(Arpino, 1684 - Napoli, post 1745)

          Gli anni del Viceregno austriaco a Napoli (1707-1734) furono fecondi per il mecenatismo musicale e videro il fiorire di una straordinaria stagione artistica di eccezionale qualità, che si dispiegò nell’arco di quasi un trentennio, con grandiose rassegne musicali destinate a scandire, ad un ritmo incessante, le numerose cerimonie istituzionali e aristocratiche.

         All’ombra della squisita sensibilità estetica dell’alta società napoletana, la personalità artistica di Domenico Gizzi divenne molto ricercata per l’allestimento di cantate e serenate, che testimoniavano la magnificenza della Corte vicereale, l’altissimo livello della musica e la suggestione dello spettacolo privato, affidato ai linguaggi raffinati della poesia, del canto e dell’ingegno scenografico di spiccata impronta teatrale.

         Nel periodo di massimo fulgore della spettacolarità cortigiana e privata, infatti, la scena vicereale provvedeva ad esaltare l’aspetto celebrativo di occasioni solenni, grandiose ed effimere, ispirate al fasto eroico ed al gusto mitologico.

         Con il termine di Serenata si designava una cantata di ampie proporzioni, destinata ad una platea convenuta nel Palazzo Reale o in una dimora nobiliare, per celebrare speciali eventi delle grandi casate o ufficiali e solenni occasioni, come feste onomastiche e compleanni reali e vicereali, matrimoni, battesimi e ricorrenze religiose.  

paesaggio bucolico arcadico

         Tratti da soggetti mitologici o arcadico-pastorali, i testi poetici delle Serenate facevano emergere l’elemento celebrativo-encomiastico, evidentissimo nella struttura formale, affidata, per l’ambito musicale, ad un notevole organico vocale e strumentale.

         I migliori compositori dell’epoca venivano chiamati dalla Casa Reale e dalle grandi famiglie dell’aristocrazia partenopea a comporre le partiture di queste Azioni per Musica, spesso divise in due atti, e strutturate secondo uno schema fisso, ormai classico: ad una sinfonia strumentale introduttiva, seguivano un Prologo e vari recitativi alternati ad arie, con brillante e vivace accompagnamento di orchestra, in ripieno di concerto.

         Ai virtuosi di maggior rilievo erano affidate le arie in cui potevano fare bella mostra delle loro qualità, sviluppando ampie fioriture vocali, insieme a serene e dolci melodie, che secondavano pienamente i gusti del pubblico colto a cui l’opera era rivolta. Tutte col da capo ed in forma tripartita, le arie costituivano un momento privilegiato per gli abbellimenti e le ornamentazioni vocali, che esaltavano i pregi stilistici dei celebrati cantanti.

         Un ulteriore conferma della grande rinomanza e della stima di cui godeva Domenico Gizzi presso la Corte e l’alta nobiltà partenopea è costituita dalle numerose occasioni in cui, con assoluta certezza, è documentata la sua presenza fra i cantanti di importanti Serenate, eseguite a Napoli.

   

SERENATA A QUATTRO VOCI/da cantarsi nel Real Palazzo/il dì 4 dicembre 1718/ giorno in cui si festeggia/il nome/Dell’Eccellentissima Signora /BARBARA D’ERBESTEIN / Contessa di Daun, Principessa di Teano /e Vice Regina in questo Regno /di Napoli./In Napoli 1718./ Nella Stampa di Michele Luigi Muzio.

 

Sul frontespizio dell’unica copia a stampa di questa Serenata giunta fino ad oggi, Vicerè Wirich Philiph Lorenz, Conte di Daun conservata attualmente nella Biblioteca Statale di Lucca, è annotato il nome di Nicasio Pastor Arcade, con ogni probabilità l’autore del testo poetico. A tergo del frontespizio sono indicati gli interpreti e l’autore della musica. Domenico Gizzi, "Musico della Real Cappella", interpretava il ruolo di Mercurio; Gaetano Borghi, Giove; Anna Dotti, Venere e Giovanni Battista Minelli, Giunone. Il compositore della musica, Domenico Sarro, a quell’epoca si era già  posto in chiara luce con numerose composizioni drammatiche e religiose.

Nella Prima Parte della Serenata a Domenico Gizzi è affidata un’Aria, mentre nella Seconda Parte, egli canta in un Duetto con Venere ed in un Recitativo ed un’Aria, verso la conclusione del componimento.

Proprio a quest’ultimo lungo brano cantato da Domenico era affidato l’aspetto celebrativo della festa musicale, in cui l’allusione al soggetto mitologico si concludeva con un grazioso inno alla fama ed alle virtù della Viceregina nel giorno del suo genetliaco, senza trascurare le devote lodi e gli ossequiosi elogi per l’Imperatore austriaco Carlo VI e per il Viceré Wirich Philiph Lorenz, Conte di Daun e la sua illustre consorte.

     "MERCURIO  

        Gran Padre delle cose,

Gran Rettor delle sfere,

Dalla terra ritorno,

Che ben tutta veloce ho corso intorno;

Non già le prische, dolorose, e fiere

A te reco novelle,

Mà più liete, e più belle.

Sappi, che su gran parte

Dell’Italia guerriera

Tornata è omai la gloria sua primiera;

Che vi regna il gran CARLO,

E con sì giusto zelo,

Che mentre io vi scorrea

Ancora mi parea d’essere in Cielo.

La spiaggia poi ben fortunata, e amena

Del Fiumicel Sebeto,

E’ per opra di lui

Di cotanta Virtù ricolma, e piena,

Che Regno mai così felice, e lieto Non vide il Lazio antico,

Sol per virtù dell’immortal VIRRICO,

E della Donna altera,

Che con VIRRICO impera,

Che ben non conoscea

Se fosse Donna, o Dea.

        Più che Ninfa, e che Sirena

             La palesa la Beltà.

        Di valore ha l’alma piena,

            Che si scopre eccelsa Dea;

              altra creder la potea,

           Se di raggi ornata và." (1)

           Nel ricchissimo ambiente musicale e spettacolare della Napoli austriaca, le Feste Teatrali e Musicali organizzate a Corte per festeggiare il compleanno e l’onomastico dell’Imperatore e dell’Imperatrice, rivestivano un ruolo di primissimo piano.

         Questi strumenti di autocelebrazione e di esaltazione della potenza degli Asburgo, erano concepiti in funzione di una perfetta fusione, nell’espressione drammatica, delle ragioni della politica con l’arte musicale e lo spettacolo di Corte.

         Cardinale Wolfango Annibale di SchrattembachI grandiosi festeggiamenti per il genetliaco imperiale si concludevano con la messa in scena di una imponente Serenata, eseguita nel Palazzo Reale, dagli interpreti di maggior prestigio del momento, alla presenza del Viceré, della Corte e della nobiltà.

         Le celebrazioni del 1720 riservarono a Domenico Gizzi una importante apparizione sul prestigioso palcoscenico del Teatro musicale di Corte, sul quale egli incontrò il gradimento generale.

         Il nostro virtuoso cantò, infatti, nello "Scherzo Festivo tra le Ninfe di Partenope", fatto rappresentare, dal Viceré, il Cardinale Wolfango Annibale di Schrattembach (1660-1738), nella gran Sala detta dei Viceré del Palazzo Reale, trasformata in Teatro, per festeggiare il Compleanno dell’Imperatrice d’Austria Elisabetta Cristina (2).

         Il testo della composizione, scritto dal poeta Domenico Gentile, era stato posto in musica da Domenico Sarro.

         Accanto a Domenico, che interpretava il ruolo di Dorinda, cantarono Marianna Benti Bulgarelli, detta la Romanina, nel primo ruolo, Santa Marchesini, la modenese Margherita Salvagnini ed il basso Don Antonio Manna.

         In questo momento musicale, grandioso ed esclusivo, l’azione drammatica seguiva un modello ormai consolidato, in cui i motivi celebrativi ed encomiastici erano inseriti in una ambientazione pastorale con precisi richiami ai temi mitologici partenopei.

         Nella Serenata, i brani affidati a Domenico Gizzi furono molto gratificanti per un virtuoso del suo valore: nella Prima Parte, un’aria, un duetto ed il tutti finale; nella Seconda Parte un’aria, poi un quartetto con la Bulgarelli, la Marchesini e la Salvagnini, quindi un’aria encomiastica in cui il sopranista faceva chiara allusione alla sospirata nascita di un erede per il Trono Imperiale d’Austria ed il Coro finale.

  Il duetto di Domenico Gizzi (Dorinda) con Margherita Salvagnini (Antiniana), nella Prima Parte, sembra annunciare l’imminente stagione della poesia arcadica metastasiana:

 

                        "Ant. e Dor. a 2  Venticello che soave

                                                        Sussurrando intorno spiri

                             Ant.                    Fiumicello che frà l’erbe

                             Dor.                    Mormorando qui t’aggiri

                             Ant.                     Deh ristora

                             Dor.                    Deh conforta

                             A 2                      Il mio penar.

                             A 2                      Vanne, vola al caro bene

                                                        Dì che torni, e le mie pene

                                                        Venga lieto a temperar " (3).

           L’incisione in rame dell’Apparato Scenico della rappresentazione della Serenata testimonia come la scenografia fosse stata concepita appositamente per celebrare in uno spettacolo esclusivo e di magnifica suggestione teatrale, la grandezza della Casa Imperiale degli Asburgo. La Sala dei Viceré, riccamente addobbata per l’occasione, era tutta un susseguirsi di preziosi drappeggi e decorazioni lungo le pareti.

Gli interpreti in abiti sgargianti, disposti al centro della Scena teatrale, seduti e circondati dall’orchestra, facevano sfoggio delle loro apprezzate qualità artistiche e dei loro straordinari talenti melodici, nel ricco rifrangersi di temi e situazioni sceniche proprie del miglior repertorio di allusioni metaforiche e celebrative del genetliaco imperiale.

           La cronaca della fortunata rappresentazione, riferita dalla Gazzetta di Napoli, fornì alcuni preziosi particolari sugli aspetti più propriamente musicali della grandiosa celebrazione, rendendo noto che l’organico impegnato nella Serenata fu di ben 140 strumentisti:

           "Domenica [1 settembre 1720] … si cantò una famosa Serenata in lode di detta Augustissima Signora Imperatrice Regnante intitolata Scherzo Festivo tra le Ninfe di Partenope composta da celebre Poeta, ed uno de’ principali di questa città Domenico Gentile, posta in note dal celebre Maestro di Cappella Domenico Sarro … cantandovi li primi Virtuosi e Virtuose, che qui si ritrovano con l’accompagnamento di 140 istromenti … come si vede in un vago disegno intagliato in Rame nelli libretti impressi" (4).

  Vicerè Conte Luigi Tommaso Raimondo d'Harrach          Al 1720 ed al 1722 risalgono due pregevolissime Serenate in cui compare Domenico Gizzi, L’ANGELICA e LA GALATEA, su testo del giovane Metastasio (5), mentre  due  altre importanti Cantate sono di dieci anni più tarde e sempre destinate ad illustrare particolari avvenimenti di corte.

  Il Viceré Conte Luigi Tommaso Raimondo d’Harrach (6) nella mattinata del 23 aprile 1732, "d’Ordine della Sacra Ces. Catt. Real Maesta di CARLO VI, IMPERADOR DE’ ROMANI", aveva conferito a quattro esponenti della più illustre aristocrazia napoletana "L’insigne Ordine del Toson d’Oro".

La stessa sera, nel Palazzo Reale venne rappresentato GIASONE, Componimento per Musica (7), per festeggiare questo evento che negli intendimenti della politica austriaca avrebbe dovuto rafforzare sommamente i legami fra la corte viennese e l’alta nobiltà napoletana.

Il testo era il risultato di un adattamento compiuto da Luigi Maria Stampiglia di un componimento poetico scritto da Silvio, suo padre, posto ora in musica da Nicola Antonio Porpora. L’argomento si ispirava alla vicenda mitologica di Giasone, Cavaliere di Argo, che, con l’aiuto dei suoi compagni, tentò la conquista del Vello d’Oro, a cui l’Ordine cavalleresco imperiale si richiamava apertamente.  

Giasone calma i tori

Nella parte conclusiva, come era solito costume, facevano ingresso nell’opera i temi celebrativi ed encomiastici, secondo cui il popolo partenopeo sotto l’impero di Carlo  viveva un rinnovato "secol d’oro" e l’alta concessione dell’Imperatore costituiva un singolare premio per la fedeltà alla politica imperiale mostrata dalle classi dominanti del Viceregno.

E proprio al personaggio di Giasone toccava l’alto onore di introdurre nel componimento il senso metaforico di tutta la Cantata: il Vello d’Oro, nelle "Età future" avrà "maggior lustro" nel Sacro Romano Impero, divenendo il simbolo di un glorioso Ordine Cavalleresco.  L’omaggio al gran Monarca "Carlo il Grande assiso in Soglio" e gli elogi per il Viceré Conte di Harrach, inviato dall’Imperatore nella Città partenopea, scaturivano da un profondo senso di fedeltà, che esaltava le glorie imperiali in ossequio alle regole della vita cortigiana, e faceva riecheggiare diffuse e condivise significazioni letterarie, musicali e politiche, nell’apoteosi di questa occasione scenica.Carracci: La fuga degli Argonauti

"E colà, dove corre

Il placido Sebeto in grembo al Mare,

Del posseduto Regno

Da CARLO a sostener sue veci eletto

Verrà un’Eroe si degno,

Che Astrea già mai si scosterà dal lato.

Questi di già fregiato

D’un Raggio del gran Vello

Che d’Oro splenderà di CARLO in petto,

Ornerà di sua mano

D’altri Raggi di quello

Quei Sudditi, che degni

Renderà di tal premio il suo Sovrano.

Sotto un sì dolce Impero

       Dall’uno, e l’altro polo

       Il Popol più straniero

       Lieto, e contento à volo

       A soggettarsi andrà.

       E CARLO il FORTUNATO

       De Sudditi l’amore

       Premiando a tutte l’ore

       Grato

       Si mostrerà" (8).

           La nota delle spese sostenute per questo allestimento testimonia la grandiosità ed il fascino raggiunto dal mecenatismo politico-aristocratico nelle celebrazioni ufficiali (9).  

         Con il minuzioso coordinamento del cerimoniere Marchese Vitelleschi, cantarono due prime donne, insieme a Domenico Gizzi, un suo allievo (con ogni probabilità Gioacchino Conti) ed al grande tenore Francesco Tolve.

         La paga ricevuta da Domenico Gizzi per questa interpretazione fu di 13,50 ducati, la stessa somma percepita dal suo allievo.

         I fortunati invitati alla cerimonia nel Palazzo Reale poterono assistere ad uno spettacolo certamente di assoluto riguardo, poiché, insieme alla musica, gli interventi scenografici apportati alla Gran Sala, confermarono l’importanza e l’opulenza senza pari dell’allestimento:

         ricchi drappi di damasco e di broccato turchino con galloni in oro, i ritratti dell’Imperatore Carlo VI d’Asburgo e dell’Imperatrice Elisabetta Cristina con sfarzosa cornice, l’Aquila Imperiale con la Corona, lo Stemma del Vicerè Conte Luigi Tommaso Raimondo d’Harrach, 10 arazzi, la statua della Fama, tre altre statue, 64 puttini, stoffe di tela d’oro, 6 grandi lampadari di cristallo, 22 lumiere di cristallo, 46 cornucopie dorate per le torce!

         Per il Prof. Paologiovanni Maione, i due ruoli femminili furono sostenuti da Lucia Facchinelli e Maria Teresa Cotti, in quella stagione stelle acclamate del Teatro San Bartolomeo (10).

         L’organico dell’orchestra impegnata nella Serenata era davvero imponente: due cembali, a cui sedevano Francesco Mancini e Leonardo Leo, trentadue violini, sei violette, due violoncelli, quattro contrabbassi, due arciliuti, due trombe, sei oboi, quattro corni da caccia e un fagotto.

         La potente Casata dei Pignatelli volle celebrare degnamente la concessione dell’altissimo riconoscimento a Don Diego, Duca di Terranova e Monteleone, con la rappresentazione di Margherita di Francia, nei panni di Minerva - Jean de Court - 1555"EGERIA/ Favoletta drammatica/da umiliarsi all’alto Soglio/ dell’augustissimo Imperatore/ CARLO VI./Da Margherita Pignatelli/Duchessa di Terranova e Monteleone/in divoto ossequioso ringraziamento,/per l’onor conceduto al Duca/suo marito/dalla Clementissima/Cesarea Maestà/ decorandolo dell’insigne Ordine del/Toson d’Oro/E da cantarsi in casa della medesima Duchessa" (11).

         Dall’unica copia del libretto oggi nota apprendiamo che il testo poetico era a firma di Girolamo Torriani e la musica di Giuseppe di Majo, organista della Real cappella. Domenico Gizzi, interpretava Partenope, Gioacchino Conti, nel ruolo di Egeria, Domenico Annibali, al servizio del Re di Polonia,  Minerva, Francesco Tolve, Sebeto. L’allestimento del fastoso apparato scenico venne affidato a Nicola Canale e il libretto, secondo il Grossi, era stato "Dato alle stampe da Ricciardi, in quarto col rame del Teatro estemporaneo" (12).

         Dopo il Prologo, l’Introduzione cantata dal Genio Augusto, nella Prima Parte si alternano, nello stile consueto, recitativi ed arie. Al personaggio di Partenope sono affidate due arie ed il finale a cinque (i quattro personaggi più il coro), mentre nella Seconda Parte canta una sola aria.

 I temi encomiastici riecheggiano già nella Prima Parte nel dialogo fra Minerva, Sebeto e Partenope. Minerva celebra il prestigioso Ordine Cavalleresco del Toson d’Oro, che per clemenza imperiale ora impreziosisce la più eletta aristocrazia napoletana, "fu eletto/Di aureo Vello a freggiar il petto". Questo intenso momento si conclude con un’aria arcadica cantata da Domenico Gizzi:

 "PARTENOPE

Dall’uno all’altro Polo

    Spieghi la Fama il volo,

    E canti il nostro onor.

In questa, e in quella sponda

    Con dolce Eco risponda

    La Fedeltà, l’Amor" (13).

Nella Seconda Parte della Cantata, al termine di un recitativo encomiastico, Partenope riprende i temi della devozione e dell’omaggio alla Casa Regnante d’Austria ed al suo massimo rappresentate in Napoli, il Viceré Conte di Harrach, con suggestioni simboliche ed allegoriche degne degli avvenimenti esaltati.

     "PART.   Il ravvisi ben tu diletta Egeria

             Il saggio Reggitor di nostra Gente?

SEB.      Siede al più folto in mezzo

                       Luminoso drappel de’ Semidei

                          Con la gentil sua Real Donna accanto

                              Di Lamagna, e del Mondo esempio e vanto.

EGER.  L’uno, e l’altra io ravviso;

                          E piego all’alta Coppia

                          Ossequiosa il pie, la fronte, e ‘l viso.

PART.   Quel bel desio, che suole

                               Spingere il Cervo al fonte,

                               La Rondinella al nido,

                               Il Navigante al lido

                               S’accenda nel tuo cor

                               Vieni, e favella.

                          Con placido sembiante

                                       Il grand’Eroe t’attende,

                               E in Ciel per te risplende

                               Un tropp’alto favor

                               D’amica Stella" (14).

        La fase conclusiva della Cantata è affidata a Egeria, interpretata da Gioacchino Conti, che elogia le grandi Virtù, la clemenza, e le eccelse grazie, concesse dall’Imperatore e dal suo illustre rappresentante, il Viceré di Napoli, formulando, prima del Coro conclusivo, i ferventi voti di ogni fedele e devoto suddito:

           "Giove in Cielo, e CARLO in Terra

   Sempre Augusto in Pace, e in Guerra

   Trionfando regnerà" (15).

           Anche di fronte alla dispersione di altre fonti manoscritte, possiamo ipotizzare che Domenico Gizzi si sia dedicato a questo genere musicale, lungo tutto l’arco della sua attività artistica, come attestano le importanti circostanze della committenza aristocratica e la considerazione di cui godeva, presso la Corte vicereale e le principali famiglie nobili partenopee, in primis i Principi Pignatelli e Caracciolo della Torella.

In ogni caso, la perdita di molte fonti, avvenuta nel corso dei secoli, anche a causa delle vicissitudini storico-politiche del Regno di Napoli, si deve soprattutto al fatto che la cantata e la serenata, per la loro natura di genere colto e raffinato, erano destinate ad un pubblico piuttosto ristretto, con diffusione prevalentemente manoscritta, e, solo in casi particolari, date alle stampe.  

L’intensa e proficua relazione artistica che univa il Musico ad Alessandro Scarlatti, Nicola Antonio Porpora, Leonardo Leo e Domenico Sarro, ci porta a ritenere che il cantante sia stato un interprete privilegiato delle Cantate da Camera e Spirituali di questi fecondi autori, che peculiarmente in tale genere raggiunsero degli esiti di straordinaria ricchezza stilistica ed espressiva.

           Il ruolo di grande prestigio conseguito da Domenico Gizzi negli anni del Viceregno austriaco è confermato da un documento del Capitano del Guardia Alemanna del 22 maggio 1729, in cui il Conte Pulcherio di Porcia suggeriva al Viceré Conte di Harrach di accogliere la domanda di licenza presentata dal Musico per il Carnevale del 1730.

Nel contempo, poiché Domenico Gizzi era considerato "il migliore soprano" della Cappella di Corte, si giudicava necessario rimediare alla sua assenza con l’ingaggio di un altro soprano a discrezione del Maestro della Real Cappella Francesco Mancini, obbligando assolutamente Gizzi a rientrare a Napoli per "li primi di Quadragesima, per assistere alle Funzioni tutte, e particolarm.te a quelle della Settimana Santa" (16).

 

1) SERENATA A QUATTRO VOCI, …, Napoli 1718, pag. 7 r et v. Il Conte Wirich Philiph Lorenz di Daun, Generale dell’esercito austriaco, aveva partecipato con le truppe imperiali, nel 1707, alla conquista del Regno di Napoli, divenendo Viceré negli anni 1707-1708  e 1713-1719.

 

2) SCHERZO FESTIVO/TRA LE/NINFE DI PARTENOPE/Rappresentato in Musica/nel superbo Teatro/Eretto nella gran Sala detta de’ Vice-Rè/nel Real Palazzo di Napoli/Nel Giorno 28. d’Agosto Comple annos/ di Sua Maestà Ces. e Catt./l’Augustiss. Imperadrice Regnante/ELISABETTA/di Bransuik Wolfentbutel/per Ordine di Sua Eminenza/il Sign. Cardinale/WOLFANGO ANNIBALE/DI SCHRATTEMBACH/Vice-Rè, Luogotenente, e Capitan/Generale di questo Regno./In Nap. Appresso Francesco Ricciardi 1720. Le uniche due copie a noi note della Serenata si conservano nella Biblioteca Nazionale di Napoli, Biblioteca Brancacciana e nella Biblioteca Valperga del Castello di Masino a Caravino (To).

 

3) Ibidem, pag. 5 v. Il Viceré Cardinale Wolfango Annibale di Schrattembach era nato il 12 settembre 1660 a Lemberg in Stiria (Austria). Alunno del Collegio Germanico, Vescovo Principe di Olmouc dal 23 novembre 1711, il 18 maggio 1712, venne creato Cardinale da Papa Clemente XI, con il titolo di San Marcello al Corso a Roma, la chiesa in cui si venera il celebre Crocifisso Miracoloso del XIV secolo. Morì a Brunn il 22 luglio 1738.

 

4) THOMAS GRIFFIN, Musical References in the Gazzetta di Napoli 1681-1725, Berkeley, CA, Fallen Leaf Press, 1993, pag. 91, n. 416, (Cronaca del 3 settembre 1720, n. 36).

 

5) L’unica copia a noi nota del libretto de L’ANGELICA è conservata nella Biblioteca Nazionale di Napoli, mentre quella de LA GALATEA è conservata nell’Istituto Germanico di Roma. CLAUDIO SARTORI, I Libretti italiani a stampa dalle origini al 1800,  Catalogo analitico con 16 indici, Bertola & Locatelli Editori, 1990, Vol. III, pag. 253.

 

6) Il Conte Luigi Tommaso Raimondo d’Harrach (1669-1742), Viceré di Napoli dal 1728 al 1733, finissimo  intenditore di musica, proveniva da una antica e prestigiosa Famiglia legata agli Asburgo. Un altro illustre esponente di questa Casata il Principe Arcivescovo di Salisburgo, Franz Anton d’Harrach (in carica fino al 1729) fu protettore del musicista veneziano Antonio Caldara.

 

7) GIASONE, …, Napoli 1732. L’unica copia oggi nota è conservata nella Biblioteca Statale di Praga al Klementinum.

 

8) Ibidem, pagg. 30-31.

 

9) FRANCESCO COTTICELLI - PAOLOGIOVANNI MAIONE, Onesto divertimento, ed allegria de’ popoli. Materiali per una storia dello spettacolo a Napoli nel primo Settecento, Ricordi 1996, pagg. 170-171.

 

10) Ibidem, pag. 171. Lo scenotecnico della rappresentazione fu Cristofaro Rossi.

 

11) EGERIA, …, Napoli 1732. Le uniche due copie a noi note sono conservate nella Biblioteca Marucelliana di Firenze e nella Biblioteca della Società di Storia Patria di Napoli.

 

12) GIOVANNI BATTISTA GENNARO GROSSI, Domenico Gizzi e Gizzielli suo allievo, in Biografia degli Uomini Illustri del Reame di Napoli, Nicola Gervasi, Napoli 1819, pag. 4, nota 1.

 

13) EGERIA, cit., pag. 9.

 

14) Ibidem, pag. 14.

 

15) Ibidem, pag. 16.

 

16) Archivio di Stato di Napoli, Segreterie dei Viceré, Fasc. 1852, Ex.do 22.V.1729.

 

 

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A cura di

Il Principe del Cembalo - Rodelinda da Versailles

Arsace da Versailles - Faustina da Versailles

Arbace - Alessandro - Andrea & Carla

Un enorme grazie a

Avvocato Stefano Gizzi

Nei restauri, ancora in corso, con Stefano Gizzi, hanno collaborato e si ringraziano:

1) il Maestro Ebanista COLOMBO VERRELLI, che ha restaurato le porte, ne ha realizzato di nuove sempre secondo lo stile dell'epoca, ha restaurato alcuni mobili fra cui lo scrittoio del Musico Domenico Gizzi ridotto in cattivo stato.

Scrittoio originale di Domenico Gizzi - restaurato dal maestro Maestro Ebanista COLOMBO VERRELLI

2) il Maestro FRANCESCO BARTOLI, pittore e decoratore, per la scelta dei colori, la definizione degli stessi con le tonalità assolutamente dell'epoca e l'arredamento delle sale con materiali, carte e stucchi, rigorosamente d'epoca.

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