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Una “investitura poetica” e
la morte di Pietro Metastasio
Siamo sul finire del 1781, nel corso delle sue
peregrinazioni, forzate e volontarie, Lorenzo da Ponte giunge a Vienna,
capitale nella quale s’incontravano scrittori, poeti, musicisti, quando non
semplici avventurieri: una città che viveva un periodo di splendore nelle
arti come nel diritto, sotto l’egida del dispotismo illuminato di Giuseppe
II, figlio di Maria Teresa, da poco più di un anno, solo sul trono
imperiale. Interessante, è l’incontro fra il giovane avventuriero con il
vecchio «cesareo poeta», Pietro Metastasio. Sebbene qualcuno dubiti circa la
veridicità di un simile avvenimento, leggendovi semmai la volontà
dell’autore di segnalare una sorta di propria “investitura poetica”, è
proprio dalla penna di Lorenzo da Ponte che ci viene un piccolo racconto, di
sapore aneddotico, circa la morte dell’illustre Poeta. Scrive infatti il
grande librettista nella seconda parte delle sue Memorie:
Non conoscendo i tedeschi, né parlando bene la loro lingua, mi misi a
praticare degl’italiani. Uno di questi era un soggetto colto, idolatra del
Metastasio e buon improvvisatore. Parlògli di me e gli diede da leggere
certi versi, che per suo desiderio dedicato aveva e composto per nobilissimo
signore tedesco, cui egli trattava familiarmente. Mostrò quindi quel gran
poeta piacer di conoscermi. Si pensi quanto maggior fu il mio di conoscer
lui! Gli fui presentato dal nuovo amico, ed egli mi accolse con quella
urbanità e quella grazia, ch’era propria di lui e che caratterizzava gli
scritti suoi. Mi parlò sul fatto de’ versi che avea veduti, e non isdegnò di
leggere egli medesimo alla dotta assemblea, ch’ogni sera in sua casa soleva
adunarsi, tutti i seguenti, che erano il cominciamento di quel poemetto e
ch’io sempre ritenni e riterrò a mente, come un monumento prezioso:
Filemone e
Bauci
Era Bauci una ninfa, a cui non nacque
altra pari in bellezza a’ tempi suoi;
e al pastor Filemon piacque ella tanto,
quanto il bel pastorello a lei piacea.
Tacque da pria sul timidetto labbro
l’alterna fiamma, lungamente chiusa
ne’ semplicetti petti; alfine, un varco
ritrovando negli occhi, ivi apparìo,
quanto celata più, tanto più bella.
Piacque a Imeneo quel foco, e ad essi il foco
piacque pur d’Imeneo, che in aureo nodo
distrinse i cor de’ giovanetti amanti.
Ma non estinse mai Connubio o Tempo
di lor foco una dramma; ogni momento
il più dolce parea de’ loro amori.
Un concorde voler, un genio stesso
animava i lor cori; ed in costanza
sol variata di novelli affetti,
vivean gli avventurati amanti e sposi.
Passâr gli anni così, così solcate
Lor fronti fûr dalla rugosa etade;
e l’ardor moderò, non già distrusse,
invecchiata amicizia.
Qui si fermò il Metastasio, e invitommi a leggere il rimanente di quella
poesia. Qualche cortese espressione di lode, ch’uscì da una bocca sì
venerabile, fece parlare vantaggiosamente di me per Vienna. Non ebbi però
più la sorte di riveder quel grand’uomo, che riteneva, sebben vecchissimo,
tutta la freschezza ed il brio della gioventù e tutto il primitivo vigore
del vivace e gagliardo ingegno alla cui dotta scuola e conversazione avrei
potuto moltissimo profittare. Eglì morì, pochi giorni dopo, di dolore, per
quel che un suo amico intrinseco raccontommi. Eccone la ragione, che il
mio lettore udrà con piacere, come cosa non a tutti nota e appartenente a
un uomo sì celebre in tutte le parti del colto universo.
Alla morte di Maria Teresa, principessa che, per debolezza forse di core,
aveva quasi rovinato l’erario a forza di accordare pensioni, Giuseppe
ordinò, al suo avvenimento al trono, che tutte le pensioni d’un certo
genere, dalla regina madre accordate, dovessero discadere, riserbandosi il
diritto di rinnovarle egli stesso a chi ne credea meritevole. Il
Metastasio, udendo simil decreto, ne risentì tal rammarico, pel torto
ch’ei credeva fatto al suo merito ed ai suoi lunghi servigi, che in pochi
giorni cessò di vivere. Appena emanato il decreto, l’imperadore scritto
aveva un biglietto graziosissimo al cesareo poeta, che dalla legge
generale escludevalo e con un elogio affettuosissimo tutte le sue pensioni
riconfermavagli; ma questa medicina fu troppo tarda al colpo mortale, che
ferito avea l’animo di quel buon vecchio.
Lorenzo da Ponte (1749-1838)
A cura di Hagen Borea
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