(Arpino, 1684 - Napoli, post 1745) VIRTUOSO DELLA REAL CAPPELLA DI NAPOLI
Nel 1676, in un antico borgo del Ducato di Sora nel Regno di Napoli,
la celebre Città di Arpino, ricca di storia e di preziose testimonianze
artistiche, una sontuosa cerimonia nuziale aveva attirato l’attenzione e
la curiosità generale, a motivo della cospicua dote di ben 600 scudi ed
ancor più per il misterioso fascino del promesso sposo, che vantava,
addirittura, una discendenza dagli antichi egizi!
Agata di Iorio, la ricca ed avvenente figlia di Giovanni Domenico e
di Cecilia, notabili del luogo, nata in quella cittadina il 4 aprile 1654,
si univa in matrimonio a Igino Gizzi, di Ceccano, nello Stato Pontificio,
rampollo di una antica famiglia, stabilitasi a Ceccano all’inizio del
secolo, ma originaria della Città di Ferentino. Molto probabilmente, una
parte rilevante in questi sponsali venne svolta dal fratello di Igino, Don
Giovanni Gizzi, titolare, per alcuni anni, del beneficio della Chiesa di San
Vito ad Arpino e, successivamente, ecclesiastico influente in Ceccano (1).
Nell’atto di battesimo, il solerte Abate Basilio Miccinelli, non
mancava di registrare la cittadina di provenienza del padre della bambina,
scrivendo:
"Higino Gizzi della Terra di Ciccano" (2).
E’ l’atto di battesimo a chiarire definitivamente l’anno della
nascita del musicista, che tutte le pubblicazioni, erroneamente, pongono fra
il 1680 e il 1684: Domenico Ant.o Nicola Gregorio Figlio leg.o e nat.le d’Igino Gizzi,
et Agata di Iorio consorti è stato battezzato da me Abb.e Basilio
Miccinelli. L’hanno tenuto al Sag. Fonte Pietro Petrucci e Giovanna
Scappaticci" (3).
Negli anni successivi, la famiglia si arricchì ancora di tre figli: Bellissima, battezzata il 6 gennaio 1690,
Apollonia il 27 dicembre 1691 ed
ultimo Pietro Angelo Tomaso, condotto al Fonte battesimale l’8 luglio 1698
(4).
Sia il primogenito Giuseppe che Pietro Angelo si trasferirono, ben
presto, a Ceccano, dando origine ai due rami della Famiglia fiorenti in
quella cittadina (5).
Fin dalla più tenera infanzia, Domenico mostrò una singolare
disposizione per la musica, iniziando gli studi con il celebre Marco Tullio
Angelio, Maestro di Cappella ed allievo del romano Giacomo Carissimi, che
notò subito le qualità del fanciullo e gli insegnò le prime regole
dell’arte dei suoni.
Dopo aver esaminato più volte la sua voce angelica, l’anziano
maestro di Cappella intuì l’innato talento del piccolo Domenico e parlò
con vivi elogi, al padre Igino, delle doti eccezionali e dell’istinto
musicale di quel fanciullo prodigio, facendogli anche intravvedere un
bell’avvenire di sicura fortuna.
In ogni caso, possiamo presumere che il ruolo del primo maestro e del
padre Igino sia stato davvero determinante, nel decidere questa operazione
così traumatica, subita dal fanciullo fra gli otto e i dodici anni di età.
Custode della nobile vocalità romana a lui trasmessa dal Carissimi, l’Angelio
aveva avuto modo di conoscere gli splendori della Cappella Pontificia e
l’alta considerazione e gli onori conseguiti dai migliori sopranisti
italiani nelle maggiori corti europee (6). Su indicazione dell’Angelio, Domenico fu animato a recarsi a Napoli, Capitale del Regno, per approfondire le conoscenze musicali in uno dei famosi collegi musicali della Città.
Per l’ingresso del fanciullo nel Conservatorio di Sant’Onofrio,
secondo quanto richiesto dai regolamenti, venne fatta esplicita richiesta ai
Governatori di quella pia istituzione, che accolsero di buon grado la
domanda del promettente fanciullo. Così Domenico lasciò la Città di Arpino alla volta di Napoli, accompagnato dalle grandi speranze di successo e di roseo avvenire, che in lui riponevano i familiari ed i concittadini.
Al suo ingresso nel Conservatorio, in qualità di “Figliolo”,
nel corso di una suggestiva cerimonia di impronta religiosa, al canto del “Veni
Creator Spiritus”, Domenico indossò la veste propria degli allievi
del Sant’Onofrio: una sottana bianca con cotta beige, che lo avrebbe
contraddistinto fino al termine degli studi. Nel Conservatorio, iniziò un lungo periodo di formazione artistica, in cui gli venne impartita una educazione musicale di assoluto rilievo. Tutti i segreti della composizione, del canto, dell’armonia e gli esercizi di contrappunto, si disvelarono ai suoi occhi, insieme a lezioni di discipline umanistiche, grammatica, retorica, religione e filosofia.
Inoltre, quale singolare preparazione al contatto con il rutilante
mondo musicale napoletano, ormai il maggiore centro dell’opera
italiana
d’Europa, egli partecipava alle principali cerimonie religiose, in cui si
richiedeva il contributo dei giovani sopranisti, esercitando la sua voce
nelle celebrazioni di messe, processioni, funerali e funzioni liturgiche. Le più recenti acquisizioni storiche e documentarie sui Conservatori Musicali di Napoli escludono la presenza di Alessandro Scarlatti al Conservatorio di Sant’Onofrio, negli anni della formazione del Gizzi.
Con qualche probabilità, Domenico studiò nelle classi di Angelo
Durante, Rettore a Sant’Onofrio dal 1690 al 1705 e zio di Francesco.
Questa versione, comunque,
non esclude la possibilità che egli abbia potuto ricevere le preziose
lezioni private da parte di Alessandro Scarlatti, con il quale Domenico avrà
anche in futuro numerosi e proficui contatti personali ed artistici di stima
ed amicizia reciproca. Anche Nicola Porpora, secondo quanto riferito dal
musicologo inglese Charles Burney, avrebbe studiato privatamente con lo
Scarlatti, in quegli anni rinomato e ricercato didatta. Conclusi gli studi nel Conservatorio, ed acquisiti tutti i pregi che si richiedevano per un ottimo Maestro di Cappella, Gizzi mise immediatamente a frutto la sua eccellente preparazione musicale, scrivendo alcune composizioni di Chiesa e di camera, giudicate dal Grossi "assai degne di lode" (8). Nei suoi esordi come compositore, egli conseguì brillanti risultati, che gli procurarono riconoscimenti e titoli d’onore nella Città partenopea, incoraggiamenti preziosi a proseguire nella carriera artistica, intrapresa con grande zelo ed entusiasmo.
In ogni caso, a segnare l’ingresso di Domenico nel mondo musicale
napoletano furono, in particolar modo, le sue eccezionali capacità vocali.
La fama del nostro giovane sopranista si era ben presto diffusa nei
migliori ambienti della Città partenopea, e costituiva una delle maggiori
attrattive nelle feste e cerimonie religiose ed un prezioso ornamento dei
ricevimenti nobiliari. Fu
logica conseguenza, quindi, il suo ingresso nella prestigiosa Real Cappella
di Napoli, in cui Domenico Gizzi fu assunto il 30 giugno 1706, in qualità
di "Musico soprano" soprannumerario (9). La compagine palatina costituiva la maggiore istituzione musicale presente nel Regno di Napoli e i virtuosi facenti parte del suo organico eseguivano nella Cappella del Palazzo Reale e nelle chiese della città, le composizioni sacre dei più rinomati musicisti dell’epoca, quando il rito solenne delle grandi festività richiedeva lo sfavillante stile concertante, sostituito, nei tempi dell’Avvento e della Quaresima, dal severo stile a cappella. Nel
corso dell’anno ecclesiastico, le celebrazioni liturgiche nella Real
Cappella di Palazzo, dette "Cappelle Reali", si
svolgevano secondo un cerimoniale che prescriveva l’intervento vocale e
strumentale dei Musici di Corte, i quali, durante le funzioni, prendevano
posto nel particolare settore ad essi riservato, il cosiddetto "Coro
della Musica". Alle "Cappelle Reali" intervenivano la Famiglia del Viceré, i ministri, gli ambasciatori, la nobiltà, l’alto clero, le persone che ricevevano l’ambito onore di poter assistere alle funzioni ed in alcune occasioni gli "eletti della Città", cioè i rappresentanti del governo amministrativo cittadino. Santa Messa Solenne ogni domenica (in Quaresima anche il Venerdì). Primi Vespri il sabato. Festività di Natale: Sante Messe della Notte, dell’Aurora e del Giorno. Settimana Santa: Mercoledì Santo: ore 17 Ufficio delle Tenebre (Responsori e Lamentazioni). Giovedì Santo: ore 9,30 Messa in Coena Domini ore 17 Ufficio delle Tenebre (Responsori e Lamentazioni). Venerdì Santo: ore 9 Canto del Passio, adorazione della Santa Croce Canto degli Improperi. ore 18 Ufficio delle Tenebre (Responsori e Lamentazioni). Canto del Miserere e dello Stabat Mater. Alla sera, solenne Processione dalla Chiesa di San Maria della Solitaria al Palazzo Reale. Sabato Santo: ore 10 Solenne Veglia Pasquale. 15 agosto: Messa Solenne per l’Assunzione al Cielo della Beatissima Vergine Maria. Celebrazione Solenne delle Feste di N.S. Gesù Cristo, della Vergine Maria e degli Apostoli (10). A conclusione delle "Cappelle Reali", una "Salva reale" di alcuni colpi di cannone sparati sui bastioni delle “Regie Fortezze”, annunciava a tutta la Città di Napoli la fine del rito religioso. Gli avvenimenti significativi che esaltavano le felici sorti della Casa Reale di Spagna e successivamente d’Austria e dei suoi rappresentanti a Napoli, cioè nascite, battesimi, matrimoni, compleanni, onomastici e vittorie militari, venivano celebrati nella Real Cappella di Palazzo con il canto di un Te Deum, a cui seguiva la Messa Solenne. Uguale pompa era dispiegata nelle occasioni funebri di illustri personaggi, in cui erano previsti fino a nove giorni di lutto, con il canto del Requiem e del De Profundis, soffuso di mestizia, affidato alla maestria dei Musici della Real Cappella. La celebrazione liturgica del Vespro Domenicale nelle maggiori festività, sia nella Cappella di Palazzo che nelle principali chiese napoletane, costituiva un momento di grande solennità religiosa e di partecipazione di numerose istituzioni cittadine, arricchito nel cerimoniale e negli apparati da luminarie, sontuosi addobbi e palchi ed impreziosito dalla partecipazione prestigiosa e costante dei musici di Corte, sotto la guida del Maestro della Real Cappella.
Nell’ambito squisitamente musicale, la liturgia del Vespro
prevedeva numerosi assoli di soprano, duetti fra soprano e alto, nonché
varie combinazioni di voci, nella sezioni dei salmi e degli inni, come il Magnificat,
Dixit Dominus, Ave Maris Stella e Pange
lingua gloriosi.
Numerose testimonianze sull’assidua presenza dei Musici di Corte
alle celebrazioni dei Vespri solenni (soprattutto nelle festività natalizie
e pasquali), sono conservate nei documenti della Segreteria del Viceré di
quegli anni. Fra queste è significativo un breve dispaccio dell’8 aprile
del 1715, con il quale si intimava al Maestro della Real Cappella,
Alessandro Scarlatti e a tutti i Musici di partecipare alle celebrazioni del
Venerdì di quella settimana, nella Chiesa di Santa Maria della Solitaria,
al mattino alla Santa Messa e verso sera "a las Visperas de dicho
dia Viernes con el Maestro de Vozes e Instrumentos que se deve a la
comemoracion de aquel dia" (12). 3 dicembre, Festa di San Francesco Saverio, della Compagnia di Gesù, nella sua Chiesa avanti il Palazzo Reale; 8 dicembre, Festa dell’Immacolata Concezione della Beatissima Vergine Maria, nella Chiesa di Santa Maria la Nova; 16 dicembre, Festa del Patrocinio del Glorioso San Gennaro, nella Cappella Reale del Tesoro; 1 gennaio, Festa del Santissimo Nome di Gesù, nella Chiesa del Gesù Nuovo; 20 gennaio, Festa di San Sebastiano, nella sua Chiesa delle Monache; 7 marzo, Festa di San Tommaso d’Aquino, nella Chiesa di San Domenico Maggiore; 19 marzo, Festa di San Giuseppe, nella Chiesa delle Monache a Ponte Corvo; 25 marzo, Festa dell’Annunciazione, nella sua Chiesa; 2 aprile nella Chiesa di San Luigi di Palazzo, per la Festa di San Francesco di Paola; Domenica delle Palme, nella Chiesa di Monteoliveto; 16 maggio, Festa di San Giovanni Nepomuceno, Canonico di Praga, nella Real Chiesa di San Luigi di Palazzo. Lunedì di Pentecoste nella Chiesa dello Spirito Santo; 16 luglio, Solennità di Nostra Signora del Monte Carmelo, nella Chiesa del Carmine Maggiore; 25 luglio, Festa di San Giacomo Apostolo, nella sua Chiesa detta degli Spagnoli; 4 agosto, Festa di San Domenico di Guzman, nella sua Chiesa Maggiore; 12 agosto, Festa di Santa Chiara, nella Chiesa a lei dedicata; 3 novembre, speciale "Cappella Reale" per i soldati nella Chiesa di San Giacomo degli Spagnoli; 22 novembre, Festa di S. Cecilia, nella Chiesa di S. Maria di Montesanto, sede della Congregazione dei Musici. L’intervento dei Musici di Corte era richiesto anche nelle “Festive Memorie” dei santi particolarmente cari alla devozione del popolo napoletano, come S. Carlo Borromeo, S. Gaetano da Thiene, il Beato Giovanni Marinoni, S. Andrea Avellino, San Filippo Neri (nella Chiesa dei Padri dell’Oratorio), S. Agostino, S. Maria Egiziaca, S. Anna nella Chiesa de’ Lombardi, la Commemorazione della Beata Vergine Maria Addolorata nella Chiesa di S. Maria d’Ogni Bene dei Padri Serviti, solennizzata "con ricchissimo apparato e scelta musica". Stessa sontuosa magnificenza accompagnava le celebrazioni delle Confraternite, le Monacazioni di nobili dame e le occasioni particolarissime, come l’approvazione del Culto Immemorabile del Beato Andrea Conti dei Frati Minori, celebrata in S. Maria la Nova il 13 febbraio 1724, con "la Musica a 4 Cori delli primi Virtuosi di questa città, diretta dal celebre Pietro Auletta" e l’Incoronazione dell’immagine della Madonna della Purità, dipinta da Luis Morales e conservata nella Chiesa di San Paolo Maggiore, avvenuta il 7 settembre 1724. Fra le processioni, un rilievo particolare rivestivano quella del Corpus Domini, con un itinerario che si snodava dalla Cattedrale alla Chiesa di Santa Chiara e quella della Festa dei Quattro Altari, che aveva il suo culmine nel Largo di Palazzo prospiciente il Palazzo Reale, con la processione attorno alla Chiesa di San Giacomo degli Spagnoli. Nelle serate della stagione estiva, i Virtuosi della Real Cappella “con nobil Coro di scelte Voci e Musicali Strumenti” allietavano “il passeggio per mare e per terra presso le deliziose rive di Posillipo e l’ameno scoglio di Mergellina”, dove, su una splendida nave decorata con intagli dorati, attorniata dalle feluche della nobiltà, il Viceré, la sua Famiglia e l’Alta Corte si deliziavano all’ascolto di Serenate ed armonici concenti, intervenendo in forma pubblica, alle laute cene e rinfreschi organizzati dalle dame e i cavalieri presso l’incantevole riviera. Nel settembre del 1706, Domenico Gizzi cantò in un momento saliente della vita di corte, la Serenata “Li pastori e le ninfe di Partenope”, una delle ultime importanti creazioni musicali ispirate dalla committenza del Viceré Duca di Ascalona, rappresentata nel Palazzo Reale la sera del compleanno della Regina di Spagna Maria Luisa Gabriella di Savoia, moglie di Filippo V di Borbone-Angiò. Il componimento era stato posto in musica da Gaetano Veneziano, Maestro della Real Cappella, uno degli autori più rappresentativi del momento, molto stimato a corte per la sua musica sacra e numerosi pregevoli oratori. E nello scenario dei calorosi ed universali applausi riservati alla rappresentazione, i quattro interpreti, membri autorevoli della Real Cappella, fecero a gara nell’offrire all’eletto pubblico aristocratico la galleria completa degli affetti tipici dei personaggi pastorali, cari al linguaggio raffinato ed elegante del gusto barocco. A Domenico venne affidato il personaggio di Aminta, nelle cui vesti seppe mostrare il suo grande talento ed uno stile di canto raffinato e prezioso. Nel cuore del componimento, egli affrontò un’Aria di genere elegiaco-patetico “Se men t’amassi, ò bella”, seguita da un lungo recitativo celebrativo delle gesta del Monarca spagnolo e da un’Aria di bravura “Al suon dell’Armi”, con le sue simboliche evocazioni di guerra e di battaglie. E nella fase conclusiva della Serenata, un’ultima Aria “Bella, se non è appieno”, consacrava il successo del giovanissimo interprete.
Particolare del quadro del 1732 di Nicola Maria Rossi Questo primo periodo della vita artistica del Musico, assai movimentato per motivi politici, si concluse con la fine del Viceregno spagnolo e l’inizio del governo austriaco. Infatti, nel 1707, si fronteggiarono a Napoli il partito angioino fedele a Filippo V di Spagna ed il partito austriaco, che propugnava l’assegnazione del Regno di Napoli all’Arciduca Carlo, da parte dell’Imperatore Giuseppe d’Asburgo.
La contesa ebbe riflessi anche all’interno della prestigiosa
istituzione musicale, in quanto il Maestro della Real Cappella, Gaetano
Veneziano, simpatizzava per il Viceré spagnolo Duca d’Ascalona, mentre il
Primo Organista, Francesco
Mancini, era filoaustriaco. Il 6 luglio 1707, a seguito della Guerra di Successione spagnola, l’esercito imperiale austriaco giunse ad Aversa, dove il Maestro Mancini ed i Musici della Real Cappella fedeli all’Austria (fra cui con ogni probabilità il Gizzi), cantarono un solenne Te Deum, alla presenza del Maresciallo imperiale Conte di Martinitz. Il giorno successivo, l’esercito austriaco giunse a Napoli, dove il nuovo Viceré Conte di Martinitz, il Generale Conte di Daun e il Generale Vauban furono accolti dal popolo festante.
Il 31 agosto 1707 venne promulgata la Regia Cedola che decretava
l’abolizione di tutti gli impieghi ed uffici conferiti da Filippo V,
definito, sprezzantemente, il
Duca d’Angiò. Fra i Musici della Cappella Regia confermati nel loro incarico vi fu anche Domenico Gizzi e ciò avvenne sia per le sue distinte doti canore, che per la sua adesione al partito filoaustriaco del Mancini.
Al contrario, persero il loro ambito ufficio il Maestro Gaetano
Veneziano, suo figlio, il giovane organista Giovanni Veneziano ed il
Vice-Maestro della Real Cappella Domenico Sarro (15).
Anche nella sua rinnovata veste di primo musicista di corte, lo
Scarlatti si impose come personaggio eminente: le sue musiche per le
speciali festività di corte, scritte secondo uno stile operistico
scintillante, ne fecero un autentico caposcuola di indiscussa autorità.
Fra i virtuosi della Cappella Reale, il maestro fu lieto di ritrovare
il suo antico allievo Domenico Gizzi, con il quale un profondo legame di
stima e di considerazione reciproca non
era mai venuto meno.
Sotto la guida sapiente ed esperta di Alessandro Scarlatti, Domenico
non soltanto seppe far fronte con onore agli impegni prestigiosi della Real
Cappella, ma inaugurò una intensa attività di cantante, soprattutto nella
Città di Roma, dove lo Scarlatti, con la protezione del Principe Francesco
Maria Ruspoli e del Cardinale Pietro Ottoboni, mise in scena una importante
serie di opere in musica, fra cui il Telemaco, rappresentato nel 1718
al Teatro Capranica, nel quale volle affidare la parte principale del
protagonista proprio a Domenico Gizzi.
Il legame con la famiglia Scarlatti era certamente di profonda
confidenza e sincera amicizia, come conferma la presenza di Domenico nella
casa della nipote di Alessandro, Giuseppina Maddalena Eleonora, figlia di
Anna Maria Scarlatti, sorella del Maestro e dell’impresario teatrale
Niccolò Barbapiccola. Nata a Napoli il 19 marzo 1700, educata alla musica
da Jommelli e amica della figlia di
Giambattista Vico, Luisa, ella aveva
sposato, nel 1729, il ricco commerciante Francesco Maria Frezza. Donna di
notevole cultura, Giuseppina si stabilì nell’appartamento regalatole dal
padre, a S. Anna di Palazzo, in cui inaugurò un importante salotto
letterario-musicale, frequentato dal Gizzi, da Gizziello,
Farinello,
Caffarelli, Matteuccio, Nicolino e dal Leo, che divenne un milieu
privilegiato del mondo intellettuale e musicale napoletano dell’epoca. Il
Musico Gizzi venne confermato in tale ufficio dal nuovo Viceré il Conte di
Daun, con esplicito mandato del 7 gennaio 1714 (17). La crescente stima conquistata con l’esatto adempimento dei suoi doveri e le sue buone relazioni assicurarono a Domenico Gizzi l’ascesa nel maggior ufficio riservato ai cantanti accreditati a Corte. Con la nomina a Primo Sopranista della Real Cappella, ottenuta nel 1718, egli si collocò in una posizione di grande onore, ai vertici della istituzione musicale. Un’idea
degli emolumenti percepiti dai musici della prestigiosa compagine palatina
ci è fornita dalla Nota pubblicata dal benemerito musicologo napoletano
Ulisse Prota Giurleo.
Indicando lo stipendio mensile di tutti i musici, il prezioso
documento, tratto dagli Archivi della Casa Reale, conferma il trattamento
economico di tutto rispetto, riservato a Domenico Gizzi. Egli, infatti,
aveva un emolumento superiore al compositore Leonardo Leo, organista e a
numerosi altri musici. Solo il Maestro Alessandro Scarlatti, il celebre
Matteo Sassano, detto Matteuccio e pochi altri musici, ricevevano un
compenso mensile superiore al suo: "NOTA
DEI MUSICI DELLA R. CAPPELLA col
soldo corrispondente del
12 novembre 1722 Primo
Maestro Cav. Alessandro Scarlatti,
Duc. 35 Organista
Leonardo Leo Duc. 8 Soprani Domenico Gizzi Duc. 10
Matteo Sassano Duc. 30.2
.
. .
"
(18). Ulteriori aumenti del compenso mensile furono concessi dal Re Carlo di Borbone al Musico Gizzi il 26 luglio 1738 e il 16 febbraio 1744, (in entrambi i casi di due ducati). Nell’ultimo periodo della sua presenza nell’organico della Real Cappella di Napoli, è accertata una paga mensile a lui attribuito nella misura di 15 ducati. Pochi mesi dopo la sua morte, il Re ordinò che con il compenso mensile vacante fosse aumentata la retribuzione di 5 ducati a Caffarelli e 10 ducati all’altro musico di corte Giovanni Amadori (20).
Al Mancini, morto a Napoli il 22 settembre 1737, successe il
Vicemaestro Domenico Sarro (Trani 1679-Napoli 1744), con lo stesso stipendio
mensile di 35 ducati.
Domenico Gizzi conosceva bene ed apprezzava da tempo Domenico Sarro,
avendo interpretato con successo due ragguardevoli opere del maestro
pugliese e due raffinate Serenate, eseguite nel 1718 e nel 1720, nel Palazzo
Reale, per l’onomastico della Contessa di Daun, Viceregina e per il
compleanno dell’Imperatrice Elisabetta Cristina.
Infatti, il trattenimento accademico e mondano aveva trovato munifici
cultori nelle dimore aristocratiche partenopee, aperte periodicamente a
dotte e sontuose assemblee, in cui la musica riceveva la migliore
rispondenza. Una
preziosa cronaca del 1721 rivela la presenza autorevole di Domenico Gizzi in
uno di questi eruditi consessi, e costituisce una testimonianza privilegiata
del vigile affinamento stilistico, che fu di sicuro giovamento alla pura
virtuosità vocale di questo rinomato artista.
Secondo quanto riferito da questa memoria, mercoledì 23 aprile 1721, a Napoli, nella casa del rev. Don Tomaso de’ Mari si tenne "un’accademia di belle lettere", aperta dalla prolusione di Don Casimiro d’Andrea dei baroni di Sassano. Subito dopo, com’era costume in tali occasioni, il principe dell’accademia, Don Francesco Ansaldi, propose "con una orazion poliglotta" il tema della disputa retorica, sulla qualità necessaria al generale d’armate per ben condurre le sue imprese:
"Detto D. Francesco Ansaldi, oltre il superbissimo apparato,
trattenne gli uditori con scelta musica, nella quale cantarono Domenico
Gizzio e Francesco Vitale, virtuosi della Real Cappella, sotto la direzione
del famoso Domenico Sarro. La nobiltà convitata co’ regi ministri e
numerosi letterati non furon sazi d’ammirare il buon gusto e generosità
di detto principe dell’accademia" (21).
La compagnia di canto che faceva capo alla Romanina ed allo stesso
Metastasio, annoverava Domenico Gizzi fra i principali interpreti di tre
importanti “prime” dell'opera, nei prestigiosi teatri di Venezia, Reggio
Emilia e Roma.
Nello stesso anno Domenico partecipa, sempre nel ruolo di Araspe,
alla prima della Didone abbandonata posta in musica da
Nicola
Antonio Porpora, nel Teatro pubblico di Reggio Emilia, nuovamente al fianco
della Romanina, che interpreta la regina Didone e di Nicolino, nel
ruolo di Enea.
L’anno successivo l’opera del Metastasio faceva il suo ingresso
trionfale nella Roma pontificia, con musica del maestro Leonardo Vinci. A
causa del divieto per le donne, di cantare in teatro, vigente nell’Urbe,
il ruolo di Didone, sotto l’accorta direzione della Romanina, venne
affidato ad un celebre castrato Giacinto Fontana di Perugia, detto Farfallino,
mentre Domenico interpretava, come sempre, il ruolo di Araspe,
divenutogli congeniale e nel quale raccolse un memorabile consenso. Sempre al raffinatissimo ingegno del Metastasio si deve il testo poetico di alcuni Oratori di grande suggestione, in cui il tema religioso era accolto nelle forme teatrali, unendo sapientemente un sentimento spirituale, solenne e sincero, alle nobili aspirazioni umane e agli affetti morali, palesati, con intense meditazioni interiori, dai solisti e dal coro.
Nella Settimana Santa del 1732, per ordine del Viceré Conte di
Harrach, venne rappresentata una delle gemme più fulgide della produzione
religiosa di Leonardo Leo, l’Oratorio Sant’Elena al Calvario, per
il servizio della Cappella Reale di Palazzo, nell’occasione decorata con i
simboli della Passione del Signore (la Santa Croce, i chiodi, la Corona di
spine, i flagelli, ecc.) e tappezzata di ricchi velluti e damaschi. I
due ruoli principali di San Macario, Vescovo di Gerusalemme e Sant’Elena
Imperatrice, furono affidati, rispettivamente, a Domenico Gizzi e al suo
migliore allievo, Gioacchino
Conti, ai suoi esordi come interprete di
composizioni sacre.
Nel frontespizio del manoscritto della partitura, conservato nella
Biblioteca del Conservatorio di San Pietro a Majella a Napoli, è riportata
la dicitura: Da Cantarsi nel Real Palazzo di Napoli nel Anno 1732 Musica del Sig.r Leonardo Leo. Poesia del Sig.r Pietro Matastasio. Interlocutori
S. Elena
Il Sig.r Gioacchino Conti
S. Macario
Il Sig.r Domenico Gizzi
Eudossa
Il Sig.r D. Domenico
Floro
Eustasio
Il Sig.r Francesco Tolve
Dracliano
Il Sig.r Gio: Batt.a Palombo" (22).
Un esame dell’Oratorio, è stato compiuto dal musicologo Giuseppe
A. Pastore, massimo biografo del Leo, che a proposito degli interpreti della
prima esecuzione napoletana, così conclude:
"Questo Oratorio era stato scritto per una compagnia di
cantanti famosi e di grande bravura tecnica" (23). Sempre su questa importante composizione del Leo, la Dott.ssa Carla Cantatore di Nardò (Le), ha discusso la tesi di Laurea dal titolo “L’oratorio Sant’Elena al Calvario di Leonardo Leo”, presso l’Università degli Studi di Pavia, Scuola di Paleografia e Filologia Musicale, nell’Anno Accademico 1993-94.
A Domenico Gizzi furono affidati alcuni recitativi di chiara intensità
e tre arie di rara perfezione formale, degne di particolare menzione. In
questi brani, che costituiscono alcune fra le pagine più belle del testo
letterario (ammirate anche da Sant’Alfonso Maria de’ Liguori) il
personaggio del santo vescovo Macario, esprime molto efficacemente, con
versi purissimi, dal possente significato poetico e spirituale, i sentimenti
di profonda venerazione per il Santo Sepolcro e la vera Croce di Gesù,
particolarmente confacenti al periodo della Settimana Santa, a cui
l’esecuzione dell’Oratorio era destinata. Nel recitativo che precede l’aria di San Macario all’inizio della seconda parte dell’opera, il Metastasio mutua da Sant’Agostino un’aurea e suggestiva similitudine fra il grembo della Vergine Maria e il Santo Sepolcro, custodi entrambi del Verbo di Dio fattosi Carne e partecipi, seppur in diversa guisa, dell’umana Redenzione:
Della madre di Dio!
Chiudeste in voi
Dell’umana salute entrambi il prezzo,
Immaculati entrambi: e la grand’opra
Della pietà infinita
Fu cominciata in quello, in te compita.
In
te s’ascose
L’Autor del tutto,
Come nel seno
Che il partorì.
Ma
di quel fiore
Tu rendi il frutto;
Ma di quell’alba
Tu mostri il dì " (24). Un altro notevole Oratorio di Leonardo Leo, La Morte di Abele, sempre su testo del Metastasio, venne eseguito nel Palazzo Reale di Napoli, per ordine del Viceré Conte Luigi Tommaso Raimondo d’Harrach, nello stesso anno o nel seguente 1733. Sulla partitura conservata nella Biblioteca del Conservatorio di San Pietro a Majella non sono riportati i nomi degli interpreti, ma l’autore, l’anno ed il luogo della prima rappresentazione fanno ritenere probabile che alcuni fra gli esecutori siano stati gli stessi dell’altra Azione Sacra del Leo. Secondo l’autorevole opinione del musicista napoletano Giuseppe Sigismondo (1730-1826), riferita nel suo Manoscritto "Apoteosi della musica del Regno di Napoli", alla pag. 15 dell’Elogio di Leonardo Leo, queste due importanti composizioni religiose, commissionate al maestro dalla cattolicissima corte vicereale di Napoli, furono accolte con grande favore: "Nel
1732 [ Leo] scrisse l’oratorio di Metastasio La Morte di Abele, e
nell’anno seguente Sant’Elena al Calvario del medesimo, cantati nel Real
Palazzo per ordine di Sua Eccellenza il viceré conte d’Arrach, che ebbero
uno straordinario applauso"
(25).
A margine del mese di maggio del 1737, il foglio annota,
scrupolosamente, che Domenico Gizzi, fuori di Napoli per due mesi dal 20 di
maggio, è rientrato, in conformità al permesso ricevuto, il 19 luglio
dello stesso anno.
Nel 1741, l’annotazione accanto al nome del musicista nel foglio di
giugno, precisa che Domenico era rientrato a Napoli il 29 dello stesso mese,
al termine di un periodo di congedo, trascorso presso i suoi familiari a
Ceccano.
In particolare, le attestazioni dell'anno 1758, firmate da Giuseppe
di Majo, Primo Maestro della Real Cappella, assicurano che Domenico fu
presente nella prestigiosa istituzione reale fino a poche settimane prima
della morte. La documentazione, particolarmente preziosa, fornisce sicure notizie sugli ultimi anni di vita di Domenico Gizzi.
La prima nota rinvenuta dal Pannain "Maniera di mettersi a
concorso la Piazza di primo maestro della Real Cappella al Real Palazzo",
fa conoscere i membri della Commissione esaminatrice, presieduta dal
Marchese d’Arienzo e dall’Arcivescovo di Tessalonica, Cappellano
Maggiore e la sede di riunione nell’appartamento del Marchese d’Arienzo,
nel Palazzo Reale, precisando, minuziosamente, tutta la procedura del
concorso, dalle affissioni dell’avviso, allo svolgimento e all’esame dei
lavori presentati.
Il 20 dicembre 1752, dopo la morte di Francesco Giampriamo (fagotto)
e di Alessandro Lizio (violoncello) le “piazze di questi strumenti”
vennero messe a concorso. La commissione esaminatrice era composta da don Francesco Sopriano, don Domenico Gizzi, don Giuseppe Avitrano, don Domenico Merola, don Domenico de Mattheis, don Giacomo Vitozzi, don Giuseppe de Majo, il Cappellano maggiore e il Marchese d’Arienzo, Don Lelio Carafa, capitano delle guardie del corpo di Sua Maestà.
I concorrenti per la piazza di violoncello, furono due: Giuseppe
Romanelli e Giuseppe Valerio. L’esame consisteva nella esecuzione di un
pezzo per viola da gamba sola e nella composizione di un brano con viola e
due oboi e di un brano su un basso composto dal musicista napoletano don
Giuseppe de Bottis.
Chiamato ad esprimere il suo giudizio ed il suo voto, dopo aver
ascoltato i due concorrenti, Domenico Gizzi, dichiarò che "amendue
i concorrenti si sono portati bene, ma egli antepone Giuseppe Valerio"
(30). La maggioranza dei commissari, invece, si espresse in favore del
Romanelli, a cui venne assegnato il posto.
Per la piazza di fagotto i concorrenti furono Cherubino Coreno e
Girolamo di Donato. Dopo l’esame, la Commissione assegnò la piazza di
fagotto al di Donato, lo stesso giorno 20 dicembre 1752. Nuovi concorsi si
svolsero nel 1753 e nel 1754, rispettivamente, per il posto di liuto, di
corno e di tromba.
Un concorso di maggiore importanza si svolse il 15 novembre 1756, per
la piazza di voce di basso. Nella commissione esaminatrice figurava anche il
famoso sopranista Caffarelli, che, in questa occasione, non smentì il suo
proverbiale sussiego.
Il 26 aprile 1758 si tenne il pubblico concorso per le piazze di
“musico soprano”, resasi vacante per il ritiro del musico
Giovanni Manzoli, di “musico tenore”, per la morte di Alessandro
Inguscio, e di violino, per la morte di Domenico de Mattheis.
Il posto di violino venne assegnato ad Antonio Moresco, a cui anche
il Gizzi aveva conferito il suo voto. La commissione esaminatrice, concluse
i lavori il 10 giugno 1758, assegnando all’unanimità, le piazze di
soprano a Salvatore Conforti e di tenore a Litterio Ferrari.
Il compenso mensile per le tre piazze era rispettivamente di quattro
ducati al mese, da accrescersi fino a dodici per il sopranista, di ducati
quattro fino a otto per il tenore e
di carlini ventisei al mese, da accrescersi fino a ducati sei per il
violinista.
Anche nel sereno tramonto della sua vita operosa, consacrata
intieramente all’arte dei suoni ed al virtuosismo vocale, egli si mostrò
una personalità di primissimo piano ed un musicista eminente, dedito con
entusiasmo a quell’autentica missione che aveva così mirabilmente
illuminato il suo cammino umano.
Ammalatosi gravemente, Domenico volle redigere in Napoli
il suo testamento, per gli atti del notaio
Salvatore Palumbo, con cui
istituì una primogenitura in favore del fratello Pietrangelo e dei suoi
figli, lasciando nel contempo "un tenue legato a favore dei figli
dell’altro fratello predefunto Giuseppe" (31) di ducati
duecento e suoi frutti e un legato di Sante Messe, da celebrare in suffragio
della sua anima (32).
Alla morte di Domenico Gizzi, avvenuta in Napoli il 14 ottobre 1758, il cordoglio unanime fu espresso, con innumerevoli attestati di sincera partecipazione, dai membri della Casa Reale, dalle grandi famiglie della nobiltà partenopea e da tutti coloro che avevano apprezzato i suoi pregi musicali ed umani. I contemporanei ben compresero che con lui si spegneva un
testimone ed un protagonista privilegiato di una stagione artistica e di
costume, certamente irripetibile, che aveva fatto di Napoli la capitale
indiscussa della civiltà musicale europea ed in particolare del teatro
d’opera.
Apprezzato e ben voluto da tutti per le sue qualità di buon cuore e
di fine signorilità, egli riceveva così l’ultimo omaggio di molti suoi
colleghi, di cui era stato consigliere ed amico sincero, e dei suoi numerosi
allievi, per i quali aveva sempre avuto gesti di protezione e di benevolenza
quasi paterna, seguendo la loro attività artistica, sempre pronto ad
intervenire premurosamente in loro favore, in un mondo contrassegnato,
invece, da accesissime invidie e rivalità.
Maestro di profonda cultura musicale, uomo di rara discrezione e di
vera onestà, amabile e riservato nella vita privata, pur conducendo una
vita ricca di soddisfazioni e di successi, si era sempre tenuto lontano
dagli intrighi di palazzo e dagli eccessi che caratterizzarono la vita
artistica di molti sopranisti dell’epoca.
Costui conosceva molto bene il Musico Gizzi, anche perché, nel 1727,
era stato ammesso come basso nella Cappella del Tesoro di San Gennaro, dove
risultava in carica ancora nel 1734.
Nelle memorie, l’Abate racconta un episodio della sua carriera
artistica: insieme ad altri virtuosi (il soprano Domenico Gizzi, il
contralto Don Domenico Floro, il celebre Matteo Sassano, detto Matteuccio
ed il Maestro di Cappella Giuseppe de Bottis), stava "cantando a
più Cori di Musica" nella Chiesa di San Luigi di Palazzo, nella
Festa di San Francesco di Paola, fondatore dell’Ordine dei Padri Minimi,
organizzata dal Principe Sanseverino di Bisignano. In quella occasione egli
ricevette dal Gizzi e dagli altri amici un prezioso consiglio, che fu
determinante per la sua futura ammissione nella Real Cappella di Napoli.
L’elogio lusinghiero per Domenico Gizzi, chiaro e senza giri di
parole, è molto pregnante, poiché proviene da un collega che aveva
imparato a conoscere da vicino la forte personalità di questa figura
emblematica del mondo musicale napoletano, avvertendone tutta la ricchezza
intellettuale e umana:
"il sig. Domenico Gizzio, uom per lo canto in voce soprana, e
per le doti del suo animo molto commendevole",
(33) insieme agli altri virtuosi gli
suggerì di rivolgersi ad Alessandro Scarlatti ed alla Vice Regina, per
ottenere l’ambito incarico di Basso nella Real Cappella, conferitogli il
20 Marzo 1717.
"Domenico
Egizio esercitò con perfezione l’arte del canto, e fu anche precettor
valente"
(34).
"Avea Gizzi appresa la musica filosofica dal più grande
Maestro. Si era perfezionato sullo studio della natura. Quindi le sue
composizioni parlavano al cuore, ed erano piene di vivacità, di estro e di
naturalezza. Aveva anche una bella voce di Tenore, ed una eccellente
comunicazione, per cui i suoi allievi nel canto riuscirono sempre
bravissimi" (35). Il Grossi assicurava di aver ricevuto le preziose notizie su Domenico Gizzi e Gizziello, riportate nella biografia, da Giuseppe Sigismondi, Archivista del Reale Conservatorio di Musica, uno degli epigoni della Scuola Musicale napoletana, già bibliotecario del Conservatorio di Santa Maria della Pietà dei Turchini, nel quale aveva formato la biblioteca musicale.
Il giudizio del Grossi venne ripreso quasi alla lettera dal Marchese
di Villarosa, nella sua importante opera sui Compositori di Musica del Regno
di Napoli e dal musicologo François Joseph Fétis, che, nella Biographie
universelle des Musiciens, al Tome Quatrième, rielaborò i dati della
biografia del Grossi. Anche il Florimo nella sua classica opera, La
Scuola Musicale di Napoli, pubblicò nuovamente le notizie biografiche
del Gizzi, rifacendosi quasi alla lettera a quanto attestato dal Grossi.
La fama di Domenico Gizzi restò salda anche nel corso del XIX
secolo, come conferma la citazione del nome del musico contenuta nella
monumentale opera Storia degli Italiani, scritta da Cesare
Cantù. Questo grande storico, nel ricordare gli allievi che uscirono dalla
scuola partenopea di Alessandro Scarlatti, pose accanto a Domenico, figlio
del maestro, "il Gizzi lodato per dolcezza"
(36).
"1730 Domenico
canta nei teatri di Napoli, ed è reputato uno dei migliori cantanti di
quell’epoca (Vedi Cantù Storia degli Italiani)"
(37). Tutte le enciclopedie musicali, alla voce corrispondente, citano, anche se con le consuete informazioni e con le date di nascita e di morte inesatte, la figura e l’opera del musicista.
Un profilo ampio e ben informato è quello apparso sul New
Grove’s Dictionary, che si deve ad un illustre studioso della Scuola
musicale napoletana, Michael F. Robinson (39).
Negli ultimi anni, la figura del Gizzi è riemersa dall’oblio
grazie alle due monografie di grande successo, scritte da Patrick Barbier, "Gli
evirati cantori" e "Farinelli", entrambe
tradotte in Italia da Rizzoli, in cui l’esteso e documentato quadro della
stagione musicale tardo-barocca, si arricchisce di preziose notizie, dati e
aneddoti di sicura suggestione sui principali esponenti della scuola vocale
italiana del Settecento.
Recentemente, due studiosi napoletani, Francesco Cotticelli e
Paologiovanni Maione, hanno curato una specifica pubblicazione di documenti
della Real Cappella di Napoli, Le Istituzioni Musicali a Napoli durante
il Viceregno austriaco (1707-1734), Materiali inediti sulla Real Cappella ed
il Teatro di San Bartolomeo, Luciano Editore, Napoli 1993. Il testo, che si segnala per la ricchezza di dati inediti, cita numerose volte Domenico Gizzi, indicato come "uno dei più lodati soprani della Cappella" (40), offrendo alcune rilevanti informazioni sulla sua carriera artistica.
Nuovi particolari sono contenuti nell’ultima opera dei due autori,
Onesto divertimento, ed allegria de’ popoli. Materiali per una storia
dello spettacolo a Napoli nel primo Settecento, Ricordi 1996. Nel
1997, il Prof. Saverio Franchi ha pubblicato un’opera di grande respiro Drammaturgia
Romana, II (1701-1750), che esamina con dovizia di particolari tutti i
drammi per musica rappresentati a Roma nella prima metà del XVIII secolo.
Il Prof. Franchi segnala ampiamente il ruolo di rilievo assunto da Domenico
Gizzi sui palcoscenici romani e formula l’ipotesi che il cantante possa
aver mutato il registro vocale da soprano a quello di contralto verso il
1722 (41).
Nel Dizionario Biografico degli Italiani, edito
dall’Istituto della Enciclopedia Italiana, fondata da Giovanni Treccani,
Tomo 57, Roma 2001, è apparso un notevole profilo del musicista redatto da
Ennio Speranza, contenente ampie informazioni sulla sua vita artistica. Per
tale voce, l’autore della presente memoria ha fornito il testo dell’atto
di battesimo del musico, insieme ad alcune informazioni inedite o poco note,
raccolte negli ultimi anni.
Vai a 4 - Interprete delle Serenate Celebrative L'ANGELICA e LA GALATEA che segnarono l'esordio del
Metastasio a Napoli
A cura di Il Principe del Cembalo - Rodelinda da Versailles Arsace da Versailles - Faustina da Versailles Arbace - Alessandro - Andrea & Carla Un enorme grazie a Avvocato Stefano Gizzi Nei restauri, ancora in corso, con Stefano Gizzi, hanno collaborato e si ringraziano: 1) il Maestro Ebanista COLOMBO VERRELLI, che ha restaurato le porte, ne ha realizzato di nuove sempre secondo lo stile dell'epoca, ha restaurato alcuni mobili fra cui lo scrittoio del Musico Domenico Gizzi ridotto in cattivo stato. 2) il Maestro FRANCESCO BARTOLI, pittore e decoratore, per la scelta dei colori, la definizione degli stessi con le tonalità assolutamente dell'epoca e l'arredamento delle sale con materiali, carte e stucchi, rigorosamente d'epoca. |