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Si sa che
Filippo Balatri Musico Cantore
morì
il 10 settembre 1756.
Nella Biblioteca Nazionale di Monaco con una calligrafia uncinata, segno di
una mano avvezza alla copiatura delle note, nel codice italiano 329 è
presente il "Testamento o sia ultima volontà di F.B. nativo di Alfeo, dove
la prima pagina riporta la seguente scritta in latino:
"Est Character et compositio D. Philippi Balatri Musici Castrati ex Hetruria
oriundi, hominis lepidissimi, qui tandem in aetate jam provecta Mundum
deseruit, et monachum se fecit in Asceterio Furstenfeld prope Monachium Ord.
Cirsteriensis S. Benrnardi, ad Sacerdotium evectus, mortus est senex circa
annum 176..."
Balatri stese il suo Testamento fra il 27 novembre
1737 all'8 gennaio 1738, esattamente dopo 2 anni dalla sua autobiografia in
quartine FRUTTI DEL MONDO, che fu terminata il 25 agosto 1735.
Il Testamento di Balatri è di ispirazione burlesca, come in fondo anche
l'autobiografia.
Nella dedica ad un amico ignoto dice:
"Voi avete in tutti i miei scritti trovato il buffone, ma sappiate che
proviene dal non poter fare altrimenti, onde, s'il trovarete anche in
questi, tanto più gli riconoscerete per miei.
Chi nacque matto, non ne guarì mai, dice il proverbio.
A me piace l'esser sempre di assai buon umore, a tempo, conversazione e
luogo, e credo ch'il sarò finchè le convulsioni mi faran fare il muso agro
col farmi distendere le gambe e le braccia ....Andiamo dunque al Testamento,
poichè dacchè mi entrò in testa di distenderlo, ho una voglia di morire che
non ne posso più.
Può essere che dopo averlo disteso mi passi, ma ne dubito".
"Essendo io Filippo Balatri ignaro dell'usata formula in distendere i validi
testamenti per renderli sicuri da dispute, litigi, cabale, male
interpretazioni (et reliquia), nè volendo informarmene, per non farmi tirar
per il naso in qua e in là col farmi lasciare le mie sostanze a fantasia di
altri, sì come per non farmi rompere il capo da milla intrighi, impicci,
intrecci, impacci, et imbrogli di chi volesse persuadermi , avvertirmi,
ricordarmi, suggerirmi, ammonirmi, e consigliarmi per proprio od altrui
interesse, suggestione, avidità, brama o desiderio, io voglio, intendo e
pretendo che questi tocchi di carte sian validi in tutte le lor circostanze
e che quanto sarà scritto della presente mano (qual è la mia man dritta, né
se ne deve dubitare) voglio, dissi, che tutto sia valido come se fosse
quella di pubblico notaro; acciò il tutto sia eseguito senza replica,
eccezione, mala interpretazione, virgole o punti cancellate o aggiunti, et
infine senz'appello o difficoltà di sorte alcuna; che perciò torno ripetere
(e qui distendo) un voglio tanto visibile e palpabile.
"Io , grazie al cielo, alla mia industria et cerusico Accoramboni di Lucca
(il medico che lo evirò) non avrò attorno una moglie, che dopo avermi poco
amato mi stia a strillar nelle tempie, ....che mi dica "Ma vedo che voi
sudate, onde è meglio ch'io vi sollevi con asciugarvi il testam.... la
testa, volsi dire" [cut]".....
Filippo Balatri non avendo nè famiglia, nè parenti, ordina esequie semplici
modeste, rnunciando agli onori della casata principesca della Casa di
Baviera, e non vuole che secondo l'uso del paese, *il suo cadavere venga
lavato da certe donne*... "poichè - scrive il Balatri nel suo Testamento -
oltre l'indecenza che vi vedo, non vo' che si vadino divertend in esaminare
il come sian fatti i Soprani".
Aspetti seri del testamento
Dall'aspetto burlasco, Filippo Balatri passa ad aspetti più seri."...Poichè
oltre che mai in vita mia ebbi altro confidente che il mio defonto fratello
(si riferisce a Ferrante Balatri, la quale Filippo era molto affezionato: ne
fa cenno spesso nell'autobiografia), io diedi vivendo, e molto più poi dopo
la di lui seguita morte, sesto e luogo a quanto avevo e come stimai meglio
di fare, nè mi serbai che un sufficiente vitalizio; così che non resterà
alcuno da essere astretto a render alcun conto nè ragione. Questa fin qui
scritta è l'ultima mia intiera volontà.
Tutto sia nel santissimo nome di Chi mi creò. Venga la morte secondo la di
Lui Santissima Volontà. Mi abbia per sua pietà misericordia, e mi allievi la
meritata sentenza con i miei peccati. Amen."
Finito il Testamento vero e proprio, Filippo Balatri continua con una serie
di lasciti particolari che hanno una caraterizzazione burlesca, satirica e
contemporaneamente pia.....
"Lascio dunque al Signor Cencino Vezzosi (nome inventato), virtuoso di
Musica, tutte le mie carte musicali consistenti in arie, Cantate e mottetti
da chiesa" sempre che costui ne faccia buon uso e che per esempio canti "li
mottetti con tutta la modestia, come se niuno fosse in chiesa per
applaudirlo". Deve "pensare che ei parla addirittura con Dio".
"Lascio ai Signori Cortigiani il salmo 36 "NOLI AEMULARI IN MALIGNANTIBUS;
NEQUE ZELAVERIS FACIENTES INIQUITATEM" ...
Filippo poi lascia al maggiordomo i soldi rubacchiati dalla spesa, alla
cuoca lo strutto messo da parte, al dottor medico Giocondo Spedisci il
consiglio di non ingannare i pazienti sulla vicinanza dell'ultima ora, al
macellaio le sue bilance con l'avviso che "consideri che l'osso non si
mangia", al cocchiere tutte le mance che dovrebbe aver avute, al reverendo
padre Fra Desiderio Vaganti una tabacchiera, una disciplina accompagnata di
molti consigli e della seguente ricetta:
"Recipe Radicem Rectae Fidei, Sinceritatis, Pietatis; Florem Humilitatis,
Caritatis, Castitatis, Pietatis,; Seen Constrictionis, Confessionis etc.
Misceantur Haec omnia in Mortario Conscientiae, atterantur pistillo Doloris
etc." (da dire che questo era uno dei vari scherzi che si faceva in epoca
coeva, e che il Balatri deve aver copiato da qualche amico ecclesiastico).
Dopo aver lasciato ad un amico anonimo alcuni manoscritti contententi la sua
vita, i suoi viaggi e una "istruzione per il giovane Musico", Filippo
Balatri discorre della sua vita contemporanea alla stesura del suo
testamento. Quando parla di "adesso", ossia inizio 1738, si riferisce a lui
come ad un cinquantenne, cosa che contrasta un po' con la notizia della
cronaca cistercense, per la quale egli sarebbe morto nel 1756 ed avrebbe
preso i voto nel 1739 all'età di 63 anni. Si può supporre che l'allegro
Balatri si sia ringiovanito un po' per burla. Ma sentiamo dalle sue stesse
parole come trascorreva la vita...
"La vita ch'io conduco al presente e che penso a non mai condurre altramente,
mi dà e darà poco da dirvi: camera, chiesa, chiesa, e poi camera. Son in
corte e non vi sono; tutti ho amici e niuno pratico; vedo poco; nulla
ascolto; parlo raro; non desidero; non godo nè peno; mangio, bevo e dormo il
mio bisogno; e se mi sento sano, ne lodo il creatore; se son malato, ne fo
ancora altrettanto e dico: propter peccata veniunt adversa; tiro il conto
avanti come posso et attendo ogni momento quel bocconcin di passo al redde
rationem".
E ancora prosegue Filippo Balatri:
"Son già qualche mesi che io mi vado dicendo dei rosarii, misereri, De
profundis, e procurando qualche provvisione, come le formiche, per a suo
tempo; mentre è sempre meglio fidarsi poco all'altrui labile memoria. Questo
pensieronacque in me per divina clemenza, dacchè fui ritratto entro un gran
quadro ch'è nella sala di una villa del serenissimo mio padrone, e che vedo
ogni giorno cento volte nel tempo della villeggiatura in tutta l'estate. Ivi
vedesi ritratto S.A. con tutti di sua corte; tutte figure in piedi e
dell'altezza di un buon quarto di braccio. Figura detto quadro il giardino
di detta villa in tempo di divertimento; onde S.A. fa suonare e cantare,
essendo io sedente al cimbalo, et alcuni cavalieri che si dilettano di
suonar vari strumenti; dame et altri cavalieri a diversi tavolini che
giuocano; et una grande tavola che sott'un loggiato va preparandosi per la
cena; tutti ritratti al naturale i domestici fin a poter esser nominati da
un bambino che gl'avesse una volta veduti. Io ho voluto darvi una idea di
detto quadro, acciò comprendiate il buon gusto del padrone e la sua
generosità in far simili spese, non perchè mi sappiate ritratto vicino ad un
sì grande signore e fra dame e cavalieri; mentre che gli staffieri e gli
Aiuducchi potrebbero dir altrettanto, essendovi ancor loro dipinti, che
portano i piatti in tavola".
Riflessioni di
Balatri sul quadro
"Or come io dicea, mi soglio trattenere per più volte al giorno in detta
sala con gli occhi fissi in quel quadro, e mentre li cortigiani forse devono
dire: Guardate quel castrone male ..... come si idolatra, io vado
figurandomi di essere un mio vero amico, che essendo io già morto, vada così
ragionando: Ecco là il povero Filippo. Quando mi sovviene di averlo veduto
recitare nella tale e tal opera, dell'arietta tale ch'ei vi cantava, parmi
un sogno, e m'intenerisce il vederlo là su tela, immobile, vivo sol nei
colori, già giudicato, che fù, e ch'or non è più, nè sarà più mai. Morranno
ad un ad uno i cortigiani ch'il conobbero, e si comincierà poi a domandare:
Chi è colui? Finchè vi resterà chi per inteso dire potrà rispondere: Un tal
Filippo B., ah, vivrà almeno il nome; ma si arriverà ben presto a non
trovarsi più chi lo domandi, nè chi sappia rispondere al quesito. Sarà col
tempo cacciato il quadro in un guardarobba, poi anderà su un soffitto, e
finirà come l'originale (in sepoltura). Adesso tutti ti guardano, o povero
mio Filippo, ma altro non dicono che: Oh come simiglia bene, oh che bravo
pittore, ah che grand'uomo, e qui finisce. Chi sa se fra 300 persone tu
buschi un requiem al mese? Indi, si passerà senza volgerti un sguardo.
Fortuna tua che vicino a te vi è dipinto un prencipe, onde facilmente andrà
ad esser rispettata quella tela (da ogni altro che dal tempo); altrimenti
potrebbe servire quel campo a dipingerci qualche battaglia, caccia o
mercato, e ti converrebbe aver sul muso qualche sventrato cavallo, qualche
asino in tuo luogo o qualche cane. Povero Filippo, ove sono gli abiti
coperti d'oro, gli orologij gioiellati, le borse guarnite di doppie e gli
anelli d'una possessione?".
Il
quadro cui si riferisce il Balatri, si trova ora nel Museo Nazionale di
Monaco (sala 41, nr. 586 nella sala detta Accademia), ed è dipinto dal
pittore olandese Pietro Jacopo Horemans nel 1733. Il Balatri è la figura
centrale vestito di rosso con galloni di oro, seduta al cembalo: il giovane
Signore gli sta dietro, leggermente appoggiato alla spalliera della sedia: è
il principe Vescovo Giovanni Teodoro, corredato di una croce tempestata di
diamanti che gli pende dal collo appena visibile sulle trine bianche della
pettorina. Il alto sul balcone del loggiato dovrebbe esserci raffigurato
l'autoritratto del pittore stesso. Tutto il quadro è immerso in un ambiente
che è una via di mezzo fra il fantastico e una visuale della villa di
Ismaning. Filippo comunque ci appare - almeno dai suoi scritti che sono
giunti sino a noi - come una persona molto modesta, umile insomma: infatti
dice "perchè bisogna che sappiate che in 16 anni che io sono in questo paese
conosciuto mai vi è stato modo che alcun di questi tedeschi abbia voluto
chiamarmi per il mio cognome: ma quel ch'è ancor peggio, che han corrotto il
nome del battesimo me n'han fatto il casato, et essendo io veramente neutro,
hanno reso ermaf...... il mio nome col scriver tanto sui biglietti che in
capo alle liste dei conti e ricevute fattemi: "Signora", o al più "Sinora
Philippi", innestando così il nome con il da loro creduto cognome. In corte
vi sono alcuni che mi chiamano per il mio casato, ma nella città m'hanno
voluto "Filippi", e per tale son sempre passato".
A dire il vero persino in alcuni registri contabili della coerte di Baviera
ci sono delle storpiature del nome di Balatri con seguenti diciture: "Palatri",
"Philipp" "Balathri".
Introduzione
all'autobiografia
Continua Filippo Balatri nel suo testamento:
"Per ultimo mio lascito sia un buon pentimento di tutte le minchionerie che
avessi scritte, tanto nella mia *Istoria di Vita e viaggi*, nella *Scoperta
del Mondo*, Instruzione di un giovane musico* et in questo *Testamento*".
Frutti del mondo, ossia l'autobiografia di
Filippo Balatri in quartine non deve tanto vedersi come un capolavoro di
scrittura: ricordiamo che Filippo era solo un musico cantore, quindi non un
letterato: risulta un po' goffo, insulso ed inconcludente, piuttosto
prolisso in dettagli inutili e pesanti: la sua cultura letteraria si è
principalmente forgiata sul breviario e sui testi di musica che aveva avuto
modo di studiare al tempo.
I versi quindi sono spesso poveri, pessimi, ma si riscatta a volte con vera
poesia e la sua connotazione più caratteristica della sua personalità:
intendo dire il suo buon umore e l'umorismo che pervade l'autobiografia come
pure il Testamento.
L'autobiografia presenta anche dei fatti storici non sempre di grande
importanza, ma ci sono gli aneddoti, i pettegolezzi e curiosità di certi
personaggi e anche di alcuni atteggiamenti che i coevi potevano assumere nei
confronti dei musici cantori.
Mosca e Monaco rivivono aspetti quotidiani del settecento, e anche Londra e
Parigi vengono descritte quando il Balatri vi fece passaggio.
A cura di Arsace
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