Judas
Maccabaeus (tenore)
Simon, suo Fratello (basso)
Donna Israelita (soprano)
Uomo Israelita (mezzo-soprano)
Eupolemus, Ambasciatore Ebreo a Roma (alto)
Primo Messaggero (alto)
Secondo Messaggero (basso)
Coro del popolo di Israele
Coro di Giovani
Coro di Vergini
coro:
SS
ATB
Orchestra
2 fl., 2 fl. trav., 2 ob., 2 fag., 2 cor., 3 tr.,
timp., 3 vl.,
vla., vcl., ctb., org. e clav.
Come ci riferisce nelle sue
memorie Thomas Morell, l’oratorio JUDAS MACCABEUS era un
omaggio al vittorioso Duca
di Cumberland, soprannominato “Billy il macellaio” di
ritorno dalla Scozia, fratello di Frederick principe di Galles.
Questo
fu il primo lavoro di collaborazione fra il reverendo Morell e
Handel.
Qui
Handel non volle compiere una eccessiva individuazione dei
personaggi, come fece in HERCULES o in BELSHAZZAR, poiché
voleva esser di immediato impatto sul pubblico inglese: ed in
effetti JUDAS fu un successo, non solo alla prima, svoltasi il 1°
Aprile 1747 sotto il patrocinio del Duca di Cumberland,
ma l’afflusso del pubblicò fu maggiore anche nelle sei
repliche successive.
Il cast del 1747 era formato dal soprano Elisabetta Gamberini
e la mezzo-soprano Caterina Galli; si univano anche il
tenore John Beard, a cui era stato affidato il ruolo di
Judas, e il basso Henry Reinhold, a cui era affidato sia
il ruolo di Simon che di Epolemus.
Non presenta una vera e propria trama, e solo due personaggi
sono demarcati da un nome (Judas Maccabeus appunto e Simon), dal
momento che gli altri interventi solistici sono generici, nel
senso che vi sono arie per un anonimo personaggio “Israelita
uomo” e “Israelita donna”.
L’oratorio ebbe un immediato successo, e giunto con tale
rinomanza sino agli anni 80 del 1900, ma solo in Inghilterra,
che mai ha dimenticato le composizioni del Caro Sassone: era
noto anche nell’era vittoriana. L’oratorio conobbe nel corso
degli anni delle aggiunte, che furono annunciate già per la
terza rappresentazione e seguenti: Handel ne diede infatti altre
rappresentazioni nel 1748 e in ogni stagione d’oratorio che
organizzò dal 1750 al 1759 e ogni qualvolta l’oratorio fu
arricchito di pezzi supplementari, generalmente improntati ad
opere precedenti, ma anche due pezzi (“Sion now” e
“Wise
men”) inseriti nella ripresa del 1758, e creati per la
mezzo-soprano Cassandra Frederick, sono stati specificatamente
composti per l’oratorio.
Romain Rolland commenta che solo in JUDAS
MACCABEUS, Handel
raggiunse l’accorpamento più riuscito fra soli e coro. In
questa epopea gloriosa di un popolo piegato alla servitù,
capace di risollevarsi liberandosi dalle oppressioni, le
individualità si stagliano dal contesto eroico di tutta una
nazione, e chi guida il popolo non è altro che qualche corifeo,
il cui canto è incipit a queste grandi masse corali, che
aumentano progressivamente.
L’orchestra in
JUDAS MACCABEUS si
somma nel dialogo tra i soli e il coro, quasi come un terzo
elemento, a volte anche in opposizione apparente a questi primi
2.
Nel Secondo Atto, l’orchestra ben dipinge lo scatenarsi
della battaglia, e si oppone ai cori, tendenzialmente funebri,
che creano un quadro unitario. Dopo la morte, la gloria.
Lo studioso Kretzschmar invece ha individuato la
contrapposizione ripetuta nel corso di tutto l’oratorio del
binomio Disperazione/lutto al binomio Vittoria/riunione.
Alcuni
uomini e donne piangono la morte di Mattatia, che morì secondo
la bibbia nell’anno 146 a.C.: la sua prole lo seppellì a
Modin, nel sepolcro dei loro avi, e tutta l’Israele lo pianse.
Simon sente dentro di sé la voce di Dio che predice che il
prossimo liberatore sarà Judas, detto Maccabeus, che innalzò
la gloria del suo popolo, indossò la corazza come un gigante e
si cinse delle armi di guerra; intraprese molte battaglie,
difese l’accampamento con la spada.
Gli
ebrei celebrano le numerose vittorie di Judas: seguito solo da
un esercito scarno, egli dapprima sconfigge ed uccide Apollonio,
che tramava per la distruzione del popolo d’Israele, poi
affronta Seron.
Questa notizia rende le nazioni confinanti timorose di Judas e
del suo seguito: l’arrivo di un messaggero che proclama
l’indignazione di Antioco, Re di Siria, per l’ultima
vittoria e il suo ordine generale di andare ad annientare
Israele.
Judas e i suoi fratelli si rendono conto del precipitare della
situazione e incitano il popolo per risollevarsi dalla
rovina, accompagnata da una decisa lotta per la sopravvivenza e
per la preservazione del luogo santo.
Si
caratterizza con una atmosfera che tende in modo sempre più
evidente al trionfo ed alla vittoria.
Una festa degli Ebrei per i Lumi viene interrotta da un’altra
comunicazione: Judas ha eliminato l’esercito di Lisia,
comandante ben noto e parente del Re di Siria.
La morte sopraggiunta del Re Antioco, apre la successine al
trono di Siria del figlio, che invia Nicanore, il più capace
dei suoi generali, verso Judas e con un tranello si giunge alla
battaglia presso Cafarsalama. Ma il generale siriano finisce
sconfitto, ed allora, colmo di collera, sale verso il tempio nel
monte Sion, minacciando la sua distruzione. Piove su di lui una
maledizione e finisce ucciso. E’ il momento della entrata di
Judas che fa predisporre le esequie per i caduti, proprio nel
momento in cui Epolemus porta il trattato di pace sottoscritto
dal Senato Romano, garantendo la serenità al popolo Ebreo.
La
bella
Ouverture bipartita in
Largo/Allegro, include una fuga
insolita che si spegne in una grande scena iniziale di lutto: il
coro
“Mourn, Mourn” in do minore, costruito su una marcia
funebre eseguita dagli strumenti, ha un andamento di gran
respiro e solenne che apre la via ad una serie di lamentazioni,
tra cui il
“From this dread scene” un duetto fra un uomo e
una donna del popolo Ebreo.
Il coro
“For Sion Lament”: in esso piange sia il popolo sia
i fagotti, rafforzando il dolore espresso dalle voci: si tratta
di una siciliana inglobata in un arioso corale, retto su un
basso ostinato dal ritmo ben segnato: il materiale è una
elaborazione da
Giovanni
Bononcini, ma qui Handel ne crea un pezzo del tutto
originale.
Handel attinse anche dai suoi due oratori precedenti
OCCASIONAL ORATORIO
e
JOSHUA: alcuni brani tratti da questi due
non vogliono “tornare” dentro la loro fonte di origine,
vagliando questo diritto diciamo di usurpazione: si tratta del
pezzo
“Oh liberty” dall’OCCASIONAL, pezzo dedicato appunto
alla libertà assieme ad altri due di nuova fattura, tutti e tre
caratterizzati da una forma di danza tranquilla e pastorale,
abbastanza allegra e scorrevole, evocanti gioie di libertà.
Tali
pezzi divennero popolarissimi, tanto che ottennero una vita
autonoma, ossia slegata dall’oratorio stesso ed eseguiti in
concerto.
L’altra “usurpazione” è il celeberrimo coro
“See the
conquering hero comes”, tratto da
JOSHUA di Handel sempre:
posto nel Terzo Atto, è un pezzo straordinario, capace di
produrre effetti devastanti: si apre col canto dei giovani, poi
interviene il canto delle vergini, formati esclusivamente da
voci acute, e il tutti è ben delineato da una precisa
assegnazione di tipologie strumentali; il brano poi prosegue con
l’intero coro e l’organico strumentale completo, con una
sonorità in continuo aumento che finisce per esprimersi con una
marcia legata al coro in quanto una suo prolungamento logico.
Il Secondo Atto si apre col coro
“Fall’n is the Foe”
(Vinto è il nemico): un coro vigoroso, con intervalli
descrittivi evidenti ed incisivi, che proclamano un fatto
avvenuto, interrotto ad un certo momento da un attonito
“fall’n, fall’n” (davvero è vinto!), quando il coro
balbetta, suscitando dal contrasto un momento emozionante.
Esiste un duetto, intitolato
“Sion now her head shall raise”,
che sfocia in un coro, realizzando un binomio di eccezionale
bellezza: questo brano però è una aggiunta di Handel molto più
tarda rispetto il 1747, e molti studiosi ritengono che sia
proprio questa l’ultima composizione del Caro Sassone scrisse
con l’aiuto del giovane assistente e copista
John Christopher
Smith, durante il periodo di cecità; questo brano fu aggiunto
dapprima nel 1757 in una ripresa dell’ESTHER: le scale veloci
a “raise” sono usate con infinita abilità, e questo
rappresenta un esempio insolito di scrittura in Handel, dal
momento che prima aveva sempre fatto sfociare eventualmente
un’aria in coro, e non un duetto.
Questa aria viene inserita
nella ripresa di JUDAS MACCABEUS facendo seguito all’aria
“So rapid thy course is”.
Il secondo atto presenta altri pezzi che catturano
l’attenzione dell’ascoltatore:
l’aria “How vain is a man”, in ritmo allegro, ha suscitato
dei grossi granchi nell’interpretazione dei commentatori
tedeschi, in quanto “vain” non è vano, ma deve intendersi
come “inefficace”: eppure il recitativo precedente di Simon
“Not vain is all this storm” esprimeva lo stesso concetto,
quindi appare strano che abbiano preso una simile cantonata.
Un messaggero giunge a riferire l’imminenza di nuove guerre
cruenti, e gli ebrei riprendono il loro triste lamento,
concretizzato nell’aria funebre del soprano “Ah wreched
Israel”, che inizia col solo violoncello ed organo,
contrastando enormemente: poi, mano a mano che l’aria procede,
si aggiungono al lamento gli archi, per terminare
coll’intervento del coro in un dolore generale.
L’atmosfera cambia: si parte con un’aria molto piacevole per
basso, “Sound an alarm”. Il testo cantato da più precisa
caratterizzazione del personaggio Judas: è semplice
strumentalmente con un basso continuo incalzante; ma quando
Handel nel da capo varia la ripresa, un’esplosione di squilli
di trombe e timpani fa sobbalzare: si giunge poi
all’intervento del coro che intona “We hear the pleasing
dreadful call”, l’orchestra si rafforza, diviene ricca e le
note sono splendenti.
C’è poi un’aria
“Wise men, flatt’ring may deceive you”
che in alcune edizioni, come in cofanetto HMU 907077.78 della
Harmonia Mundi, è relegata negli appendici, per il fatto che si
tratta di una aggiunta tardiva di Handel alla prima
rappresentazione del
JUDAS
MACCABEUS: pare che fu scritta per
una ripresa del
BELSHAZZAR
nel 1758.
Il motivo è una vecchia
conoscenza dal momento che era inserito nell’Opera AGRIPPINA
(aria “Se vuoi pace”, 1709), e lo ritroviamo anche in ACI E
GALATEA, ed infine realizzazione sorprendente in
THE TRIUMPH OF
TIME
nel 1757/1758, quando Handel dimostra la sua incomparabile
abilità di riproporre una elaborazione del motivo, con un
accompagnamento di flauti dritti, corni, fagotti ed oboi.
In
JUDAS MACCABEUS
ripreso trova collocazione dopo il recitativo
“Ye worshippers of God”.
Il Terzo atto risulta ben più corto dei primi due: questo è
dovuto al fatto che Handel lo faceva iniziare col Concerto a due
cori n° 3, in fa maggiore catalogato HWV 334, con una tipologia
di strumenti quali oboi, fagotti, corni, archi, cembalo,
continuo (tale concerto viene denominato per tale inserimento
"Concerto in Judas Maccabeus".
L’Atto si apre con una melodia calda ed avvolgente, a tratti
delicata, che rasserena l’ascoltatore, ed un uomo israelita
intona
“Father of Heav’n”; sebbene tutto ciò che segue
abbia un tono di celebrazione, Handel trova ancora il modo di
inserire dei contrasti musicali.
L’aria di Judas seguente
“Whith honour let desert be
crown’d”
è da ricordare per la sua tonalità in la minore
con la presenza di una parte di tromba solista.
Si tratta di una
tromba naturale in re, strumento con delle limitazioni verso le
note della serie armonica, ma, per dargli più spigliatezza in
questa tonalità non abituale, Handel impiega un abbondante uso
della settima armonica dello strumento (do naturale) che i
compositori coevi avevano la tendenza d’evitare a causa del
suo carattere inespressivo: l’effetto di solennità antica che
ne risulta prepara perfettamente l’annuncio conciliante della
pace portata ben presto da Eupolemus, col suo recitativo
“Peace to my countrymen”.
L’atto termina con un duetto in stile pastorale,
“O lovely
peace”, di uomo e donna israeliti, per giungere al coro
“Rejoice oh Judah”
in uno stile più convenzionale Barocco.