(Arpino, 1684 - Napoli, post 1745)

 

          Numerosi atti notarili della seconda metà del XVIII secolo, relativi alla Famiglia Gizzi di Ceccano, facevano riferimento al testamento di Domenico Gizzi, indicandone la data, il notaio napoletano rogante, Salvatore Palumbo e sommariamente il contenuto, cioè le disposizioni in favore del fratello Pietrangelo, nominato erede universale dal musico.

         Dopo due anni di pazienti ricerche a Napoli e Frosinone, una copia del Testamento è stata rinvenuta dall’estensore di questa memoria biografica, il 14 agosto 2000, nell’Archivio Notarile di Ceccano, presso l’Archivio di Stato di Frosinone.  

Prima Pagina della Stima della Casa Palaziata di Domenico Gizzi

         Alla morte del pronipote del musico ed erede diretto Giuseppe Gizzi, figlio di Antonio e nipote di Pietrangelo, l’Illustrissimo Signore Domenico Sindici, personalità di grande rilievo e cognato di Giuseppe, quale Curatore dei figli del defunto, Antonia, Luigi e Tommaso, consegnò la copia del testamento al Notaio Magno Colantoni di Ceccano, affinché questi la conservasse nei suoi protocolli, al riparo da ogni pericolo di dispersione.

         Questa premurosa cura del Sindici, la "Consignatio Testa.nti bo:me: Dominici Gizzi", avvenuta in data 22 luglio 1807, ha permesso la conservazione del testamento (1).

          Redatto dal musico a Napoli, il 12 ottobre 1758, due giorni prima della sua morte, il Testamento si apre con una definizione solenne, con la quale Domenico, secondo l’uso del tempo, riconosceva come non vi fosse "cosa più certa di dover morire, ne’ cosa più incerta del come, e quando si debba morire", a cui facevano seguito, innanzitutto, le sincere e commosse disposizioni per la salvezza eterna della sua anima:

           "Ritrovandomi al p.nte per gratia di Dio benche infermo di Corpo, sano però di mente, et intelletto, e ne’ miei retti sensi affinche venendo chiamato da Dio all’altra vita, nel punto, che a lui piace et a me incerto, mi ritrovo aver disposto de’ miei beni, hò risoluto di fare, si come faccio il p.nte mio testam.to sollenne et inscriptis chiuso, e sigillato...

         Primieram.te come Fedele Cristiano raccomando l’anima mia all’Onnipotente Dio Padre, Figliolo, e Spirito Santo, et a tutti li Santi miei Avvoc., e specialmente all’Angelo mio Custode, S. Michele Arcangelo, et a tutti gl’altri Santi e Spiriti Beati, acciò l’abbiano a difendere nel p.nto di mia morte da ogni diabolica suggestione, et impetrarmi nello stesso tempo da Dio, per l’infiniti meriti della Passione e morte del suo Unigenito Figliolo e Sig.r nostro Gesù Cristo il perdono di tutti li miei peccati, e rendermi partecipe della eterna gloria del Paradiso" (2).  

           Subito dopo, Domenico indicava la chiesa di Napoli scelta come sua ultima dimora, in cui desiderava ricevere la sepoltura cristiana, la Ven. Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio, nella Strada d’Arco (celebre anche per l’annessa Confraternita che curava il suffragio per le anime dei fedeli defunti), in favore della quale Domenico attribuiva la somma di 100 ducati:

           "E quando piacerà a S. Div. M.tà che io passi all’altra vita, voglio, che il mio Corpo sia seppellito nella v.le Chiesa dell’Anime del Purgatorio nella Strada d’Arco, alla quale v.le Chiesa lascio D. 100 per una sol volta affinche io sii scritto trà Benefattori della medesima v.le Chiesa, quali D. cento voglio, che si paghino dall’infra.tto mio erede subito seguita mia morte" (3).

           Nella estesa e minuziosa parte centrale delle ultime volontà, per evitare la dispersione del suo ingente patrimonio, Domenico istituiva un "Fedecommesso", facendo ricorso ad un istituto giuridico che avrebbe garantito la conservazione dell’insieme dei suoi beni, per tutte le generazioni a venire, con il divieto assoluto di vendite ed alienazioni e l’affidamento dell’amministrazione al Primogenito di "Casa Gizzi". Il suo amato fratello Pietrangelo era nominato erede universale e, precisamente, erede usufruttuario del Fedecommesso, a condizione che egli fosse custode e depositario del patrimonio e titolare del conseguente godimento di tutti i frutti.  

         Nell’indicare i suoi averi, il Musico faceva espressa menzione della "Casa Palaziata" di Ceccano che, certamente, costituiva ai suoi occhi uno dei beni più cari, in cui avrebbe desiderato concludere i suoi giorni. Ugualmente significativo il passaggio in cui traspare il legittimo orgoglio e la coscienza della dignità artistica di Domenico, fiero di dichiarare che tutti i suoi beni erano stati da lui conseguiti ed acquistati "con mio proprio denaro, colla mia Professione lucrato".

         Con una serrata sequenza di clausole meticolose ed ordinate, Domenico escludeva dal Fedecommesso sia i figli maschi minori, sacerdoti e religiosi, sia le figlie femmine:

       "Istituisco e faccio a me mio erede univ.le, e particolare il Sig. D. Pietr’Angelo Gizzi mio fratello utrinque Congiunto, in tutti, e sopra tutti, e qualsiv.no miei beni mobili, stabili, crediti, esigenze, e nomi de’ debitori, denaro contante, oro, argento lavorato e non lavorato, et in tutti, e qualsiv.no altri beni a me pred.o Testatore spettanti ... e signatamente in tutti quei beni stabili, e crediti, che possedo così in d.a Terra di Ceccado (sic) nella Romagna, come nella Terra d’Arpino di Sora in Prov.a d’Appruzzo, quali beni sono stati tutti acquistati da me pred.o Testatore con mio proprio denaro, colla mia Professione lucrato, avendo similm.te con mio proprio denaro dismessi alcuni debiti sopra la Casa ereditaria della nostra Comune Madre sita in Arpino di Sora...

         Primieram.te voglio, et ordino che tanto la mia Casa Palaziata, che possedo in detta Terra di Ceccado (sic), quanto tutti, e qualsiv.no miei beni, et effetti in qualsiv.no cosa consistenti, che possedo in d.a Terra d’Arpino di Sora restino, e debbano restare sottoposti, siccome li sottopongo ad un perpetuo Fedecomesso, Magg., e Primogenitura a beneficio di d.o Pietr’Angelo mio Fratello, e de’ suoi Figli, e descendenti mascoli primogeniti leg.mi e naturali, ò di quello che tenerà luogo di Primog.to nella sua Famiglia Gizzi in infinitum, et in perpetuum. E perciò voglio che d.o D. Pietr’Angelo sia e debba essere semplice usufruttuario sua vita durante di detta Casa Palaziata sita in Ceccado (sic), e delli beni, et effetti siti in Arpino di Sora. E dopo sua morte in quelli vi succeda, e debba succedere il suo Figlio primog.to mascolo, e dopo la morte di questo, li suoi Figli, e descendenti mascoli legitimi, e naturali ex corpore legitime discendenti da Mascoli di Casa Gizzi in infinitum, et in perpetuum da’ Primogenito in Primogenito, o vero quello che tenerà luogo di primog.to, con osservarsi trà di loro l’ordine della Primogenitura, escluse affatto le figlie femine, e discendenti da esse ancorche mascoli... e così si debba osservare sino  tanto vi saranno mascoli di Casa Gizzi, che rappresentaranno la Primogenitura Mascolina della stessa Casa Gizzi, discendenti dal d.o D. Pietr’Angelo in infinitum et in perpetuum, escludendone però dal d.o Maggiorato e Fedecommesso quelli mascoli che si faranno o si ritroveranno Preti, Religiosi, ò altrimente inabili à casarsi" (4).  

           In caso di estinzione del ramo maschile della Famiglia discendente da Pietrangelo, il Fedecommesso con tutto il patrimonio, sarebbe dovuto passare al figlio maschio primogenito di Giuseppe, l’altro suo fratello defunto da alcuni anni:

           "E mancando [quod absit] tutta la Linea e Descendenza mascolina di detto D. Pietr’Angelo, dimodoche quella restasse totalm.te evacuata dà mascoli discendenti da mascoli legitimi, e naturali della Linea predetta; In tal caso voglio, che nella suddetta Casa Palaziata sita in Ceccado (sic), e nelli sudetti beni, et effetti siti in Arpino di Sora, vi succeda e debbia succedere il Figlio primog.to mascolo legitimo, e naturale del q.m D. Giuseppe Gizzi altro mio Fra.llo utrinque Congionto, o quello de’ suoi Figli mascoli, che allora tenerà luogo di Primog.to, e li suoi Figli, e descendenti mascoli legitimi, e naturali coll’ordine di d.a Primogenitura, escluse affatto le Figlie Femine, e discendenti da esse, nel modo come di sopra ...

         E acciò in ogni futuro tempo il sud.o Maggiorato, e Fedecomesso col sud.o ordine di Primogenitura in infinitum, et in perpetuum si conservi a favore de’ suddetti chiamati in quello, voglio, et ordino, che li suddetti beni, et effetti a quello sottoposti in nessun futuro tempo, ne’ per qualsiv.a causa ancorche favorevole, privilegiata, ... non si possono vendere, alienare, donare, obligare, ipotecare, o in altro qualsiv.a modo distraere ne in tutto, ne in parte ..." (5).

           Nella parte conclusiva del Testamento, Domenico dichiarava di dover conseguire dal fu D. Domenico Giovanni Lancia di Arpino, marito della sorella D. Cecilia Gizzi, un capitale di 400 ducati, relativo ad un censo sulla loro abitazione in Arpino, precisando che le relative rate annuali da 16 ducati ciascuna, con grande magnanimità, egli non le aveva quasi mai riscosse. Ciò nonostante, lasciava 25 ducati, oltre alla rata di una annualità, alla sorella Cecilia.  

Il Musico Domenco Gizzi - caricatura

         Sempre tratti dal suddetto censo, duecento ducati venivano istituiti, in forma di Legato, in favore dei quattro figli del suo defunto fratello Giuseppe e, precisamente, cinquanta ducati per ognuno dei nipoti (6).

           Il testamento si conclude con la menzione particolare di un generoso Legato di Sante Messe da celebrarsi in suffragio della sua anima, nella Chiesa Arcipretale di San Giovanni Battista di Ceccano  e il riconoscimento di una piccola somma al barbiere che lo aveva curato nella sua ultima malattia, Domenico Altomare ed al suo domestico, Nicola Terralavoro:

           "E delli restanti d. cento settanta cinque compimento di detti d. 400, voglio, che dell’annualità d’essi se ne debbano celebrare per l’anima mia, e secondo la mia intenzione tante messe votive ad uso di elemosina manuale, quante ne capiranno alla ragione di grana quindeci per ciascuna messa, da celebrarsi d.e messe ubique dal Rev.do Sacerdote D. Nicola Scapati, ò pure farsi dal medesimo celebrare. Verum ascendendo al Sacerdotio alcuno di detti miei nepoti, figli del d.o D. Pietr’Angelo, debba cessare la celebrazione pred.a in persona del d.o D. Nicola, e debba egli celebrare le Messe sud.e di lei vita durante, et ubique, e dopo la morte del d.o mio nipote, che sara Sacerdote, voglio, che il su detto Legato di messe vada a beneficio della v.le Parrochiale Chiesa sotto il Titolo di San Giovanni della detta Terra di Ceccado (sic), con obligo della celebrazione delle sud.e Messe alla d.a ragione di g.na 15 per ciascuna Messa, incluso il Jus sacristie...

         Lascio alla Parochial Chiesa di S. Angelo a Segno nella Strada d’Arco D. Sei per una sol volta in agiuto alla spesa facienda nell’altare di S. Nicola, che farà l’odierno Paroco in d.a Parochial Chiesa.

         Lascio a Domenico Altomare Barbiere per una sol’volta D. quattro in recognizione de servizii fattimi nella p.nte infirmità, con che non abbia il medesimo altro che pretendere.

         Lascio a Nicola Terralavoro mio Servitore, se pure si ritrova à miei servizii in tempo di mia morte una mesata di più della corrente, e la livrea.

         E per ultimo lascio esecutore del sud.o testam.to il sud.o D. Pietr’Angelo mio Fr.llo, al quale dò, e concedo onnimoda potestà di eseguire, e fare eseguire quanto nel p.nte mio testam.to ho disposto ...

         Io Domenico Gizzi hò disposto come sopra" 

.          Nella copia conservata nell’Archivio Notarile di Ceccano, il Notaio Salvatore Palumbo aveva annotato che il Testamento, chiuso e sigillato dal Musico e ricevuto il 12 ottobre 1758, era stato aperto e pubblicato il 22 dello stesso mese ed anno, a seguito della morte del testatore.  

1) Archivio di Stato di Frosinone, Archivio Notarile di Ceccano, Atti del Notaio Magno Colantoni, Faldone 266, Prot. 534, ff. 18r-20v vecchia numerazione e 46r-48r nuova numerazione. Nella copia manoscritta, il nome della cittadina di Ceccano è sempre mutato in "Ceccado", certamente per un errore di trascrizione del copista.

 

2) Ibidem, f. 19r et v.

 

3) Ibidem, f. 19v.

 

4) Ibidem, ff. 19v-20v.

 

5) Ibidem, ff. 45v-46r.

 

6) Ibidem, f. 46v. Domenico per errore indica con il nome di Igino il figlio primogenito di Giuseppe, che, in realtà, si chiamava Domenico Nicola. Stesso errore per una figlia di Giuseppe, Agnese, indicata con il nome di Giovanna.

 

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A cura di

Il Principe del Cembalo - Rodelinda da Versailles

Arsace da Versailles - Faustina da Versailles

Arbace - Alessandro - Andrea & Carla

Un enorme grazie a

Avvocato Stefano Gizzi

Nei restauri, ancora in corso, con Stefano Gizzi, hanno collaborato e si ringraziano:

1) il Maestro Ebanista COLOMBO VERRELLI, che ha restaurato le porte, ne ha realizzato di nuove sempre secondo lo stile dell'epoca, ha restaurato alcuni mobili fra cui lo scrittoio del Musico Domenico Gizzi ridotto in cattivo stato.

Scrittoio originale di Domenico Gizzi - restaurato dal maestro Maestro Ebanista COLOMBO VERRELLI

2) il Maestro FRANCESCO BARTOLI, pittore e decoratore, per la scelta dei colori, la definizione degli stessi con le tonalità assolutamente dell'epoca e l'arredamento delle sale con materiali, carte e stucchi, rigorosamente d'epoca.

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