Vittoria Tesi Tramontini fu il contralto femminile più famoso dell’epoca del
Belcanto. Nata a Firenze il 13 Febbraio 1700, studiò ben presto prima a
Firenze con F. Redi, poi continuò gli studi a Bologna con Campeggi.
Nel 1716 esordì a Parma e nello stesso anno a Bologna cantò presso il teatro
Formagliari nell’opera IL SOGNO AVVERATO. A Bologna tornò molto
frequentemente negli anni successivi.
Nel 1719 fu chiamata alla corte di Dresda, dove Quantz l’aveva ascoltata in
occasione dei festeggiamenti per le nozze del principe ereditario Federico
Augusto.
Nel 1722 cantò per la prima volta a Milano, dove fu detta “La Regina del
canto”. Dopo essere stata a Napoli e a Venezia, nel 1749 fissò la sua
residenza a Vienna: abitava nel palazzo del principe Joseph Friederich di
Sachsen-Hildburghausen, un generale molto appassionato di musica, presso cui
Gluck era impiegato come Kapellmeister e dove nella sua orchestra il giovane
Dittersdorf era violinista. Dittersdorf ebbe modo di conoscere Vittoria Tesi
presso il suo signore.
Vittoria Tesi appena dopo il 1749 si ritirò dalle scene.
Ebbe una voce estesa, potente ed assai ben educata, ma la sua fama di
cantante fu forse inferiore a quella di cui godette come donna bellissima,
stravagante, prodiga e spregiudicata. Sposò il barbiere Tramontini, ma il
matrimonio non le impedì una vita avventurosa. Accumulò grandi ricchezze, ma
nel 1729 sperperò ogni suo avere con un suo amante, un tale di nome Casnedi.
Morì a Vienna il 9 maggio 1775.
Dittersdorf ci ha tramandato un aneddoto su Vittoria Tesi,
che ci fornisce prova della stravaganza della cantante ma anche dell’
elevato grado di fanatismo che dominava allora in Spagna.
A Napoli aveva acquisito un pappagallo molto raro e armata di pazienza lo
aveva ammaestrato, in modo che potesse ridere, come se fosse stato un essere
umano, e rispondesse in perfetto italiano a una serie numerosa di domande.
Lo stesso Dittersdorf vide questo uccello straordinario, anche se solo
riporta il fatto dal momento che la Tesi lo ripeteva spesso e volentieri a
Vienna.
La Tesi si era portata questo pappagallo in Spagna: il suo posto era nella
stanza dove riceveva e intratteneva gli ospiti. Una sera era ospite da lei
una numerosa compagnia, fatta in massima parte di persone di rango elevato.
Ad un certo punto il discorso cadde sul pappagallo e le sue arti.
“Sa anche parlare?” chiese uno spagnolo distinto.
“Oh, certo!” rispose la Tesi “ascoltatelo subito!”
Subito si alzò e si mise a chiacchierare del più e del meno con il
pappagallo.
Il Kapellmeister che aveva composto l’opera in cui la Tesi aveva fatto la
sua prima apparizione a Madrid, era un napoletano e finì per rilevare
scherzosamente, quando il pappagallo parlò con un accento un po'
provinciale, che si poteva ben sentire che quel dotto animale aveva studiato
a Napoli.
“Oh, vi chiedo scusa”, intervenne la Tesi, “sa parlare anche toscano, come
il miglior romano. Potete credermi, signore e signori, ve ne convincerò
subito.”
Suonò e fece portare dei biscotti dalla cameriera; con questi dolci con cui
lo aveva ammaestrato per ben un anno, poteva essere certa del successo della
dimostrazione. Il Pappagallo rispose correttamente a tutte le domande ed in
modo appropriato; Vittoria Tesi le aveva predisposte intenzionalmente in
modo tale che doveva apparire quasi credibile che l’uccello possedesse un
intelletto umano.
Le persone ragionevoli fecero senz’altro i loro complimenti alla Tesi per la
pazienza e la maestria nell’ammaestramento del pappagallo, ma alcuni
fanatici della compagnia presero a mormorare tra di loro che una cosa simile
non poteva accadere in modo naturale, e che quindi dietro si celava una vera
e propria stregoneria.
La Tesi, che si divertiva non poco di fronte a questo stupore superstizioso,
pregò la compagnia di sedersi nuovamente in circolo. Dopodiché iniziò un
discorso e lo condì di proposito, con il suo innato buonumore, per fornire
alla compagnia materia per delle buone battute. Aspettava che qualcuno
pronunciasse una battuta abbastanza spiritosa, quindi con il suo risolino,
segnalava al pappagallo di ridere, e l’uccello rispondeva prontamente
scoppiando a ridere, secondo la sua maniera.
L’intera compagnia non poteva che unirsi al riso, e poiché ciò costituiva
per l’animale un incoraggiamento ulteriore a continuare, ne sorse un riso
ininterrotto, tanto che si sarebbe potuto credere che signori e servitori
fossero tutti scappati da un manicomio.
Poco dopo un paio di gentiluomini si congedarono, con il pretesto di avere
degli affari da sbrigare. Mentre illuminava loro le scale con una fiaccola,
il domestico della Tesi, che capiva lo spagnolo, intese chiaramente uno dei
due dire:
“Avete ragione, amico mio! È nostro dovere denunciare oggi stesso la cosa al
Grande Inquisitore”.
Ma poiché non sapeva di cosa erano intenti a discutere, non prestò ulteriore
attenzione.
Il mattino successivo entrarono nel vestibolo due uomini, seguiti da due
facchini, che deposero una grande gerla, coperta con un panno nero; chiesero
di parlare con la padrona di casa.
La Tesi era in quel momento era impegnata a rifocillare il suo favorito nel
salotto.
“Ah, ah!” dissero quei signori vestiti di un mantello nero, “è questo il
pappagallo che ha provocato nella compagnia di ieri uno stupore tanto
grande?”
“Per servirvi,” rispose la Tesi. “Chi siete? Che cosa desiderate?”
“Siamo servitori della Santa Confraternita,” fu la risposta, “e abbiamo
ordine da parte del Grande Inquisitore di consegnare il suo pappagallo
all’Inquisizione.”
Tutte le proteste della sua padrona furono totalmente inutili: i due
afferrarono la gabbia, la misero nella gerla arcigni, la coprirono con il
panno nero e se ne andarono in processione.
La Tesi pianse lacrime amare per la perdita del suo diletto Amico, come lo
chiamava di solito. Calmatasi, si fece vestire e andò da Farinelli per
chiedergli consiglio.
Questi riferì subito al Re l’accaduto e lo assicurò, senza risparmiare la
sua eloquenza, che l’abilità del pappagallo era del tutto naturale e che non
si nascondeva dietro nessuna stregoneria; benché alla fine il re si fosse
persuaso delle varie ragioni illustrategli da Farinelli e fosse intervenuto
in suo favore, passarono ben 8 giorni prima che la Tesi potesse riavere
dalle mani dell’Inquisizione il suo diletto Amico.
Vittoria
Tesi, di Ademollo
A cura di
Arsace