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Il Primo Scandalo
Nell’autunno del 1754 Caterina era a Venezia sulle scene del San Moisé nell’ANTIGONA
di Galuppi. Allo stesso teatro rimase nel carnevale successivo cantando nel
SOLIMANO di Domenico Fischetti e nell'ASTIANATTE di Antonio Gaetano Pampani
su libretto di Antonio Salvi. I librettisti dell'ANTIGONA e del SOLIMANO
sono ignoti. Tra i suoi compagni a Venezia va notata una Francesca Gabrielli.
Diciamo intanto che a Venezia le due Gabrielli, fossero o no sorelle,
avevano comuni il nomignolo di Coghette nonchè i protettori forestieri ed
indigeni. Ecco qui un curioso documento che le riguarda:
“1754, 14 Gennaro
Pervenuta al Tribunale la notizia dei disordini che nascer potevano per
occasione dell'abitazione di certe cantatrici dette Coghette in alcune case
Corner a San Fantin, mentre che cantatrici ricevevano frequentemente
l’Ambasciatore Cesareo nella medesima loro abitazione quale aveva le scale
comuni con altri appartamenti tenuti ad affitto da alcuni Nobili Huomini.
Sue Eccellenze han comandato al Nobil Homo ser Andrea Corner Impresario
dell'Opera, in cui cantavano le dette Coghette, di trovare altro alloggio
per cui, senza nemmeno parlare a chi che sia del motivo: Lo che dal detto
Nobil Homo fu immediatamente eseguito. Con questa occasione poi essendosi
saputo che li due Nobil Homeni ser Andrea Memmo e ser Giacomo Foscarini
questi frequentavano esse cantatrici avevano per mezzo di terza persona
fatto arrivare all'Ambasciatore suddetto alcune istruzioni tendenti a
concerti, onde non accadesse che si abboccassero insieme coll'Ambasciatore
nelle visite la qual cosa era stata intesa da esso Ambasciatore non senza
dispiacere. Sue Eccellenze in primo luogo fecero intendere all'Ambasciatore
che poteva liberamente e senza riguardo alcuno visitare le dette cantatrici
e successivamente fecero chiamare li detti due Nobil Homeni dal Segretario e
li fecero agramente ammonire di così irregolare trapasso contrario alle più
sacre leggi della Repubblica e tale che meritava l’indignazione del
Tribunale: che ciò non ostante per pura clemenza in riguardo all'età loro et
alla loro ignoranza si voleva discendere a perdonarle, ma che loro si
prescriveva di assolutamente astenersi da ogni visita alle dette cantatrici
e da ogni occasione ancora di vederle. Al che si rassegnarono promettendo
obbedienza.”
Sfido a fare altrimenti!
Ma che felicità per l'Ambasciatore Cesareo, assicurato dai rivali in amore
per decreto del Tribunale degli Inquisitori di Stato, che erano allora
Andrea Diedo, Marc'Antonio Trevisan, e Antonio Da Mula, i quali firmano
questa singolarissima “Annotazione”. A Venezia, cantatrici, comiche e
ballerine bisognava si regolassero bene. O i diplomatici forestieri, o i
Nobil homeni indigeni. Cumulare gli uni e gli altri, impossibile. Venezia
non era paese per la Gabrielli, giovane e fresca. Difatti non vi ritornò che
da vecchia nel 1781/1782.
2.000 ongari
Da Venezia andò a Vienna. Esistono delle lettere della
cantante alla sua Grande protettrice, già dal tempo della sua prima
affermazione artistica, di Roma donna Agnese Colonna Borghese “principessa
dotata di virile senno amministrativo e di animo aperto alla bellezza di
tutte le arti”; da notare che pur scrivendo da Vienna a Roma, non nomina
neppure Metastasio, sfatando la diceria che intercorresse del tenero fra lei
e il poeta cesareo, il quale di fatto non si innamorò più di nessuno dopo la
Romanina.
A questa sua protettrice scriveva Caterina nel 19 gennaio 1756:
“Vengo conoscendola tanto benigna e propensa a prender parte nei miei
vantaggi, a renderla intesa che tuttavia continuo a godere del compatimento
di questo pubblico, e particolarmente della clementissima Sovrana et
augustissimo Cesare, assieme con tutta la nobiltà, tanto che ogni sera sono
obbligata a ripetere le arie, or' una or' un'altra. Presentemente stiamo
trattando la rinovazione del contratto per questo teatro; e ancora non si è
concluso niente, essendvi qualche differenza nell'onorario che per altro
spero si concorderà”.
E nel 22 del Gennaio 1756 ancora tornava a scriverle:
“Ho stabilito il contratto al servizio di questo imperial teatro per altri 3
anni, cioè sino a Pasqua del 1759 tutto che mi si facesse licenza di
apocarmi per altri anni 10; qual tempo essendomi sembrato assai
considerabile fu da me ricusato, contenta di restringerlo ad anni 3 come ho
detto. In compenso di mie fatiche, mi si passa l’annuo onorario di ongari
2.000, compreso il quartiere e piccolo vestiario. Sono stata poi onorata del
titolo di “Virtuosa di Corte”, che molto ho avuto caro. Inoltre sua maestà
reale imperiale la Regina ha dato ordine, che si faccia fare una carrozza a
posta per me, e mi si dia in regalo. Finalmente essendo giunta la notizia
alla M. S. I. R. che a spese, e con qualche incommodo di mia casa veniva
ritenuto nel Seminario di Murano in Venezia Camillo piccolo mio fratello si
è clementissimamente degnata di aggraziarmi di un luogo gratis in uno di
questi rispettabili Collegi, ove fra poco verrà esso collocato. Ma più.
Tanta è la clemenza di questa Sovrana a vantaggio de’ miei interessi, che si
è compiaciuta raccomandarli a S. E. il sig. Conte di Kaunitz, primo
ministro, acciò egli mi onori della sua assistenza con dirigermi e
consigliarmi in una savia condotta, conforme S. E. di già se n'è preso
l’assunto e si degna proteggermi. Questo Cavaliere sarà forse noto a V. E.
mentre dell'anno 1740 fu a Roma, e bene gli sovviene dell' E. V”.
Trionfi e disgrazie
Viennesi, 1754
Dopo il gran successo del 1747 a Lucca, dove la Gabrielli
“mingherlina schizzinosa e sconcia” fu, al dire del Goldoni, completamente
trasformata grazie all’amore del Guadagni, vi è nelle notizie delle sue
tappe teatrali una lacuna di oltre sei anni, poichè non è vero ciò che
affermano unanimi i biografi, cioè che nel 1750 cantasse a Napoli nella
DIDONE del Metastasio, musicata da Jomrnelli. Quantunque la “Serie
cronologica” del compianto Florimo ometta per il San Carlo gli anni 1750 e
1751, si sanno i titoli e gli autori delle opere e i nomi dei cantanti che
nel biennio figurarono sulle scene del massimo teatro napoletano. Non vi
sono nè DIDONE, nè Caterina Gabrielli, la quale certo non cantò nè alla
Corte, nè in teatri minori se anche fu a Napoli in quel tempo, di che non
trovasi traccia in alcun documento.
Bisogna dunque fare un bel salto dal 1747 al 1754 quando nell'autunno
ritroviamo Caterina a Venezia sulle scene del San Moisé nell’ANTIGONA di
Galuppi. Allo stesso teatro rimase nel carnevale successivo cantando nel
SOLIMANO di Domenico Fischetti e nell' ASTIANATTE di Antonio Gaetano Pampani
su libretto di Antonio Salvi. I librettisti dell'ANTIGONA e del SOLIMANO
sono ignoti. Tra i suoi compagni a Venezia va notata una Francesca Gabrielli.
Diciamo intanto che a Venezia le due Gabrielli, fossero o no sorelle,
avevano comuni il nomignolo di Coghette nonchè i protettori forestieri ed
indigeni. Ecco qui un curioso documento che le riguarda (2):
“1754, 14 Gennaro
Pervenuta al Tribunale la notizia dei disordini che nascer potevano per
occasione dell'abitazione di certe cantatrici dette Coghette in alcune case
Corner a San Fantin, mentre che cantatrici ricevevano frequentemente
l’Ambasciatore Cesareo nella medesima loro abitazione quale aveva le scale
comuni con altri appartamenti tenuti ad affitto da alcuni Nobili Huomini.
Sue Eccellenze han comandato al Nobil Homo ser Andrea Corner Impresario
dell'Opera, in cui cantavano le dette Coghette, di trovare altro alloggio
per cui, senza nemmeno parlare a chi che sia del motivo: Lo che dal detto
Nobil Homo fu immediatamente eseguito. Con questa occasione poi essendosi
saputo che li due Nobil Homeni ser Andrea Memmo e ser Giacomo Foscarini
questi frequentavano esse cantatrici avevano per mezzo di terza persona
fatto arrivare all'Ambasciatore suddetto alcune istruzioni tendenti a
concerti, onde non accadesse che si abboccassero insieme coll'Ambasciatore
nelle visite la qual cosa era stata intesa da esso Ambasciatore non senza
dispiacere. Sue Eccellenze in primo luogo fecero intendere all'Ambasciatore
che poteva liberamente e senza riguardo alcuno visitare le dette cantatrici
e successivamente fecero chiamare li detti due Nobil Homeni dal Segretario e
li fecero agramente ammonire di così irregolare trapasso contrario alle più
sacre leggi della Repubblica e tale che meritava l’indignazione del
Tribunale: che ciò non ostante per pura clemenza in riguardo all'età loro et
alla loro ignoranza si voleva discendere a perdonarle, ma che loro si
prescriveva di assolutamente astenersi da ogni visita alle dette cantatrici
e da ogni occasione ancora di vederle. Al che si rassegnarono promettendo
obbedienza.”
Sfido a fare altrimenti!
Ma che felicità per l'Ambasciatore Cesareo, assicurato dai rivali in amore
per decreto del Tribunale degli Inquisitori di Stato, che erano allora
Andrea Diedo, Marc'Antonio Trevisan, e Antonio Da Mula, i quali firmano
questa singolarissima “Annotazione”. A Venezia, cantatrici, comiche e
ballerine bisognava si regolassero bene. O i diplomatici forestieri, o i
Nobil homeni indigeni. Cumulare gli uni e gli altri, impossibile. Venezia
non era paese per la Gabrielli, giovane e fresca. Difatti non vi ritornò che
da vecchia nel 1781/1782.
Da Venezia andò a Vienna. E’ strano che in nessuna delle lettere del
Metastasio in quel tempo non si parli mai della Gabrielli. Dicono che egli
l’avesse a discepola nell’arte del declamare e che se ne innamorasse alla
follia. Sarà anche vero, ma agli amori del Metastasio per donne di teatro,
dopo la Romanina, ci credo poco. In mancanza di lettere del poeta, abbiamo
lettere della cantante, che pur scrivendo da Vienna a Roma, non lo nomina
neppure. Grande protettrice della Gabrielli, fino dalla sua rivelazione, fu
a Roma donna Agnese Colonna Borghese “principessa dotata di virile senno
amministrativo e di animo aperto alla bellezza di tutte le arti”. A questa
sua protettrice scriveva Caterina nel 19 gennaio 1756:
“Vengo conoscendola tanto benigna e propensa a prender parte nei miei
vantaggi, a renderla intesa che tuttavia continuo a godere del compatimento
di questo pubblico, e particolarmente della clementissima Sovrana et
augustissimo Cesare, assieme con tutta la nobiltà, tanto che ogni sera sono
obbligata a ripetere le arie, or' una or' un'altra. Presentemente stiamo
trattando la rinovazione del contratto per questo teatro; e ancora non si è
concluso niente, essendvi qualche differenza nell'onorario che per altro
spero si concorderà”.
E nel 22 del Gennaio 1756 ancora tornava a scriverle:
“ Ho stabilito il contratto al servizio di questo imperial teatro per altri
3 anni, cioè sino a Pasqua del 1759 tutto che mi si facesse licenza di
apocarmi per altri anni 10; qual tempo essendomi sembrato assai
considerabile fu da me ricusato, contenta di restringerlo ad anni 3 come ho
detto. In compenso di mie fatiche, mi si passa l’annuo onorario di ongari
2.000, compreso il quartiere e piccolo vestiario. Sono stata poi onorata del
titolo di “Virtuosa di Corte”, che molto ho avuto caro. Inoltre sua maestà
reale imperiale la Regina ha dato ordine, che si faccia fare una carrozza a
posta per me, e mi si dia in regalo. Finalmente essendo giunta la notizia
alla M. S. I. R. che a spese, e con qualche incommodo di mia casa veniva
ritenuto nel Seminario di Murano in Venezia Camillo piccolo mio fratello si
è clementissimamente degnata di aggraziarmi di un luogo gratis in uno di
questi rispettabili Collegi, ove fra poco verrà esso collocato. Ma più.
Tanta è la clemenza di questa Sovrana a vantaggio de’ miei interessi, che si
è compiaciuta raccomandarli a S. E. il sig. Conte di Kaunitz, primo
ministro, acciò egli mi onori della sua assistenza con dirigermi e
consigliarmi in una savia condotta, conforme S. E. di già se n'è preso
l’assunto e si degna proteggermi. Questo Cavaliere sarà forse noto a V. E.
mentre dell'anno 1740 fu a Roma, e bene gli sovviene dell' E. V”.
Quali e quante felicità l'avvenire assicurato nella Corte cesarea, una
carrozza apposta per lei, la tutela di Kaunitz, la generosità di Maria
Teresa, senza contare le grazie dell’imperatore Francesco che non andava al
teatro se la Gabrielli non cantava! Disgraziatamente v'era anche qualche
cosa di più; gli amori in campi diversi, il teatrale ed il diplomatico.
Dominata sempre da una notevole inclinazione per i suoi compagni di
palcoscenico, anche neutri come il Guadagni, Caterina non sapeva a Vienna
vincere il suo capriccio; ma nel tempo stesso i gran signori specie gli
ambasciatori esteri, l’attraevano nella loro orbita con le larghe
prodigalità, ramo utilitario al quale non si sentiva capace di rinunziare.
Ne nacque qualche cicaleggio scandaloso, onde Maria Teresa cominciò a
seccarsi.
Accadde poi un avvenimento che diede il tratto alla bilancia.
L'ambasciatore di Francia e quello del Portogallo erano amanti fortunati
della Gabrielli senza sapere l’uno dell'altro e con l’illusione di non avere
rivali. Ma il francese venuto in sospetto, si nascose una notte in casa
della bella infedele e vide un amante, per il momento più fortunato di lui,
entrare nella camera da letto, ove Caterina lo aspettava. Andò naturalmente
in bestia, senza neanche durar fatica, a segno che snudata la spada si
slanciò contro la perfida e l’avrebbe infilata da parte a parte, se la
fascetta, per fortuna non ancora discinta, non difendeva il seno di
Caterina, che se la cavò con una ferita leggerissima. Alla vista del sangue
il furibondo diplomatico tornò alla ragione, e misurato tutto il ridicolo
della posizione, si gettò ai piedi della donna implorando perdono e
silenzio. L'ottenne ad un patto: la consegna della spada, sulla quale la
Gabrielli fece incidere
“Spada dell'Ambasciatore di Francia che osò vibrarla contro Caterina
Gabrielli”.
E pretendeva tenerla esposta come un trofeo nel suo salotto. Disperato più
che mai, il francese si mise nelle mani del Metastasio, che riuscì ad
accomodare la faccenda con la restituzione della spada, pagata, ben
s'intende, a caro prezzo.
Ma questo caro prezzo fu l’ultimo tiro della Gabrielli a Vienna. Il
contratto teatrale venne rotto dopo la stagione del 1757, e la Gabrielli
consigliata a mutar aria.
Per altro lo sdegno austriaco durò poco. Nell'autunno del 1760 la Gabrielli
ritornò a Vienna gloriosa e trionfante; il Metastasio ne annunzia con molta
freddezza il rinnovato successo alla principessa di Belmonte nella lettera
del 13 ottobre, scrivendo:
“La Gabrielli benchè qui già notissima non si è risentita punto (rispetto al
gradimento pubblico) di non aver per lei il vantaggio della novità.”
L' opera in cui ricomparve fu l'ALCIDE AL BIVIO, festa teatrale per le nozze
dell' Arciduca Giuseppe con Isabella di Borbone, musica di Hasse su poesia
del Metastasio che nella stessa lettera scrive di lui, degli altri artisti e
dello spettacolo:
“Il signor Hasse ha fatto una musica degna dell'occasione e del suo gran
credito, che può servir d'esemplare a chiunque va in traccia de veri fonti
della perfetta armonia. Il nostro Manzoli è diventato l’idolo del paese e
per la voce e per l'azione e per il suo docile e savio costume col quale si
distingue da' suoi pari non meno che per l'eccellenza dell’arte”.
E dopo questa sassata nel giardino della Gabrielli, prosegue:
“La Piccinelli detta la Francesina et il Carlani esiggono l'universale
approvazione particolarmente per l'espressione dei loro caratteri. Le scene,
le macchine, gli abiti et i balli sono adattati alla grandezza della Festa;
in somma questa à riempita la misura dell’aspettazione rispetto alla
maestria, e magnificienza nell’eseguirla”.
Di siffatta Festa la nostra Caterina, allora nel fiore dei suoi 30 anni, fu
magna pars. Il Metastasio nella sua lettera non le fa davvero la parte
dovutale. Peggio ancora egli tace totalmente circa la serenata TETIDE
rappresentata a Corte nella gran sala dei ridotti la sera del 10 Ottobre,
nella cui esecuzione la Gabrielli riportò il vanto principale: ma il
silenzio del Metastasio si capisce dal momento che la poesia della Serenata
era del Migliavacca e la musica di Cristoforo Gluck.
Nuovo Scandalo
Quali e quante felicità l'avvenire assicurato nella Corte
cesarea, una carrozza apposta per lei, la tutela di Kaunitz, la generosità
di Maria Teresa, senza contare le grazie dell’imperatore Francesco che non
andava al teatro se la Gabrielli non cantava! Disgraziatamente v'era anche
qualche cosa di più; gli amori in campi diversi, il teatrale ed il
diplomatico. Dominata sempre da una notevole inclinazione per i suoi
compagni di palcoscenico, anche neutri come il Guadagni, Caterina non sapeva
a Vienna vincere il suo capriccio; ma nel tempo stesso i gran signori specie
gli ambasciatori esteri, l’attraevano nella loro orbita con le larghe
prodigalità, ramo utilitario al quale non si sentiva capace di rinunziare.
Ne nacque qualche cicaleggio scandaloso, onde Maria Teresa cominciò a
seccarsi.
Accadde poi un avvenimento che fece traboccare il vaso della tolleranza.
L'ambasciatore di Francia e quello del Portogallo erano amanti fortunati
della Gabrielli senza sapere l’uno dell'altro e con l’illusione di non avere
rivali. Ma il francese venuto in sospetto, si nascose una notte in casa
della bella infedele e vide un amante, per il momento più fortunato di lui,
entrare nella camera da letto, ove Caterina lo aspettava. Andò naturalmente
in bestia, senza neanche durar fatica, a segno che snudata la spada si
slanciò contro la perfida e l’avrebbe infilata da parte a parte, se la
fascetta, per fortuna non ancora discinta, non difendeva il seno di
Caterina, che se la cavò con una ferita leggerissima. Alla vista del sangue
il furibondo diplomatico tornò alla ragione, e misurato tutto il ridicolo
della posizione, si gettò ai piedi della donna implorando perdono e
silenzio. L'ottenne ad un patto: la consegna della spada, sulla quale la
Gabrielli fece incidere
“Spada dell'Ambasciatore di Francia che osò vibrarla contro Caterina
Gabrielli”.
E pretendeva tenerla esposta come un trofeo nel suo salotto. Disperato più
che mai, il francese si mise nelle mani del Metastasio, che riuscì ad
accomodare la faccenda con la restituzione della spada, pagata, ben
s'intende, a caro prezzo.
Ma questo caro prezzo fu l’ultimo tiro della Gabrielli a Vienna. Il
contratto teatrale venne rotto dopo la stagione del 1757, e la Gabrielli
consigliata a mutar aria.
Milano
In procinto di partire da Vienna, il 25 Settembre 1757,
Caterina Gabrielli scrive alla Principessa romana Agnese Borghese, sua
protettrice, annunciandole di aver accettato il teatro Ducale di Milano per
i due futuri carnevali, omettendo evidentemente il motivo per cui era andato
rotto il contratto con Vienna.
Caterina scrive alla Principessa:
“In fine del 1759 passerò in Spagna dove sono già fermata per quel Real
teatro colla paga di 1.500 doppie all’anno. So che V.E. sarà sensibile a
tale nuove perché so per prova quanto Ella si interessa a ciò che riguarda
la mia fortuna; tanto più che V. E. è stata la mia prima fonte di ogni mio
bene,k per cui Le professerò eterne obbligazioni”.
IPPOLITO E ARICIA di Traetta
13 Marzo 1759, in una lettera di Frugoni all’Algarotti:
“Ho già scritti due atti della nostra opera, con qual fatica e con qual
struggimento di testa io non vel posso dire abbastanza. Il Traetta maestro
di musica, che ora gli va modulando se ne mostra contento. Restano ancora
tre atti e vogliano le favorevoli Muse che ne possa vedere il termine. Avrei
bisogno dell’aiuto vostro, ed allora potrei sperar bene dell’esito.”
20 Marzo 1759, sempre il Frugoni all’Algarotti
“Il dramma nostro si avanza. Il Maestro di Musica mette sotto le note i
versi che caldi gli vengono dal mio tavolino. Egli si trova contento di
questi, si sente accendere e spera di riuscire bene. Il vogliano i geni
protettori del teratro, se pure alcuno si vuole impacciare con l’indocile
popolo di danzatori e dei musici”.
Caterina Gabrielli apparve a Parma assieme al celebre Filippo Elisi, ed
altri minori 4 donne e 3 uomini, nella IPPOLITO ED ARICIA di Traetta,
ridotto da Frugoni sul testo dell’abate Pellegrin.
L' esito dello spettacolo fa magnifico. Il Frugoni al solito scrive all'Algarotti
nel maggio:
“Il teatro è sempre pienissimo. La musica è divina e divinamente canta e
rappresenta la Gabrielli. Gli altri attori tutti fanno assai bene la loro
parte. Le decorazioni sono magnifiche.”
E, sempre all'Algarotti il conte Paradisi l’11 giugno racconta:
“Fui all' opera di Parma ove molte cose trovai di mia totale soddisfazione.
Ma la musica soprattutto mi sorprese, e parvemi aperta la strada a rinnovare
i miracoli di quell’arte che tanto vantavano i Greci. La Gabrielli gentile,
dotta, armoniosa dolcemente lusinga gli ascoltanti. E vedendola sulla scena
mi sono ricordato di quei versi di Ovidio:
« Quales audire solemus
Nayadas et Dryadasmediis incedere sylvis
Si modo des illis cultus similesque paratus »
Dopo tanti richiami l'Algarotti finì lui stesso a Parma per sentire l’opera
e da Bologna (14 novembre) scrisse a Voltaire:
“Il migliore spettacolo che abbiamo avuto da lungo tempo in Italia ce lo ha
dato un principe francese la scorsa primavera a Parma; l'opera di ARICIA ED
IPPOLITO vi trasse un concorso grandissimo di persone: e fu forza il
confessare, che la nostra opera è solitudine, seccaggine, etc., etc. Mi
piacque senza fine il vedere che le mie idee sopra l’opera in musica non
furono aeree, e che la mia voce non fu vox clantis in deserto”.
L’8 ottobre, trionfò a Vienna
Lo sdegno austriaco durò poco verso Caterina Gabrielli dopo lo scandalo
dell’Ambasciatore Francese: infatti nell'autunno del 1760 la Gabrielli
ritornò a Vienna gloriosa e trionfante; il Metastasio ne annunzia con molta
freddezza il rinnovato successo alla principessa di Belmonte nella lettera
del 13 ottobre, scrivendo:
“La Gabrielli benchè qui già notissima non si è risentita punto (rispetto al
gradimento pubblico) di non aver per lei il vantaggio della novità.”
L'opera in cui ricomparve fu l'ALCIDE AL BIVIO, festa teatrale per le nozze
dell'Arciduca Giuseppe con Isabella di Borbone, musica di Hasse su poesia
del Metastasio che nella stessa lettera scrive di lui, degli altri artisti e
dello spettacolo:
“Il signor Hasse ha fatto una musica degna dell'occasione e del suo gran
credito, che può servir d'esemplare a chiunque va in traccia de veri fonti
della perfetta armonia. Il nostro Manzoli è diventato l’idolo del paese e
per la voce e per l'azione e per il suo docile e savio costume col quale si
distingue da' suoi pari non meno che per l'eccellenza dell’arte”.
E dopo questa sassata nel giardino della Gabrielli, prosegue:
“La Piccinelli detta la Francesina et il Carlani esiggono l'universale
approvazione particolarmente per l'espressione dei loro caratteri. Le scene,
le macchine, gli abiti et i balli sono adattati alla grandezza della Festa;
in somma questa à riempita la misura dell’aspettazione rispetto alla
maestria, e magnificienza nell’eseguirla”.
Di siffatta Festa la nostra Caterina, allora nel fiore dei suoi 30 anni, fu
magna pars. Il Metastasio nella sua lettera non le fa davvero la parte
dovutale. Peggio ancora egli tace totalmente circa la serenata TETIDE
rappresentata a Corte nella gran sala dei ridotti la sera del 10 Ottobre,
nella cui esecuzione la Gabrielli riportò il vanto principale: ma il
silenzio del Metastasio si capisce dal momento che la poesia della Serenata
era del Migliavacca e la musica di Cristoforo Gluck.
ALESSANDRO NELLE INDIE di
Traetta
La Gabrielli fece Furore nella parte di Cleofide; quella di
Poro fu sostenuta prima dal famoso Manzuoli, tanto caro al Metastasio, poi
da Tommaso Guarducci: infatti il Manzuoli fu costretto a cedere la sua parte
al Guarducci dal momento che era caduto da una carrozza rompendosi il
femore.
Guraducci così si trova celebrato insieme alla prima donna ed al compositore
in un apposito sonetto stampato in foglio volante: nella intonazione del
sonetto, la Gabrielli è detta Prima Virtuosa di Camera di S.A.R. il Duca di
Parma, Piacenza, etc., etc.. Oltre al sonetto, il foglio volante contiene la
musica dell’intero Duetto fra Cleofide e Poro “Se mai turbo il tuo riposo”,
dell’Atto I, Scena VII.
E si nascose
Intanto a Napoli gran paura dell'impresario, che scriveva
subito al ministro Tanucci, il 9 aprile:
“Eccellenza. Dall' improvviso e subitaneo avviso ricevuto con lettera del 26
del caduto mese di marzo da Milano da Caterina Gabrielli, la quale non
intende venire in questa capitale per adempiere all' obbligo contratto per
recitare da prima donna nelle quattro opere col pretesto di volersi
monacare. Supplico degnarsi scrivere premurose lettere ove la medesima si
troverà”.
E di nuovo nel 12 aprile:
“Dalla comune opinione la quale si è' che la Caterina Gabrielli non possa
trovarsi in Milano per lo sfratto ricevuto da quella città, suppongo potersi
ritrovare la medesima in Venezia oppure in Genova, credendo forse esser
sicura colà e con tale fiducia non voler venire ad adempire le sue
obbligazioni. Prego degnarsi commetterne colà ricerche.”
E il ministro Tanucci scrive subito all'agente napoletano Bartolomeo Poggi,
che nel 22 aprile risponde da Genova:
“Tale virtuosa non si ritrova in questo Stato; a lei però resta chiuso ogni
ricorso presso questo Governo.
Post-scriptum: Si vuole che la Gabrielli siasi impegnata pel nuovo Teatro di
Bologna”.
Non era vero; a Bologna andò la Girelli impegnata molto tempo prima e mentre
il teatro di Bologna inauguravasi a mezzo maggio 1763 col TRIONFO DI CLELIA
di Gluck.
Litigare col compositore
Gugliemi
Caterina Gabrielli si apparecchiava a trionfare nell'ARMIDA
del Traetta. Suscitò più che l’entusiasmo, un vero delirio nel pubblico
partenopeo, quantunque la Giunta dei Teatri storcesse la bocca per il suo
modo di condursi come artista. Mutava e rimutava le arie a suo piacere; per
l’ARMIDA fece rimusicare dal Guglielmi le arie secondo la sua fantasia, ma
poi non le cantò e ne cantò invece altre che non piacquero, onde ritornò a
quelle rifatte per lei. La Giunta faceva osservare “che per la volubilità
della Gabrielli l’uditorio si è cominciato a tediare della di lei condotta
caratterizzando per un altiero audace disprezzo la libertà che si prende di
cantare quando le piace”.
Lalande in “Voyage en Italie”
Il Lalande che fu a Napoli in quel tempo scrive di Caterina
Gabrielli :
“La Gabrielli, qui brilloit à Naples en 1765, passoit pour la plus belle
voix de l'Italie ; elle avoit été quelque temps à Vienne, d'aù elle fut
obligée de sortir; elle était demandée en 1765, à Pétersbourg, à Berlin, à
Génes, a Parme, à Florence, mais ses conditions étoient si exorbitantes et
elle s'étoit rendue si difficile qu ' elle avoit fini par rester à Naples,
où elle vouloit se reposer cette année-là. Elle portait à son coté, comme un
titre d'honneur, les chiffres en diamans d'un jeune gentilhomme qui lui
plaisoit , et qu'elle aimoit sans intéret. La Gabrielli alloit depuis si b
jusqu'en ut de pleine voix, et jusqu'à fa en fausset ; cette étendue est
très-rare, sa voix l'étoit également pour la plènitude, l'ègalité, la
souplesse et la légéreté; cette voix étoit faite pour ètre audessus des
rossignols; elle a gàté les chanteuses d'Italie , qui toutes ont voulu l’imiter”.
Teatro Santa Cecilia di Palermo
Dall’estate del 1770 a tutto il carnevale del 1771 Caterina
Gabrielli cantò a Palermo dove ebbe per compagno il sopranista Pacchierotti,
allora poco più che esordiente, e qui trovò uno dei più caldi fra i suoi
ammiratori l'inglese Patrizio Brydone che di lei parla a lungo nella lettera
da Palermo dell’11 Luglio 1770, tratta da “A Tour through Sicily”:
“Peccherei d'ingratitudine - egli scrive - se dimenticassi il teatro, al cui
spettacolo abbiamo preso grand' interesse. Prima donna è Caterina Gabrielli,
la più grande attrice e senza dubbio la più perfetta cantatrice del mondo.
Chi si azzarda a cantare sullo stesso teatro con lei, bisogna abbia molto
talento, altrimenti non sarebbe tollerato dal pubblico; trista sorte toccata
qui a tutti gli altri cantanti, eccettuato il solo Pacchierotti. Quando
entrò la prima volta in scena con la Gabrielli, egli si tenne per bell’e
spacciato. La virtuosa cantava un'aria di bravura espressamiente composta
per lei, onde la sua voce vi si svolgeva in modo si meraviglioso, da far
rintontire il giovane Pacchierotti, che si rintanò dietro le scene gridando
“Povero me, povero me, quest’è un portento”, pentito di essersi avventurato
al confronto con una cantatrice così straordinaria e dolente di vedere
eclissato il proprio talento e forse di passare per presuntuoso, mentre
invece era la modestia personificata. Ci volle del buono e del bello per
indurlo a riuscire fuori, ma qualche applauso ben meritato gli fece
riprendere coraggio e, quando per la sua parte d'amoroso ebbe a cantare
un’aria tutta tenerezza e soavità rivolta alla Gabrielli, seppe mettervi
tanto sentimento e tanta evidenza, che la indocile virtuosa ne fu commossa e
tutto il pubblico con lei. L'azione, il canto della Gabrielli sono così
generalmente noti ed ammirati da rendere superfluo di parlarne. La sua
meravigliosa esecuzione e le agilità della sua voce deliziano da un pezzo
tutta l'Italia, costretta a coniare un termine nuovo per questo talento
senza eguale. Se nel cantare essa si prefiggesse non soltanto di
sorprendere, ma anche di piacere, rinnuoverebbe i prodigi attribuiti al
divino Orfeo ed al famoso Timoteo, ma felicemente per il riposo del genere
umano i costei capricci sono anche più straordinari dei suoi talenti e la
fanno disprezzabile anche più che i talenti non l’abbiano fatta celebre. Il
suo carattere è perciò un preservativo contro le seduzioni del suo canto e
della sua persona, non per questo meno attraenti. Quali terribili peripezie
avrebbe causato nel bel mondo se alle sue preziose qualità d'artista avesse
congiunto un po' d'amabilità e di modestia! Ciò nonostante, malgrado tutti i
suoi difetti e forse anzi
in grazia di questi, la Gabrielli è la più pericolosa sirena del nostro
tempo e le sue brillanti conquiste non si contano. Bisogna anche dire, per
esser giusti, com'essa sia largamente generosa e disinteressata. E
ricchissima; si crede che la sua dovizia provenga dalla liberalità dell'
imperatore Francesco I, appassionatamente desideroso di averla stabilmente a
Vienna. Ma gli scandali e gli imbarazzi suscitati dalla sua mania di raggiri
anche più che dalla sua bellezza, resero necessario lo sfratto da Vienna,
ugualmente che da quasi tutte le città d'Italia. Con gli aneddoti che
circolano sul conto di lei si formerebbe un volume molto divertente - mi
dicono sarà quanto prima pubblicato. Quantunque essa abbia molto più di 30
anni vedendola sulla scena non le se ne darebbero 18 e quest’arte di parere
sempre giovane non è la minore fra le cento altre da lei possedute. Quand'è
di buon umore e vuole sfoggiare tutta la sua voce, nulla può essere
paragonato al suo canto. Padrona assoluta di tutte le passioni, essa
commuove il cuore e colpisce l’immaginazione come e quanto le piace, ma
raramente si trova in stato da spiegare questa potenza divina. In preda ora
al suo genio, ora ai suoi capricci, durante tutta la sua vita è stata sempre
oggetto ora d'ammirazione, ora di disprezzo. Stupenda nell'azione e nei
recitativi quasi come nel canto, poche parole di un suo recitativo con
accompagnamento semplicissimo, suscitano un emozione giammai prodotta da
alcun altro cantante. Il Metastasio che le dette consigli ai quali deve
molto e dal quiale ebbe eccellenti lezioni per l’azione e per il recitativo,
diceva che la Gabrielli sapeva fare apprezzare i suoi drammi molto più di
qualsiasi altra virtuosa. Ostinata e testarda nei suoi capricci,
l'interesse, le carezze, le minacce, le punizioni non hanno alcun potere su
lei, e quando si tenta ammansirla, si riesce invece ad irritarla di più, sia
che la si tratti con rispetto o con disprezzo. Ben raramente condiscende a
spiegare nella loro pienezza i suoi talenti incantatori; e quando poi
s’immagina che il pubblico si aspetta di vederla in tutto il suo splendore ,
allora la sua malignità diventa per lei deliziosa e si mette a cantare fra i
denti ed a mezza voce. Nulla può indurla a contentare il pubblico quando le
piace di non farlo. Si è trovato un espediente non sempre sicuro per
rimediare a ciò; si colloca il suo amante favorito - essa ne ha sempre uno -
nel centro della platea o in un palco di faccia perchè la guardi
continuamente. Se - cosa rara - essi sono in buona, la cantatrice dedica
all'amante le sue arie tenere impiegandovi tutte le carezzanti seduzioni
della sua voce. Il suo favorito del momento ci aveva promesso di far per noi
l'esperienza, ma la Gabrielli, probabilmente insospettita della sua intesa
con noi, non si degnò neppure di guardarlo, quantunque si fosse messo al
posto voluto. Vedete dunque che l’espediente non sempre riesce.
Appassionatissimo per la musica, il Vicerè di Sicilia ha tentato tutti i
modi per vincere i capricci della Gabrielli. Pochi giorni or sono la invitò
a pranzo insieme con molti gentiluomini palermitani, i quali puntualmente si
presentarono all'ora stabilita; la Gabrielli sola mancava. Si fece ritardare
il pranzo e si mandò ad avvertire la virtuosa che il Vicerè e la sua nobile
compagnia aspettavano. Caterina se ne stava tranquillamente a letto leggendo
e senza punto scomodarsi incaricò il messaggero di rispondere al Viceré
com'essa avesse dimenticato l’invito, onde pregava lui e la sua compagnia di
tenerla per iscusata. Quest' impertinenza le sarebbe stata facilmente
perdonata, ma essa volle ancora aggravarla. Dopo pranzo, il Viceré ed i suoi
convitati andarono al teatro, ove la Gabrielli per nuovo dispetto si mise a
rappresentare la sua parte con incredibile negligenza, affettando di cantare
con voce così debole da farsi sentire appena. Sul principio il Viceré
tollerò, ma poi stomacato di vederla perseverare in tanta insolenza, la fece
minacciare di una punizione esemplare se più oltre si rifiutava al suo
dovere. Peggio che mai; la Gabrielli risponse che con le minacce e con la
forza non si otterrebbe mai nulla da lei e che il Viceré poteva farla
stridere, ma non cantare. Sfidato così, il Viceré la fece mettere in
prigione, ove restò per 12 giorni, spassandosela allegramente in splendidi
desinari coi suoi compagni di sventura. Pagò lei per gli imprigionati per
debiti, e li fece metter fuori, mentre per carità distribuiva largamente
danaro, in somme anche forti. Bisognò cedere - le acclamazioni dei poveri
salutarono la sua liberazione. Fortunatamente per noi, ora com'ora è di buon
umore e condiscende qualche volta a sfoggiare tutti i preziosi doni che
possiede. Essa ci disse che gli impresari del nostro teatro l’hanno molte
volte ricercata, ma che non potrà mai risolversi a venire in Inghilterra. La
ragione che ne adduce è originale come lei. “ Non posso - ci disse -
comandare al capriccio che spesso s’impadronisce di me; a Londra non sarei
più padrona di far sempre a modo mio. Se talvolta mi talentasse di non
cantare, mi dicono che il popolo m'insulterebbe e forse mi ammazzerebbe.
Preferisco dormire in pace qui, sia pure di tanto in tanto in prigione”.
Aggiunge che non sempre da capriccio proviene il rifiuto di cantare; vi sono
cause fisiche per le quali talvolta essa ne diventa incapace. Ed io lo
credo. Questa prodigiosa flessibilità di voce che percorre tanto rapidamente
e con tanta nettezza e limpidità tutti i toni più svariati, producendo
grande quantità di modulazioni quasi in un momento, devesi sicuramente ad
una disposizione di fibre molto soggetta a cambiamenti”.
Nel “Manoscritto di
Notizie piacevoli e curiose” del sacerdote Gaetano Alessi, si legge:
“La Gabriela. Sig.ra
Nina Gabriele, rinomatissima cantatrice ne’ migliori Teatri d’Europa; questa
venne a cantare nel nostro teatro di Santa Cecilia; ed idolatrata da tutta
la Nobiltà di Palermo, ella perciò insuperbitasi alle volte andava in
Teatro, e non voleva cantare, per dare pena all’udienza, e lasciarla col suo
desiderio; fu diverse volte avvisata a cambiare sistema; ma persistendo alle
volte alla sua stucchevole impresa, nel medesimo Teatro di santa cecilia
nella notteprecedente al giorno 18 Novembre 1770, fu catturata per ordine
del Marchese di Regalmici Capitano, e di là fu portata nella vicaria, lo che
recò gran meraviglia per moltissime protezioni de’ Nobili che ella avea”.
Mozart ebbe modo di ascoltarla
Mozart fu uno dei pochi che si distinse nel mal giudicare
Caterina Gabrielli da un punto di vista artistico, infatti in una lettera
del 19 Febbraio 1778 scrive:
”Chi ha ascoltato Caterina Gabrielli dice e dirà sempre che non era
nient’altro un’esecutrice di passaggi e roulades. Possedendo tuttavia una
maniera tutta personale, destava gran meraviglia, che non durava però dopo
che la si era ascoltata per la quarta volta. I passaggi venivano presto a
noia; e aveva la sfortuna di non saper cantare. Non era in grado di
sostenere una nota intera come si conviene; non aveva nessuna messa di voce
e non sapeva soutenir; in breve, cantava con arte ma senza intelligenza”.
Da dire però che la lettera si riferisce alla fine della sua carriera
(1778), quando lei stessa iniziava a notare una certa decadenza. Da
sottolineare che Mozart ce l’avesse con la Gabrielli, esagerando su di lei,
non preoccupandosi neppure di contraddirsi per avvantaggiarsi nel confronto
che ne faceva con la sua scolara Aloisia Weber, della quale era innamorato.
Inoltre non è ammissibile che Mozart avesse ragione da solo contro tutti gli
altri giudizi coevi.
A cura di
Arsace
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