrata giornalmente ognuna di queste cerimonie:
<<30 Giovedì. 7.a Esequie. Finita la Messa si cantorono li 5 risponsorij, e fù incensato il Catafalco. Niuno fù assente>> (22).
Al termine dei Novendiali in suffragio dell’anima di Clemente X, il 2 agosto 1676, il Cardinale Francesco Barberini, Decano del Sacro Collegio, celebrò la Messa dello Spirito Santo. In questa solenne celebrazione, il Coro intonò alcuni preziosi brani del repertorio scritto in vari tempi dai cantori della Cappella, fra cui, all’Offertorio, il Cantate Domino di Ruggero Giovannelli. Dopo la Santa Messa, nella Cappella Paolina, i cardinali prestarono il consueto giuramento per l’apertura del Conclave. Il 21 settembre, dopo la celebrazione della Santa Messa de Pontifice Eligendo, nella Cappella Sistina, con 20 voti e 42 nell’Accessus, venne eletto Papa il Cardinale Benedetto Odescalchi, di Como, del titolo di Sant’Onofrio, che assunse il nome di Innocenzo XI.
La cerimonia della Incoronazione del nuovo Pontefice si svolse il 4 ottobre nelle Patriarcale Basilica di San Pietro. Innocenzo XI giunse nel vestibolo della Basilica in sedia gestatoria, mentre il Coro dei Cantori intonava l’Ecce sacerdos magnus. L’Arciprete della Basilica, il Capitolo ed i chierici resero quindi omaggio al Pontefice con il bacio del piede e la consegna delle chiavi, al canto del Mottetto Tu es Petrus. Subito dopo, il Papa faceva il suo ingresso nella Chiesa e dopo aver adorato il Santissimo Sacramento, ascese al Trono preparato nella Cappella di San Gregorio, dove al canto del Te Deum, il Sacro Collegio ed i prelati gli resero omaggio. Indossati i paramenti pontificali, il Papa si avviò verso l’Altare della Confessione. Davanti a Innocenzo XI procedevano due Maestri delle Cerimonie, uno portava un cuscino di seta con della bambagia e l’altro una lunga canna d’argento con in cima un lucignolo di bambagia. Per tre volte il corteo si fermò e ciascuna volta un chierico bruciava un batuffolo di bambagia fermato alla canna d’argento, mentre il Maestro delle Cerimonie cantava la celebre frase: Pater Sancte sic transit gloria mundi! Dopo l’imposizione del Pallio ed il canto del Gloria e delle collette, il Cardinale Protodiacono, accompagnato dagli Uditori di Rota e dagli Avvocati Concistoriali, discese sotto la confessione, nella Cappella dove sono conservate le reliquie del Principe degli Apostoli per il canto di alcune particolari litanie. Per tre volte cantò il Christe audi nos, con risposta del Collegio dei Cantori a cui seguì la preghiera: Domino nostro Innocentio a Deo decreto Summi Pontifici et Universali Papae, vita, e le litanie alla Santissima Vergine Maria, agli Angeli e Santi, alle quali il Coro rispondeva Tu illum adjuva! L’Epistola ed il Vangelo vennero cantati in latino ed in greco, a significare la cattolicità della Chiesa di Roma e, nell’Offertorio, il Coro dei Cantori Pontifici intonò lo splendido mottetto di Felice Anerio In Diademate Capitis Aaron.
Al termine della Santa Messa, il Collegio dei Cantori si portò alla Loggia delle Benedizioni, dove, all’arrivo del Papa, venne intonato il Mottetto a cinque voci Corona aurea super caput ejus espressa signo sanctitatis, gloriae et honoris del Palestrina. Fu il Cardinale Francesco Maidalchini, come Primo Diacono a cingere sulla testa del nuovo Papa il “Triregno”, simbolo del triplice ministero di supremo maestro, sacerdote e re affidato al Pontefice, dicendo Accipe Tiaram tribus coronis ornatam. Conclusasi con la solenne Benedizione Papale la cerimonia, il Collegio dei Cantori, secondo una antico privilegio, venne ammesso al bacio del piede del nuovo Pontefice. Innocenzo XI prese possesso della Basilica Lateranense l’8 novembre 1676.
Amante della vita ritiratissima, schivo di applausi e nemico del nepotismo, dignitoso nel portamento, celebre per la santità di vita ed il suo rigore, alto di statura con fronte ampia, il naso aquilino ed il mento sporgente, Innocenzo XI soppresse la posizione di cardinal-nepote e diede alla Segreteria di Stato una organizzazione più moderna conservatasi fino al XX secolo. Negli affari religiosi pose grande attenzione nella scelta dei vescovi, curò l’educazione del clero, l’istruzione catechistica e la predicazione del Vangelo in forma semplice e pratica, promosse l’educazione dei giovani e l’assistenza spirituale dei malati. Ebbe molto a cuore il culto della Santissima Eucaristia, approvando la Comunione frequente e quotidiana. Difensore acerrimo della integrità della dottrina religiosa, fu energico nel riaffermare l’autorità papale, avendo per questo lunghi contrasti con il Re di Francia Luigi XIV. Per quanto riguarda la vita pubblica, combatté l’usura ed il gioco d’azzardo, volle che fosse amministrata rettamente la giustizia, riformando i tribunali, fu avversario delle recite teatrali e proibì i divertimenti del carnevale.
Il 2 luglio 1679, nella Basilica Vaticana, all’Altare della Cattedra, promulgò il Breve di Beatificazione di Toribio de Mogrovejo, ecclesiastico nato in Spagna nel 1538, Arcivescovo di Lima in Perù, evangelizzatore e protettore delle popolazioni indios.
Il cerimoniale pontificio riserbava grande solennità ai “Concistori”, nei quali il Sommo Pontefice conferiva il Cappello Cardinalizio ai prelati chiamati ad assumere l’alto ufficio di Principi della Chiesa e primi collaboratori del Papa nel Collegio Cardinalizio. In occasione di queste cerimonie, il Collegio dei Cantori Pontifici si recava nella Cappella di residenza del Pontefice, dove il coro dava principio ai Mottetti a più voci, che proseguivano fino al momento in cui i nuovi cardinali, dopo aver pregato nella Cappella, si recavano nella Sala del Concistoro, dove il Papa imponeva il galero ai novelli porporati. Il Collegio dei Cantori, posto dinnanzi alla porta della Sala, attendeva il cenno del Maestro delle Cerimonie per intonare il Te Deum, che veniva eseguito processionalmente fino all’altare della Cappella, nella quale i Cantori si ponevano dalla parte dell’Epistola, attendendo l’ingresso del Sacro Collegio. I nuovi cardinali si prostravano quindi sui gradini avanti l’Altare e dopo che i maestri di cerimonie avevano coperto loro il capo con il cappuccio delle cappe magne, il Coro dei Cantori intonava, in “Falsobordone”, il versetto “Te ergo quaesumus” e poi il versetto conclusivo. Negli anni di servizio di Don Gregorio nella Cappella Pontificia, si segnalò il Concistoro Pubblico di Giovedì 4 settembre 1681, in cui Innocenzo XI conferì il Cappello Cardinalizio agli Eminentissimi: Giovanni Battista Spinola, Antonio Pignatelli, il futuro Innocenzo XII, Brancaccio, De Luca, Visconti, Capizucchi, Lauria, Sacchetti, Ginetti e Pamphili. Come annota il Diario Sistino, <<tutti li SS.ri Compagni diligintissimi>> (23). Per la sua partecipazione alla solenne cerimonia, Don Gregorio de Giudici ottenne un gratificazione di dieci scudi d’oro, offerta ad ogni Cantore Pontificio dai novelli porporati. Un altro Concistoro Pubblico si tenne al Quirinale il 22 maggio 1687, quando furono dato il galero agli Eminentissimi Cardinali Carlo Ciceri, Pietro Matteo Petrucci e Francesco Maria de Medici. In quella occasione, dal Collegio dei Cantori Pontifici <<si cantarono li soliti Mottetti e il Te Deum>> (24). Nello stesso anno, seguirono altri due Concistori Pubblici al Quirinale: il 9 giugno, per il Cardinale Fortunato Caraffa ed il 7 luglio per il Cardinale Giuseppe Maria Aguir.
Nel dicembre del 1682, in occasione della visita di ossequio resa ad Innocenzo XI dal nuovo Viceré spagnolo di Napoli, Don Gasparo d’Aros, già Ambasciatore presso la Santa Sede, il Papa offrì un pranzo ufficiale all’illustre diplomatico, nel corso del quale i Cantori Pontifici furono chiamati ad allietare la mensa con il canto di vari mottetti accompagnati dall’organo. Di questa prestigiosa esibizione che onorò altamente il Collegio, resta memoria del Diario Sistino del 1682, in data del 29 dicembre:
<<Martedì N.ro Sig.re diede da pranzo al Vice Rè di Napoli D. Gasparo d’Aros Marchese del Carpio e Lecce Imbasciator qui in Roma del Rè Cattolico, all’hore 19. La Santità Sua assieme col d.o Vice Rè si partì dalle sue stanze, e venne nella Sala del Concistoro nel Palazzo del Vaticano ove erano li soliti apparecchi per il pranzo. Per N.ro Sig.re era preparato in mezzo della sala sotto il Baldacchino e per il Vice Rè da piedi nel picciolo tavolino a sedere nello sgabello; e per li musici fatto uno steccato con li Cassabanchi in un cantone della med.ma sala. Finito che hebbe di bere la prima volta la Santità Sua si cessò di leggere da Mons.r Boldrini, e si principiò a sonar l’organo e si cantorono diversi mottetti sino all’ultimo che si terminò la tavola>> (25).
Fra le principali glorie del pontificato di Innocenzo XI, brilla certamente la sua azione in difesa della civiltà europea contro le invasioni turche, culminata nell’alleanza fra l’Imperatore Leopoldo I ed il Re di Polonia, Giovanni Sobieski, che propugnò la vittoria di Vienna del 12 settembre 1683, salutata dal Pontefice con l’istituzione della Festa del Santissimo Nome di Maria, a ricordo e ringraziamento della strepitosa vittoria di cui fu animatore il celebre francescano Padre Marco d’Aviano. Con grande concorso di cardinali, prelati e fedeli, il 18 agosto 1683, ebbe luogo a Roma una grande processione giubilare da Santa Maria della Minerva alla Chiesa di Santa Maria dell’Anima, chiesa nazionale tedesca, dove il Cardinale Ludovisi, in nome del Papa, malato di podagra, compì le funzioni ecclesiastiche di tali occasioni, con l’esposizione e la benedizione con il Santissimo Sacramento. Il 23 settembre giunse a Roma la conferma della vittoria conseguita dalle armate cattoliche alle porte di Vienna ed il giubilo popolare fu irrefrenabile. Il giorno successivo, con Editto del Cardinal Vicario venne prescritto che per due sere dopo l’Ave Maria, le campane suonassero a festa per un’ora e venissero celebrate in tutte le chiese della Città funzioni di ringraziamento a Dio. Il Papa, ascrivendo il merito dei felici avvenimenti all’intervento divino, fece illuminare la facciata e la cupola di San Pietro, con lo sparo di salve di gioia da parte dei cannoni di Castel Sant’Angelo ed il 25 settembre, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, alla presenza del Sacro Collegio, cantò un solenne Te Deum di ringraziamento. Nel Dario Sistino del 1683, questo fausto avvenimento e le celebrazioni romane sono riportate nel calendario degli interventi musicali del Collegio dei Cantori Pontifici, nella data del 25 settembre: <<Sabbato il giorno doppo pranzo furono cantati Litanie e Te deum a S.ta Maria Maggiore pro gratiarum actiones per la liberatione della Città di Vienna assediata da Turchi mediante l’Armi del Sac. Romano Imperio, Polacche, e Collegati con l’intervento di N.S. et il Sac. Colleggio dell’Em.mi SS. Cardinali. Tutti li SS.ri Compagni presenti>> (26).
Il 29 settembre, durante la Santa Messa celebrata nella Cappella Paolina al Quirinale, alla presenza di tutti gli ambasciatori ed inviati, Innocenzo XI, ricevette dall’Abate Giovanni Casimiro Denhoff, rappresentante del Re di Polonia Sobieski, la grande bandiera turca, che poi venne portata a San Pietro ed appesa in segno di trionfo sulla porta principale: <<29 Mercordì - Cappella Papale à Monte Cavallo pro gratiarum actiones cantò messa l’Em.mo S.r Card. Ludovisi e fù detto il Te Deum, e fù presentato lo stendardo de Turchi fù fatta l’oratione in nome del Rè di Polonia, e poi esso stendardo fù messo à piedi di S. S.tà e poi il Papa rispose all’oratione. Tutti li SS.ri Compagni presenti>> (27). Le grandi cerimonie di giubilo continuarono nei giorni successivi, con la distribuzione di ricche elemosine ai poveri ed una amnistia per i minori reati civili e si conclusero con alcune speciali funzioni religiose, il 1 ottobre nella Cappella Paolina nel Palazzo del Quirinale, il 10 ottobre nella Chiesa di Santa Maria dell’Anima ed il 17 nella Chiesa di San Stanislao, chiesa nazionale polacca. E il 1 novembre, nel corso della Cappella Papale, venne cantato il Te Deum per festeggiare <<la presa di Strigonia>> in Ungheria (28).
Fra le solenni cerimonie registrate nel Diario Sistino nel mese di ottobre 1683 si segnalava anche la Cappella Papale celebrata per l’anniversario dell’ incoronazione del Sommo Pontefice, nella Cappella Paolina: <<4 lunedì. - Cappella Papale nel Quirinale per la Coronatione di N.S. Innocenzo Undecimo. N.S. fu presente; tutti li SS.ri Compagni furono puntuali>> (29).
L’azione diplomatica di Innocenzo XI fu instancabile e promosse l’adesione di Venezia e della Russia alla Lega Santa, contribuendo largamente alla liberazione di Buda ed alle fortunate campagne che opposero una diga alle ricorrenti ondate dei turchi verso l’Europa. Sollecitate dalle esortazioni di Innocenzo XI e di Padre Marco d’Aviano, le campagne militari ripresero nel luglio 1685 e condussero le armate cattoliche alle vittorie di Neuhausel, di Gran e di Buda il 2 settembre dell’anno successivo. I successi dell’Imperatore Leopoldo I venivano solennizzati dalla Corte romana con funzioni di ringraziamento, nel corso delle quali il Papa intonava personalmente il Te Deum. Alcune importanti cerimonie commemorative sono registrate nel Diario Sistino del 1685: Settembre <<2 Dom. - Si cantò messa et Te Deum nella Cappella al Quirinale p.nte N.S. dall’Em.mo Pio per render à Dio gratie delli buoni progressi dell’armi Cristiane et in specie la presa di Neixelle dall’Armata Cesarea et dalla Veneta quella di Corone>> (30). Novembre <<18 Dom.ca - Si fece Cappella Papale nella Chiesa dell’Anima per ordine di N.S. et si cantò il Te Deum per la vittoria dell’Armi Cristiane contro l’Infedeli>> (31).
Come riferisce il Diario Sistino del 1686, la notizia della riconquista di Buda venne celebrata a Roma con sommo splendore e con sincero fervore religioso, nel quale il Pontefice era a tutti di esempio con la sua fede ammirevole. Sabato 14 settembre 1686, <<S. S.tà ordinò che la sera si facesse allegrezza con fuochi, e lumi, & al segno dello sparo di Castel S. Angelo furono suonate le campane per tutte le chiese di Roma, illuminata tutta da fuochi, e lumi oltre ogni solito, si fece anche la girandola al Castel S. Angelo, e tutto il popolo mostrò segni di giubilo, e di allegrezza infinita; ordinò però S. S.tà che si stasse in oratione per render gratie a Dio dei progressi fortunatissimi conceduti all’armi Cristiane contro il Tiranno d’Oriente>> (32). Domenica 15 settembre, nella Cappella Paolina del Quirinale, il Cardinale Carlo Pio di Savoia celebrò la Santa Messa, seguita dal Te Deum, intonato dal Papa, suggellando così l’impegno magnanimo di Innocenzo XI e gli allori colti sui campi di battaglia dall’Imperatore d’Austria: <<Dom.a 15 - Cappella Papale nel Palazzo Quirinale pro gratiarum actione per la d.a Vittoria, cantò la Messa l’em.o Pio alla presenza del S. Collegio. N.S. calò in cappella per la scaletta secreta, doppo il fine della messa per intonare il Te Deum, come l’intonò, e nel med.o tempo sparorno li cannoni al di cui segno tornarono a suonarsi tutte le campane di Roma e continuorno per lo spatio di mezz’hora essendo tale l’ordine di N.S. per risvegliare il popolo ad un comune rendimento di gratie a Dio per tanto benefitio ricev.o. La sera poi si rinovarono l’allegrezze in forma mai più veduta non essendovi angolo della città dove non si facessero pompe di lumi e fuochi artificiali con altre mostre bellissime>> (33). Nella Cappella Cardinalizia celebrata nella chiesa nazionale tedesca di Santa Maria dell’Anima, il 22 settembre, il rappresentante dell’Imperatore d’Austria ottenne il raro privilegio di poter assistere alla Santa Messa, cantata da Mons. Bottini, nel Coro dei Cantori Pontifici, dove vennero intonate ammirevolmente le gravi e solenni armonie che accompagnarono la celebrazione: <<22 Dom.a - Cappella Cardinalitia alla Chiesa dell’Anima ordinata da N.S. pro gratiarum actione della Vittoria ch’hanno havv.a li Cesarei, e Bavari di quella gran Piazza inespugnabile di Buda. Cantò la messa l’Ill.mo Monsig.r Bottini alla presenza del S. Collegio, tutti li Sig. Compagni presenti. Stiede nel nostro choro il Sig. Conte de Turi P.o Gentilhoumo di S. M.à Cesarea, che portò la vera conferma della presa di d.a piazza,e vi dimorò sino alla fine della messa, doppo la quale fù intonato dal celebrante il Te Deum laudamus, con il sparo de mortaletti>> (34). Le celebrazioni per la presa di Buda si conclusero con una Messa Solenne di Requiem fatta celebrare da Innocenzo XI in suffragio di tutti i soldati cristiani deceduti durante l’assedio della Città. Attraverso la preghiera della Chiesa ed il grande precetto della carità cristiana, il Pontefice volle applicare il soccorso spirituale del Sacrificio di Cristo ed i frutti infiniti della Redenzione alle anime di coloro che avevano combattuto eroicamente per la Fede e la Civiltà Cristiana: <<24 Martedì - Cappella Papale nel Palazzo Quirinale ordinata da N.S. per suffragio dell’anime di tanti cristiani che passarono all’altra vita sotto la sud.a piazza di Buda, cantò la Messa l’Em.o Pio alla presenza del S. Collegio senza intervento di N.S., tutti li Sig. Compagni presenti>> (35). Nel luglio dello stesso anno, su esplicito mandato del Sommo Pontefice vennero convenientemente celebrate a Roma anche le vittorie conseguite dalle armate della Repubblica Veneta. La Santa Messa venne cantata dal Vescovo di Corfù, Mons. Marco Antonio Barbarigo, prelato di santa vita e di distintissime doti di carità e bontà: <<21 Domenica. - Cappella Papale alla chiesa di San Marco ordinata da N.ro Sig.re pro gratiarum actiones havendo N.S. fatto parare la chiesa con gl’arazzi della Cappella Pontificia come anche mandò candelieri et altre cose necessarie appartenenti alla detta Cappella. Cantò messa l’Ill.mo Mons.r Barbarico vescovo di Corfù alla presenza del Sacro Collegio senza intervento di N.S. Tutti li SS.ri Compagni furono presenti. La detta Cappella fù ordinata da N.S. per la presa che fecero li Venetiani di Navarino vecchio e nuovo>> (36).
E l’eco dei nuovi successi della campagne militari dei veneziani e delle armate imperiali fu puntualmente registrato nel Diario Sistino del 1687: Agosto <<15. Venerdì - Assuntione della B.ma Vergine Capp.a Papale in S. Maria Maggiore, cantò Messa novella l’E.mo de Angelis alla presenza del Sac.o Colle.o, senza l’assistenza di N.S. Doppo il post Comm.o fù cantato il Te Deum per la Vittoria ottenuta dalla Ser.ma Republica di Venetia contra l’Armi Ottomane nell’acquisto di Lepanto e Patras>> (37). Domenica 31 agosto, Cappella Papale nella Cappella Paolina al Palazzo del Quirinale, alla presenza del Sacro Collegio, ma senza l’intervento di N.S. Cantò la Messa il Cardinale Carlo Pio di Savoia e fu cantato il Te Deum <<per la vittoria riportata dall’Armi Cesaree sul Ponte di Esech>>, dove fu sconfitto l’esercito ottomano (38).
Ricco di meriti e di virtù, Innocenzo XI morì a Roma, nel Palazzo del Quirinale il 12 agosto 1689. Il suo corpo, trasferito nella Cappella Sistina in Vaticano, dove i Penitenzieri provvidero a rivestirlo degli abiti pontificali, venne condotto nella Basilica Vaticana, dove fu esposto alla pietà ed al suffragio dei fedeli nella Cappella della Santissima Trinità, delimitata da un cancello chiuso. L’inumazione delle sue venerate spoglie, presso la Cappella del Coro dei Canonici, avvenne il 16 agosto, dopo il tramonto del sole. Nel Diario Sistino del 1689 sono riportate diligentemente tutte le cerimonie funebri svoltesi nella Basilica Vaticana in suffragio dell’anima del defunto Pontefice, nelle quali era intervenuto il Collegio dei Cantori Pontifici. Ogni giorno, venivano regolarmente registrate le celebrazioni dei Novendiali:
<<Seconda Esseq.e. 16 Martedì. Questa mattina in San Pietro nella Cappella detta di sopra si sono fatte le solite Esequie alla presenza del Sacro Collegio in numm.o 22: fù cantata la Messa dall’Em.mo Sig.r Cardinal Lauria. Tutti li SS.ri serventi presenti con parte de SS.ri Giubilati. Si sono ricevute le solite Cere e Pranzi>> (39).
<<Terza Essequie. 17. Mercordì si fecero le solite Esequie nella Basilica Vaticana presente il Sacro Collegio degli E.mi SS.ri Cardinali, quali furono al numm.o di 21. Cantò Messa l’Em.mo Sig.r Cardinal Capizucchi. Tutti li SS.ri Compagni serventi diligentissimi e furono à favorirci molti de SS.ri Giubbilati. Habbiamo ricevuto li soliti Emolumenti delle Cere e Pranzi>> (40).
Papa Innocenzo XI venne proclamato Beato da Pio XII nel 1956 ed il suo corpo fu posto alla venerazione dei fedeli nella Basilica di San Pietro, in un urna sotto l’altare della Cappella di San Sebastiano.
Il 23 agosto 1689, nella Cappella del Coro dei Canonici in San Pietro, il Cardinale Altieri, Camerlengo di Santa Romana Chiesa, celebrò la Santa Messa dello Spirito Santo e dopo il giuramento nella Cappella Paolina, iniziarono le votazioni nella Cappella Sistina. Al termine del Conclave, il 6 ottobre 1689, venne eletto Papa il Cardinale Pietro Vito Ottoboni, di nobile famiglia veneziana, che assunse il nome di Alessandro VIII. Il nuovo Pontefice venne incoronato dal Cardinale Protodiacono Francesco Maidalchini, con la Tiara Pontificia il 16 ottobre, nel corso della solenne cerimonia sopra il portico della Basilica di San Pietro e prese possesso della Basilica Lateranense il 23 ottobre. Tutti i particolari della solennissima funzione della Incoronazione di Papa Alessandro VIII sono riferiti nel Diario Sistino del 1689. Domenica 16 ottobre, alle ore 14,00 il nuovo Pontefice scese nella Cappella Sistina e vestito di piviale rosso e mitra di tela d’oro venne portato in Sedia Gestatoria nel Portico di San Pietro, dove si svolsero le solite funzioni. Sotto il Baldacchino e attorniato dai Ventagli, il Pontefice fece ingresso nella Basilica di San Pietro e dopo aver adorato il Santissimo Sacramento, si recò nella Cappella Clementina, dove riposa il corpo di San Gregorio Magno. Il Collegio dei Cantori Pontifici prese posto nel Coro eretto a Cornu Epistole della Cappella e con la sua solita maestria contribuì a rendere solennissima la cerimonia di Incoronazione del nuovo Pontefice. Dopo il canto di Terza, i Cantori si trasferirono nel Coro preparato vicino all’Altare della Confessione, dove attesero il Pontefice per la celebrazione della Santa Messa. Giunto il Papa all’Altare e concluse alcune cerimonie, diede inizio alla Messa, incensando l’altare. Come annota il Diario Sistino, <<Subito di ordine del Sig.r Mastro, da noi fu dato principio all’Introito adagio assai, tenendo similmente quest’ordine nelli Chyrie, de quali se ne cantorno molti, ne si terminorno, se prima il Sommo Pontefice incensato l’Altare, e ricevuto nel Trono l’obbedienza dal Sacro Collegio, ammentendolo al bagio de sacri piedi, mano, e guancia, non lesse tutto l’Introito, il quale compito passò all’intonazione del gloria>> (41). <<Il Credo, da noi si cantò adagio per dar tempo che si compissero le cerimonie. Appresso fu cantato l’offertorio in contrapunto adagio e poi si passò al solito mottetto, quale fu replicato più volte per dar tempo alla incenzatione degli EE.mi SS.ri Cardinali, et altre cerimonie, che si stilano farsi in simile funtione>> (42). Come riferisce il Diario Sistino, a causa della grande stanchezza del Pontefice non vi fu il tradizionale bacio del piede del Papa da parte del Collegio dei Cantori <<quantunque dal Signor Mastro (conforme al solito) ne fosse stata l’istanza all’Ill.mo Monsig.r Bartoli Maestro di Camera di Sua Santità, dal quale fu però assicurato, che tutto ciò si sarebbe riservato a’ miglior congiuntura>> (43). Il Diario Sistino conclude la cronaca della importante cerimonia annotando <<tutti li SS.ri Compagni serventi presenti, con parte de SS.ri Giubbilati>> (44).
Sabato 15 ottobre 1689, il Camerlengo del Collegio dei Cantori Pontifici attribuì a Don Gregorio de Giudici ed a ciascuno dei Cantori a paga intera, la somma di scudi romani 2 e bajocchi 37, quale ultima parte dei compensi loro spettanti per i servizi prestati durante la Sede Vacante. I Cantori a mezza paga ottennero ciascuno scudi 1 e bajocchi 18 (45).
Alessandro VIII, appena eletto, si affrettò a beneficare con titoli e privilegi i componenti della sua famiglia, facendo giungere a Roma suo nipote Pietro, creato cardinale a 19 anni il 7 novembre 1689. Negli affari religiosi, favorì le missioni in Cina e a Nanchino, istituendo due sedi vescovili a Pechino. Fu caritatevole nel periodo della peste e della carestia che infierirono a Roma ed arricchì la Biblioteca Vaticana, acquistando preziosi volumi appartenuti alla Regina Cristina di Svezia.
Nel primo anno di Pontificato di Alessandro VIII, Don Gregorio de Giudici fu chiamato ad assumere il massimo ufficio dell’istituzione musicale papale, quello di Maestro della Cappella Pontificia. Mostrando di apprezzare i suoi talenti, la solerzia e la sua bontà di maniere, i colleghi cantori gli confidarono quest’incarico, certi che egli avrebbe dedicato alla Sistina ogni sollecitudine, adempiendo con scrupolo e vera perizia ai suoi doveri. Le notizie storiche su questo periodo della vita di Don Gregorio de Giudici contribuiscono a mettere in risalto la figura artistica e musicale di questo benemerito Cantore alla Corte Papale.
Papa Sisto V, nel 1586, aveva ridotto il numero dei cantori pontifici da 24 a 21, concedendo al Collegio il privilegio di eleggere, ogni anno, il Maestro di Cappella, scegliendolo fra uno dei cantori facenti parte dell’organico dell’istituzione stessa.
Negli anni di servizio prestati nella Cappella Pontificia, Don Gregorio era stato iniziato, con metodo sicuro, ai solidi princìpi dell’arte polifonica e del canto ecclesiastico “all’uso romano”, osservati dall’organismo musicale, alle dirette dipendenze del Pontefice e della sua corte. Quasi venti anni di pratica quotidiana nel Collegio, avevano contribuito grandemente alla sua completa formazione artistico-religiosa ed all’acquisizione dell’istruzioni, regole e consuetudini proprie della tradizione musicale sistina, che regolavano l’opera dei cantori nelle grandi festività dell’anno liturgico e nelle funzioni ordinarie e straordinarie. Queste riflessioni animarono i membri del Collegio della Cappella Musicale nella Congregazione per la nomina dei nuovi Officiali (Maestro della Cappella Pontificia, Camerlengo e Puntatore) tenutasi la mattina della Festa dei Santi Innocenti, il 28 dicembre 1689, nella Cappella Paolina del Palazzo del Quirinale. Il Cappellano Cantore Mazzoni, alle ore 16 in punto, celebrò la Santa Messa bassa, dopo la quale ciascuno dei Cantori presenti, esercenti e giubilati, si pose a sedere al suo posto. Con l’invocazione dello Spirito Santo da parte del Maestro di Cappella, iniziò la Congregazione, alla presenza di 31 cantori votanti. Nell’ordine della riunione, le prime votazioni per i nuovi Officiali riguardavano la nomina del nuovo Maestro di Cappella. Dopo alcune votazioni infruttuose, i Cantori orientarono il loro voto su Don Gregorio de Giudici, con l’esito pienamente favorevole, riportato diligentemente nel Diario Sistino del 1689:
<<Fu fatto uscire il Sig.r De Giudici, al quale toccava di essere imbussolato per Maestro di Cappella, et hebbe voti fav.li n.° 26, e disfav.li n.° 5: onde avendo vinto il partito, fù eletto Maestro di Cappella e da tutti li SS.ri Compagni ricevé il solito osculum Pacis>> (46).
Come nuovo Maestro, Don Gregorio assistette ai Primi Vespri della Circoncisione di Nostro Signore Gesù Cristo, accanto al precedente Maestro, il romano Giovanni Matteo Leopardi, tenore, che cessava nell’ufficio ed entrò in carica ai Primi Vespri dell’Epifania.
Nel suo ruolo di Maestro della Cappella Pontificia, egli guidò l’opera dei Cantori in alcune promozioni cardinalizie, registrate nel Diario Sistino del 1690. La prima si tenne nel Palazzo del Quirinale, il 16 febbraio, con il Concistoro Pubblico durante il quale il Papa concesse il cappello cardinalizio a nove porporati. Giunto il primo di essi nella Cappella Paolina, Don Gregorio fece intonare i mottetti prescritti per tali occasioni, che i Cantori Pontifici proseguirono fino alla conclusione di questo primo momento di preghiera. Al termine della cerimonia di imposizione del galero nella Sala del Concistoro, due soprani sotto la guida del Maestro di Cappella, intonarono il primo versetto del Te Deum, che fu cantato dal Coro, processionalmente, verso la Cappella Paolina. Un altro Concistoro Pubblico si tenne, sempre al Quirinale, il 2 marzo dello stesso anno, per la promozione cardinalizia di Mons. Giacomo Cantelmi.
Nell’Archivio del Collegio dei Cantori Pontifici, si conservano alcune lettere indirizzate a Don Gregorio de Giudici, Maestro della Cappella Pontificia, dal Cardinale Francesco Maidalchini, da Viterbo, creato da Innocenzo X ed assegnato come Protettore dell’istituzione da Alessandro VIII, il 22 ottobre 1689. Le prime riguardano l’ingresso, senza concorso, di due cantori in qualità di soprannumerari, per diretta decisione del Pontefice. Il primo cantore ammesso era il soprano Pasqualino Tiepoli, di Udine, che dopo venticinque anni di servizio vestirà l’abito eremitico di Monte Luco a Spoleto, con il nome di Frate Pier Clemente:
<<Il Sig. D. Gregorio de Giudici, Maestro della Cappella Pontificia darà la cotta a Pasqualino Tiepolo, nella parte di soprano soprannumerario, essendo questo l’ordine di N.S. Dal nostro Palazzo, li 11 marzo 1690
F.
card. Maidalchini>> (47). In ossequio a questa decisione del Pontefice, Don Gregorio fece chiamare il nuovo soprano, il quale, genuflesso davanti al Maestro della Cappella Pontificia giurò di osservare le Costituzioni e le consuetudini del Collegio. Subito dopo Don Gregorio gli impose la cotta e lo ammise al bacio della pace, ufficializzando così il suo ingresso nella prestigiosa istituzione.
L’altro cantore era il tenore romano Michele Fregiotti, morto poi nel 1709:
<<Sig.re D. Gregorio de Giudici Maestro della Cappella Pontificia potrà dar la Cotta à Michele Freggiotti, romano, per Ordine di N.ro Sig.re ammettendolo alla parte di tenore sopra numerario, con che gli corra l’anzianità, e giubilatione dal giorno che sara ammesso etc.
Dal N.ro Palazzo, q. di 9 di 8bre 1690 F. Card. Maidalchini
Niccolò Frediani seg.rio >> (48).
La terza lettera riguardava il caso di Bartolomeo Monaci, ammesso nel novembre 1689 come contralto castrato nella parte tradizionalmente assegnata ai contralti naturali. Dopo aver constatato che tale decisione era contraria alle consuetudini della Cappella e che, soprattutto, il Monaci non poteva onorevolmente sostenere tale voce, troppo bassa per un castrato, il Cardinale Protettore, con ordine del Sommo Pontefice, decretò il passaggio del Monaci dalla voce di contralto a quella di soprano.
<<Al Sig.re D. Gregorio de Giudici M.ro di Capella, della Capella Pontificia
Sig.re D. Gregorio de Giudici M.ro della Capella Pontificia.
Essendoci stato rapresentato nell’ultima Cong.ne tenuta avanti di Noi
dal Collegio de SS.ri Cantori della Cappella Pontificia e doppo anco da
gli Officiali incaricatoci il pregiudizio grande che nasce al Serv.o di
Dio, et della Santità di N.ro Sig.re dal mettere Contralti Castrati per
il servitio della sud.a Capella conoscendosi essere impossibile che li
suddetti possino esercitare come tali il Contralto nella detta Capella,
e non essendovi stato mai tale sempio, onde per oviare il futuro à tal
pregiudizio d’ordine di N.ro Sig.re datoci a bocca fara V.S. passare
Bartolomeo Monaci da Monte Alcino al Soprano per sopranumerario,
ammettendolo con la solita Giubilatione et anzianità, conforme hanno
goduto e godono gli altri. Iddio la prosperi, dal N.ro Palazzo li 12
genn. 1690 F.
Card. Maidalchini>> (49). Fra gli impegni che come Maestro della Cappella Pontificia, vide confidati alla sua direzione, Don Gregorio de Giudici curò personalmente le prove per i solenni riti della Settimana Santa, che impegnarono tutti i cantori pontifici, con scrupoloso rigore, nei giorni della settimana di Passione, precedente alla Domenica delle Palme. Secondo le antiche consuetudini del Collegio, numerose composizioni polifoniche dei grandi maestri Antifone, Responsori, Tratti e Mottetti, erano destinate all’esclusivo uso liturgico della Settimana Santa. Alcuni di questi brani, di purissima melodia, ribadivano le istanze estetiche della scuola romana post-tridentina, imponendosi per una grande serenità, solenne e contemplativa al tempo stesso e per questo, erano unanimemente apprezzati all’epoca. Dopo la Cappella Papale della Domenica delle Palme, nel corso della quale tre cappellani cantori cantarono solennemente il Passio, il primo importante appuntamento per il Collegio dei Cantori Pontifici fu, certamente, il Mattutino del Mercoledì Santo. Al termine di alcune Antifone e Salmi, veniva intonata la prima Lamentazione del Profeta Geremia, composta in canto figurato da Gregorio Allegri, sui versetti tratti dal testo biblico, scritti dal Profeta Geremia e deploranti la distruzione di Gerusalemme, con un acrostico sulle lettere dell’alfabeto ebraico. Dopo la seconda e la terza Lamentazione di Geremia in canto piano e le Lezioni del Notturno, fu cantato il Benedictus. Ad ogni versetto del Cantico di Zaccaria, venne spenta una candela dal candeliere triangolare posto sull’altare, creando un’atmosfera molto intensa e suggestiva. Subito dopo il canto del Christus factus est, il Papa lasciato il suo trono, si inginocchiò davanti all’altare e tutti si prostrarono con lui. Appena conclusa la recita del Pater noster segreto da parte del Pontefice, i cantori intonarono il Miserere a due cori di Gregorio Allegri, una delle composizioni più ammirate e celebri della Cappella Pontificia <<che rapisce l’animo di chi l’ascolta>> (Andrea Adami) (50). Questo salmo in falso-bordone polifonicamente ornato e con versetti condotti in stile monodico, affidato a due cori, uno di cinque voci e l’altro di quattro voci, esercitava una profonda impressione sugli ascoltatori, sia per i riti suggestivi che l’accompagnavano, sia per il geloso segreto con cui il Collegio dei Cantori lo aveva avvolto e per gli abbellimenti che i cantori si tramandavano dalla metà del secolo. Tale era l’apprezzamento generale di questa magistrale composizione, che con espresso mandato, i pontefici proibirono la trascrizione e l’esecuzione del Miserere di Allegri al di fuori delle celebrazioni nella Cappella Papale.
La liturgia degli ultimi tre giorni della Settimana Santa, il Triduo Sacro, era pervasa da alcune ufficiature fra le più belle dell’anno. Al mattino del Giovedì Santo 23 marzo 1690, la celebrazione fu consacrata al vivo ricordo della istituzione dell’Eucaristia e del Sacerdozio e fra i brani più belli della Messa venne cantato il Mottetto per l’Offertorio Fratres ego enim del Palestrina. Al termine della Santa Messa, celebrata dal Cardinale Chigi, i cantori più novizi nelle parti presero i libri e tutto il Collegio dei Cantori si recò fuori dalla Cappella Sistina per la processione, nel corso della quale il Pontefice Alessandro VIII, sorreggendo l’ostensorio, condusse il Santissimo Sacramento verso l’altare della reposizione. Appena la Croce uscì fuori dalla Balaustra della Cappella, Don Gregorio de Giudici, in qualità di Maestro di Cappella, fece cenno ai cantori contralti, i quali intonarono l’Inno Pange Lingua, che accompagnò solennemente tutto il tragitto della processione.
Il Venerdì Santo, la Solenne Azione Liturgica della Passione e Morte di Nostro Signore Gesù Cristo, si svolse nella Cappella Sistina che aveva assunto un aspetto di completa desolazione, con l’altare spoglio, senza croce, né candelieri, né tovaglie. Dopo il canto del Passio, cioè della Passione secondo San Giovanni, intonata da tre Cappellani Cantori, un soprano, un tenore ed un basso, vennero recitate le Solenni Orazioni a cui seguì il rito suggestivo dell’Adorazione della Santa Croce. Questo rito traeva la sua origine nell’omaggio che i fedeli di Gerusalemme tributavano il Venerdì Santo alla insigne reliquia della Croce, sulla quale Nostro Signore Gesù Cristo era stato crocifisso. Il popolo accorreva a prostrarsi davanti ad essa, baciandola con grande devozione.
Nella liturgia latina, il solenne rito dello scoprimento e dell’adorazione della Croce aveva inizio con l’ingresso della Croce coperta da un velo violaceo ed accompagnata da due accoliti che recavano due candelieri accesi. Prima veniva scoperta la sommità della Croce ed in due momenti successivi il braccio destro e poi tutto il Santo Legno. Ogni volta, il Diacono del Vangelo cantava l’antifona Ecce lignum Crucis, continuata da due tenori con le parole In quo salus mundi pependit, a cui tutto il Coro dei Cantori rispondeva Venite adoremus. Mentre nel mezzo del Presbiterio il celebrante Cardinale Colloredo, tutto il Sacro Collegio e la Prelatura si apprestavano ad adorare la Croce, facendo tre genuflessioni e baciando i piedi del Santissimo Crocifisso, Don Gregorio de Giudici fece intonare il canto devoto ed austero degli Improperi a due cori del Palestrina, con cui i Cantori interpretavano la voce del Signore, che invitava il suo popolo a ritornare a Lui, ricordandogli, nei cosiddetti Rimproveri, i benefici innumerevoli di cui lo aveva ricolmato attraverso i secoli, ottenendo in compenso l’ingratitudine e le gravi offese e sofferenze della Passione. Alcuni versetti degli Improperi erano cantati, alternativamente dai due cori, in greco ed in latino:
Agios
o Theos.
Sanctus
Deus. Agios
ischiros.
Sanctus
Fortis. Agios
athanatos, eléison imas.
Sanctus
Immortalis, miserére nobis. Come testimoniava Andrea Adami, gli Improperi del Palestrina venivano intonati dai Cantori <<adagio, e con voce sommessa, perché la loro soavissima armonia rende un’interna devozione, e compunzione>> (51). Al Mattutino del Venerdì Santo, il Coro dei Cantori eseguì la Lamentazione in canto figurato di Gregorio Allegri ed il Miserere a due Cori dello stesso autore.
La celebrazione della Vigilia Pasquale, svoltasi al mattino del Sabato Santo 25 marzo, si componeva di varie parti, iniziando dal Canto dell’Exultet iam Angelica turba caelorum, il festoso annuncio della Pasqua, il Canto di Dodici Profezie, affidato ai Cantori Pontifici e le Litanie Maggiori, sempre intonate dai Cantori, seguite dalla celebrazione del Santo Sacrificio della Messa, il mistero in cui l’Agnello pasquale, immolato sul Calvario per la salvezza del mondo e risorto dai morti, ci ha meritato la redenzione. Alla Santa Messa celebrata dal Cardinale Lauria nella Cappella Sistina, fu presente anche Papa Alessandro VIII. Ai Vespri, i Cantori intonarono all’inizio il Salmo Laudate Dominus omnes gentes, in canto figurato ed al termine il Magnificat di Luca Marenzio.
Nel corso della Santa Messa della Domenica di Pasqua, celebrata dal Cardinale Altieri, presente il Papa, prima del Vangelo, venne cantata la celebre Sequenza Victime paschali laudes, testo di Vipo, Cappellano dell’Imperatore Corrado, posta in musica dal Cantore Pontificio Matteo Simonelli. Al termine del Canone, secondo una antichissima consuetudine, il Coro dei Cantori non rispose Amen alle parole del celebrante Per omnia saecula saeculorum. Tale singolare tradizione aveva avuto inizio molti secoli prima: mentre San Gregorio Magno celebrava in San Giovanni in Laterano, alla fine del Canone, gli Angeli del Cielo risposero Amen, per cui in venerazione di tale grande prodigio, le Costituzioni della Cappella Pontificia prescrivevano tale omissione di risposta.
Ugualmente, al Maestro di Cappella era confidata la direzione di alcuni particolari servigi resi dal Collegio dei Cantori Pontifici, nelle solenni cerimonie, in occasione delle quali essi erano chiamati ad allietare i solenni conviti, offerti dal Papa nei Palazzi Apostolici, ai cardinali che avevano assistito alle funzioni. Sotto la guida del Maestro di Cappella, i Cantori eseguivano concerti e cantavano mottetti sacri in latino, accompagnandosi con l’organo, il violoncello ed altri strumenti. Anche le principali solennità dell’anno offrivano ai musici pontifici l’occasione di far conoscere agli illustri personaggi della Curia Romana ed agli ospiti di riguardo della Santa Sede le loro eccelse qualità musicali. Conclusi i Primi Vespri di Natale, nel Palazzo Apostolico si trattenevano quei cardinali che intendevano assistere al Mattutino ed alla Messa della Notte di Natale, ai quali la Reverenda Camera Apostolica offriva <<una lautissima Cena, con apparecchio nobile di varj Trionfi, che rappresentano i fatti della Natività del nostro Redentore>> (52). L’apparato della cena veniva prima benedetto e visitato dal Sommo Pontefice, che ammirava le ricchissime argenterie ed i Trionfi, preparati con i vari simboli e le decorazioni allusive del Santo Natale. Prima della cena, sotto la direzione del Maestro di Cappella, veniva offerto un sacro componimento in musica con l’esecuzione di una Cantata sopra la Natività di Nostro Signore Gesù Cristo, curata dai migliori Cantori della Cappella Pontificia. L’esecuzione avveniva all’ora una di notte nel salone riccamente addobbato ed illuminato della Sala Borgia se il pontefice risiedeva in quei giorni al Vaticano o nell’appartamento al piano del cortile se le funzioni si svolgevano al Quirinale. Alla Cantata pastorale erano ammessi i cardinali che intervenivano in mozzetta e ferraiolone rosso, la prelatura e la nobiltà romana. Al termine della rappresentazione, il Maestro di Cappella, i cantori e strumentisti partecipavano alla cena imbandita per i cardinali.
Nel 1690, la Cantata per la Notte di Natale curata dal Maestro della Cappella Pontificia Don Gregorio de Giudici fu “La Gioia nel seno d’Abramo”, su testo di Silvio Stampiglia e musica di Flavio Lanciani, Virtuoso del Cardinale Ottoboni, con la direzione dell’orchestra affidata ad Arcangelo Corelli (53).
Ugualmente, il giorno di Pasqua di Resurrezione, il Collegio dei Cantori Pontifici, durante il pranzo offriva al Papa ed alla sua Corte dei virtuosi concerti, per i quali i musici ottenevano, secondo un costume antichissimo, le uova pasquali in marzapane, <<l’Agnello, e le Paste della Mensa del Papa, e un Doblone di mancia>> (54).
Il 16 ottobre 1690, giorno anniversario della Incoronazione di Papa Alessandro VIII vi fu Cappella Papale in San Pietro in Vaticano. Cantò la Santa Messa il Cardinale Altieri, alla presenza del Pontefice e del Sacro Collegio. Nella stessa mattina, Alessandro VIII promulgò i decreti di Canonizzazione dei beati spagnoli Giovanni di San Facondo agostiniano, Pasquale Baylon francescano, Giovanni di Dio, fondatore degli Ospitalieri, Giovanni da Capistrano OFM e Lorenzo Giustiniani. Nel Diario Sistino del 1690, alla data indicata, il puntatore volle registrare tutta la solenne cerimonia della canonizzazione, al fine di regolare anche per il futuro tutta la funzione ed i vari momenti musicali. I Cantori Pontifici, sotto la guida del Maestro di Cappella, Don Gregorio de Giudici, si ritrovarono nella Cappella Sistina in Vaticano, dove giunto il Papa intonò l’Inno Ave Maris Stella, proseguito dai Cantori posti all’interno della prima cancellata. Subito dopo, i Cantori processionalmente, si recarono fino a Piazza San Pietro e poi entrarono nella Basilica dalla Porta Maggiore, prendendo posto nel Coro preparato per loro. Con l’arrivo del Pontefice e del Sacro Collegio nella Basilica ebbe inizio la cerimonia della Canonizzazione, regolata minuziosamente dai Maestri delle Cerimonie e dalle prescrizioni scritte e distribuite a tutti i Cantori. Terminata questa <<solenne e lunga funzione, si comincia la Messa>>, che fu cantata dal Cardinale Altieri (55). Come annota il Diario Sistino <<Furno presenti alla Funzione sudd.a tutti li Sig.ri Compagni>>, insieme alla maggior parte dei Giubilati (56).
Mentre concludeva il suo mandato di Maestro della Cappella Pontificia, Don Gregorio volle curare un prezioso Liber Psalmorum in pergamena, che dedicò al Pontefice regnante Alessandro VIII. Questo codice di manoscritti musicali, con lettere iniziali di pagina ornate da miniature, conservato nell’Archivio della Cappella Sistina, nel frontespizio reca l’iscrizione:
ALESSANDRO VIII
R. D. GREGORIO DE IUDICIBUS Magistro Cappellae Pontificiae Pro tempore existente Anno
MDCXCI Jacobus
Tartanus Romanus Scribebat (57).
I manoscritti riguardano quattro composizioni musicali di tre autori di inizio secolo molto apprezzati in quegli anni, utilizzate dai Cantori della Cappella Pontificia per le solenni cerimonie dell’Ufficio Divino:
Archangelus Crivelli, Psalmus 111, Beatus vir qui timet, Octavi Toni cum 8 vocibus Rogerii Giovanelli, Psalmus 111, Beatus vir qui timet, Sexti Toni cum 8 vocibus Rogerii Giovanelli, Psalmus 111, Beatus vir qui timet, Primi Toni cum 8 vocibus Octavi Catalani, Psalmus 111, Beatus vir qui timet, Septimi Toni cum 8 vocibus (58).
Alessandro VIII morì il 1 febbraio 1691, nel Palazzo del Quirinale ed il giorno successivo, nella prima ora della notte, il suo cadavere fu trasportato in Vaticano, nella Cappella Sistina. Il 3 febbraio venne esposto nella Cappella del Santissimo Sacramento ed il 5 febbraio, all’ora del tramonto fu inumato in Basilica, presenti i cardinali che aveva creato, il Cardinale Barberini, i nipoti e tutta la Camera Segreta.
Conclusi i Novendiali, il 12 febbraio, nella Cappella della Pietà il Cardinale Chigi, in luogo del Cardinale Cibo, Decano del Sacro Collegio, celebrò la Santa Messa dello Spirito Santo, alla presenza del Sacro Collegio. Come riferisce il Diario Sistino, all’Offertorio venne cantato il Mottetto a otto voci Cantate Domino di Ruggiero Giovannelli. Terminata la Santa Messa, l’Abate Bonanventura fiorentino tenne l’orazione De eligendo Summo Pontifice. Conclusa l’orazione, due soprani dentro la cancellata della Cappella intonarono l’Inno Veni Creator Spiritus <<che fu seguitato in Canto figurato dalli S.ri Compagni>>. Finito il primo verso, si avviò la processione verso la sede del Conclave, nella Cappella Paolina (59).
Il Conclave si concluse il 12 luglio 1691, con la elezione del Cardinale Antonio Pignatelli, del Titolo di San Pancrazio, Arcivescovo di Napoli, che assunse il nome di Innocenzo XII. Alle ore 13, il Cardinale Spada comparve sulla Loggia sopra il Portico di San Pietro e diede il pubblico annuncio della elezione del nuovo Pontefice. Il Diario Sistino del 1691 registra, con compiacimento, che <<alle hora 17 l’Ecc.mo Savelli gran Maresciallo del Conclave introdusse tutti li Sig.ri Compagni dentro il Conclave prima che vi introducesse altri. Il Puntatore subito fu alla stanza di S.E. Protettore al quale fu presentato Memoriale diretto a N.S. il contenuto era che si dimandassero le solite Vesti che suole dare ogni nuovo Pontefice, fu subito da S.E. presentato à N.S. il quale diede buona speranza di consolar li Sig.ri miei Compagni>> (60). Subito dopo, il nuovo Papa, accompagnato dal Sacro Collegio, venne processionalmente nella Cappella Sistina, dove fu rivestito degli abiti pontificali e, posto a sedere presso l’altare, ricevette la cosiddetta “adorazione” da parte dei cardinali presenti. Alle ore 18, due soprani Cantori intonarono <<l’Ecce Sacerdos Magnus, in canto fermo, et fu seguitato à cantare in contrapunto, facendo qualche volta un poco di riposo, tra un verso et l’altro, et si fece durare fino che fu arrivato N.S. et Sacro Coll.o al’Altar delli Apostoli in S. Pietro, dove l’E.mo Chigi intonò il Te Deum, et fu cantato assai adagio dando tempo che si facesse l’altra adoratione, che finita il sud.to E.mo disse alcuni versetti, à quali fu sempre fatto risposta da’ Musici, che detta dal med.o l’oratione, fu da N.S. dato la Benedizione, così finì>> (61).
Con solenne cerimonia, Innocenzo XII venne incoronato nella Basilica di San Pietro in Vaticano il 15 luglio, dal Cardinale Urbano Sacchetti ed il 13 aprile 1692, prese possesso della Basilica Lateranense. Si mostrò di inesauribile carità e di costumi purissimi, dedicandosi con grande cura al miglioramento morale e materiale dei sudditi, dando grande sviluppo all’Ospizio di San Michele, dove erano accolti ed istruiti i giovani poveri e destinando il Palazzo Lateranense agli invalidi al lavoro. Riordinò l’amministrazione e ridusse le spese di corte, riunì tutti i tribunali nel Palazzo di Montecitorio, la Curia Innocenziana e promosse lo sviluppo delle missioni di Propaganda Fide in America, Persia e Cina.
Nella lieta ricorrenza del venticinquesimo anno del suo ingresso nella Cappella Pontificia, Don Gregorio fu giubilato, cioè cessò dal servizio, conservando comunque a vita, secondo un antico privilegio dei Cantori, l’emolumento mensile. Il Diario Sistino, alla data del 12 dicembre 1697, così registrava:
<<In questo giorno il S.r D. Gregorio de’ Giudici da Ceccano compì gl’anni 25 di servitio nella Cappella Pontificia in conformità della Bolla di Papa Sisto Quinto, essendo stato il S.r D. Gregorio de’ Giudici puntuale nel servire la Cappella, e fece li soliti complimenti al Collegio>> (62).
Nelle verbalizzazioni cronologiche dei Diari Sistini sono registrate alcune celebrazioni solenni nelle quali Don Gregorio de Giudici ebbe un ruolo significativo fra i solisti del Collegio dei Cantori Pontificio.
Il 15 aprile 1677, la sera di Giovedì Santo, nella Cappella Sistina in Vaticano, presente Papa Innocenzo XI ed il Sacro Collegio, venne cantato il Mattutino. Dopo la Prima Lamentazione del Profeta Geremia, in Canto Figurato di Giovanni Pierluigi da Palestrina a 4 voci, Don Gregorio de Giudici, basso e Raffaele Raffaelli, soprano, cantarono il famoso versetto Jerusalem, Jerusalem, convertere ad Dominum Deum tuum. Seguirono la Seconda Lamentazione in Canto Piano e la Terza Lamentazione in Canto Piano, interpretata dal celebre cantore contralto Siface. Subito dopo, a Don Gregorio venne affidata la Prima Lezione del Secondo Notturno, <<Protexisti me, Deus>> (IV Lectio del Mattutino) (63).
Il 30 marzo 1684, la sera del Giovedì Santo, Cappella Papale nella Cappella Sistina in Vaticano, il Cardinale Decio Azzolini celebrò l’Offitio di Mattutino. Dopo la Lamentazione del Primo Notturno, in Canto Figurato del Palestrina, la Seconda e la Terza Lamentazione in Canto Plano, Don Gregorio cantò la Prima Lezione del III Notturno (Lectio VII, De Epistola Beati Pauli Apostoli ad Hebraeos “Festinemus ingredi in illam requiem”) (64).
L’11 aprile 1686, la sera del Giovedì Santo, il Cardinale Decio Azzolini cantò l’Officio di Mattutino, assente il Sommo Pontefice, alla presenza del Sacro Collegio.
Prima Lamentazione - Primo Notturno in Canto Figurato a 4 voci Giuseppe Vecchi - Francesco Fabrini Raffaele Raffaelli - Giovanni Carlo Anatò
Ad Hierusalem R. D. Gregorio de Iudicibus
Lamentationes in Canto Plano Raffaele Panuntio Giovanni Carlo Anatò
Ad Lectiones 2 Nocturno Raffaele Raffaelli Giovanni Battista Felici Giovanni Antonio Ceva
Ad Lectiones 3 Nocturno R.D. Gregorio de Iudicibus Giovanni Matteo Leopardi Francesco Fabrini (65).
Nei primi anni del suo servizio nella Cappella Pontificia, Don Gregorio, in ossequio alle prescrizioni delle Costituzioni del Collegio dei Cantori Pontifici, cantò solennemente le Lettioni de Morti, nei Tre Notturni, nel Mattutino e Laude de Morti, la sera del 1 novembre di ogni anno e le Profetie la mattina del Sabato Santo. Ognuna delle nove Lettioni de Morti e delle dodici Profetie era affidata ad un cantore, secondo un ordine prestabilito, iniziando dal novizio, cioè dall’ultimo entrato a far parte del Collegio. Ad esempio, il 1 aprile 1684, nella Cappella Papale del Sabato Santo, tenutasi nella Cappella Sistina, dopo il canto dell’Exultet e la benedizione del Cero Pasquale, Don Gregorio cantò la decima Profetia, nella quale si esalta la misericordia del Signore, operata per mezzo del Profeta Giona, in favore del popolo della città di Ninive (66). E due anni dopo, sempre nella Cappella Papale del Sabato Santo, a Don Gregorio venne affidata la stessa X Profetia del Profeta Giona (67).
Alcune interessanti notizie sugli anni di attività di Don Gregorio sono ugualmente registrate nei Diari Sistini. La mattina della festività dell’Epifania del 1682, il Maestro della Cappella Pontificia Giuseppe Toci, lesse al Collegio dei Cantori un Memoriale di Don Gregorio de Giudici, nel quale il cantore chiedeva al Cardinale Protettore un periodo di licenza per recarsi nella sua cittadina natale. Il Collegio, chiamato dal Cardinale Protettore a decidere in merito, accordò la licenza a Don Gregorio, obbligandolo però a rientrare in servizio <<alla Capp.a della Purificatione Capp.a importan.ma ove si và a baciar li S.ti Piedi del Sommo Pontefice à prender la Candela Benedetta>> (68). Don Gregorio ebbe a soffrire alla fine del 1696 gravi problemi di salute e durante la Santa Messa del 23 dicembre di quell’anno, fu costretto a partire <<dal Coro dopo l’Offertorio per non poter stare in piedi per una indisposizione di una gamba>> (69).
Dal ricchissimo repertorio del Collegio, i Cantori della Cappella Pontificia amavano trarre con grande varietà le messe composte dai migliori maestri, che eseguivano nel corso delle cappelle papali, a seconda della solennità, del tempo liturgico e della festività del giorno. Da una analisi dei Diari Sistini emerge che la messa più amata ed eseguita dai Cantori negli anni in cui Don Gregorio fu membro del Collegio, fu, certamente, la celeberrima Missa Papae Marcelli di Giovanni Pierluigi da Palestrina.
A titolo di esempio, seguono alcuni dati registrati dal Diario Sistino del 1680:
6 gennaio, sabato: Festa dell’Epifania Cappella Papale nella Basilica di San Pietro, Santa Messa cantata dal Cardinale Cibo. I Cantori Pontifici cantarono la Missa Papae Marcelli ed il Mottetto Surge illuminare Hyerusalem di Palestrina.
18 gennaio, giovedì: Festa della Cattedra di San Pietro, venne eseguita la Messa Sacerdos et Pontifex ed il Mottetto Tu es Petrus di Palestrina.
2 febbraio, venerdì: Cappella Papale della Purificazione della Beatissima Vergine Maria, alla presenza del Sommo Pontefice Innocenzo XI, venne eseguita la Messa Vidi turbam magnam di Gregorio Allegri ed il Mottetto Accepit Lumen di Palestrina (70).
Nel novero dei mottetti più amati, che ricorrono spesso nelle esecuzioni di quegli anni, si segnalano Hodie nobis caelorum Rex di Giovanni Maria Nanino, per la Cappella Papale di Natale e Christus resurgens di Felice Anerio per la Cappella Papale di Pasqua.
Fra gli illustri cantori della Cappella Pontificia che furono colleghi carissimi di Don Gregorio, ricordiamo alcuni nomi: - Giovanni Francesco Grossi, detto Siface, contralto, ammirato per la dolcezza e la soavità del canto, reputato come uno dei migliori cantanti d’Europa. Nato il 12 febbraio 1653 a Chiesina Uzzanese di Pescia, in Provincia di Pistoia, fu discepolo di Tommaso Redi a Loreto. Nella sua prima apparizione teatrale a Roma interpretò il ruolo di Siface nel dramma per musica Scipione l’Africano libretto di N. Miniato e musica di Francesco Cavalli, da cui ebbe il soprannome che lo rese celebre. Musico della Regina di Svezia e del Cardinale Francesco Maidalchini, fu interprete di numerosi drammi sacri nell’Oratorio del Santissimo Crocifisso di San Marcello al Corso. Membro della Congregazione dei Musici di Santa Cecilia, il 14 ottobre 1674 entrò a far parte, insieme ad alcuni musici della Cappella Pontificia, dell’Arciconfraternita delle SS. Stimmate di San Francesco. Fu ammesso nella Cappella Pontificia il 10 aprile 1675, come soprano soprannumerario su diretta concessione del Pontefice Clemente X e fu il primo contralto ad entrare nel Collegio come soprano. Il 5 settembre 1677 rinunciò al suo posto e continuò con memorabili successi la carriera di teatro, fino alla sua morte, avvenuta nel 1697, per mano di due sicari che lo assassinarono crudelmente, sembra per conto di una nobile famiglia bolognese. Dopo i funerali, venne sepolto nella Chiesa di San Paolo a Ferrara. - Andrea Adami, da Bolsena, soprano, ammesso nella Cappella il 13 ottobre 1690, virtuoso del Cardinale Pietro Ottoboni, Pastore Arcade e Beneficiato di Santa Maria Maggiore, autore di una preziosa opera sul Collegio dei Cantori Pontifici, nella quale, a pag. 211, ricorda Don Gregorio de’ Giudici da Ceccano. - Matteo Simonelli, romano, contralto, ammesso il 15 dicembre 1662, maestro tra gli altri di Arcangelo Corelli, autore di molte importanti composizioni utilizzate dal Collegio, fra cui la bellissima Sequenza cantata nel giorno di Pasqua. - Antimo Liberati, di Foligno, contralto, ammesso il 29 novembre 1661, discepolo di Orazio Benevoli, compositore e celebre teorico musicale. - Don Domenico del Pane, soprano e compositore, Giuseppe Fede da Pistoia, soprano, Raffaele Raffaelli da Montefiascone, soprano, Giuseppe Ceccarelli da Rieti, soprano, tutti legati all’ambiente aristocratico ed alla corte della Regina Cristina di Svezia. Anche due ciociari entrarono in Cappella negli anni in cui Don Gregorio fece parte del Collegio: Giovanni Battista Felici di Sora, basso, ammesso nel 1675 e Giuseppe Antonio Jacobelli di Casalvieri, contralto, ammesso nel 1693.
NOTE
1) Enciclopedia Cattolica, voce Cappella Musicale Pontificia (di Luisa Cervelli), Vol., Città del Vaticano 19, coll. 700-702; NICCOLO’ DEL RE, Mondo Vaticano, voce Cappella Musicale Pontificia (di M. Ilari), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1995, pagg. 200-205.
2) ANDREA ADAMI, detto il Bolsena, Osservazioni per ben
regolare il Coro de i Cantori della Cappella Pontificia,
riproduzione anastatica dell’edizione stampata a Roma da Antonio de
Rossi nel 1711, a cura di Giancarlo Rostirolla, Libreria Musicale
Italiana Editrice, Lucca 1988, pag. XIV.
3) Ibidem, pag. XVIII.
4) GAETANO MORONI, Dizionario di Erudizione Storico-Ecclesiastica, voce Cantori Pontifici, Vol. VII, in Venezia, dalla Tipografia Emiliana, MDCCCXLI, pag. 27
5)
Ibidem, pag. 39. 6)
Ibidem, pagg. 36-37. 7) Ibidem, pag. 27
8) ENRICO CELANI, I Cantori della Cappella Pontificia nei secoli XVII e XVIII, Fratelli Bocca Torino, 1909, pag. 83.
9) MATTEO FORNARI Narrazione Istorica / Dell’origine, progressi, e Privilegi / Della Pontificia Cappella / Con la Serie degl’Antichi Maestri, e Cardinali Protettori / col Catalogo de Cantori della Medesima / Formato da Matteo Fornari / Cantore dell’istessa Cappella / L’Anno 1749 / sotto il glorioso Pontificato del / Regnante Sommo Pontefice Benedetto XIV, manoscritto conservato nella Biblioteca Corsiniana di Roma, citato da Enrico Celani, pag. 84.
10) Idem.
11) GAETANO MORONI, Dizionario di Erudizione Storico-Ecclesiastica, voce Famiglia Pontificia, Vol. XXIII, in Venezia, dalla Tipografia Emiliana, MDCCCXLIII, pag. 29.
12) Ibidem, pag. 30
13) Biblioteca Apostolica Vaticana, Cappella Sistina, Diario Sistino n. 85, anno 1668, cc. 16v. e 17r14) Ibidem, Diario Sistino n. 88, anno 1670, cc. 14v e 15r.
15) Ibidem, Diario Sistino n. 90, anno 1672, c. 19v. GIANCARLO ROSTIROLLA, La musica nelle istituzioni religiose romane al tempo di Stradella, in Chigiana, Firenze Leo S. Olschki Editore, MCMLXXXIX, pagg. 743-744.
16) ENRICO CELANI, op. cit., pag. 64.
17) Biblioteca Apostolica Vaticana, Cappella Sistina, Diario Sistino n. 90, anno 1672, cc. 19v e 20r.
18) Ibidem, Diario Sistino n. 92, anno 1674, cc. 74-75.
19) Ibidem, Diario Sistino n. 93, anno 1675, cc. 95-99. Sul Giubileo del Collegio si veda c. 84.
20) Idem, c. 98. 21) Idem, c. 99. 22) Ibidem, Diario Sistino n. 95, anno 1676, c. 19v.
23) Ibidem, Diario Sistino n. 100, anno 1681, c. 45r. Per gli emolumenti attribuiti a Don Gregorio in questa occasione si veda c. 45v.
24) Ibidem, Diario Sistino n. 106, anno 1687, cc. 41, 46, 53-54.
25) Ibidem, Diario Sistino n. 101, anno 1682, cc. 54 r et v e 55 r.
26) Ibidem, Diario Sistino n. 102, anno 1683, c.38v.
27) Idem, cc. 38v e 39r.
28) Idem, c. 41r. 29) Idem, c. 39v. 30) Ibidem, Diario Sistino n. 104, anno 1685, c. 29.
31) Idem, c. 33.
32) Ibidem, Diario Sistino n. 105, anno 1686, c. 48.
33) Idem. 34) Idem, c. 51. 35) Idem. 36) Idem, c. 37v. 37) Ibidem, Diario Sistino n. 106, anno 1687, c. 60.
38) Idem, c. 62.
39) Ibidem, Diario Sistino n. 108, anno 1689, c. 138.
40) Idem, c. 140. 41) Idem, cc. 235-236. 42) Idem, c. 237. 43) Idem, cc. 239-240. 44) Idem, c. 240. 45) Idem, 229. 46) Ibidem, c. 348.
47) ENRICO CELANI, op. cit., pag. 72.
48) Biblioteca Apostolica Vaticana, Cappella Sistina, Diario Sistino n. 109, anno 1690, c. 74.
49) Idem, cc. 72-73.
50) ANDREA ADAMI, detto il Bolsena, op. cit., pag. 38.
51)
Ibidem, pag. 44. 52)
Ibidem, pag. 101. 53) Ibidem, pag. 65.
54) Biblioteca Apostolica Vaticana, Cappella Sistina, Diario Sistino n. 109, anno 1690, cc. 50v-52v.
55)
Idem, c. 51v. 56)
Idem, c. 52v. 57) JOSEPHUS LLORENS, Capellae Sixtinae Codices, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1960, pag. 141, n. 89.
58) Idem.
59) Ibidem, Diario Sistino n. 110, anno 1691, cc. 31 r et v.
60)
Idem, c. 74r. 61)
Idem, c. 74v. 62) Ibidem, Diario n. 116, anno 1697, c. 129 r et v.
63) Ibidem, Diario n. 96, anno 1677, cc. 18 r et v.
64) Ibidem, Diario n. 103, anno 1684, c. 9v.
65) Ibidem, Diario n. 105, anno 1686, c. 15r.
66) Ibidem, Diario n. 103, anno 1684, c. 12r.
67) Ibidem, Diario n. 105, anno 1686, c. 17r.
68) Ibidem, Diario n. 101, cc. 13 r et v.
69) Ibidem, Diario n. 115, anno 1696, cc. 211-212.
70) Ibidem, Diario n. 99, anno 1680, cc. 1v, 4r e 6r.
IL DIARIO SISTINO DEL 1684 SCRITTO DA DON GREGORIO DE GIUDICI
Martedì 28 dicembre 1683, Festa dei Santi Innocenti, il Collegio dei Cantori Pontifici tenne la consueta Congregazione per la elezione dei nuovi Officiali. A tale scopo, i Cantori si riunirono nella Cappella Sistina in Vaticano, nella quale, dopo l’invocazione dello Spirito Santo da parte del Maestro di Cappella, fu dato inizio alla riunione. Gli Officiali dell’anno in corso, Giuseppe Vecchi, Maestro di Cappella, Giuseppe Fede, Camerlengo e Giovanni Matteo Leopardi, Puntatore, ringraziarono il Collegio per l’onore loro concesso di guidare le sorti della illustre istituzione. Nel corso degli scrutini, a cui parteciparono 30 Cantori, venne eletto Maestro di Cappella per il 1684 il basso Francesco Verdone e Camerlengo Don Giuseppe Fede. Subito dopo, si passò alla votazione per la nomina del Puntatore, che vide l’elezione di Don Gregorio de Giudici. Quest’ultimo, conformemente al solito, prestò giuramento nelle mani del Maestro di Cappella di osservare e far osservare le Costituzioni e le consuetudini del Collegio dei Cantori Pontifici. Nel suo ufficio di Puntatore, Don Gregorio, in qualità di segretario del Collegio, era tenuto a verbalizzare con precisi particolari tutta l’attività del sodalizio, nelle varie cerimonie del calendario dell’anno liturgico, in cui era prescritto l’intervento dei Cantori Pontifici. Nello stesso tempo, il Puntatore, aveva l’incombenza di registrare le inadempienze dei Cantori che venivano “puntate”, cioè registrate e multate secondo le severe prescrizioni delle Costituzioni del Collegio. In ossequio alle disposizioni ed ai dettami delle Costituzioni, ogni cantore aveva l’obbligo di intervenire alle cerimonie senza alcun ritardo, con un contegno di gravità e modestia, mentre erano attribuite precise istruzioni a riguardo del silenzio, la cura della tonsura clericale, del vestiario, l’attenzione e la diligenza nel voltare le carte dei codici musicali utilizzati nel canto. In particolare, l’assoluta perfezione richiesta nella interpretazione delle composizioni, comportava la segnalazione di ogni minimo errore compiuto dai cantori nell’esecuzione dei brani (come l’intonazione, i tempi e l’ingresso delle varie voci), a cui seguiva la severa ammenda di ognuno di essi. Nel caso di inosservanza di tali prescrizioni, al cantore responsabile della violazione veniva comminata una multa espressa in bajocchi, da parte del Puntatore, che la registrava nel Libro dei Punti o Diario Sistino di quell’anno.
Nel Diario Sistino, la cronaca degli avvenimenti salienti delle cerimonie liturgiche pontificie registrava minuziosamente, “a perpetua e futura memoria”, alcuni dati fondamentali, insieme a qualche breve notizia di particolare rilievo sulla celebrazione stessa, il luogo in cui essa si svolgeva e la presenza del celebrante, nella persona del Papa, di un Cardinale o di un Vescovo Assistente al Soglio. Queste preziose memorie, scandivano, con assoluta regolarità, tutta la vita della Corte Pontificia, vista attraverso il privilegiato dei Cantori della Cappella Pontificia, il cui Collegio era inserito a pieno titolo fra i ceti più prossimi alla sacra persona del Papa.
Il Diario Sistino del 1684, redatto da Don Gregorio de Giudici nella sua qualità di Puntatore consta di 40 pagine ed è molto accurato e ricco di informazioni e notizie sul rituale delle festività dell’anno liturgico e sugli interventi musicali. Questo volume è uno dei pochi in cui siano forniti numerosi elementi preziosi per una conoscenza del repertorio della Cappella Pontificia e della tradizione musicale che fu un costante punto di riferimento della Scuola Musicale Romana nella seconda metà del XVII secolo. Infatti nelle sue memorie, Don Gregorio precisò gli autori ed i titoli dei brani polifonici eseguiti dai Cantori Pontifici durante alcune celebrazioni solenni alle quali il Collegio intervenne. Per tali motivi, come ha segnalato il Prof. Giancarlo Rostirolla, il Diario Sistino redatto nel 1684 è ricco di molti dati interessanti e preziosi per gli studiosi ed i cultori della Storia della Cappella Pontificia.
Il Diario Sistino del 1684 reca nel frontespizio la dicitura autografa:
LIBRO DELLI . PUNTI . DE SIGNORI . MUSICI DELLA . CAPPELLA PONTIFICIA DA GREGORIO DE GIUDICI . REGISTRATO NELL’ANNO . MDCLXXXIV
Nelle prime due facciate successive, Don Gregorio riporta l’elenco di tutti i Musici della Cappella Pontificia, con il loro nome e cognome, seguito dai Cappellani, gli Scrittori ed il Custode della Cappella Pontificia. A pagina 2 inizia la cronologia degli avvenimenti rilevanti che, nell’anno 1684, interessarono il Collegio dei Cantori Pontifici. Il primo gennaio, sabato, Circoncisione di Nostro Signore Gesù Cristo, vi fu Cappella Papale nella Cappella Sistina al Vaticano. Cantò la Messa il Cardinale inglese Filippo Tommaso Howard di Norfolk, con l’intervento del Sacro Collegio, ma non fu presente il Sommo Pontefice Innocenzo XI, perché indisposto. Prima della Santa Messa, il Maestro di Cappella Francesco Verdoni, il Camerlengo Don Giuseppe Fede e Don Gregorio de Giudici, Puntatore, si recarono dal Maggiordomo Mons. Mazzei per gli auguri di buon anno e per consegnargli il mandato delle mance per il Collegio, solite a concedersi dal Papa in queste occasioni (c. 2r).
GENNARO 6 Giovedì festa dell’Epifania. Cappella Papale nella Cappella di Sisto nel Vaticano cantò la messa l’Em.mo Card.le Ottoboni con l’assistenza del Sacro Collegio, N.S. indisposto; tutti li SS.ri Compagni presenti, nel fine della messa intimai il servitio per il giorno seguente, e che la Domenica prossima si sarriano lette le Costituzioni conforme al solito nella med. Cappella à hore sedici (cc. 2 r et v).
9 Domenica - radunarosi tutti li SS.ri Compagni serventi nella solita Cappella di Sisto nel Vaticano à hore sedici furono lette le Costituzioni … dopo lette le Costituzioni, tutti genuflessi, rendessimo le gratie al Sig.r Iddio, et avvisai il servitio per il giorno seguente (c. 2v).
FEBRARO 2 Mercordì - festa della Purificatione della B.V.M. Capp. Papale nella Cappella di Sisto al Vaticano fece la beneditione et la distributione delle Candele N.S. cominciando p.a dal sac. Collegio delli Em.mi Card.li con l’assistenza dell’Ambasciator di Francia d’Etré, e delli Principi del Soglio, poi susseg.nte per ordine à tutti gl’altri, è fù fatta la processione solita per la sala Regia. N.S. portato in sedia accompagnato dall’Ambasciatore sud.o et Prencipi del soglio, da tutta la prelatura, e dal sac. Collegio come il solito. L’Em.mo Card.le Carpegna cantò messa con l’assistenza di N.S. e del sac. Collegio, tutti li nostri SS.ri Compagni diligenti ( c. 4v).
MARZO 19 Domenica di Passione - Capp. Papale nella Capp. Di Sisto nel Palazzo Vaticano, cantò la messa Mons.r Buttini con l’intervento del Sac. Collegio, tutti li SS.ri Compagni diligenti e feci consapevole che si facevano le prove dell’opere che si dovevano cantare la settimana santa, per poterle concertare per martedì futuro (cc. 7v e 8r).
21 Martedì - furono fatte le prove da cantarsi nella settimana santa, e furono date le cotte per la festa della SS.ma Nunziata (c. 8r).
Con la Settimana Santa, la descrizione diviene ancora più minuziosa. 26 Domenica delle Palme, Cappella Papale celebrata nella Cappella Sistina dal Cardinale Crescenzi, con la benedizione e distribuzione delle Palme. Terminata la distribuzione delle Palme, vi fu la processione che per la Sala Regia tornò in Cappella, dove venne cantata la Santa Messa con il Passio (cc. 8 r et v).
29 Mercordì Santo - al matutino Capp. Papale nella Capp. di Sisto, N.S. indisposto fece la funzione l’Em.mo Card. Cibo con l’assistenza del Sac. Collegio, e fù cominciato l’officio alla p.a Lamentazione quale si cantò in canto figurato di Gregorio Allegri. Dopo aver precisato che la Seconda Lamentazione venne eseguita in canto plano, il Puntatore registrò l’esecuzione del Miserere di Gregorio Allegri a due cori (cc. 8v e 9r).
30 Giovedì Santo - cantò la messa l’Em.mo Card.le Cibo con l’intervento del Sac. Collegio, e fece la funtione portanto il SS.mo al sepolcro accompagnato dalli Em.mi e Sig.ri Prelati, et altri, finita la messa fece la funtione della lavanda delli Apostoli in mancanza di N.S. quale era indisposto, finita la fontione s’andò al solito tinello, e nesuno si lamentarono come furono trattati; alla d. funtione nessuno mancò delli nostri SS.ri Compagni. Giovedì al giorno dell’offitio fece la fontione l’Em.mo Card. Azzolini, con l’assistenza del Sac. Collegio, N.S. non calò per l’indisposizione. La Lamentazione del Primo Notturno, fu in canto figurato del Palestrina. Nel Terzo Notturno, Don Gregorio de Giudici cantò la VII Lezione. A conclusione, venne cantato il Miserere di Matteo Simonelli a due cori (cc. 9r et v).
Il 31 Venerdì Santo - Cappella Papale nella Cappella Sistina. La funzione venne celebrata dal Cardinale Azzolini che riportò processionalmente il Santissimo Sacramento dalla Cappella Paolina alla Cappella Sistina. Alla Profetia Il Sig.r Carlo Ant.o Anotò, e si portò molto bene. Seguì il canto del Passio, affidato a tre cantori e gli Improperi a due cori. Sempre Venerdì Santo all’Offitio, dopo le Lamentazioni ed i Notturni venne cantato il Miserere di Felice Anerio a due cori (cc. 10r-11r).
APRILE 1° Sabbato Santo - nella solita Cappella di Sisto al Vaticano la funtione fù fatta senza intervento di N.S. quale era indisposto, con l’assistenza del Sacro Collegio; principiato dal Diacono Mons. Casali lumen Christi li nostri Compagni lesti furono nel rispondere, e nesuno mancò in quella mattina, fu cominciato dal d.o Diacono à cantarsi l’Exultet per la bened.no del Cereo doppo furono cominciate le profetie cominciandosi dall’ultimo cantore, sino al duodecimo. La decima Profetia fu cantata da Don Gregorio de Giudici. Finite le profetie si cantorono le litanie de Santi e subito finite si cominciò la Messa quale fù cantata dall’Em.mo Card.le Lauria; ogn’uno in quella mattina si portò bene (c. 12r).
2 Domenica Pasqua di Resurrettione - Capp. Pap. al Vaticano nella Capp. di Sisto, cantò Messa il S.r Card.le Ludovisi con l’assistenza del Sacro Collegio, e perché N.S. era indisposto per quest’anno il popolo non hebbe la beneditione. Il nostro Camerlengo andò dal Maestro di Camera se N.S. voleva li soliti mottetti al pranzo e li fù risposto ch’andassimo à pranzo che N.S. non voleva mottetti per quella mattina et il nostro Camerlengo si trasferì da Mons.r Magiordomo per far passare il md.to delle mancie da N.S., poi ci n’andassimo al tinello, dove fossimo ben trattati, tornati in Cappella dividessimo l’ove benedette, e l’altre paste di zuccaro solite darsi da N.S. in giorno di Pasqua con l’Agnello benedetto, quale fù dato al Sig.r Gio: Matteo Leopardi, benché sia regalia che de iure vada al S.r Camerlengo (c. 12v).
MAGGIO 21 Dom.ca di Pentecoste - Cappella Papale nella Chiesa di S. Pietro, Nostro Sig.re calo in sedia Pontificalm.te accompagnato dal sac. Collegio servito dall’Ambasciadore di Francia Principi e Prelati, cantò messa il S.r Card. Ottoboni, tutti li SS.ri Compagni diligenti, si doveva in q.ta matt.a andare à pranzo al solito tinello à palazzo mà perche non era comodo à quelli che dovevano accomodare per d.o pranzo ci venne avvisato dal nostro Camerlengo ch’andassimo à pranzo à Casa con pigliare il solito emolum.to d’un scudo per uno del pranzo e ci fù intimato il Vespero secreto per hore 21 à hore 22 fù cantato il vespero secreto nella Cappelletta solita alla presenza di N.S., e tutti quelli della Camera secreta dove che de nostri compagni non mancò nesuno (c. 16r).
22 Lunedì - s’andò processionalm.te da S. Pietro in S. Spirito per conquistare il S. Giubileo concesso in quella Chiesa conf.e l’intenzione di N.S. P. Innocenzo XI regnante (cc. 16 r et v).
27 Sabbato p.o vespero della SS.ma Trinità - capp. Papale nella solita cappella di Sisto, fece la funtione il S.r Card. Azzolini con l’assistenza del Sac. Collegio, N.S. absente (c. 16 v.).
28 Domenica festa della SS.ma Trinità - Capp. Papale nella Capp. di Sisto al Vaticano, cantò messa il Card.le Azzolini con l’assistenza di N.S. e del sac. Collegio (c. 16v).
31 Mercordì Capp. Papale p.o Vespero della Solennità del Corpus D.ni - fece la funtione il S.r Card.le Cibo con l’assistenza del sac. Collegio, tutti furono presenti (c. 17r).
GIUGNO 1 Giovedì festa del Corpus D.ni - capp. Papale, N.S. non calò, e così disse messa bassa l’Em.mo Card. Cibo al quale furono cantati li soliti mottetti da cantarsi nella messa in d.a festa. Si cominciò la processione per ordine come il solito cominciando dalla Cappella di Sisto dove uscì l’Em.mo Card.le Cibo con il SS.mo Sacram.to in mano accompagnato dalli SS.ri Card.li, e Prelati con quantità di torcie si fece il solito giro sino alla piazza di S. Giacomo detto scossacavalli, e si ritornò per li portici sino all’Altare maggiore di S. Pietro dove arrivato che il SS.mo e posato sopra l’altare magiore, diede la Benedizione al popolo, poi tornassimo a casa (c. 17v).
28 Mercordì Vigilia di S. Pietro - calò N.S.e in sedia Pontificale nella Chiesa di d.o Santo accompagnato dal sac. Collegio Ambasciatori Principi; si cantò il p.o Vespero quale finito si mise di nuovo in sedia e venne verso la porta della Chiesa, dove ricevé la Chinea dal Principe S. Bono Ambasciatore estraordinario; tutti li nostri compagni presenti (c. 19r).
29 Giovedì festa di S. Pietro - calò N.S.e in sedia pontificalm.te nella Chiesa di S. Pietro accompagnato e servito dal sac. Collegio e dal S.r Ambasciatore di francia, e Principi, e Prelati, et assisté pontificalm.e alla messa, la quale fu cantata dall’Em. S.r Card.le Pio; il nostro S.r Camerlengo andò per sapere se N.S. voleva li mottetti alla tavola, li fù risposto di no, e che N.S. voleva il vespero a hore 22, et in cambio del pranzo avessimo il md.o di un scudo per uno, perche in palazzo non gli era comodo dare la solita tavola, stante che N.S. era per partire per M.te Cavallo. Alle 23 si cominciò il Vespero Secreto nella cappelletta solita, presente N.S. e con q.ta occasione il nostro Camerlengo diede il md.to delle mancie al Magior Domo del Papa, è la lista del pranzo ancora per farle passare da N.S.re (cc. 19 r et v).
SETTEMBRE 21 Giovedì - Capp. Papale nel Quirinale per la creatione di N.S. Innoc.o XI, cantò messa il S.r Card.le Lauria con l’assistenza del sac. Collegio. Assistette N.S. (c. 25v).
OTTOBRE 4 Mercordi - capp. Papale nel Quirinale per la coronatione di N.S. P. Inn. XI il mede.mo assistette. Cantò messa l’Em.mo S.r Card.le Cibo con l’intervento del sac. Collegio dei Cardinali; tutti li SS.ri Compagni presenti. Doppo la messa il S.r Camerlengo ci portò avviso che N.S. non voleva li mottetti per quella mattina, e così ci n’andassimo à pranzo nelle nostre habitationi, non perciò ci mancò il nostro solito scudo per ciascheduno per d.o pranzo (cc. 26v e 27r).
NOVEMBRE 1 Mercordi festa di tutti li Santi - Cappella Papale nel Palazzo Quirinale. Cantò messa il Card.le Ottoboni con l’intervento del sac. Collegio de Cardinali. N.S. non calò, tutti li signori Compagni presenti, eccetto che il nostro Sig.r M.o di Cappella amalato, et ancora il signore Giuseppe Fede. In questo giorno è solito darsi il pranzo, e perche il nostro Pontefice, abita à monte Cavallo, dove che non ci è luogo di poter dare il tinello, in vece del Pranzo il nostro S.r Camerlengo deve havere il mand.to da Mo.r Magiordomo d’un scudo per ciascuno. Dopo il pranzo si cantò il Vespero e Matutino, e Laude de Morti e la fontione la fece il S.r Card.le Azzolini, con l’intervento del sac. Collegio, e N.S. non calò, e furono cantate le Lettioni de Morti dalli SS.ri Musici nostri Compagni, incominciandosi dal novizio conforme al solito (cc. 28 r et v).
2 Giovedì comemoratio omnium fidelium defunctorum. - Capp. Papale nel Quirinale cantò messa l’Emin.mo Card.le Azzolini con l’assistenza del Sac. Collegio. N.S. non intervenne, tutti li nostri SS.ri Compagni presenti (cc. 28v e 29r).
DICEMBRE 3 Domenica prima dell’Advento - Capp. Papale nella solita Cappella di Sisto nel Palazzo Vaticano con l’assistenza del sac. Collegio, N.S. quale non intervenne, cantò messa Mons.r Arcani e fù messa novella, tutti li SS.ri Compagni presenti. Finito la messa Mons.r Arcani portò processionalm.te il SS.mo Sacramento nella cappella solita per le quarant’ore correnti, con grandissimo apparato accomodata, e con infinità di cera. In questa mattina fù affissa la lista solita con li nomi di tutti li SS.ri Compagni serventi finche ogn’uno sapesse q.do li toccava la sua hora in questi giorni, nelli quali il Santissimo Sacram.to stà esposto, con il consueto (c. 33r).
4 Lunedì - nessuno mancò in fare ogn’uno la sua debita hora come in lista fù notato (c. 33v).
5 Martedì - si levarono le quarant’hore dalla Cappella, e p.a furono cantate le litanie da due soprani, e poi fù detta la messa bassa dal sotto sacrista et in tanto furono detti dui mottetti soliti all’offertorio, et all’elevatione (c. 33v).
24 Domenica Vigilia della Natività di N.S. Giesù Cristo - Vespero Papale, nella cappella al Quirinale con la presenza del sac. Collegio. N.S. non intervenne essendo indisposto. Il S.r Card.le Cibo fece la funtione, mancò similmente il S.r Fabri. Al fine del magnificat venne il S.r Franc.o Verdoni nostro Maestro di Cappella, con il quale ci rallegrassimo tutti della ricuperata salute, e li fù concesso di poter venire in Cappella in suo arbitrio. La notte à hore quattro fù cominciato il matutino nella mede.ma Cappella alla presenza del sac. Collegio de Card. N.S. indisposto, e furono cantate le lettioni delli 3 notturni dalli nostri sig.ri Compagni cominciandosi dal novizio, sino all’ottavo, perche la nona lettione la canta il celebrante q.le fù il S.r Card. Ovardi Inglese frate della Minerva. Finito il Te deum fù cantata la messa dal mede.mo Card., quale finita ci n’andessimo à Casa (cc. 35 r et v).
25 Lunedì Natività di N.H. Iesù Xsti - Cappella Papale nel Palazzo Quirinale, N.S. non intervenne. Cantò messa l’Emin.mo Card. Ludovisi con l’assistenza del sac. Collegio, si fece la solita comunione dalli SS.ri Card.li Diacon;; tutti li SS.ri Compagni presenti, et in questa mattina si doveva havere il solito pranzo, ma per la comodità mancante nel Quirinale, ò per dir meglio scomodità, in vece di esso avessimo il solito mandato di scudi 1. Il giorno à hore 22 fù cantato il Vesp.o secreto nella solita cappella alla presenza di N.S.; tutti li nostri signori compagni intervennero con ogni puntualità (cc. 35v e 36r).
26 Martedì Festa di S. Stefano Protomart.re - fù Cappella Papale nel Palazzo del detto Quirinale, N.S. non intervenne, cantò messa l’Emin.mo Card. Nerli con l’intervento del sac. Collegio; tutti furono diligentissimi (c. 36r).
27 Mercordì festa di S. Giovanni - Capp. Papale nel Quirinale cantò messa il S.r Card. D’Etré francese, fratello del Ambasciatore presente ordinario con l’assistenza del sac. Collegio, N.S. non calò; tutti li nostri SS.ri Compagni puntuali. Finita la messa feci intendere alli nostri meritissimi Compagni, che il S.r Card. Protettore aveva sodisfatione di parlare con tutti della nostra Cappella p.a che si facesse la solita Congregatione per fare li ufficiali novelli per l’anno entrante (cc.36 r et v).
31 Domenica Vigilia della Circoncisione di N.S. Giesù. - Cappella Papale nel Quirinale, N.S. absente, ufficiò il S.r Card. Crescentio alla presenza del sac. Collegio; tutti li Sig.ri nostri Compagni mostrarono la solita loro puntualità per non dare occasione à me per l’ultimo giorno di q.to officio di non segnare, come diligentissimam.te hò segnato tutto questo anno con ogni integrità, e sincerità, senza rispetto di qual si voglia, facendo nella mia arme una bilangia, come al cognome perciò se per accidente avessi errato preter intentionem è di qualsivoglia difetto possibile prego la bontà di tutti li nostri SS.ri Compagni volermi condonare e compatire dichiarandomeli ob.mo dell’honore e prego la S.D.M. multos annos à tutti. Laus
Deo Amen, et B.M.V. Amen (36v e 37r).
Sempre nel Diario Sistino, vennero registrate le numerose occasioni in cui il Collegio dei Cantori Pontifici fu chiamato ad impreziosire, con la sua arte impareggiabile, speciali e solenni celebrazioni durante l’anno liturgico, nelle principali basiliche e chiese romane.
GENNARO 23 Domenica - non fù servito perche molti de nostri compagni andarono alla Messa di Spagna in S.M. Magiore (c. 3r).
24 Lunedì - fù cantata la messa per l’anniversario della b.m. di Marco Marezzoli come il solito ogn’anno nella Chiesa nova di S. Filippo, è si trovarono à queste esequie tutti puntuali con li SS.ri Giubilati ancora (cc. 3 r et v).
29 Sabato - si andò a cantare il p.o vespero alla Chiesa di S. Martina (c. 3v).
MARZO 7 Martedì festa di S. Tomaso d’Aquino - Capp. Cardinalizia nella Chiesa della Minerva, cantò Messa Mons. Marino con l’intervento del Sacro Collegio. Tutti li SS.ri Compagni diligenti con li giubilati ancora (c. 7r). 25 Sabbato - capp. Papale nella Chiesa della Minerva, cantò messa l’Em.mo Card.le Ovardi, Inglese del ordine de Dominicani, con l’assistenza del sac. Collegio N.S. indisposto; tutti li SS.ri Compagni presenti (c. 8r).
GIUGNO 24 Sabbato - Cappella Papale nella Chiesa di S. Gio. in Laterano per la festa della natività di d.o Santo, cantò messa l’Em.mo Card.le Chisi Arciprete di d.a Basilica con l’assistenza del sac. Collegio, N.S. absente; tutti li compagni diligenti (c. 19r).
LUGLIO 14 Venerdì S. Bonaventura - capp. Cardinalizia nella Chiesa di SS. Apostoli, cantò messa Mons.r Capobianco; tutti li nostri Compagni presenti (c. 20v).
29 Sabbato festa di S. Marta, chiesa delli officiali di Palazzo avendoci mons.r Maggiordomo fatto sapere che in gratia di sua sig.ria Ill.ma fossimo andati à cantare la messa al quale nesuno replicò bensi dissero, che ci sarebbero necessarie le carrozze per il viaggio così caldo, quale furono mandate in più loghi per comodità delli SS.ri Musici, fù cantata la messa sola conforme al solito (cc. 21v e 22r).
AGOSTO 15 Martedì - Capp. Papale nella Capp. di Paolo V° in S.M. Magiore per la detta festa, cantò messa l’Emin.mo Sig.r Card.le Nerli con l’intervento del sac. Collegio; N.S. non venne (cc. 23v e 24r).
SETTEMBRE 8 Venerdì - Capp. Papale à S.M. del popolo per la festa della Natività della Beata Vergine Maria, cantò la messa l’Em.mo Card. Chisi con l’intervento del sac. Collegio de Card.li; N.S. non venne; tutti li compagni presenti (c. 25v).
NOVEMBRE 4 Sabbato - cappella Cardinalizia nella Chiesa di S. Carlo al Corso per la festa di d.o Santo, cantò messa mons.r Carducci. Tutti li nostri SS.ri Compagni presenti e diligenti come anco li SS.ri Giubilati, eccetto quelli che sono fuori di Roma (c. 29r).
7 Martedì - Esequie per li nostri compagni defunti nella Chiesa di S. Gregorio (c. 30r).
Le Messe di Requiem per le esequie di illustri personalità ecclesiastiche e diplomatiche sono puntualmente annotate nel Diario Sistino fra le celebrazioni di prim’ordine, in cui era molto ambito l’intervento dei Cantori Pontifici.
FEBRARO 4 Venerdì - Esequie del defunto Card.le Giacomo Rospigliosi in S.M.Magiore, alla quale si trovarono tutti li nostri SS.ri Compagni, et ancora li giubilati (cc. 4v e 5r).
GIUGNO 12 Lunedì - capp. Papale nella capp. di Sisto messa di Requiem per la morte del Re di Portogallo cantò messa il Card.le d’Etré con l’assistenza di N.S. e del sac Collegio; tutti li compagni presenti (c. 18r).
LUGLIO 22 Sabb.o - Capp. Papale nel Quirinale per l’esequie di Clem. X° cantò messa l’Em.mo S.r Card.le Altieri con l’assistenza di N.S. et del sac. Collegio; tutti furono pre.ti (c. 21r).
Don Gregorio non mancò di registrare con accenti di sincera commozione, la scomparsa di uno dei migliori cantori di quegli anni, il soprano Francesco Maria Fede, nativo di Pistoia, celebre virtuoso. Con un breve elogio funebre inserito negli atti del Collegio, il Puntatore volle rendere omaggio ad una personalità di sicuro spessore, apprezzata negli ambienti aristocratici della Città Eterna per le sue distintissime qualità canore. Un fratello del defunto, Giuseppe Fede, soprano ricercatissimo, anch’egli membro del Collegio dei Cantori Pontifici, avrebbe continuato ad onorare splendidamente, con la sua arte, la memoria dell’illustre scomparso.
MARZO 1° - Passò da questa à megliore vita il Sig.r Franc.o Maria Fede non voglio mancare di non registrare in questo libro ad futuram memoriam il dispiacere che ne sentì il nostro Collegio, come Roma tutta, mentre si vidde privo di un speciale Virtuoso Musico il di cui nome per tutto il mondo ne volava, mentre nelle più solenni festività di Roma ne portava sempre il vanto tra virtuosi, tanto per l’arte, come per la voce, al di cui canto si empivano le Chiese di homini virtuosi per sentirlo tanta era l’estimazione, et il concetto app.o li Principi, e Cavalieri teneva speciale familiarità. Chiamavasi per Etimologia il fedino per altro Giovine oltre le prerogative dove s’accoppiavano quelle dell’anima di Gentilezza, Bontà, Costumi, e Prudenza è particolari tratti tutto Cortesia, tutto affetto, tutto Prudenza, tutta virtù (c. 6v).
3 Venerdì - furono fatte le esequie per il d.o defunto nella d.a Chiesa di Monte Santo, dove pervennero li nostri SS.ri Compagni, etiam Giubilati Cappellani Chierici, et Custodi della nostra Cappella con distributione di candele di una libra con decente catafalco bene accompagnato di torcie (c. 7r).
Nelle cronache del Diario Sistino di Don Gregorio de Giudici traspaiono anche alcune informazioni sulle vicende politiche europee, che rivestivano particolare importanza agli occhi del Pontefice Innocenzo XI, riguardanti le vittorie delle armate imperiali nella secolare lotta per la riconquista dei territori ungheresi.
LUGLIO 16 Domenica - capp. Papale nel Quirinale per l’allegria della presa di Vacchia contro li Turchi et altri luoghi riacquistati dalli nostri cantò messa il S.r Card.le Pio con l’assistenza di N.S., e del sac. Collegio dopo il post comun. Fù cantato il te deum intonato da N.S. con lo sparo di molti mortaretti e pezzi di M.te Cavallo e castello S. Angelo (c. 20v).
AGOSTO 13 Domenica - capp. Papale per la rotta data alli Turchi dal Duca di Lorena sotto Buda con haver disfatto l’esercito e pigliato tutto il bagaglio cantò messa l’Em.mo Card.le Pio con l’assistenza del sac. Collegio (c. 23r).
I RAPPORTI CON LA SUA FAMIGLIA E CON CECCANO
A causa della completa dispersione dei documenti privati di Casa Giudici non ci era noto alcuno scritto autografo inviata da Don Gregorio ai suoi familiari in Ceccano. Nella meticolosa verifica della documentazione conservata nell’Archivio Notarile di Ceccano, l’autore della presente memoria biografica ha avuto modo di rinvenire, il 23 dicembre 2004, una preziosa lettera autografa di Don Gregorio al fratello Federico, inserita tra i fogli della terza di copertina rilegata di un Protocollo notarile.
Il testo risale al primo periodo di presenza di Don Gregorio a Roma ed è particolarmente interessante sotto molti aspetti, poiché ci rivela la forte personalità del giovane sacerdote e traduce bene i sentimenti, le ansie e le difficoltà che egli viveva in quel momento. Da un lato traspaiono le preoccupazioni per le spese che è costretto a sostenere a causa del suo stato, ma dall’altro si coglie, immediata e viva, la grande forza d’animo e la notevole determinazione che lo animavano a proseguire nella strada intrapresa, al fine di conseguire grandi traguardi artistici nelle istituzioni musicali della Città Eterna. Ugualmente emblematica si rivela la dichiarazione secondo cui egli non teme un contrasto con il Vescovo di Ferentino, in quanto è sicuro del fatto suo e delle proprie ragioni, convinto di riuscire, ben presto, a far ricredere il prelato.
Il tono nei confronti del fratello Federico è davvero affettuoso, familiare e pieno di umanità, a riprova di un saldissimo vincolo che da sempre li univa. E pur nelle difficoltà incontrate in questo primo periodo di residenza a Roma, Don Gregorio non cessa di inviare a Ceccano alcune pietanze e primizie di ortaggi, certamente non comuni nel mercato locale. Sempre dalla lettera apprendiamo che per qualche tempo l’amatissimo nipote Salvatore, figlio di Federico, fu al fianco di Don Gregorio a Roma.
<<Sig.re fra.llo Cariss.mo
Sappia V.S. come molti giorni sono che uscii da S. Angelo perché m’accorgeva non so che da alcuni canonici, q.li avevano poco gusto che servisse et io pigliai questo mezzo termine di pigliarmi licenza p.a che me fusse data, ritrovandomi poi asciutto di borsa è senza pane, per avermi compro un feraiolo con sottana è calzoni, che per pigliare quest’ ne fui forzato vendere un caldarello ch’haveva con un tavolino è cinque sgabelli per fare il fatto mio che q.a carta pecora me costa giuly trentasette è per finire il mio intento quando non sapessi altro modo di fare voglio vendermi il letto con le camiscie che altro non hò che sia mio. Vi mando Salvatore acciò non è habbiamo à perdere tutti doi. V.S. veda di farmi presentare le copie dell’acclusa una à Monsig.re e’ finale è l’altra alla parte per adesso hò data sicurta di 50 scudi avanti l’A. della C. dove me sono costituito et ho tutta Roma c. carcere p.o. V.S. veda di farla quanto più presto pole con la referenda del mandatario con l’autentica della Com.ta col sigillo. Parli con il Sig.re Medico, che si facci restituire le fedi q.li gli le mandai per difendermi avanti Monsig.re e q.do non si potessero havere ne facci fare un’altra dal Cancelliere de Pofi che adesso voglio in ogni modo finirla è non mi curo che il vescovo me resti inimico perche mi prenderò d’altro maniere è ricuperarò la Cavalcata. Li mando li scafi è piselli q.li avevo compro dal p.° mercato di quaresima. Mi compatisca se rimando Salvatore che non ne posso far di meno che non me basta l’animo à campare me solo che q.do ce fosse stato altro ripiego se saria potuto stare. So che dirli solo se ricorda che li son fra.llo che q.do non se voglia pigliare q.o impiccio lei rimandi l’hinibitione indietro. Con che me li ricomando. Roma 5 marzo 1665 Di V.S. Molt’Ill.e
Aff.mo fra.llo Gregorio de Giudici>> (1).
Nella miscellanea delle copie dei documenti notarili di Federico de Giudici, oltre al frammento del Testamento della madre Donna Divitia Poti e ad una lettera di Salvatore, figlio del notaio, si conserva una lettera dello stesso Federico indirizzata a Roma al fratello Don Gregorio e non più spedita. La missiva contiene alcuni particolari gustosi sui regolari invii di pietanze ed altri beni a cui provvedeva Don Gregorio da Roma: infatti Federico cita, con accenti davvero curiosi e un poco spiritosi <<le dulci papaline>> e i <<doi Coppiettoni>>. Con lo stesso tono confidenziale, sinceramente affettuoso e non senza elogi e ringraziamenti molto ossequiosi, Federico formula al fratello l’ulteriore richiesta di un paio di calzoni.
Nella parte finale, gli affetti familiari hanno di nuovo il sopravvento e Federico, riconoscendo, con un pizzico di galanteria, che Don Gregorio è il vero e proprio punto di riferimento per tutta Casa de Giudici, saluta a nome dell’intera Famiglia il fratello, citando anche il piccolo pronipote Fabio, assicurando che tutti sono in dolce attesa del prossimo ritorno di Don Gregorio a Ceccano, previsto per l’autunno dello stesso anno, quando, allo scadere dei venticinque anni di servizio nella Cappella Sistina, egli sarebbe stato giubilato e posto in pensione. Fra queste righe commoventi, di profondo affetto familiare e di intima unione dei cuori, nulla lascia presagire la serie di lutti familiari che nel giro di pochi mesi, si sarebbe abbattuta sulla Famiglia de Giudici, con la scomparsa durante l’estate di Federico e del figlio Salvatore e nel dicembre dello stesso Don Gregorio.
<<Al m.o Ill.re e m.o R.do Sig.re sig.r mio pro.n Sing.mo Il Sig.r Don Gio. Gregorio de Gregorio de Giudici Mu- sico di Cappella
Roma
M. Ill.re e M.o Rev.do Sig.r fr.ello Car.mo
In no.e tuo D.ne, dicio Retia. Rendo gratie à Dio prima, è poi à V.S come mio Benefattore. Godo assai delle cose dulci papaline mandatemi q.le ne resto tenuto alla sua cortese natura delli doi Coppiettoni, in Casa non s’e assaggiato, dubitando non essere in q.lli qualche Geroglifico alla sua usanza ridicolosa; solo io sono stato il Goloso che parte m’ho posta colla carne fresca allessa, e mi piacque per li condimenti d’aglio Coriandoli. Il neg.o dello Spetiale, lo dirrà meglio Salvatore à bocca à chi mi rimetto. Mi trovo sensa Calzoni, se V.S. avesse qualche paro usati l’havvrei di bisogno. Per mezzo di questi miei caratteri primitivi tesso la rete in nome del S. Dio, et ad esso li dedico, e poi alla sua natura come mio sollecitatore, e bussola nel mare della sua benevolenza. Del resto poi tutti di Casa la riveriscono, e Fabbio suo pronepote e sua madre e ci pare a tutti mill’anni di rivederla con salute e li bagio le mani Ceccano 2 Giugno 1697
Di V.S. m.t’Ill.re e m.to R.da
Aff.mo fr.llo Federico de Giudici>> (2).
Con testamento rogato dal Notaio Carlo Almerici di Ceccano il 29 giugno 1681, l’Illustrissima “Virgo” Donna Anna de Judicibus, figlia del Capitano Salvatore, nubile, disponeva dei suoi beni in favore dei nipoti Filippo e Salvatore, figli del fratello Federico (3). Innanzitutto affidava la sua Anima come parte più nobile, alla Santissima Trinità, alla Santissima Madre di Dio e a tutta la Curia Celeste e disponeva come luogo di sepoltura del suo corpo nella tomba di famiglia posta nella Cappella dedicata a San Carlo Borromeo nella Chiesa Arcipretale di San Giovanni Battista in Ceccano. Donna Anna istituiva un legato di scudi dieci per la celebrazione nella suddetta Chiesa di un Anniversario perpetuo all’anno; infine disponeva a carico dei suoi eredi la celebrazione in suffragio della sua anima delle Sante Messe di San Gregorio Magno, cioè di un ciclo delle trenta Sante Messe Gregoriane. L’atto venne rogato in Ceccano, nell’abitazione della Famiglia de Giudici, sita in Piazza, dove la testatrice giaceva malata, alla presenza dei testimoni Marco Antonio Stella, Cesare Cristofanilli, Pompeo Giovannone, Domenico Varnesio di Firenze, Rosato Giovannone, Antonio Del Brocco figlio di Pietro e Nicola Santarella.
L’anno successivo, il 27 ottobre 1682, il Molto Illustre Federico de Giudici ed il Molto Illustre e Molto Reverendo Don Gregorio de Giudici, in piena concordia e come buoni ed affezionati fratelli, sancirono la divisione dei beni ereditari paterni e materni, secondo quanto stabilito con una loro nota scritta, consegnata al Notaio Carlo Almerici. Riproducendo nei Capitoli le prescrizioni redatte dai due fratelli, il Notaio Almerici elencava i beni paterni, divisi in tre parti:
<<P.a Parte - La Sala della Casa sopra la loggia della Com.tà con la Camera contigua sopra d.a loggia sino al tetto che hà l’entrata dalla piazza publica per le scale.
2.a Parte - La Salotta detta la Cam.a dell’Apostoli con la Camera contigua, è Camerino a mani manca nell’entrare, che corrisponde all’uno ell’altro alla Stretta di Criscio sino al tetto con la mede.me entrata.
3.a Parte - Camerone a basso, con il Camerino contiguo à lato sopra la Stretta di Criscio con l’ingresso nella strada pub.a confinante da lato con la loggia della Com.tà, e le finestre sono corrispondente alla Stretta di Criscio, con le due Cantine di sotto d.o Cammerone, è loggia della Com.tà>> (4).
Federico, tanto in nome proprio, che in quello dei figli Salvatore e Filippo (eredi universali di Donna Anna de Giudici, la quale, come figlia del Capitan Salvatore aveva diritto alla terza parte dei beni paterni) riceveva ed acquisiva pienamente la Prima e la Seconda Parte della eredità paterna. Don Gregorio a sua volta, riceveva ed accettava la Terza Parte. Sempre a Federico venivano assegnati tutti gli altri beni dell’eredità paterna, fra cui la Casa o Stallone in Contrada l’Hostaria.
Per quanto riguarda l’eredità materna, a Federico erano assegnati e consegnati i seguenti beni:
<<1 Casa e Casaleno in c.ta le Noce dorante, con un tomolo e mezzo di terra. 2 Posess.e in c.ta la Fontana del Tufo, di cap.tà tomoli doi. 3 Posess.e in c.ta il Cerello di cap.tà di tomoli quattro 4 Posess.e in c.ta il Colle s.to Sebastiano di cap.tà di tomoli dieci 5 Posess.e in c.ta il Castellone di cap.tà tomoli dieci 6 Posess.e al Colle Cardarillo di cap.tà tomoli sei 7 Posess.e in c.ta l’Olivella di cap.tà tomoli tre 8 Posess.e in c.ta Calabretto di cap.tà di un rubbio 9 Canavina in c.ta la Riccolta di cap.tà tomolo uno e mezzo 10 Mezza falce di Prato in c.ta Calabretto 11 Prato in d.a c.ta di cap.tà di due falce 12 Prato di una falce in d.a c.ta indiviso con la Sig.ra Elisabetta Poti 13 Prato di mezza falce da capo a Calabretto 14 Posess.e alli Caldarari di cap.tà di tre tomoli 15 Posess.e alla Valle del Sorbo di cap.tà di un tomolo 16 Posess.e selvata, in c.ta la Selvotta di cap.tà di doi tomoli 17 Posess.e alli fragati cap.tà di tomoli doi 18 Posess.e in c.ta le Mentella di cap.tà tomoli quattro 19 Posess.e in c.ta La Valle di Rovagno di cap.tà di coppe doi 20 Posess.e in c.ta La Vigna di Pom.o Colap.e di cap.tà tomolo mezzo 21 Colle in c.ta le pantane di Casa Marciano di cap.tà di doi tomoli e mezzo 22 Posess.e in c.ta la Selvotta della volta cap.tà tomolo uno 23 Posess.e in c.ta il Vado di cap.tà di doi tomoli e mezzo (una parte di d.a posess.e fù donata al S. Federico dal q. Ab.te Matthia Saltasbarre). 24 Posess.e in c.ta il Vado di cap.tà tomoli uno e mezzo 25 Castagneto in c.ta Campanaro di cap.tà mezzo tomolo 26 Posess.e seu Rimata sop.a la Vigna che era della Corte cambiata con una poss.e di Castagne in c.ta S. Martino Casaleno posto dentro la Terra di Ceccano in c.ta il Montano ...
Et all’incontro d.o Sig.r Federico da asegna e consegna al Sig.r D. Gregorio Giudici suo fr.ello p.nte per la donatione fatta dalla q. Divitia loro ma.re ad titulum Patrimonii l’infra.tti beni
Arboreto in c.ta la Fontana Vecchia di cap.tà tomoli quattro
Posess.e in c.ta la Madonna della Pace vignata e non vignata di cap.tà tomoli tre
Casa dentro di Ceccano e proprio quella era di M.r Fabio Poti in c.ta la Piazza di doi membri confina con li Sig.ri Saltasbarre la strada et entrata davanti e li beni Paterni>> (5).
Dopo aver confermato che tale divisione avveniva vicendevolmente per amore fraterno <<ad invicem ob fraternum amorem>>, il Notaio Almerici precisava che l’atto era stato rogato in Casa di Don Gregorio, alla presenza dei Signori testimoni il Capitano Giovanni Battista Angeletti e Francesco Sforza del fu Erasmo.
In due atti notarili del Notaio Carlo Americi, alcune personalità di Ceccano furono chiamate a rendere testimonianza sulla piena proprietà vantata da Don Greogrio su una Selva sita in Ceccano in Contrada Le Farneta.
Nel primo, rogato in data 14 febbraio 1680, era comparso il Signor Carlo Colapietro del fu Pompeo, di anni sessantacinque, chiamato a rendere la sua testimonianza di fronte al Notaio Almerici. Nel testo dell’atto così esordiva il notaio: <<Ex.s fuit per me D. Carolus q. Pompei Colapietro ad instam et requisitione per Ill.ri et Ad.m R.D. Gregorii de Judicibus ad perpetua rei memoriam>>. E il teste, dopo aver reso il giuramento <<de veritate>>, depose: <<dico e depongo per la verità come conobbi la q.d. Divita Poti mentre fù al mondo la quale possedeva dentro è fuori la Terra di Ceccano oltre la sua dote di beni stabili, in particolare una Selva in c.ta le Farneta, quale selva assieme con gli altri beni, è dopo la morte di d.a q. d.Divitia continuò a possedere il S.re D. Gregorio de Giudici fig.o di essa q. Divitia, il quale si ordinò in Sacris, sapendo queste cose per essere miei Parenti, et ho veduto tanto d.a q. Divitia qu.to d.o Seg.re D. Gregorio dopo la morte di sua madre possedere d.i. beni, e specialm.te d.a Selva, facendo tutti quegli atti posessorii che fanno li veri Pr.oni con andarci, starvi, tagliare arbori, ricorre frutti, et altro che stavano in d.i beni per averlo io veduto, è per essere publica voce e fama, e pub.o e notorio a tutti non solo delle cose sudette che d.o S.re D. Gregorio possede dopo la morte di sua madre tra li altri beni per le cause sudette mà d.o S.r D. Gregorio si ordinò in Sacris con d.i beni e specialm.te con d.a Selva, del che come ne fù et è pub.a voce e fama e pubblico, e notorio a tutti quali la conoscevano per il nostro Paese>> (6). L’atto venne rogato a Ceccano, nella casa di Federico de Giudici, alla presenza dei testimoni Mastri Cataldo Guerrieri e Francesco Gallucci, fabrilegnari.
Nel secondo atto fu presente e si costituì il Signor Capitano Ambrogio Colone del fu Pietro, di anni settantacinque, il quale, esaminato ritualmente dal Notaio depose negli stessi termini del Colapietro, precisando di aver conosciuto Donna Divitia Poti, sapendola proprietaria, fra gli altri beni, di una Selva in Contrada Le Farneta. Tale selva, assieme ad alcuni possedimenti, venne ereditata da suo figlio Don Gregorio de Giudici <<con li quali si ordinò in Sacris>>. Il Capitano Ambrogio Colone concludeva assicurando che a Ceccano era pubblicamente riconosciuto da tutti che tale Selva, appartenuta prima a Donna Divitia, attualmente faceva parte del patrimonio di Don Gregorio suo figlio. Anche questo atto fu rogato nella casa di Federico de Giudici, alla presenza degli stessi testimoni (7).
Con atto del Notaio Nicola de Ambrosi di Ceccano, del 20 agosto 1682, il <<PerIll.i et Ad.m Rev.o D.no Gregorio de Judicibus>> acquistava un Casaleno con orto in Contrada l’Hostaria per il prezzo di scudi quattro dal Signor Giovanni Battista Betti di Sgurgola (8). Per la stipula di questo atto, il Signor Betti aveva inviato da Roma una lettera circostanziata a Federico de Giudici, datata 23 luglio 1682, nella quale assicurava di aver già ricevuto a Roma da Don Gregorio la somma di quattro scudi e che, pertanto, suo fratello, il Signor Giovanni Felice Betti, era autorizzato e delegato a stipulare in sua vece l’atto di vendita. Dopo aver riportato integralmente la lettera, l’atto notarile precisava che a Sgurgola, in Piazza San Sebastiano, il Signor Giovanni Felice Betti, con le facoltà conferitegli, aveva proceduto alla vendita del casaleno ed orto, alla presenza dei testimoni Vincenzo Gentile e Horatio Rozzi di Sgurgola.
Nove anni dopo, Don Gregorio procedeva ad un nuovo acquisto di terreno a Ceccano, confermando così la sua viva predilezione per la cittadina natale. Con atto del Notaio Federico de Giudici del 12 ottobre 1691, Ginepra, figlia del fu Carlo Salvatori di Arnara e moglie di Salvatore Bartoli di Giovanni Antonio, vendeva a Don Gregorio, personalmente presente, un suo terreno dotale sito in Contrada detta il Velluccio della capacità di due tomoli per il prezzo di scudi romani tre (9). L’atto venne rogato in casa del Notaio Federico, alla presenza dei testimoni Mastro Giuseppe Olmetti, Achille Britio e Pasquale Pizzuti.
Il 25 settembre 1697, con atto del Notaio Carlo Almerici, Don Gregorio, personalmente presente, provvedeva alla estinzione di un censo di 100 scudi imposto da Federico e Salvatore (rispettivamente suo fratello e nipote) alcuni anni prima sui loro beni, in favore del Signor Bartolomeo Bonanome (10). Sono testimoni dell’atto il Rev. ed il Signor Angelo Ludovisi di San Lorenzo. Probabilmente a causa della morte del fratello Federico e del nipote Salvatore, avvenuta pochi giorni prima della stipula di quest’atto, Don Gregorio dovette anticipare il suo rientro a Ceccano, previsto per la fine dell’anno.
Negli anni successivi alla sua morte, Don Gregorio è citato in qualche atto notarile riguardante i suoi eredi, Fabio e Federico de Giudici. In un documento del 4 ottobre 1703, rogato dal Notaio Giovanni Benvenuti di Frosinone, Giovanni Pietro Capuano riconosce un Censo di dodici scudi in favore di Don Gregorio de Giudici, imposto con atto rogato a Roma, su una nuova vigna di proprietà del Capuano sita in Contrada Vitoschi a Ceccano (11). Testimoni dell’atto rogato in Ceccano, sono Lorenzo figlio di Carlo Colapietro e Giuseppe figlio di Valerio Masi.
Dopo la morte di Don Gregorio, il Signor Giovanni Pietro Paterni e Don Giuseppe Paterni rivestirono le qualità legali di tutori dei suoi pronipoti, Fabio e Federico de Giudici, minori d’età.
NOTE
1) Archivio di Stato di Frosinone, Archivio Notarile di Ceccano, Atti del Notaio Federico de Judicibus, Faldone 80, Prot. 200, foglio inserito nella terza di copertina.
2) Ibidem, Faldone 77, cc. 96 r et v. 3) Ibidem, Atti del Notaio Carlo Almerici, Faldone 95, Prot. 249, cc. 80 r et v.
4) Ibidem, c. 114 r. 5)
Ibidem, cc. 114v-116v. 6) Ibidem, c. 45r. 7) Ibidem, c. 47r. 8) Ibidem, Atti del Notaio Nicola de Ambrosi, Faldone 99, Prot. 263, cc. 13v-15r.
9) Ibidem, Atti del Notaio Federico de Judicibus, Faldone 81, Prot. 203, c. 36v-37r.
10) Ibidem, Atti del Notaio Carlo Almerici, Faldone 98, Prot. 258, cc. 53r et v.
11) Ibidem, Atti del Notaio Giovanni Benvenuti, Faldone 101, Prot. 267, cc. 270 r et v.
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MATTEO FORNARI Narrazione Istorica / Dell’origine, progressi, e Privilegi / Della Pontificia Cappella / Con la Serie degl’Antichi Maestri, e Cardinali Protettori / col Catalogo de Cantori della Medesima / Formato da Matteo Fornari / Cantore dell’istessa Cappella / L’Anno 1749 / sotto il glorioso Pontificato del / Regnante Sommo Pontefice Benedetto XIV, manoscritto conservato nella Biblioteca Corsiniana di Roma.
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RINGRAZIAMENTI
Sig. Carlo Cristofanilli, storico di Ceccano
Prof. Giancarlo Rostirolla, Musicologo, Roma
Dottoressa Annalisa Bini, dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia in Roma
Sig. Danilo Ambrosetti, giornalista
Conte Marcello Falletti di Villafalletto, Scandicci (Fi).
Il personale di sala dell’Archivio di Stato di Frosinone
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