Nella sua biografia su
Rossini lo scrittore francese Henri Beyle, ossia Stendhal, scrive
come semplice cronista a proposito della
rappresentazione dell'AURELIANO IN PALMIRA:
" Rossino venne a Milano nel 1814 per scrivere l'Aureliano in Palmira, e
conobbe Velluti, che doveva esibirsi nella sua opera.
Velluti, uno degli uomini più belli del secolo, a quel tempo nel fiore del
suo
talento e della sua giovinezza, non risparmiava i suoi prodigiosi mezzi.
Rossini non l'aveva mai ascoltato prima, e compose per lui la cavatina
della sua parte.
Alla prima prova dell'orchestra, Velluti canta e Rossini è pieno
d'ammirazione; alla seconda prova, Velluti aggiunge delle infiorettature,
e Rossini trova i suoi effetti giusti ed ammirevoli, e non disdegna la
riuscita del pezzo. Alla terza, la ricchezza del ricamo e delle
infiorettature non lascia più vedere il fondo della cantilena.
Arriva poi il gran giorno della prima rappresentazione; tutta la parte di
Velluti fa furore, ma è a stento che Rossini riconosce la sua musica nel
canto del soprano. Quel canto sembra pieno di arcane bellezze, e giunge al
cuore del pubblico, che, dopo tutto , non ha torto ad applaudire per ciò
che gli reca tanto piacere. L'amor proprio del giovane Rossini fu però
profondamente ferito: la sua opera cadeva, mentre solo il soprano
trionfava".
Velluti e la
principessa del Galles
Nella Primavera del 1814 a Senigaglia, sulla costa adriatica nei pressi di
Ancona in occasione dei festeggiamenti che si svolgevano della rinomata
fiera annuale di merci e di bestiame, tra le varie iniziative al Teatro La
Fenice era prevista l’opera di Niccolini CARLO MAGNO. La principessa del
Galles sarebbe stata presente : questo era un grande onore, poiché era
l’erede al trono di Inghilterra. Poiché Luigi Marchesi aveva cantato ben
32 anni fa, il ritorno di un castrato nel teatro di Senigaglia e in più la
presenza di una principessa era un evento straordinario che attirò molto
pubblico: bisognava fare le cose in grande e quindi l’illuminazione del
teatro era molto accresciuta ricorrendo a lumi ad olio e candele di sego.
La principessa, non si conosce il motivo, chiese che l’opera iniziasse dal
secondo atto: l’impresario che si chiamava Osca aveva già faticato molto
per convincere la star Velluti a cantare in un semplice teatro di
provincia, si vide costretto a comunicare al sopranista la richiesta della
principessa. Velluti esplose con una collera mai vista prima, già caricato
com’era dalla seccatura della illuminazione che provocava molto fumo
rendendo non solo l’aria irrespirabile, ma anche rendendo difficile
cantare. Velluti quindi fu risoluto non solo a non esaudire il desiderio
di Sua Altezza, ma anche decise di non esibirsi nell’opera.
Povero Osca, era caduto in un bel pasticcio, fra l’incudine ed il
martello: non riuscendo nell’intento di far cambiare idea al cantante,
chiese aiuto all’addetto all’Ambasciata che scortava la principessa, che
abile diplomatico, illustrò la sconvenienza di un simile atteggiamento di
Velluti. E’ a questo punto che il cantante ribatté: “La mia gola vale ben
una Regina!”
Allora intervenirono altre autorità per forzare Velluti ad esibirsi,
sottolineano l’importanza di mantenere buoni rapporti con la nazione che
aveva sconfitto l’impero napoleonico e restituito allo Stato della chiesa
i suoi domini temporali: o per la capacità persuasiva o perché era stanco
di sentirsi pregare, Velluti si fece convincere, covando una rivincita:
egli infatti, dinnanzi allo stupore delle alte cariche locali di
Senigaglia, nel momento in cui entrò in scena palesemente omise di fare
come di consuetudine la riverenza al palco delle autorità, e in particolar
modo alla principessa del Galles. Costei non si rese conto dell’affronto
che il cantante le aveva fatto, grazie anche all’affannarsi delle autorità
locali che dissero a sua Altezza che Velluti si era imbattuto in questa
dimenticanza per la commozione di avere una così augusta presenza fra il
pubblico.
Nella serata successiva la reale principessa era ancora presente alla
rappresentazione, e Velluti si comportò a modo, cantando divinamente:
pubblico e principessa furono entusiasti.
Sull’accaduto però corsero molti pettegolezzi, con esagerazioni e
travisamenti: quando Velluti seppe di questa tempesta di dicerie, si armò
di carta e penna e rivolgendosi alle autorità del luogo, scrisse:
“Ill.mi Signori, sentendo col più grande rincrescimento che la calunnia
sia giunta a spargere delle ingiuriose voci su di me supponendosi che io
abbia potuto mancare di rispetto verso S.A.R. la Principessa di Galles
nelle due sere che onorò il teatro con la sua presenza, prego perciò le
SS.LL.Ill.e a voler avere la compiacenza di constatare per scritto qual
sia stato il mio contegno nelle suddette circostanze. In attesa di grato
riscontro ho l’onore di contestarle gli atti del mio maggiore rispetto.
Delle SS.LL.Um.o Dev.o Servo Gio. Battista Velluti”
Il parucchiere
Velluti era soggetto a crisi di tristezza e malinconia: nel
1815, a Milano, mandò a chiamare un parrucchiere per farsi acconciare la
folta chioma. Quest’ultimo non aveva riconosciuto il suo cliente. Fra i
due cominciò una conversazione: Velluti ad un certo punto scoppiò in un
sospiro malinconico, lamentandosi poi della solitudine cui era condannato,
rivelandosi al suo interlocutore triste ed annoiato della vita: il
barbiere, allora, allo scopo di consolare il suo cliente, gli suggerì di
dedicarsi a delle distrazioni, come per esempio andare ad ascoltare a
teatro alla Scala quella sera il famoso cantante
Velluti, poiché era fenomenale, assicurando divertimento.
“Ottimo consiglio” replicò il cantante “il fatto è che Velluti sono io!”
Roma 1830
Nel 1830 a Roma, era stata fatta circolare dai sostenitori
del nuovo stile romantico, una quartina contro Velluti, che suonava in
questi termini:
Con cinquant’anni addosso
Vuoi tu cantar da donna?
Ringrazia la Madonna
E quello che sta là.
Quello che sta là, non era altro che il Governatore, grande fan ed amico di
Velluti: mortificato Velluti abbandonò Roma, per non farci più ritorno.
Si era reso conto che il gusto del pubblico era mutato: fu questo si dice il
motivo principale per cui poi si ritirò nella villa a Sambruson (a Dolo),
sulle rive del Brenta, dove aveva acquisito una tenuta, e non perché avesse
perso la voce, come qualcuno aveva insinuato. Nel suo ritiro in questa
tenuta, visse nel passato circondato dalle sue vecchie glorie e i suoi
vecchi trofei, rimpiangendo i suoi anni di fama, negli ultimi trent’anni
della sua vita.
Velluti
compositore
Velluti ci ha lasciato delle composizioni musicali di suo
pugno.
“Vien di quest’elce all’ombra”, canzone con accompagnamento al pianoforte,
“Negre funeste immagini che lagrimar mi fate” e “Quel tuo girar del ciglio,
quel magico sorriso” che si possono reperire presso la Biblioteca Musicale
del Conservatorio di Santa Cecilia a Roma, tutte autografe.
Al conservatorio di Napoli
esiste una cavatina col solo accompagnamento al pianoforte arrecante il
titolo di “Come potrei mai vivere”: poi ci sono altri suoi pezzi autografi
presso la libreria Grasmick di Berlino: tutti questi lavori ci rivelano un
Velluti compositore con una maestria pari ai compositori di ruolo della sua
epoca: era anche un compositore di buon gusto all’altezza dei suoi
contemporanei.
Rossini, il suo nemico/amico, fece incidere sotto il busto di Velluti posto
nella sala del Teatro Comunale di Corridonia la scritta “Imperatore
d’altissimo Canto”.
A cura di Arsace