Giovanni Maria
Rubinelli assieme a Marchesi e Pacchierotti, formò il trio della
summa dei castrati destanti il più grande entusiasmo nella Londra musicale
degli anni 1780/1790: tale splendore fu secondo solo al quadrunvirato di
appena una cinquantina di anni prima, dove rifulgevano a Londra Caffarelli,
Farinelli, Senesino e Gizziello.
Sebbene nato a Brescia nel 1753, le prime notizie che si hanno di lui
possono farsi risalire al 1766, a Stoccarda, quando si esibiva nella
cappella ducale.
Nel 1770, varcò per la prima volta le scene teatrali nell’opera CALLIROE
di Antonio Sacchini, divenendo il beniamino di Stoccarda, esibendosi sia
in parti maschili che femminili.
A Venezia nel 1774, rientrato in Italia, si esibì nel LUCIO SILLA di
Anfossi, a Padova in ATRIDE di Mysliweczek, e a Modena nell’ALESSANDRO
NELL’INDIE di Paisiello.
Nel 1776-1778 fu a Napoli, e si impegnò nella esecuzione di VOLOGESO di
Rutini, LA DISFATTA DI DARIO di Paisiello, ARIANNA E TESEO di Fischietti,
RICIMERO di Guglielmi, e BELLEROFONTE di Platania.
Inaugurò il Teatro alla Scala di Milano nel 1778 con l’opera l’EUROPA
RICONOSCIUTA di Antonio Salieri e con l’opera TROIA DISTRUTTA di
Mortellari, accanto a Pacchierotti.
Tuttavia nel 1779 fu costretto a sopportare una dura prova: infatti a
Milano nella CALLIROE di Alessandri, ben altri 5 castrati, anche se in
effetti cantavano nel coro: uno di essi, Antonio Duffo si era procurato
molta notorietà e simpatia anche grazie ai suoi capelli riccioluti, al suo
petto ben sviluppato, alla morbidezza delle sue forme e alla sua vocina
graziosa.
Ecco dunque che un numero consistente di giovani aristocratici, colti dal
disgusto per i castrati, decise di allontanarli dal palcoscenico: si
riunirono presso un ritrovo dove solitamente si prendeva la cioccolata,
per architettare e definire un piano mirante a sabotare la nuova opera che
sarebbe andata in scena, la CLEOPATRA di Anfossi, dove doveva apparire
anche Rubinelli.
Ma ogni stratagemma si dissolse quando il suo canto apparve alle loro
orecchie: esercitò un potere magico da sedare ogni stimolo di
indignazione, facendo sì che il gruppo di aristocratici finisse per
parlare solo di un ballerino che appariva in un balletto, IL TRADIMENTO DI
SINONE, “le cui gambe erano sufficientemente belle da portare alla
consolazione per la caduta di Troia”
Con ARTENICE di Tritto, con CATONE IN UTICA di Antonelli e in ANTIGONE di
Paisiello conseguì altri successi, specie a Napoli.
Ma fu nel 1786 che giunse a Londra, e qui Charles Burney scrive “il suo
viaggio da Roma dove aveva cantato durante il carnevale di quest’anno, non
fu molto piacevole, poiché il tempo fu pessimo, tanto che non solo gli si
rovesciò la carrozza a Macon, in Francia, ma, dopo aver lasciato la nave
su cui aveva viaggiato da Calais e Dover, la barca che gli avrebbe
permesso di toccare terra si rovesciò vicino alla spiaggia costringendo
Rubinelli a stare immerso per molto tempo fino al mento, comportando
questo un danno alla salute, alla voce e persino alla vita….”
MA Apparve per la prima volta sulle scene londinesi con l’opera VIRGINIA
il 4 Maggio 1786, e la sua parte era stata composta da Antonio Tarchi, un
compositore napoletano che si stava facendo famoso molto celermente.
Apparve con una figura alta e maestosa, sfoggiando un contegno docile e
benigno. Ogni movimento era contraddistinto da grande dignità, e non
appena il pubblico lo udì, non ebbe dubbio alcuno che fosse lui il
protagonista.
Possedeva come ci dice Burney, un trillo non sufficientemente aperto, ma
risultò sempre un cantante ammirevole, dotato di uno stile grandioso e
veramente drammatico: chiaro e preciso sempre.
Il suo gusto e gli abbellimenti, risultavano nuovi e eseguiti molto bene.
La sua articolazione nei recitativi è chiara ed accentata, che nessuno che
non conosca l’italiano sente il bisogno di cercare le parole nel libretto
mentre egli cantava.
Aveva un torace talmente robusto che difficilmente si poteva riscontrare
un canto fuori tono, grazie anche ad una perfetta intonazione.
La voce era chiara e sicura, mentre volteggiava in teatro trovando spazio
per espandersi, cosa che invece era meno evidente in una stanza.
Secondo Burney possedeva una vasta gamma di variazioni che non aveva mai
sentito in nessun altro cantante del momento, eccetto Pacchierotti, che
non solo lo superava in ricchezza di invenzione e di fantasia, ma anche in
spontaneità drammatica e nel crescendo della voce quando esprimeva la
commozione.
Sebbene avesse questi difetti, Rubilelli sollevava più consensi di
Pacchierotti.
Appena giunto a Londra, Rubinelli si vide subito aspramente criticato per
il fatto che modificava ed abbelliva le sue arie: come reazione Rubinelli
cantò “Return, o God of Hosts” nell’abbazia di Westminster, in maniera
così sobria e avulso da ornamenti che anche chi venerava Handel lo finì
per giudicare arido ed insipido. Agli inglesi quindi non piaceva non tanto
gli abbellimenti di Rubinelli, ma la sua mancanza di virtuosismo
nell’eseguirli, analogamente a come giudicarono Guarducci.
Ancora Lord Edgcumbe, annotò che Rubinelli aveva scarsa abilità, e non
tentava di impegnarsi in più di ciò che poteva eseguire alla perfezione.
Opinione differente la ebbe invece il cantante Michael Kelly, che lo
ammirò come eccellente attore e valente musicista, specie nell’ORFEO ED
EURIDICE di Bretoni, rammentando un duetto che Rubinelli fece con la
cantante Brigida Giorgi Banti.
Ma Burney ci dice anche che dimostrava una insensibilità dal punto di
vista drammatico o del timbro della voce.
Nel 1787 lasciò l’Inghilterra ritornandosene in Italia, dove varcò ancora
il palcoscenico sino al suo ritiro nel 1800, ma dopo essersi ben distinto
nelle opere a Milano NITTETTI di Bianchi, a Vicenza nel 1791 nella MORTE
DI CLEOPATRA di Nasolini, e a Verona nel 1792 nell’AGESILAO di Andreozzi.
Alla fine si ritirò nella sua città natale, dove visse gli ultimi anni
della sua vita tranquillamente sino al 1829.
A cura di Arsace
Ritratto fornito da Tassos Dimitriadis