CANTORE E MAESTRO DELLA CAPPELLA PONTIFICIAALLA FINE DEL XVII SECOLOL’attività svolta da Don Gregorio, con serietà e dedizione, in molte cappelle musicali romane lo aveva posto in luce negli ambienti musicali ecclesiastici, procurandogli rispetto e considerazione. Ormai, nel complesso e suggestivo ambiente musicale romano, egli era considerato un cantore nella voce di Basso di notevolissime qualità, dedito al solo genere sacro, romano a tutti gli effetti, per scuola, vocazione ed elezione, dotato di una forte personalità in cui convergevano gli aspetti migliori della scuola artistica e culturale erede della tradizione polifonica palestriniana e del canto gregoriano. Legittimamente, la sua personalità aspirava alla dignità ed al prestigio della maggiore Cappella musicale Romana, quella Pontificia, di rinomanza mondiale, che costituiva simbolicamente ed idealmente il coronamento delle sue aspirazioni di artista, consentendogli di sviluppare a pieno le esigenze della sua vita musicale e, come sacerdote, di servire da vicino la sacra persona del Pontefice Romano. La Cappella Musicale Pontificia, vantava le sue antiche e nobilissime origini nella Schola Cantorum riorganizzata da San Gregorio Magno nella Basilica di San Pietro allo scopo di conservare i canoni interpretativi dei canti della tradizione ecclesiale romana. Divenuta il coro personale del Pontefice, fu denominata anche Sistina, perché Papa Sisto IV, con Bolla del 1 gennaio 1480 aveva riorganizzato la Cappella Musicale come cantoria stabile e riservata per le funzioni papali, dandole nuova disciplina giuridica ed amministrativa. Per tali motivi, il Collegio dei Cantori era impiegato nelle funzioni papali, la cui ufficiatura avveniva nella Cappella Sistina "Sacellum Sixtinum", del Palazzo Apostolico in Vaticano, affrescata da Mino da Fiesole, dal Signorelli, dal Beato Angelico, dal Perugino e poi da Michelangelo. I Cantori Pontifici dovevano cantare ogni giorno nella Cappella o nelle altre chiese in cui si recasse il Pontefice, impreziosendo le grandi ufficiature delle Cappelle Papali nelle feste e nelle domeniche. La Cappella dei Cantori Pontifici costituiva il complesso di voci adibito al servizio liturgico presso la Corte Papale e godeva di una universale e vivissima stima, sempre rinnovata da parte dei Pontefici Romani, di molte Case Regnanti e di numerosi personaggi di rilievo. L’illustre ceto dei Cantori era annoverato tra gli ordini più cospicui della gerarchia ecclesiastica e già Papa Eugenio IV, nella sua Bolla “Et si erga cunctos”, del 1 febbraio 1403, onorava i Cantori come veri “Famigliari, e continui commensali del Pontefice” (1). Andrea Adami, Cantore soprano della Cappella Pontificia, autore di un prezioso volume Osservazioni per ben regolare il Coro de i Cantori della Cappella Pontificia, a tal proposito, così si esprimeva: "La stima fatta sì da i Pontefici Romani, che dagli altri Principi, e Personaggi insigni de i Cantori della Cappella Pontificia, è stata sempre tale, che non poca ragione si ha di poterli annoverare tra gli ordini più cospicui della Gerarchia Ecclesiastica ne i secoli passati" (2). "Hanno poi i Sommi Pontefici sempre procurato di avere i migliori Virtuosi d’Europa per il servizio della loro Cappella" (3). Nel corso dei secoli, si erano succedute numerose Bolle e Brevi Pontifici che specificavano i grandi privilegi, le prerogative e le alte distinzioni concesse dai Sommi Pontefici all’illustre Collegio dei Cantori Pontifici. Anche Gaetano Moroni, nel suo Dizionario di Erudizione Storico-Ecclesiastica, aveva parole di vivo elogio per la Cappella Musicale Pontificia, a testimonianza della grandissima stima di cui l’istituzione continuava a godere nei secoli: "Il Collegio dei cappellani Cantori della cappella Papale, è composto di ecclesiastici, scelti dopo gli sperimenti più rigorosi ne’ concorsi, sì per le voci, che per la perizia del canto. La loro musica è composta di sole trentadue voci, quando il numero è pieno, senza l’aiuto di verun istrumento; ed è tanto armonica, esatta, e divota, che in un alla sua gravità ecclesiatica, ha formato sempre lo stupore, e l’ammirazione delle più colte nazioni, ed accresce maestà alle auguste funzioni sagre, assistite o celebrate dal Sommo Pontefice e dal sagro collegio de’ Cardinali" (4). Sempre il Moroni ricordava con profondo rispetto ed ammirazione gli "uomini illustri ed insigni per dignità, santità, dottrina e scienza musicale che fiorirono nella Scuola dei cantori, e nel collegio di essi, i più rinomati professori di musica, e insigni cantori che accrebbero lustro al collegio e che lo arricchirono di preziose composizioni" (5). "Quando il Pontefice dispensa al trono nella cappella, le candele, le ceneri, le palme, e gli Agnus Dei benedetti, quattro cappellani cantori vi si recano a riceverle dopo i cubicularii, e nel venerdì santo altrettanti vanno all’adorazione della Croce, mentre gli altri proseguono il canto in coro, cioè nella cantoria. Anticamente tutto il collegio de’ cantori si recava all’adorazione della Croce, e al trono per ricevere dal Papa le sopradette cose. Il loro posto nelle processioni è avanti la prelatura, che ha l’uso del rocchetto" (6). "Nelle cappelle Cardinalizie, e prelatizie, fanno da diacono e suddiacono due cappellani cantori, assumendo allora i rispettivi paramenti sagri. Il Passio della domenica delle palme è cantato da tre sacerdoti cantori, cioè da un tenore, un contralto, e un basso, vestiti di amitto, camice, cingolo, e stola diaconale" (7). Enrico Celani, nel 1903, ricordando che la Cappella Pontificia "tanto racchiude per la storia della musica sacra in Italia" (8) pubblicò alcune notizie tratte da un manoscritto conservato nella Biblioteca Corsiniana di Roma, redatto dal Cantore della Cappella Sistina Matteo Fornari, nel 1749. Il Fornari, nel riflettere, con vari argomenti, sulla considerazione che i Pontefici avevano sempre manifestato per la "celebre" Cappella Pontificia e "del pregio in cui hanno i medesimi in ogni tempo tenuto il canto ecclesiastico, distinguendovi i professori con laute grazie" (9), illustrava lo scopo della sua narrazione storica: "che il Collegio dei Cantori Pontifici abbia notizia di tanti valenti uomini che parte con la perizia e maestà del canto, parte con le scelte composizioni con le quali arricchirono il nostro archivio, hanno appo tutto il mondo resa cospicua la Cappella del Papa" (10). Del Collegio facevano parte i “Cantori esercenti”, cioè quelli iscritti al ruolo nell’attuale ed effettivo servizio, per ciascuna delle quattro parti di Soprano, Contralto, Tenore e Basso, ed i “Giubilati”, cioè i cantori che avevano raggiunto il traguardo dei 25 anni di servizio presso l’istituzione e continuavano a ricevere gli emolumenti fino alla loro morte. Nella erudita ricostruzione operata da Gaetano Moroni, la “Famiglia Pontificia”, composta da quegli ecclesiastici e secolari addetti al domestico e personale servizio del Sommo Pontefice, ed agli uffici del suo Palazzo Apostolico, si divideva in due ceti, cioè i “Famigliari intimi e personali del Papa” ed i “Famigliari addetti al servigio dei Palazzi apostolici”. I Cantori Pontifici, riuniti in Collegio, per l’ufficio e la carica a loro conferita, godevano del titolo e della considerazione di “Famigliari e commensali del Papa”. Per questo, secondo le antichissime graduazioni e precedenze relative alle qualifiche dei “Famigliari intimi e personali del Papa”, il Collegio dei Cantori Pontifici era registrato nel ruolo del Sagro Palazzo Apostolico con le sue proprie prerogative, precedenze e con particolari attribuzioni ed emolumenti. Il superiore della “Famiglia Pontificia” era il prelato Maggiordomo Prefetto dei Sagri Palazzi Apostolici. Sempre secondo il Moroni, prestare domestico e personale servigio al Pontefice Romano, "sovrano d’uno de’ più floridi stati d’Italia, che ha per capitale l’antica regina del mondo, riunisce la sublime e suprema dignità ed autorità di vicario di Gesù Cristo, e di capo della Chiesa Cattolica: grado eccelso che non ha pari sulla terra" (11) costituiva una preziosa onorificenza ed una soddisfazione religiosa. Grande onore provavano i familiari del Papa nel vedersi continuamente impiegati nel suo servizio, abitare nella sua stessa nobile residenza e sperimentando gli effetti benefici, spirituali e temporali, di questa fortunata condizione. Per tali motivi, ai “Famigliari del Sommo Pontefice”, fra cui i Cantori Pontifici, si richiedevano "bontà di vita, esemplarità di costumi ed integra condotta" (12) quali veri omaggi di profonda venerazione prestati al Successore del Principe degli Apostoli. Il Collegio dei Cantori Pontifici aveva il diritto al Sigillo grande e piccolo, con l’immagine di Maria Santissima Assunta in Cielo, titolo della Cappella, insieme ai privilegi della immediata privativa dell’ordinamento amministrativo di governare se stesso ed il diritto di fare leggi interne e multare i colleghi con pene pecuniarie e di altro genere, minuziosamente prescritte e regolate dalle Costituzioni. Don Gregorio de Giudici partecipò per la prima volta al concorso per voce di Basso nella Cappella Pontificia il 18 giugno 1668 e fra molti concorrenti ottenne 20 voti in favore ed 11 contrari, risultato lusinghiero, ma non sufficiente per l’ingresso nel Collegio (13). Il 24 novembre 1670 tentò nuovamente la sorte, partecipando al concorso per la parte di basso, a cui veniva attribuita la mezza paga vacante per la morte del Cavalier Loreto Vittori, ma ottenne solo 6 voti favorevoli e 25 contrari (14). Nel 1672 venne emanato l’Editto per un posto di Basso e Don Gregorio, al termine di un intenso periodo di preparazione, consapevole delle sue potenzialità, per la terza volta partecipò al concorso, che si svolgeva secondo delle norme ben precise e severe. Con Bolla “Romanus Pontifex Christi Vicarius”, datata apud S. Petrum il 17 novembre 1545, Papa Paolo III aveva approvato le Costituzioni della Cappella presentate da Mons. Ludovico Magnasco, Vescovo di Assisi, Maestro della Cappella, concedendo al Collegio il privilegio di poter ammettere un nuovo Cantore, nella mancanza di un altro, per mezzo di una elezione da parte dei Cantori stessi con voti segreti. S’intendeva ammesso all’ufficio il concorrente che giungeva al partito di un voto in più di due terzi dei votanti. Paolo V con Breve del 7 febbraio 1607 confermò tale Bolla ed in particolar modo il privilegio della scelta dei nuovi Cantori, secondo le solennità prescritte dalle Costituzioni della Cappella, con concorso fatto per pubblico Editto e successivo esame dei candidati ad opera dai membri del Collegio stesso, a cui seguiva una votazione segreta. Preliminarmente, si riunì la Congregazione del Collegio per un esame di quelli che dovevano concorrere e sopra le loro qualità, con una verifica dei loro “buoni costumi e buona nascita”. Il 14 dicembre 1672, si svolse la sessione solenne del Concorso. Il Cardinale Protettore, Virginio Orsini, romano, creato da Urbano VIII e nominato protettore da Clemente X il 5 settembre 1671, in abito corale, sedente sul ripiano del Trono della Cappella Pontificia, fu chiamato a presiedere alla prova dei concorrenti al cantorato, assistito dal Prelato Maggiordomo Prefetto dei SS. Palazzi Apostolici. I trenta membri del Collegio dei Cantori Pontifici, vestiti con sottana paonazza e ferraiolo nero, presero posto nei banchi dei Cardinali. I concorrenti, dopo aver fatto i consueti esperimenti, uno per volta cantarono una lezione. Fatti uscire aveva inizio la votazione da parte dei cantori presenti, che giudicavano così la performance del candidato. Il Collegio iniziava a votare e di mano in mano si portavano le bussole al Signor Cardinale, che provvedeva personalmente a porre i voti ancora segreti in un contenitore, su cui veniva scritto sopra il nome del concorrente. Al termine dell’esame e delle votazioni ed alla presenza del Collegio, il Cardinale Orsini procedette all’apertura dei piccoli contenitori ed allo spoglio dei voti. Il risultato, questa volta premiò pienamente la tenacia e le grandi qualità vocali di Don Gregorio. Caso molto raro in un concorso della Cappella Pontificia, egli ottenne all’unanimità il voto degli esigentissimi cantori pontifici e conseguì immediatamente l’ambito e prestigioso ufficio. Il Diario Sistino del 1672, nella sua immediatezza ci offre la cronaca del grande successo conseguito da Don Gregorio: "Don
Greg.o de Judicibus in fav.re 30" "E così con commune applauso fù chiamato il Sig.r D. Greg.o e gli fù data dall’Em.mo Protett.re la Cotta con gusto un.le, e dopo si mise all’ult.o luogo e li fù dato l’osculum pacis" (15). Con sua grande soddisfazione, Don Gregorio poté ricevere le congratulazioni dei suoi nuovi colleghi e rivestirsi dell’Abito dei Cantori Pontifici, cioè la veste talare, fascia e collare di seta paonazza, con mostre, asole e bottoni cremisi e mantello o ferraiolone di seta nera. Quando era in servizio nelle Cappelle e Funzioni liturgiche, sulla veste o sottana paonazza, egli doveva indossare la cotta clericale. Il canto solenne, i luoghi ricchi di storia e i riti legati al loro servizio musicale avevano fatto sì che il Collegio assumesse un significato quasi mitico. I Cantori Pontifici, infatti erano partecipi di un’aura leggendaria ed immersi nell’atmosfera sacrale della Corte Pontificia, che si era mantenuta e rafforzata nel tempo, tra storia e leggenda, con le sublimi creazioni del Palestrina e con la piena applicazione delle direttive musicali sancite dal Sacrosanto Concilio di Trento. Il canto nel suo stile solenne aveva le sue caratteristiche “romane” specifiche nella sobrietà e nell’atmosfera sacra della lode divina, da cui emanava una interpretazione artistica della scrittura polifonica di prima grandezza e suggestione. Solo dopo che Don Gregorio, nella sua qualità di novizio, ebbe prestato il giuramento di fedeltà alle Costituzioni del Collegio, i Cantori Pontifici iniziarono a disvelare ai suoi occhi le chiavi interpretative ed i segreti nel canto di cui erano gelosi depositari, insieme alle notizie sulla vita collegiale dei maestri cantori e sulle consuetudini della Cappella Pontificia. Possiamo ben immaginare con quanta emozione egli fece il suo ingresso, per la prima volta, nella Cantoria monumentale della Cappella Sistina, opera di Mino da Fiesole e G. Dalmata, la loggia marmorea destinata ai cantori, a forma di parapetto sporgente, nella quale il coro intonava le sue splendide melodie. I luoghi delle celebrazioni solenni in cui interveniva il Pontefice erano in primo luogo la Cappella Sistina nel Palazzo Apostolico Vaticano, la Cappella Paolina nel Palazzo del Quirinale e la Basilica di San Pietro in Vaticano. Nei fastosi apparati e cerimonie della Roma papale, il Collegio dei Cantori Pontifici utilizzava dei preziosissimi Codices Cantorum, cioè dei libri musicali in pergamena, con le esclusive opere musicali dei più famosi cantori-compositori, scritti con bellissimi caratteri da eccellenti calligrafi ed adornati con splendide miniature, capolettera e fregi spesso di soggetto religioso, secondo lo stile dei tempi. Un solo codice di notevoli dimensioni, posto sul leggio, permetteva la lettura delle note da parte di tutti i cantori del coro. Per il loro ufficio musicale, i Cantori potevano consultare l’Archivio del Collegio dei Cantori Pontifici, che aveva il suo ingresso nella quarta porta della Sala Ducale, su cui era affisso il cartiglio:“Archivio de’ Musici cantori della Cappella Pontificia”. Negli armadi delle sue stanze, si conservavano libri e pergamene delle più preziose composizioni musicali utilizzate nelle funzioni fatte dal Papa o in cui interveniva un Cardinale. Un posto d’onore era riservato alle nobilissime composizioni del Principe della Musica, Giovanni Pierluigi da Palestrina, che conferivano ogni splendore al canto ecclesiastico della Chiesa di Roma. Gli emolumenti spettanti ai Cantori Pontifici erano molto pingui. Gregorio XIV con Breve datato 1 ottobre 1591 aveva stabilito le rendite del Collegio dei Cantori, concedendo 200 scudi annui a ciascuno di essi. Quali Famigliari Pontificii, i Cantori avevano diritto, dal 1672, al pane ed al vino, concessione che traeva la sua origine dalle colazioni e pranzi che essi in passato ricevevano nel Palazzo Apostolico ogni volta che in Cappella celebrasse un Cardinale o un Vescovo Assistente al Soglio Pontificio. Inoltre, a turno ricevevano una scatola di confetti. Numerose e molto consistenti erano le propine di cui godevano da sempre in occasione della concessione dei cappelli cardinalizi, di cerimonie cardinalizie e con vescovi assistenti al Soglio Pontificio e di vari introiti, in occasione di canonizzazioni, beatificazioni ed esequie di cardinali e vescovi. Al suo ingresso nella Cappella Pontificia, come era antica consuetudine, Don Gregorio ebbe “metà della paga” ed il 20 settembre 1680, con esplicito mandato del Cardinale Protettore, Felice Rospigliosi, venne ammesso a godere dell’altra “mezza paga”, godendo così dell’emolumento pieno (16). Nel Diario Sistino del dicembre 1672, sono compiutamente registrati i primi impegni ufficiali di Don Gregorio de Giudici, nella sua nuova veste di Cantore Pontificio (17). Domenica 19 dicembre, Cappella Papale, Cantò la Messa Mons. De Angelis, Vice Gerente, alla presenza del Pontefice Clemente X. 24 dicembre, Cappella Papale per la Natività di N. S.re Gesù Cristo, alla presenza di Sua Santità Clemente X, rivestito della Cappa Magna. Notte di Natale, Cappella Papale senza la presenza del Papa. Cantò la Messa l’Em.mo Cardinale Carpegna, Datario. Mattina di Natale, Cappella Papale in Monte Cavallo, cioè nella Cappella Paolina del Palazzo del Quirinale, colla presenza di N. S.re. Cantò la Messa il Cardinale Barberini, Decano del Sacro Collegio. Lo stesso giorno, dopo il pranzo, il Collegio cantò il Vespro Segreto nelle Camere di N. S.re. Lunedì 26 dicembre, Festività di Santo Stefano Protomartire, Cappella Papale, colla presenza di N. S.re. Cantò la Messa il Cardinale d’Este. All’Offertorio, il Collegio dei Cantori Pontifici intonò il mottetto Cum autem esset Stephanum, del Palestrina Martedì 27 dicembre, Festività di San Giovanni Apostolo ed Evangelista, Cappella Papale colla presenza di N. S.re. Cantò la Messa il Cardinale Portocarrero. All’Offertorio, venne eseguito il mottetto Hic est Beatissimus Discipulus, del Palestrina. Il Pontefice regnante, al cui servizio entrò Don Gregorio era il romano Emilio Altieri, eletto Papa con il nome di Clemente X, a ottanta anni, dopo cinque mesi di conclave, il 29 aprile 1670. Di animo mite e consapevole delle difficoltà del governo, aveva affidato gli affari amministrativi dello Stato della Chiesa al Cardinal Paluzzo Paluzzi degli Albertini, concedendogli il cognome Altieri. In politica internazionale fu amico di Giovanni Sobieski, favorendo la sua elezione a Re di Polonia nel 1674. Il pontificato di Clemente X fu fecondo di opere volte ad assicurare il benessere dei sudditi e l’abbellimento di Roma, sede del Papato, favorendo le arti e le ultime opere dell’ormai anziano Bernini, che su mandato del Papa eseguì il ciborio in bronzo per la Cappella del Santissimo Sacramento in San Pietro ed alcune statue per la decorazione di Ponte Sant’Angelo. Sempre il Pontefice nominò architetto di corte Carlo Rainaldi, in sostituzione del Bernini. Nelle ultime promozioni cardinalizie di Papa Clemente X, ottennero il galero illustri personalità ecclesiastiche: il 16 gennaio 1673, il Cardinale Felice Rospigliosi, nipote di Clemente IX; il 12 giugno 1673, Francesco Nerli, Girolamo Gastaldi, il celebre letterato Girolamo Casanate e Pietro Basadonna, mentre l’ultimo Concistoro del Pontificato si tenne il 27 maggio 1675. Papa Clemente X celebrò il XV Giubileo della Storia della Chiesa, l’ultimo del XVII secolo. Il primo Anno Santo era stato introdotto da Papa Bonifacio VIII, nel 1300, su ispirazione dello zio, il Beato Andrea Conti dell’Ordine Francescano. Clemente X lo aveva indetto alla veneranda età di 84 anni, con la Bolla “Ad apostolicae vocis oraculum” del 16 maggio 1674.
Per il Collegio dei Cantori Pontifici, l’Anno Santo fu ricco di impegni solenni, a cui il Collegio seppe far fronte in maniera impeccabile, destando l’ammirazione dei pellegrini, accorsi da ogni parte del mondo nel numero di un milione e mezzo, che poterono apprezzare quanto fossero accurate le esecuzioni della Cappella, insuperabile nell’arte polifonica e nello spirito liturgico. La Notte di Natale del 1674, il Pontefice aprì solennemente la Porta Santa nella Basilica di San Pietro. Assistevano alla cerimonia la Regina Cristina, insieme a molte principesse e principi tedeschi. I romani videro in quell’occasione, per la prima volta, il ricco Tabernacolo della Cappella del Santissimo Sacramento, eseguito secondo il disegno di Gian Lorenzo Bernini e costato 40.000 scudi romani. La solenne cerimonia ebbe inizio nella Cappella Sistina, dove Papa Clemente X giunse in Sedia Gestatoria "alle 20 hore, accompagnato dal Sacro Collegio" (18). Dopo aver pregato dinnanzi al Santissimo Sacramento esposto, il Papa intonò l’inno Veni Creator Spiritus, proseguito dal Coro dei Cantori, che intonarono tutti i versetti nella processione che giunse in Piazza San Pietro e, successivamente, nel Portico della Basilica. Giunto il Pontefice in Sedia Gestatoria nel Portico, salì sul Trono ed il Coro intonò il versetto conclusivo dell’Inno. Come nota puntualmente il Diario Sistino del 1674, una metà dei Cantori Pontifici rimase fuori dal piccolo coro eretto per loro, cosa che creò qualche piccolo problema. Anche se il Maestro di Cappella aveva inviato due Cantori vicino al Papa, "per il gran tumulto del Popolo", fu molto difficile per il Coro rispondere ai vari versetti. Sceso dal Soglio, il Papa prese dalle mani del Cardinale Penitenziere Maggiore il Martello d’Argento, con cui percosse la parete della Porta Santa, intonando le parole:
Aperite mihi Portas iustitiae A cui il Coro rispose Ingressus in ea confitebor Domino. Percuotendo poi la seconda volta la Porta con il Martello, il Papa cantò le parole: Introibo in domum tuam Domine. Sempre il Coro dei Cantori rispose:
Adorabo
ad templum sanctum tuum, in timore tuo. Aperite Portas, quondam nobiscum est Deus. E il Coro rispose: Qui fecit virtutem in Israel.
Subito dopo cadde la Porta e mentre venivano puliti gli stipiti, il Coro dei Cantori intonò il Salmo Jubilate Deo. Dopo altre cerimonie, il Papa, tenendo nella mano destra la Croce e nella sinistra una candela accesa, si inginocchiò in mezzo alla Porta ed intonando il Te Deum laudamus, proseguito dal Coro dei Cantori, entrò nella Basilica di San Pietro per la Porta Santa, mentre il Coro, dopo aver terminato il canto dei versetti dell’inno, si poneva nello spazio ad esso assegnato, accanto all’altare degli Apostoli. Il Sommo Pontefice rientrò quindi nelle sue stanze ed il Vespro venne cantato dal Cardinale Orsini. Il Mattutino fu cantato dal Cardinale Carpegna e la mattina della Festa del Santo Natale di Nostro Signore Gesù Cristo, fu il Cardinale Francesco Barberini a cantare la Santa Messa nella Cappella Sistina, alla presenza di Clemente X. Come registra il Diario Sistino, tutti i cantori furono presenti e diligenti nel prestare il servizio musicale durante la celebrazione solenne. La Domenica in Albis, 21 aprile 1675, presso l’Altare della Cattedra nella Basilica di San Pietro, Clemente X pubblicò il Breve Pontificio con cui veniva dichiarato Beato il Servo di Dio Giovanni della Croce, celebre mistico e fondatore dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi. Domenica 30 giugno, di nuovo nella Basilica Vaticana, venne dichiarato Beato il francescano spagnolo della stretta osservanza, Francesco Solano, inviato da Re Filippo II nelle Americhe, dove si era distinto per l’amore per i nativi, tanto che nel Paraguay ed in Perù venne chiamato “il Taumaturgo del nuovo mondo”. Sempre nella Basilica Vaticana, il 24 novembre 1675, Clemente X proclamava Martiri e Beati i 19 Servi di Dio martirizzati a Gorkum in Olanda, nel 1572. Clemente X, che aveva promulgato i decreti di Canonizzazione di San Gaetano da Thiene, Francesco Borgia, Filippo Benizi e Rosa da Lima, nel 1675 beatificò anche Caterina da Genova. La Settimana Santa, in particolare, fu dedicata a solenni cerimonie e all’accoglienza ed assistenza dei pellegrini. La Regina Cristina di Svezia, si recava presso la sede della Confraternita della Santissima Trinità, accompagnata da altre dame della nobiltà e le varie Compagnie organizzavano ogni giorno una solenne processione, con macchine raffiguranti i misteri della vita del Signore, commissionate al celebre architetto Fontana. Il Venerdì Santo, la Confraternita della Trinità, guidata dal Cardinale Paluzzo Altieri, fornì la cena a 13.000 pellegrini. Il vecchio Pontefice ottantacinquenne, si distinse per la particolare cura prodigata nell’assistenza dei pellegrini. Impartì la solenne benedizione sette volte e visitò le Sette Chiese per cinque volte, recandosi personalmente nell’ottava della Festa della Beatissima Vergine del Rosario ad una funzione in Santa Maria della Minerva, ove personalmente recitò il Rosario a voce alta, con grande edificazione dei fedeli. Il 25 novembre 1675, il Collegio dei Cantori Pontifici ottenne dal Pontefice il privilegio di poter lucrare l’indulgenza plenaria del Santo Giubileo con la processione dal Quirinale e la visita della Basilica di San Pietro. A tale scopo, il Cardinale Protettore, intimò a tutti i membri del Collegio, i Maestri delle Cerimonie ed i Prelati della Cappella Pontificia di intervenire alla cerimonia, stabilendone anche il giorno e l’ora. La sera di martedì 24 dicembre 1675, venne celebrata in San Pietro la funzione per la chiusura della Porta Santa. Il Vespro venne intonato dal Cardinale Virginio Orsini, Protettore della Cappella dei Cantori Pontifici, alla presenza del Sacro Collegio, ma non del Pontefice, che non vi assisteva per la sua grave età. Al termine del Vespro, tutti i cardinali in abiti sacri si recarono nella Cappella del Santissimo Sacramento, dove venne mostrato per l’adorazione il Volto Santo della Veronica. Con l’arrivo di Clemente X "si diede principio alla Processione verso la Porta Santa, tutti con candele accese, et essendo stato l’ultimo N.ro Sig.re come fu il P.mo nell’aprirsi, così nel principio della Process.ne, la S.tà Sua intonò Cum Jucunditate vestitis" a cui il Coro dei Cantori rispose in contrappunto (19). Giunti al Soglio, il Papa si assise e senza la mitra, scese per benedire i cementi, pronunciando alcuni versetti. Durante l’apposizione della prima pietra, il Coro cantava il Celestis Urbis Jerusalem. Al termine, il Papa tornò a sedere nel Trono e deposta la mitra, recitò alcuni versetti, seguiti dall’intonazione del Te Deum, alla conclusione del quale, sempre dal Soglio nel Portico della Basilica, diede la Benedizione con l’Indulgenza Plenaria, in forma di Giubileo. "I Sig.ri Compagni tutti presenti, e v’intervenne anche la maggior parte de Sig.ri Giubilati" (20). Mancò solo il soprano Giuseppe Fede, recatosi a cantare nella Basilica di Santa Maria Maggiore, con licenza del Cardinale Altieri. La Notte di Natale, cantò all’ora solita il Mattutino e la Messa, il Cardinale Gastaldi, alla presenza del Sacro Collegio e tutti i Cantori furono presenti, eccettuato Giuseppe Fede. La mattina del giorno di Natale, vi fu Cappella Papale in Vaticano, presente Clemente X ed il Sacro Collegio. Cantò la Messa il Cardinale Francesco Barberini, Decano del Sacro Collegio ed il Papa, dalla Loggia delle Benedizioni, impartì la Benedizione con l’Indulgenza Plenaria in forma di Giubileo. Tutti i Cantori furono presenti, eccettuato Giuseppe Fede. Come annota il Diario Sistino, a causa della gran confusione di gente per l’Anno Santo, non venne offerto ai Cantori Pontifici il solito pranzo nel Palazzo Apostolico, ma il Santo Padre attribuì ugualmente ad ognuno di essi uno scudo romano, come da tradizione (21). Clemente X morì il 22 luglio del 1676 alle ore 17 del pomeriggio, ed alle ore 20, conclusa la ricognizione canonica del cadavere, le sue spoglie vennero condotte nel Palazzo Vaticano. Il 26 luglio, dopo il tramonto del sole, venne sepolto nei pressi della Cappella del Santissimo Sacramento, da dove poi fu traslato, il 15 ottobre 1691, nel suo monumento funebre innalzato presso l’Altare di Santa Petronilla. I nove giorni delle solenni celebrazioni di suffragio, i Novendiali, furono contrassegnati dalle Messe Pontificali di Requiem per l’anima del defunto Pontefice, celebrate nella Cappella della Pietà in San Pietro, alla presenza del Sacro Collegio. In queste funzioni il Collegio dei Cantori fu intensamente impegnato, con la magistrale ed impeccabile interpretazione delle struggenti melodie gregoriane e di alcuni brani polifonici, che inondarono la Cappella di una profonda mestizia e vivo raccoglimento. Dal settimo al nono giorno, le Solenni Esequie prescrivevano anche le Assoluzioni al Catafalco, nel corso delle quali, quattro cantori assistevano ai quattro angoli del Catafalco i cardinali vestiti di piviale nero che impartivano le solenni assoluzioni. Nel Diario Sistino era registrata giornalmente ognuna di queste cerimonie: "30 Giovedì. 7.a Esequie. Finita la Messa si cantorono li 5 risponsorij, e fù incensato il Catafalco. Niuno fù assente" (22). Al termine dei Novendiali in suffragio dell’anima di Clemente X, il 2 agosto 1676, il Cardinale Francesco Barberini, Decano del Sacro Collegio, celebrò la Messa dello Spirito Santo. In questa solenne celebrazione, il Coro intonò alcuni preziosi brani del repertorio scritto in vari tempi dai cantori della Cappella, fra cui, all’Offertorio, il Cantate Domino di Ruggero Giovannelli. Dopo la Santa Messa, nella Cappella Paolina, i cardinali prestarono il consueto giuramento per l’apertura del Conclave. Il 21 settembre, dopo la celebrazione della Santa Messa de Pontifice Eligendo, nella Cappella Sistina, con 20 voti e 42 nell’Accessus, venne eletto Papa il Cardinale Benedetto Odescalchi, di Como, del titolo di Sant’Onofrio, che assunse il nome di Innocenzo XI. La cerimonia della Incoronazione del nuovo Pontefice si svolse il 4 ottobre nelle Patriarcale Basilica di San Pietro. Innocenzo XI giunse nel vestibolo della Basilica in sedia gestatoria, mentre il Coro dei Cantori intonava l’Ecce sacerdos magnus. L’Arciprete della Basilica, il Capitolo ed i chierici resero quindi omaggio al Pontefice con il bacio del piede e la consegna delle chiavi, al canto del Mottetto Tu es Petrus. Subito dopo, il Papa faceva il suo ingresso nella Chiesa e dopo aver adorato il Santissimo Sacramento, ascese al Trono preparato nella Cappella di San Gregorio, dove al canto del Te Deum, il Sacro Collegio ed i prelati gli resero omaggio. Indossati i paramenti pontificali, il Papa si avviò verso l’Altare della Confessione. Davanti a Innocenzo XI procedevano due Maestri delle Cerimonie, uno portava un cuscino di seta con della bambagia e l’altro una lunga canna d’argento con in cima un lucignolo di bambagia. Per tre volte il corteo si fermò e ciascuna volta un chierico bruciava un batuffolo di bambagia fermato alla canna d’argento, mentre il Maestro delle Cerimonie cantava la celebre frase: Pater Sancte sic transit gloria mundi! Dopo l’imposizione del Pallio ed il canto del Gloria e delle collette, il Cardinale Protodiacono, accompagnato dagli Uditori di Rota e dagli Avvocati Concistoriali, discese sotto la confessione, nella Cappella dove sono conservate le reliquie del Principe degli Apostoli per il canto di alcune particolari litanie. Per tre volte cantò il Christe audi nos, con risposta del Collegio dei Cantori a cui seguì la preghiera: Domino nostro Innocentio a Deo decreto Summi Pontifici et Universali Papae, vita, e le litanie alla Santissima Vergine Maria, agli Angeli e Santi, alle quali il Coro rispondeva Tu illum adjuva! L’Epistola ed il Vangelo vennero cantati in latino ed in greco, a significare la cattolicità della Chiesa di Roma e, nell’Offertorio, il Coro dei Cantori Pontifici intonò lo splendido mottetto di Felice Anerio In Diademate Capitis Aaron. Al termine della Santa Messa, il Collegio dei Cantori si portò alla Loggia delle Benedizioni, dove, all’arrivo del Papa, venne intonato il Mottetto a cinque voci Corona aurea super caput ejus espressa signo sanctitatis, gloriae et honoris del Palestrina. Fu il Cardinale Francesco Maidalchini, come Primo Diacono a cingere sulla testa del nuovo Papa il “Triregno”, simbolo del triplice ministero di supremo maestro, sacerdote e re affidato al Pontefice, dicendo Accipe Tiaram tribus coronis ornatam. Conclusasi con la solenne Benedizione Papale la cerimonia, il Collegio dei Cantori, secondo una antico privilegio, venne ammesso al bacio del piede del nuovo Pontefice. Innocenzo XI prese possesso della Basilica Lateranense l’8 novembre 1676. Amante della vita ritiratissima, schivo di applausi e nemico del nepotismo, dignitoso nel portamento, celebre per la santità di vita ed il suo rigore, alto di statura con fronte ampia, il naso aquilino ed il mento sporgente, Innocenzo XI soppresse la posizione di cardinal-nepote e diede alla Segreteria di Stato una organizzazione più moderna conservatasi fino al XX secolo. Negli affari religiosi pose grande attenzione nella scelta dei vescovi, curò l’educazione del clero, l’istruzione catechistica e la predicazione del Vangelo in forma semplice e pratica, promosse l’educazione dei giovani e l’assistenza spirituale dei malati. Ebbe molto a cuore il culto della Santissima Eucaristia, approvando la Comunione frequente e quotidiana. Difensore acerrimo della integrità della dottrina religiosa, fu energico nel riaffermare l’autorità papale, avendo per questo lunghi contrasti con il Re di Francia Luigi XIV. Per quanto riguarda la vita pubblica, combatté l’usura ed il gioco d’azzardo, volle che fosse amministrata rettamente la giustizia, riformando i tribunali, fu avversario delle recite teatrali e proibì i divertimenti del carnevale. Il 2 luglio 1679, nella Basilica Vaticana, all’Altare della Cattedra, promulgò il Breve di Beatificazione di Toribio de Mogrovejo, ecclesiastico nato in Spagna nel 1538, Arcivescovo di Lima in Perù, evangelizzatore e protettore delle popolazioni indios. Il cerimoniale pontificio riserbava grande solennità ai “Concistori”, nei quali il Sommo Pontefice conferiva il Cappello Cardinalizio ai prelati chiamati ad assumere l’alto ufficio di Principi della Chiesa e primi collaboratori del Papa nel Collegio Cardinalizio. In occasione di queste cerimonie, il Collegio dei Cantori Pontifici si recava nella Cappella di residenza del Pontefice, dove il coro dava principio ai Mottetti a più voci, che proseguivano fino al momento in cui i nuovi cardinali, dopo aver pregato nella Cappella, si recavano nella Sala del Concistoro, dove il Papa imponeva il galero ai novelli porporati. Il Collegio dei Cantori, posto dinnanzi alla porta della Sala, attendeva il cenno del Maestro delle Cerimonie per intonare il Te Deum, che veniva eseguito processionalmente fino all’altare della Cappella, nella quale i Cantori si ponevano dalla parte dell’Epistola, attendendo l’ingresso del Sacro Collegio. I nuovi cardinali si prostravano quindi sui gradini avanti l’Altare e dopo che i maestri di cerimonie avevano coperto loro il capo con il cappuccio delle cappe magne, il Coro dei Cantori intonava, in “Falsobordone”, il versetto “Te ergo quaesumus” e poi il versetto conclusivo. Negli anni di servizio di Don Gregorio nella Cappella Pontificia, si segnalò il Concistoro Pubblico di Giovedì 4 settembre 1681, in cui Innocenzo XI conferì il Cappello Cardinalizio agli Eminentissimi: Giovanni Battista Spinola, Antonio Pignatelli, il futuro Innocenzo XII, Brancaccio, De Luca, Visconti, Capizucchi, Lauria, Sacchetti, Ginetti e Pamphili. Come annota il Diario Sistino, "tutti li SS.ri Compagni diligintissimi" (23). Per la sua partecipazione alla solenne cerimonia, Don Gregorio de Giudici ottenne un gratificazione di dieci scudi d’oro, offerta ad ogni Cantore Pontificio dai novelli porporati. Un altro Concistoro Pubblico si tenne al Quirinale il 22 maggio 1687, quando furono dato il galero agli Eminentissimi Cardinali Carlo Ciceri, Pietro Matteo Petrucci e Francesco Maria de Medici. In quella occasione, dal Collegio dei Cantori Pontifici "si cantarono li soliti Mottetti e il Te Deum" (24). Nello stesso anno, seguirono altri due Concistori Pubblici al Quirinale: il 9 giugno, per il Cardinale Fortunato Caraffa ed il 7 luglio per il Cardinale Giuseppe Maria Aguir. Nel dicembre del 1682, in occasione della visita di ossequio resa ad Innocenzo XI dal nuovo Viceré spagnolo di Napoli, Don Gasparo d’Aros, già Ambasciatore presso la Santa Sede, il Papa offrì un pranzo ufficiale all’illustre diplomatico, nel corso del quale i Cantori Pontifici furono chiamati ad allietare la mensa con il canto di vari mottetti accompagnati dall’organo. Di questa prestigiosa esibizione che onorò altamente il Collegio, resta memoria del Diario Sistino del 1682, in data del 29 dicembre: "Martedì N.ro Sig.re diede da pranzo al Vice Rè di Napoli D. Gasparo d’Aros Marchese del Carpio e Lecce Imbasciator qui in Roma del Rè Cattolico, all’hore 19. La Santità Sua assieme col d.o Vice Rè si partì dalle sue stanze, e venne nella Sala del Concistoro nel Palazzo del Vaticano ove erano li soliti apparecchi per il pranzo. Per N.ro Sig.re era preparato in mezzo della sala sotto il Baldacchino e per il Vice Rè da piedi nel picciolo tavolino a sedere nello sgabello; e per li musici fatto uno steccato con li Cassabanchi in un cantone della med.ma sala. Finito che hebbe di bere la prima volta la Santità Sua si cessò di leggere da Mons.r Boldrini, e si principiò a sonar l’organo e si cantorono diversi mottetti sino all’ultimo che si terminò la tavola" (25). Fra le principali glorie del pontificato di Innocenzo XI, brilla certamente la sua azione in difesa della civiltà europea contro le invasioni turche, culminata nell’alleanza fra l’Imperatore Leopoldo I ed il Re di Polonia, Giovanni Sobieski, che propugnò la vittoria di Vienna del 12 settembre 1683, salutata dal Pontefice con l’istituzione della Festa del Santissimo Nome di Maria, a ricordo e ringraziamento della strepitosa vittoria di cui fu animatore il celebre francescano Padre Marco d’Aviano. Con grande concorso di cardinali, prelati e fedeli, il 18 agosto 1683, ebbe luogo a Roma una grande processione giubilare da Santa Maria della Minerva alla Chiesa di Santa Maria dell’Anima, chiesa nazionale tedesca, dove il Cardinale Ludovisi, in nome del Papa, malato di podagra, compì le funzioni ecclesiastiche di tali occasioni, con l’esposizione e la benedizione con il Santissimo Sacramento. Il 23 settembre giunse a Roma la conferma della vittoria conseguita dalle armate cattoliche alle porte di Vienna ed il giubilo popolare fu irrefrenabile. Il giorno successivo, con Editto del Cardinal Vicario venne prescritto che per due sere dopo l’Ave Maria, le campane suonassero a festa per un’ora e venissero celebrate in tutte le chiese della Città funzioni di ringraziamento a Dio. Il Papa, ascrivendo il merito dei felici avvenimenti all’intervento divino, fece illuminare la facciata e la cupola di San Pietro, con lo sparo di salve di gioia da parte dei cannoni di Castel Sant’Angelo ed il 25 settembre, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, alla presenza del Sacro Collegio, cantò un solenne Te Deum di ringraziamento. Nel Dario Sistino del 1683, questo fausto avvenimento e le celebrazioni romane sono riportate nel calendario degli interventi musicali del Collegio dei Cantori Pontifici, nella data del 25 settembre: "Sabbato il giorno doppo pranzo furono cantati Litanie e Te deum a S.ta Maria Maggiore pro gratiarum actiones per la liberatione della Città di Vienna assediata da Turchi mediante l’Armi del Sac. Romano Imperio, Polacche, e Collegati con l’intervento di N.S. et il Sac. Colleggio dell’Em.mi SS. Cardinali. Tutti li SS.ri Compagni presenti" (26). Il 29 settembre, durante la Santa Messa celebrata nella Cappella Paolina al Quirinale, alla presenza di tutti gli ambasciatori ed inviati, Innocenzo XI, ricevette dall’Abate Giovanni Casimiro Denhoff, rappresentante del Re di Polonia Sobieski, la grande bandiera turca, che poi venne portata a San Pietro ed appesa in segno di trionfo sulla porta principale: "29 Mercordì - Cappella Papale à Monte Cavallo pro gratiarum actiones cantò messa l’Em.mo S.r Card. Ludovisi e fù detto il Te Deum, e fù presentato lo stendardo de Turchi fù fatta l’oratione in nome del Rè di Polonia, e poi esso stendardo fù messo à piedi di S. S.tà e poi il Papa rispose all’oratione. Tutti li SS.ri Compagni presenti" (27). Le grandi cerimonie di giubilo continuarono nei giorni successivi, con la distribuzione di ricche elemosine ai poveri ed una amnistia per i minori reati civili e si conclusero con alcune speciali funzioni religiose, il 1 ottobre nella Cappella Paolina nel Palazzo del Quirinale, il 10 ottobre nella Chiesa di Santa Maria dell’Anima ed il 17 nella Chiesa di San Stanislao, chiesa nazionale polacca. E il 1 novembre, nel corso della Cappella Papale, venne cantato il Te Deum per festeggiare "la presa di Strigonia" in Ungheria (28). Fra le solenni cerimonie registrate nel Diario Sistino nel mese di ottobre 1683 si segnalava anche la Cappella Papale celebrata per l’anniversario dell’ incoronazione del Sommo Pontefice, nella Cappella Paolina: "4 lunedì. - Cappella Papale nel Quirinale per la Coronatione di N.S. Innocenzo Undecimo. N.S. fu presente; tutti li SS.ri Compagni furono puntuali" (29). L’azione diplomatica di Innocenzo XI fu instancabile e promosse l’adesione di Venezia e della Russia alla Lega Santa, contribuendo largamente alla liberazione di Buda ed alle fortunate campagne che opposero una diga alle ricorrenti ondate dei turchi verso l’Europa. Sollecitate dalle esortazioni di Innocenzo XI e di Padre Marco d’Aviano, le campagne militari ripresero nel luglio 1685 e condussero le armate cattoliche alle vittorie di Neuhausel, di Gran e di Buda il 2 settembre dell’anno successivo. I successi dell’Imperatore Leopoldo I venivano solennizzati dalla Corte romana con funzioni di ringraziamento, nel corso delle quali il Papa intonava personalmente il Te Deum. Alcune importanti cerimonie commemorative sono registrate nel Diario Sistino del 1685: Settembre "2 Dom. - Si cantò messa et Te Deum nella Cappella al Quirinale p.nte N.S. dall’Em.mo Pio per render à Dio gratie delli buoni progressi dell’armi Cristiane et in specie la presa di Neixelle dall’Armata Cesarea et dalla Veneta quella di Corone" (30). Novembre "18 Dom.ca - Si fece Cappella Papale nella Chiesa dell’Anima per ordine di N.S. et si cantò il Te Deum per la vittoria dell’Armi Cristiane contro l’Infedeli" (31). Come riferisce il Diario Sistino del 1686, la notizia della riconquista di Buda venne celebrata a Roma con sommo splendore e con sincero fervore religioso, nel quale il Pontefice era a tutti di esempio con la sua fede ammirevole. Sabato 14 settembre 1686, "S. S.tà ordinò che la sera si facesse allegrezza con fuochi, e lumi, & al segno dello sparo di Castel S. Angelo furono suonate le campane per tutte le chiese di Roma, illuminata tutta da fuochi, e lumi oltre ogni solito, si fece anche la girandola al Castel S. Angelo, e tutto il popolo mostrò segni di giubilo, e di allegrezza infinita; ordinò però S. S.tà che si stasse in oratione per render gratie a Dio dei progressi fortunatissimi conceduti all’armi Cristiane contro il Tiranno d’Oriente" (32). Domenica 15 settembre, nella Cappella Paolina del Quirinale, il Cardinale Carlo Pio di Savoia celebrò la Santa Messa, seguita dal Te Deum, intonato dal Papa, suggellando così l’impegno magnanimo di Innocenzo XI e gli allori colti sui campi di battaglia dall’Imperatore d’Austria: "Dom.a 15 - Cappella Papale nel Palazzo Quirinale pro gratiarum actione per la d.a Vittoria, cantò la Messa l’em.o Pio alla presenza del S. Collegio. N.S. calò in cappella per la scaletta secreta, doppo il fine della messa per intonare il Te Deum, come l’intonò, e nel med.o tempo sparorno li cannoni al di cui segno tornarono a suonarsi tutte le campane di Roma e continuorno per lo spatio di mezz’hora essendo tale l’ordine di N.S. per risvegliare il popolo ad un comune rendimento di gratie a Dio per tanto benefitio ricev.o. La sera poi si rinovarono l’allegrezze in forma mai più veduta non essendovi angolo della città dove non si facessero pompe di lumi e fuochi artificiali con altre mostre bellissime" (33). Nella Cappella Cardinalizia celebrata nella chiesa nazionale tedesca di Santa Maria dell’Anima, il 22 settembre, il rappresentante dell’Imperatore d’Austria ottenne il raro privilegio di poter assistere alla Santa Messa, cantata da Mons. Bottini, nel Coro dei Cantori Pontifici, dove vennero intonate ammirevolmente le gravi e solenni armonie che accompagnarono la celebrazione: "22 Dom.a - Cappella Cardinalitia alla Chiesa dell’Anima ordinata da N.S. pro gratiarum actione della Vittoria ch’hanno havv.a li Cesarei, e Bavari di quella gran Piazza inespugnabile di Buda. Cantò la messa l’Ill.mo Monsig.r Bottini alla presenza del S. Collegio, tutti li Sig. Compagni presenti. Stiede nel nostro choro il Sig. Conte de Turi P.o Gentilhoumo di S. M.à Cesarea, che portò la vera conferma della presa di d.a piazza,e vi dimorò sino alla fine della messa, doppo la quale fù intonato dal celebrante il Te Deum laudamus, con il sparo de mortaletti" (34). Le celebrazioni per la presa di Buda si conclusero con una Messa Solenne di Requiem fatta celebrare da Innocenzo XI in suffragio di tutti i soldati cristiani deceduti durante l’assedio della Città. Attraverso la preghiera della Chiesa ed il grande precetto della carità cristiana, il Pontefice volle applicare il soccorso spirituale del Sacrificio di Cristo ed i frutti infiniti della Redenzione alle anime di coloro che avevano combattuto eroicamente per la Fede e la Civiltà Cristiana: "24 Martedì - Cappella Papale nel Palazzo Quirinale ordinata da N.S. per suffragio dell’anime di tanti cristiani che passarono all’altra vita sotto la sud.a piazza di Buda, cantò la Messa l’Em.o Pio alla presenza del S. Collegio senza intervento di N.S., tutti li Sig. Compagni presenti" (35). Nel luglio dello stesso anno, su esplicito mandato del Sommo Pontefice vennero convenientemente celebrate a Roma anche le vittorie conseguite dalle armate della Repubblica Veneta. La Santa Messa venne cantata dal Vescovo di Corfù, Mons. Marco Antonio Barbarigo, prelato di santa vita e di distintissime doti di carità e bontà: "21 Domenica. - Cappella Papale alla chiesa di San Marco ordinata da N.ro Sig.re pro gratiarum actiones havendo N.S. fatto parare la chiesa con gl’arazzi della Cappella Pontificia come anche mandò candelieri et altre cose necessarie appartenenti alla detta Cappella. Cantò messa l’Ill.mo Mons.r Barbarico vescovo di Corfù alla presenza del Sacro Collegio senza intervento di N.S. Tutti li SS.ri Compagni furono presenti. La detta Cappella fù ordinata da N.S. per la presa che fecero li Venetiani di Navarino vecchio e nuovo" (36). E l’eco dei nuovi successi della campagne militari dei veneziani e delle armate imperiali fu puntualmente registrato nel Diario Sistino del 1687: Agosto "15. Venerdì - Assuntione della B.ma Vergine Capp.a Papale in S. Maria Maggiore, cantò Messa novella l’E.mo de Angelis alla presenza del Sac.o Colle.o, senza l’assistenza di N.S. Doppo il post Comm.o fù cantato il Te Deum per la Vittoria ottenuta dalla Ser.ma Republica di Venetia contra l’Armi Ottomane nell’acquisto di Lepanto e Patras" (37). Domenica 31 agosto, Cappella Papale nella Cappella Paolina al Palazzo del Quirinale, alla presenza del Sacro Collegio, ma senza l’intervento di N.S. Cantò la Messa il Cardinale Carlo Pio di Savoia e fu cantato il Te Deum "per la vittoria riportata dall’Armi Cesaree sul Ponte di Esech", dove fu sconfitto l’esercito ottomano (38). Ricco di meriti e di virtù, Innocenzo XI morì a Roma, nel Palazzo del Quirinale il 12 agosto 1689. Il suo corpo, trasferito nella Cappella Sistina in Vaticano, dove i Penitenzieri provvidero a rivestirlo degli abiti pontificali, venne condotto nella Basilica Vaticana, dove fu esposto alla pietà ed al suffragio dei fedeli nella Cappella della Santissima Trinità, delimitata da un cancello chiuso. L’inumazione delle sue venerate spoglie, presso la Cappella del Coro dei Canonici, avvenne il 16 agosto, dopo il tramonto del sole. Nel Diario Sistino del 1689 sono riportate diligentemente tutte le cerimonie funebri svoltesi nella Basilica Vaticana in suffragio dell’anima del defunto Pontefice, nelle quali era intervenuto il Collegio dei Cantori Pontifici. Ogni giorno, venivano regolarmente registrate le celebrazioni dei Novendiali: "Seconda Esseq.e. 16 Martedì. Questa mattina in San Pietro nella Cappella detta di sopra si sono fatte le solite Esequie alla presenza del Sacro Collegio in numm.o 22: fù cantata la Messa dall’Em.mo Sig.r Cardinal Lauria. Tutti li SS.ri serventi presenti con parte de SS.ri Giubilati. Si sono ricevute le solite Cere e Pranzi" (39). "Terza Essequie. 17. Mercordì si fecero le solite Esequie nella Basilica Vaticana presente il Sacro Collegio degli E.mi SS.ri Cardinali, quali furono al numm.o di 21. Cantò Messa l’Em.mo Sig.r Cardinal Capizucchi. Tutti li SS.ri Compagni serventi diligentissimi e furono à favorirci molti de SS.ri Giubbilati. Habbiamo ricevuto li soliti Emolumenti delle Cere e Pranzi" (40). Papa Innocenzo XI venne proclamato Beato da Pio XII nel 1956 ed il suo corpo fu posto alla venerazione dei fedeli nella Basilica di San Pietro, in un urna sotto l’altare della Cappella di San Sebastiano. Il 23 agosto 1689, nella Cappella del Coro dei Canonici in San Pietro, il Cardinale Altieri, Camerlengo di Santa Romana Chiesa, celebrò la Santa Messa dello Spirito Santo e dopo il giuramento nella Cappella Paolina, iniziarono le votazioni nella Cappella Sistina. Al termine del Conclave, il 6 ottobre 1689, venne eletto Papa il Cardinale Pietro Vito Ottoboni, di nobile famiglia veneziana, che assunse il nome di Alessandro VIII. Il nuovo Pontefice venne incoronato dal Cardinale Protodiacono Francesco Maidalchini, con la Tiara Pontificia il 16 ottobre, nel corso della solenne cerimonia sopra il portico della Basilica di San Pietro e prese possesso della Basilica Lateranense il 23 ottobre. Tutti i particolari della solennissima funzione della Incoronazione di Papa Alessandro VIII sono riferiti nel Diario Sistino del 1689. Domenica 16 ottobre, alle ore 14,00 il nuovo Pontefice scese nella Cappella Sistina e vestito di piviale rosso e mitra di tela d’oro venne portato in Sedia Gestatoria nel Portico di San Pietro, dove si svolsero le solite funzioni. Sotto il Baldacchino e attorniato dai Ventagli, il Pontefice fece ingresso nella Basilica di San Pietro e dopo aver adorato il Santissimo Sacramento, si recò nella Cappella Clementina, dove riposa il corpo di San Gregorio Magno. Il Collegio dei Cantori Pontifici prese posto nel Coro eretto a Cornu Epistole della Cappella e con la sua solita maestria contribuì a rendere solennissima la cerimonia di Incoronazione del nuovo Pontefice. Dopo il canto di Terza, i Cantori si trasferirono nel Coro preparato vicino all’Altare della Confessione, dove attesero il Pontefice per la celebrazione della Santa Messa. Giunto il Papa all’Altare e concluse alcune cerimonie, diede inizio alla Messa, incensando l’altare. Come annota il Diario Sistino, "Subito di ordine del Sig.r Mastro, da noi fu dato principio all’Introito adagio assai, tenendo similmente quest’ordine nelli Chyrie, de quali se ne cantorno molti, ne si terminorno, se prima il Sommo Pontefice incensato l’Altare, e ricevuto nel Trono l’obbedienza dal Sacro Collegio, ammentendolo al bagio de sacri piedi, mano, e guancia, non lesse tutto l’Introito, il quale compito passò all’intonazione del gloria" (41). "Il Credo, da noi si cantò adagio per dar tempo che si compissero le cerimonie. Appresso fu cantato l’offertorio in contrapunto adagio e poi si passò al solito mottetto, quale fu replicato più volte per dar tempo alla incenzatione degli EE.mi SS.ri Cardinali, et altre cerimonie, che si stilano farsi in simile funtione" (42). Come riferisce il Diario Sistino, a causa della grande stanchezza del Pontefice non vi fu il tradizionale bacio del piede del Papa da parte del Collegio dei Cantori "quantunque dal Signor Mastro (conforme al solito) ne fosse stata l’istanza all’Ill.mo Monsig.r Bartoli Maestro di Camera di Sua Santità, dal quale fu però assicurato, che tutto ciò si sarebbe riservato a’ miglior congiuntura" (43). Il Diario Sistino conclude la cronaca della importante cerimonia annotando "tutti li SS.ri Compagni serventi presenti, con parte de SS.ri Giubbilati" (44). Sabato 15 ottobre 1689, il Camerlengo del Collegio dei Cantori Pontifici attribuì a Don Gregorio de Giudici ed a ciascuno dei Cantori a paga intera, la somma di scudi romani 2 e bajocchi 37, quale ultima parte dei compensi loro spettanti per i servizi prestati durante la Sede Vacante. I Cantori a mezza paga ottennero ciascuno scudi 1 e bajocchi 18 (45). Alessandro VIII, appena eletto, si affrettò a beneficare con titoli e privilegi i componenti della sua famiglia, facendo giungere a Roma suo nipote Pietro, creato cardinale a 19 anni il 7 novembre 1689. Negli affari religiosi, favorì le missioni in Cina e a Nanchino, istituendo due sedi vescovili a Pechino. Fu caritatevole nel periodo della peste e della carestia che infierirono a Roma ed arricchì la Biblioteca Vaticana, acquistando preziosi volumi appartenuti alla Regina Cristina di Svezia. Nel primo anno di Pontificato di Alessandro VIII, Don Gregorio de Giudici fu chiamato ad assumere il massimo ufficio dell’istituzione musicale papale, quello di Maestro della Cappella Pontificia. Mostrando di apprezzare i suoi talenti, la solerzia e la sua bontà di maniere, i colleghi cantori gli confidarono quest’incarico, certi che egli avrebbe dedicato alla Sistina ogni sollecitudine, adempiendo con scrupolo e vera perizia ai suoi doveri. Le notizie storiche su questo periodo della vita di Don Gregorio de Giudici contribuiscono a mettere in risalto la figura artistica e musicale di questo benemerito Cantore alla Corte Papale. Papa Sisto V, nel 1586, aveva ridotto il numero dei cantori pontifici da 24 a 21, concedendo al Collegio il privilegio di eleggere, ogni anno, il Maestro di Cappella, scegliendolo fra uno dei cantori facenti parte dell’organico dell’istituzione stessa. Negli anni di servizio prestati nella Cappella Pontificia, Don Gregorio era stato iniziato, con metodo sicuro, ai solidi princìpi dell’arte polifonica e del canto ecclesiastico “all’uso romano”, osservati dall’organismo musicale, alle dirette dipendenze del Pontefice e della sua corte. Quasi venti anni di pratica quotidiana nel Collegio, avevano contribuito grandemente alla sua completa formazione artistico-religiosa ed all’acquisizione dell’istruzioni, regole e consuetudini proprie della tradizione musicale sistina, che regolavano l’opera dei cantori nelle grandi festività dell’anno liturgico e nelle funzioni ordinarie e straordinarie. Queste riflessioni animarono i membri del Collegio della Cappella Musicale nella Congregazione per la nomina dei nuovi Officiali (Maestro della Cappella Pontificia, Camerlengo e Puntatore) tenutasi la mattina della Festa dei Santi Innocenti, il 28 dicembre 1689, nella Cappella Paolina del Palazzo del Quirinale. Il Cappellano Cantore Mazzoni, alle ore 16 in punto, celebrò la Santa Messa bassa, dopo la quale ciascuno dei Cantori presenti, esercenti e giubilati, si pose a sedere al suo posto. Con l’invocazione dello Spirito Santo da parte del Maestro di Cappella, iniziò la Congregazione, alla presenza di 31 cantori votanti. Nell’ordine della riunione, le prime votazioni per i nuovi Officiali riguardavano la nomina del nuovo Maestro di Cappella. Dopo alcune votazioni infruttuose, i Cantori orientarono il loro voto su Don Gregorio de Giudici, con l’esito pienamente favorevole, riportato diligentemente nel Diario Sistino del 1689: "Fu fatto uscire il Sig.r De Giudici, al quale toccava di essere imbussolato per Maestro di Cappella, et hebbe voti fav.li n.° 26, e disfav.li n.° 5: onde avendo vinto il partito, fù eletto Maestro di Cappella e da tutti li SS.ri Compagni ricevé il solito osculum Pacis" (46). Come nuovo Maestro, Don Gregorio assistette ai Primi Vespri della Circoncisione di Nostro Signore Gesù Cristo, accanto al precedente Maestro, il romano Giovanni Matteo Leopardi, tenore, che cessava nell’ufficio ed entrò in carica ai Primi Vespri dell’Epifania. Nel suo ruolo di Maestro della Cappella Pontificia, egli guidò l’opera dei Cantori in alcune promozioni cardinalizie, registrate nel Diario Sistino del 1690. La prima si tenne nel Palazzo del Quirinale, il 16 febbraio, con il Concistoro Pubblico durante il quale il Papa concesse il cappello cardinalizio a nove porporati. Giunto il primo di essi nella Cappella Paolina, Don Gregorio fece intonare i mottetti prescritti per tali occasioni, che i Cantori Pontifici proseguirono fino alla conclusione di questo primo momento di preghiera. Al termine della cerimonia di imposizione del galero nella Sala del Concistoro, due soprani sotto la guida del Maestro di Cappella, intonarono il primo versetto del Te Deum, che fu cantato dal Coro, processionalmente, verso la Cappella Paolina. Un altro Concistoro Pubblico si tenne, sempre al Quirinale, il 2 marzo dello stesso anno, per la promozione cardinalizia di Mons. Giacomo Cantelmi. Nell’Archivio del Collegio dei Cantori Pontifici, si conservano alcune lettere indirizzate a Don Gregorio de Giudici, Maestro della Cappella Pontificia, dal Cardinale Francesco Maidalchini, da Viterbo, creato da Innocenzo X ed assegnato come Protettore dell’istituzione da Alessandro VIII, il 22 ottobre 1689. Le prime riguardano l’ingresso, senza concorso, di due cantori in qualità di soprannumerari, per diretta decisione del Pontefice. Il primo cantore ammesso era il soprano Pasqualino Tiepoli, di Udine, che dopo venticinque anni di servizio vestirà l’abito eremitico di Monte Luco a Spoleto, con il nome di Frate Pier Clemente: "Il Sig. D. Gregorio de Giudici, Maestro della Cappella Pontificia darà la cotta a Pasqualino Tiepolo, nella parte di soprano soprannumerario, essendo questo l’ordine di N.S. Dal nostro Palazzo, li 11 marzo 1690
F.
card. Maidalchini" (47). In ossequio a questa decisione del Pontefice, Don Gregorio fece chiamare il nuovo soprano, il quale, genuflesso davanti al Maestro della Cappella Pontificia giurò di osservare le Costituzioni e le consuetudini del Collegio. Subito dopo Don Gregorio gli impose la cotta e lo ammise al bacio della pace, ufficializzando così il suo ingresso nella prestigiosa istituzione. L’altro cantore era il tenore romano Michele Fregiotti, morto poi nel 1709: "Sig.re D. Gregorio de Giudici Maestro della Cappella Pontificia potrà dar la Cotta à Michele Freggiotti, romano, per Ordine di N.ro Sig.re ammettendolo alla parte di tenore sopra numerario, con che gli corra l’anzianità, e giubilatione dal giorno che sara ammesso etc. Dal N.ro Palazzo, q. di 9 di 8bre 1690 F. Card. Maidalchini
Niccolò Frediani seg.rio " (48).
La terza lettera riguardava il caso di Bartolomeo Monaci, ammesso nel novembre 1689 come contralto castrato nella parte tradizionalmente assegnata ai contralti naturali. Dopo aver constatato che tale decisione era contraria alle consuetudini della Cappella e che, soprattutto, il Monaci non poteva onorevolmente sostenere tale voce, troppo bassa per un castrato, il Cardinale Protettore, con ordine del Sommo Pontefice, decretò il passaggio del Monaci dalla voce di contralto a quella di soprano. "Al Sig.re D. Gregorio de Giudici M.ro di Capella, della Capella Pontificia
Sig.re D. Gregorio de Giudici M.ro della Capella Pontificia.
Essendoci stato rapresentato nell’ultima Cong.ne tenuta avanti di Noi
dal Collegio de SS.ri Cantori della Cappella Pontificia e doppo anco da
gli Officiali incaricatoci il pregiudizio grande che nasce al Serv.o di
Dio, et della Santità di N.ro Sig.re dal mettere Contralti Castrati per
il servitio della sud.a Capella conoscendosi essere impossibile che li
suddetti possino esercitare come tali il Contralto nella detta Capella,
e non essendovi stato mai tale sempio, onde per oviare il futuro à tal
pregiudizio d’ordine di N.ro Sig.re datoci a bocca fara V.S. passare
Bartolomeo Monaci da Monte Alcino al Soprano per sopranumerario,
ammettendolo con la solita Giubilatione et anzianità, conforme hanno
goduto e godono gli altri. Iddio la prosperi, dal N.ro Palazzo li 12
genn. 1690 F.
Card. Maidalchini" (49). Fra gli impegni che come Maestro della Cappella Pontificia, vide confidati alla sua direzione, Don Gregorio de Giudici curò personalmente le prove per i solenni riti della Settimana Santa, che impegnarono tutti i cantori pontifici, con scrupoloso rigore, nei giorni della settimana di Passione, precedente alla Domenica delle Palme. Secondo le antiche consuetudini del Collegio, numerose composizioni polifoniche dei grandi maestri Antifone, Responsori, Tratti e Mottetti, erano destinate all’esclusivo uso liturgico della Settimana Santa. Alcuni di questi brani, di purissima melodia, ribadivano le istanze estetiche della scuola romana post-tridentina, imponendosi per una grande serenità, solenne e contemplativa al tempo stesso e per questo, erano unanimemente apprezzati all’epoca. Dopo la Cappella Papale della Domenica delle Palme, nel corso della quale tre cappellani cantori cantarono solennemente il Passio, il primo importante appuntamento per il Collegio dei Cantori Pontifici fu, certamente, il Mattutino del Mercoledì Santo. Al termine di alcune Antifone e Salmi, veniva intonata la prima Lamentazione del Profeta Geremia, composta in canto figurato da Gregorio Allegri, sui versetti tratti dal testo biblico, scritti dal Profeta Geremia e deploranti la distruzione di Gerusalemme, con un acrostico sulle lettere dell’alfabeto ebraico. Dopo la seconda e la terza Lamentazione di Geremia in canto piano e le Lezioni del Notturno, fu cantato il Benedictus. Ad ogni versetto del Cantico di Zaccaria, venne spenta una candela dal candeliere triangolare posto sull’altare, creando un’atmosfera molto intensa e suggestiva. Subito dopo il canto del Christus factus est, il Papa lasciato il suo trono, si inginocchiò davanti all’altare e tutti si prostrarono con lui. Appena conclusa la recita del Pater noster segreto da parte del Pontefice, i cantori intonarono il Miserere a due cori di Gregorio Allegri, una delle composizioni più ammirate e celebri della Cappella Pontificia "che rapisce l’animo di chi l’ascolta" (Andrea Adami) (50). Questo salmo in falso-bordone polifonicamente ornato e con versetti condotti in stile monodico, affidato a due cori, uno di cinque voci e l’altro di quattro voci, esercitava una profonda impressione sugli ascoltatori, sia per i riti suggestivi che l’accompagnavano, sia per il geloso segreto con cui il Collegio dei Cantori lo aveva avvolto e per gli abbellimenti che i cantori si tramandavano dalla metà del secolo. Tale era l’apprezzamento generale di questa magistrale composizione, che con espresso mandato, i pontefici proibirono la trascrizione e l’esecuzione del Miserere di Allegri al di fuori delle celebrazioni nella Cappella Papale. La liturgia degli ultimi tre giorni della Settimana Santa, il Triduo Sacro, era pervasa da alcune ufficiature fra le più belle dell’anno. Al mattino del Giovedì Santo 23 marzo 1690, la celebrazione fu consacrata al vivo ricordo della istituzione dell’Eucaristia e del Sacerdozio e fra i brani più belli della Messa venne cantato il Mottetto per l’Offertorio Fratres ego enim del Palestrina. Al termine della Santa Messa, celebrata dal Cardinale Chigi, i cantori più novizi nelle parti presero i libri e tutto il Collegio dei Cantori si recò fuori dalla Cappella Sistina per la processione, nel corso della quale il Pontefice Alessandro VIII, sorreggendo l’ostensorio, condusse il Santissimo Sacramento verso l’altare della reposizione. Appena la Croce uscì fuori dalla Balaustra della Cappella, Don Gregorio de Giudici, in qualità di Maestro di Cappella, fece cenno ai cantori contralti, i quali intonarono l’Inno Pange Lingua, che accompagnò solennemente tutto il tragitto della processione. Il Venerdì Santo, la Solenne Azione Liturgica della Passione e Morte di Nostro Signore Gesù Cristo, si svolse nella Cappella Sistina che aveva assunto un aspetto di completa desolazione, con l’altare spoglio, senza croce, né candelieri, né tovaglie. Dopo il canto del Passio, cioè della Passione secondo San Giovanni, intonata da tre Cappellani Cantori, un soprano, un tenore ed un basso, vennero recitate le Solenni Orazioni a cui seguì il rito suggestivo dell’Adorazione della Santa Croce. Questo rito traeva la sua origine nell’omaggio che i fedeli di Gerusalemme tributavano il Venerdì Santo alla insigne reliquia della Croce, sulla quale Nostro Signore Gesù Cristo era stato crocifisso. Il popolo accorreva a prostrarsi davanti ad essa, baciandola con grande devozione. Nella liturgia latina, il solenne rito dello scoprimento e dell’adorazione della Croce aveva inizio con l’ingresso della Croce coperta da un velo violaceo ed accompagnata da due accoliti che recavano due candelieri accesi. Prima veniva scoperta la sommità della Croce ed in due momenti successivi il braccio destro e poi tutto il Santo Legno. Ogni volta, il Diacono del Vangelo cantava l’antifona Ecce lignum Crucis, continuata da due tenori con le parole In quo salus mundi pependit, a cui tutto il Coro dei Cantori rispondeva Venite adoremus. Mentre nel mezzo del Presbiterio il celebrante Cardinale Colloredo, tutto il Sacro Collegio e la Prelatura si apprestavano ad adorare la Croce, facendo tre genuflessioni e baciando i piedi del Santissimo Crocifisso, Don Gregorio de Giudici fece intonare il canto devoto ed austero degli Improperi a due cori del Palestrina, con cui i Cantori interpretavano la voce del Signore, che invitava il suo popolo a ritornare a Lui, ricordandogli, nei cosiddetti Rimproveri, i benefici innumerevoli di cui lo aveva ricolmato attraverso i secoli, ottenendo in compenso l’ingratitudine e le gravi offese e sofferenze della Passione. Alcuni versetti degli Improperi erano cantati, alternativamente dai due cori, in greco ed in latino:
Agios
o Theos.
Sanctus
Deus. Agios
ischiros.
Sanctus
Fortis. Agios
athanatos, eléison imas.
Sanctus
Immortalis, miserére nobis. Come testimoniava Andrea Adami, gli Improperi del Palestrina venivano intonati dai Cantori "adagio, e con voce sommessa, perché la loro soavissima armonia rende un’interna devozione, e compunzione" (51). Al Mattutino del Venerdì Santo, il Coro dei Cantori eseguì la Lamentazione in canto figurato di Gregorio Allegri ed il Miserere a due Cori dello stesso autore. La celebrazione della Vigilia Pasquale, svoltasi al mattino del Sabato Santo 25 marzo, si componeva di varie parti, iniziando dal Canto dell’Exultet iam Angelica turba caelorum, il festoso annuncio della Pasqua, il Canto di Dodici Profezie, affidato ai Cantori Pontifici e le Litanie Maggiori, sempre intonate dai Cantori, seguite dalla celebrazione del Santo Sacrificio della Messa, il mistero in cui l’Agnello pasquale, immolato sul Calvario per la salvezza del mondo e risorto dai morti, ci ha meritato la redenzione. Alla Santa Messa celebrata dal Cardinale Lauria nella Cappella Sistina, fu presente anche Papa Alessandro VIII. Ai Vespri, i Cantori intonarono all’inizio il Salmo Laudate Dominus omnes gentes, in canto figurato ed al termine il Magnificat di Luca Marenzio. Nel corso della Santa Messa della Domenica di Pasqua, celebrata dal Cardinale Altieri, presente il Papa, prima del Vangelo, venne cantata la celebre Sequenza Victime paschali laudes, testo di Vipo, Cappellano dell’Imperatore Corrado, posta in musica dal Cantore Pontificio Matteo Simonelli. Al termine del Canone, secondo una antichissima consuetudine, il Coro dei Cantori non rispose Amen alle parole del celebrante Per omnia saecula saeculorum. Tale singolare tradizione aveva avuto inizio molti secoli prima: mentre San Gregorio Magno celebrava in San Giovanni in Laterano, alla fine del Canone, gli Angeli del Cielo risposero Amen, per cui in venerazione di tale grande prodigio, le Costituzioni della Cappella Pontificia prescrivevano tale omissione di risposta. Ugualmente, al Maestro di Cappella era confidata la direzione di alcuni particolari servigi resi dal Collegio dei Cantori Pontifici, nelle solenni cerimonie, in occasione delle quali essi erano chiamati ad allietare i solenni conviti, offerti dal Papa nei Palazzi Apostolici, ai cardinali che avevano assistito alle funzioni. Sotto la guida del Maestro di Cappella, i Cantori eseguivano concerti e cantavano mottetti sacri in latino, accompagnandosi con l’organo, il violoncello ed altri strumenti. Anche le principali solennità dell’anno offrivano ai musici pontifici l’occasione di far conoscere agli illustri personaggi della Curia Romana ed agli ospiti di riguardo della Santa Sede le loro eccelse qualità musicali. Conclusi i Primi Vespri di Natale, nel Palazzo Apostolico si trattenevano quei cardinali che intendevano assistere al Mattutino ed alla Messa della Notte di Natale, ai quali la Reverenda Camera Apostolica offriva "una lautissima Cena, con apparecchio nobile di varj Trionfi, che rappresentano i fatti della Natività del nostro Redentore" (52). L’apparato della cena veniva prima benedetto e visitato dal Sommo Pontefice, che ammirava le ricchissime argenterie ed i Trionfi, preparati con i vari simboli e le decorazioni allusive del Santo Natale. Prima della cena, sotto la direzione del Maestro di Cappella, veniva offerto un sacro componimento in musica con l’esecuzione di una Cantata sopra la Natività di Nostro Signore Gesù Cristo, curata dai migliori Cantori della Cappella Pontificia. L’esecuzione avveniva all’ora una di notte nel salone riccamente addobbato ed illuminato della Sala Borgia se il pontefice risiedeva in quei giorni al Vaticano o nell’appartamento al piano del cortile se le funzioni si svolgevano al Quirinale. Alla Cantata pastorale erano ammessi i cardinali che intervenivano in mozzetta e ferraiolone rosso, la prelatura e la nobiltà romana. Al termine della rappresentazione, il Maestro di Cappella, i cantori e strumentisti partecipavano alla cena imbandita per i cardinali. Nel 1690, la Cantata per la Notte di Natale curata dal Maestro della Cappella Pontificia Don Gregorio de Giudici fu “La Gioia nel seno d’Abramo”, su testo di Silvio Stampiglia e musica di Flavio Lanciani, Virtuoso del Cardinale Ottoboni, con la direzione dell’orchestra affidata ad Arcangelo Corelli (53). Ugualmente, il giorno di Pasqua di Resurrezione, il Collegio dei Cantori Pontifici, durante il pranzo offriva al Papa ed alla sua Corte dei virtuosi concerti, per i quali i musici ottenevano, secondo un costume antichissimo, le uova pasquali in marzapane, "l’Agnello, e le Paste della Mensa del Papa, e un Doblone di mancia" (54). Il 16 ottobre 1690, giorno anniversario della Incoronazione di Papa Alessandro VIII vi fu Cappella Papale in San Pietro in Vaticano. Cantò la Santa Messa il Cardinale Altieri, alla presenza del Pontefice e del Sacro Collegio. Nella stessa mattina, Alessandro VIII promulgò i decreti di Canonizzazione dei beati spagnoli Giovanni di San Facondo agostiniano, Pasquale Baylon francescano, Giovanni di Dio, fondatore degli Ospitalieri, Giovanni da Capistrano OFM e Lorenzo Giustiniani. Nel Diario Sistino del 1690, alla data indicata, il puntatore volle registrare tutta la solenne cerimonia della canonizzazione, al fine di regolare anche per il futuro tutta la funzione ed i vari momenti musicali. I Cantori Pontifici, sotto la guida del Maestro di Cappella, Don Gregorio de Giudici, si ritrovarono nella Cappella Sistina in Vaticano, dove giunto il Papa intonò l’Inno Ave Maris Stella, proseguito dai Cantori posti all’interno della prima cancellata. Subito dopo, i Cantori processionalmente, si recarono fino a Piazza San Pietro e poi entrarono nella Basilica dalla Porta Maggiore, prendendo posto nel Coro preparato per loro. Con l’arrivo del Pontefice e del Sacro Collegio nella Basilica ebbe inizio la cerimonia della Canonizzazione, regolata minuziosamente dai Maestri delle Cerimonie e dalle prescrizioni scritte e distribuite a tutti i Cantori. Terminata questa "solenne e lunga funzione, si comincia la Messa", che fu cantata dal Cardinale Altieri (55). Come annota il Diario Sistino "Furno presenti alla Funzione sudd.a tutti li Sig.ri Compagni", insieme alla maggior parte dei Giubilati (56). Mentre concludeva il suo mandato di Maestro della Cappella Pontificia, Don Gregorio volle curare un prezioso Liber Psalmorum in pergamena, che dedicò al Pontefice regnante Alessandro VIII. Questo codice di manoscritti musicali, con lettere iniziali di pagina ornate da miniature, conservato nell’Archivio della Cappella Sistina, nel frontespizio reca l’iscrizione:
ALESSANDRO VIII
R. D. GREGORIO DE IUDICIBUS Magistro Cappellae Pontificiae Pro tempore existente Anno
MDCXCI Jacobus
Tartanus Romanus Scribebat (57).
I manoscritti riguardano quattro composizioni musicali di tre autori di inizio secolo molto apprezzati in quegli anni, utilizzate dai Cantori della Cappella Pontificia per le solenni cerimonie dell’Ufficio Divino:
Archangelus Crivelli, Psalmus 111, Beatus vir qui timet, Octavi Toni cum 8 vocibus Rogerii Giovanelli, Psalmus 111, Beatus vir qui timet, Sexti Toni cum 8 vocibus Rogerii Giovanelli, Psalmus 111, Beatus vir qui timet, Primi Toni cum 8 vocibus Octavi Catalani, Psalmus 111, Beatus vir qui timet, Septimi Toni cum 8 vocibus (58).
Alessandro VIII morì il 1 febbraio 1691, nel Palazzo del Quirinale ed il giorno successivo, nella prima ora della notte, il suo cadavere fu trasportato in Vaticano, nella Cappella Sistina. Il 3 febbraio venne esposto nella Cappella del Santissimo Sacramento ed il 5 febbraio, all’ora del tramonto fu inumato in Basilica, presenti i cardinali che aveva creato, il Cardinale Barberini, i nipoti e tutta la Camera Segreta. Conclusi i Novendiali, il 12 febbraio, nella Cappella della Pietà il Cardinale Chigi, in luogo del Cardinale Cibo, Decano del Sacro Collegio, celebrò la Santa Messa dello Spirito Santo, alla presenza del Sacro Collegio. Come riferisce il Diario Sistino, all’Offertorio venne cantato il Mottetto a otto voci Cantate Domino di Ruggiero Giovannelli. Terminata la Santa Messa, l’Abate Bonanventura fiorentino tenne l’orazione De eligendo Summo Pontifice. Conclusa l’orazione, due soprani dentro la cancellata della Cappella intonarono l’Inno Veni Creator Spiritus "che fu seguitato in Canto figurato dalli S.ri Compagni". Finito il primo verso, si avviò la processione verso la sede del Conclave, nella Cappella Paolina (59). Il Conclave si concluse il 12 luglio 1691, con la elezione del Cardinale Antonio Pignatelli, del Titolo di San Pancrazio, Arcivescovo di Napoli, che assunse il nome di Innocenzo XII. Alle ore 13, il Cardinale Spada comparve sulla Loggia sopra il Portico di San Pietro e diede il pubblico annuncio della elezione del nuovo Pontefice. Il Diario Sistino del 1691 registra, con compiacimento, che "alle hora 17 l’Ecc.mo Savelli gran Maresciallo del Conclave introdusse tutti li Sig.ri Compagni dentro il Conclave prima che vi introducesse altri. Il Puntatore subito fu alla stanza di S.E. Protettore al quale fu presentato Memoriale diretto a N.S. il contenuto era che si dimandassero le solite Vesti che suole dare ogni nuovo Pontefice, fu subito da S.E. presentato à N.S. il quale diede buona speranza di consolar li Sig.ri miei Compagni" (60). Subito dopo, il nuovo Papa, accompagnato dal Sacro Collegio, venne processionalmente nella Cappella Sistina, dove fu rivestito degli abiti pontificali e, posto a sedere presso l’altare, ricevette la cosiddetta “adorazione” da parte dei cardinali presenti. Alle ore 18, due soprani Cantori intonarono "l’Ecce Sacerdos Magnus, in canto fermo, et fu seguitato à cantare in contrapunto, facendo qualche volta un poco di riposo, tra un verso et l’altro, et si fece durare fino che fu arrivato N.S. et Sacro Coll.o al’Altar delli Apostoli in S. Pietro, dove l’E.mo Chigi intonò il Te Deum, et fu cantato assai adagio dando tempo che si facesse l’altra adoratione, che finita il sud.to E.mo disse alcuni versetti, à quali fu sempre fatto risposta da’ Musici, che detta dal med.o l’oratione, fu da N.S. dato la Benedizione, così finì" (61). Con solenne cerimonia, Innocenzo XII venne incoronato nella Basilica di San Pietro in Vaticano il 15 luglio, dal Cardinale Urbano Sacchetti ed il 13 aprile 1692, prese possesso della Basilica Lateranense. Si mostrò di inesauribile carità e di costumi purissimi, dedicandosi con grande cura al miglioramento morale e materiale dei sudditi, dando grande sviluppo all’Ospizio di San Michele, dove erano accolti ed istruiti i giovani poveri e destinando il Palazzo Lateranense agli invalidi al lavoro. Riordinò l’amministrazione e ridusse le spese di corte, riunì tutti i tribunali nel Palazzo di Montecitorio, la Curia Innocenziana e promosse lo sviluppo delle missioni di Propaganda Fide in America, Persia e Cina. Nella lieta ricorrenza del venticinquesimo anno del suo ingresso nella Cappella Pontificia, Don Gregorio fu giubilato, cioè cessò dal servizio, conservando comunque a vita, secondo un antico privilegio dei Cantori, l’emolumento mensile. Il Diario Sistino, alla data del 12 dicembre 1697, così registrava: "In questo giorno il S.r D. Gregorio de’ Giudici da Ceccano compì gl’anni 25 di servitio nella Cappella Pontificia in conformità della Bolla di Papa Sisto Quinto, essendo stato il S.r D. Gregorio de’ Giudici puntuale nel servire la Cappella, e fece li soliti complimenti al Collegio" (62). Nelle verbalizzazioni cronologiche dei Diari Sistini sono registrate alcune celebrazioni solenni nelle quali Don Gregorio de Giudici ebbe un ruolo significativo fra i solisti del Collegio dei Cantori Pontificio. Il 15 aprile 1677, la sera di Giovedì Santo, nella Cappella Sistina in Vaticano, presente Papa Innocenzo XI ed il Sacro Collegio, venne cantato il Mattutino. Dopo la Prima Lamentazione del Profeta Geremia, in Canto Figurato di Giovanni Pierluigi da Palestrina a 4 voci, Don Gregorio de Giudici, basso e Raffaele Raffaelli, soprano, cantarono il famoso versetto Jerusalem, Jerusalem, convertere ad Dominum Deum tuum. Seguirono la Seconda Lamentazione in Canto Piano e la Terza Lamentazione in Canto Piano, interpretata dal celebre cantore contralto Siface. Subito dopo, a Don Gregorio venne affidata la Prima Lezione del Secondo Notturno, "Protexisti me, Deus" (IV Lectio del Mattutino) (63). Il 30 marzo 1684, la sera del Giovedì Santo, Cappella Papale nella Cappella Sistina in Vaticano, il Cardinale Decio Azzolini celebrò l’Offitio di Mattutino. Dopo la Lamentazione del Primo Notturno, in Canto Figurato del Palestrina, la Seconda e la Terza Lamentazione in Canto Plano, Don Gregorio cantò la Prima Lezione del III Notturno (Lectio VII, De Epistola Beati Pauli Apostoli ad Hebraeos “Festinemus ingredi in illam requiem”) (64). L’11 aprile 1686, la sera del Giovedì Santo, il Cardinale Decio Azzolini cantò l’Officio di Mattutino, assente il Sommo Pontefice, alla presenza del Sacro Collegio.
Prima Lamentazione - Primo Notturno in Canto Figurato a 4 voci Giuseppe Vecchi - Francesco Fabrini Raffaele Raffaelli - Giovanni Carlo Anatò
Ad Hierusalem R. D. Gregorio de Iudicibus
Lamentationes in Canto Plano Raffaele Panuntio Giovanni Carlo Anatò
Ad Lectiones 2 Nocturno Raffaele Raffaelli Giovanni Battista Felici Giovanni Antonio Ceva
Ad Lectiones 3 Nocturno R.D. Gregorio de Iudicibus Giovanni Matteo Leopardi Francesco Fabrini (65).
Nei primi anni del suo servizio nella Cappella Pontificia, Don Gregorio, in ossequio alle prescrizioni delle Costituzioni del Collegio dei Cantori Pontifici, cantò solennemente le Lettioni de Morti, nei Tre Notturni, nel Mattutino e Laude de Morti, la sera del 1 novembre di ogni anno e le Profetie la mattina del Sabato Santo. Ognuna delle nove Lettioni de Morti e delle dodici Profetie era affidata ad un cantore, secondo un ordine prestabilito, iniziando dal novizio, cioè dall’ultimo entrato a far parte del Collegio. Ad esempio, il 1 aprile 1684, nella Cappella Papale del Sabato Santo, tenutasi nella Cappella Sistina, dopo il canto dell’Exultet e la benedizione del Cero Pasquale, Don Gregorio cantò la decima Profetia, nella quale si esalta la misericordia del Signore, operata per mezzo del Profeta Giona, in favore del popolo della città di Ninive (66). E due anni dopo, sempre nella Cappella Papale del Sabato Santo, a Don Gregorio venne affidata la stessa X Profetia del Profeta Giona (67). Alcune interessanti notizie sugli anni di attività di Don Gregorio sono ugualmente registrate nei Diari Sistini. La mattina della festività dell’Epifania del 1682, il Maestro della Cappella Pontificia Giuseppe Toci, lesse al Collegio dei Cantori un Memoriale di Don Gregorio de Giudici, nel quale il cantore chiedeva al Cardinale Protettore un periodo di licenza per recarsi nella sua cittadina natale. Il Collegio, chiamato dal Cardinale Protettore a decidere in merito, accordò la licenza a Don Gregorio, obbligandolo però a rientrare in servizio "alla Capp.a della Purificatione Capp.a importan.ma ove si và a baciar li S.ti Piedi del Sommo Pontefice à prender la Candela Benedetta" (68). Don Gregorio ebbe a soffrire alla fine del 1696 gravi problemi di salute e durante la Santa Messa del 23 dicembre di quell’anno, fu costretto a partire "dal Coro dopo l’Offertorio per non poter stare in piedi per una indisposizione di una gamba" (69). Dal ricchissimo repertorio del Collegio, i Cantori della Cappella Pontificia amavano trarre con grande varietà le messe composte dai migliori maestri, che eseguivano nel corso delle cappelle papali, a seconda della solennità, del tempo liturgico e della festività del giorno. Da una analisi dei Diari Sistini emerge che la messa più amata ed eseguita dai Cantori negli anni in cui Don Gregorio fu membro del Collegio, fu, certamente, la celeberrima Missa Papae Marcelli di Giovanni Pierluigi da Palestrina. A titolo di esempio, seguono alcuni dati registrati dal Diario Sistino del 1680:
6 gennaio, sabato: Festa dell’Epifania Cappella Papale nella Basilica di San Pietro, Santa Messa cantata dal Cardinale Cibo. I Cantori Pontifici cantarono la Missa Papae Marcelli ed il Mottetto Surge illuminare Hyerusalem di Palestrina.
18 gennaio, giovedì: Festa della Cattedra di San Pietro, venne eseguita la Messa Sacerdos et Pontifex ed il Mottetto Tu es Petrus di Palestrina.
2 febbraio, venerdì: Cappella Papale della Purificazione della Beatissima Vergine Maria, alla presenza del Sommo Pontefice Innocenzo XI, venne eseguita la Messa Vidi turbam magnam di Gregorio Allegri ed il Mottetto Accepit Lumen di Palestrina (70). Nel novero dei mottetti più amati, che ricorrono spesso nelle esecuzioni di quegli anni, si segnalano Hodie nobis caelorum Rex di Giovanni Maria Nanino, per la Cappella Papale di Natale e Christus resurgens di Felice Anerio per la Cappella Papale di Pasqua.
Fra gli illustri cantori della Cappella Pontificia che furono colleghi carissimi di Don Gregorio, ricordiamo alcuni nomi: - Giovanni Francesco Grossi, detto Siface, contralto, ammirato per la dolcezza e la soavità del canto, reputato come uno dei migliori cantanti d’Europa. Nato il 12 febbraio 1653 a Chiesina Uzzanese di Pescia, in Provincia di Pistoia, fu discepolo di Tommaso Redi a Loreto. Nella sua prima apparizione teatrale a Roma interpretò il ruolo di Siface nel dramma per musica Scipione l’Africano libretto di N. Miniato e musica di Francesco Cavalli, da cui ebbe il soprannome che lo rese celebre. Musico della Regina di Svezia e del Cardinale Francesco Maidalchini, fu interprete di numerosi drammi sacri nell’Oratorio del Santissimo Crocifisso di San Marcello al Corso. Membro della Congregazione dei Musici di Santa Cecilia, il 14 ottobre 1674 entrò a far parte, insieme ad alcuni musici della Cappella Pontificia, dell’Arciconfraternita delle SS. Stimmate di San Francesco. Fu ammesso nella Cappella Pontificia il 10 aprile 1675, come soprano soprannumerario su diretta concessione del Pontefice Clemente X e fu il primo contralto ad entrare nel Collegio come soprano. Il 5 settembre 1677 rinunciò al suo posto e continuò con memorabili successi la carriera di teatro, fino alla sua morte, avvenuta nel 1697, per mano di due sicari che lo assassinarono crudelmente, sembra per conto di una nobile famiglia bolognese. Dopo i funerali, venne sepolto nella Chiesa di San Paolo a Ferrara. - Andrea Adami, da Bolsena, soprano, ammesso nella Cappella il 13 ottobre 1690, virtuoso del Cardinale Pietro Ottoboni, Pastore Arcade e Beneficiato di Santa Maria Maggiore, autore di una preziosa opera sul Collegio dei Cantori Pontifici, nella quale, a pag. 211, ricorda Don Gregorio de’ Giudici da Ceccano. - Matteo Simonelli, romano, contralto, ammesso il 15 dicembre 1662, maestro tra gli altri di Arcangelo Corelli, autore di molte importanti composizioni utilizzate dal Collegio, fra cui la bellissima Sequenza cantata nel giorno di Pasqua. - Antimo Liberati, di Foligno, contralto, ammesso il 29 novembre 1661, discepolo di Orazio Benevoli, compositore e celebre teorico musicale. - Don Domenico del Pane, soprano e compositore, Giuseppe Fede da Pistoia, soprano, Raffaele Raffaelli da Montefiascone, soprano, Giuseppe Ceccarelli da Rieti, soprano, tutti legati all’ambiente aristocratico ed alla corte della Regina Cristina di Svezia. Anche due ciociari entrarono in Cappella negli anni in cui Don Gregorio fece parte del Collegio: Giovanni Battista Felici di Sora, basso, ammesso nel 1675 e Giuseppe Antonio Jacobelli di Casalvieri, contralto, ammesso nel 1693.
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