(Arpino, 1684 - Napoli, post 1745)
Disperse le composizioni sacre e da camera con
cui egli aveva esordito a Napoli, dimenticata la carriera teatrale che in
molte stagioni liriche lo aveva visto al fianco delle maggiori compagnie di
canto, nei teatri italiani del XVIII secolo, la saldissima fama di Domenico
Gizzi fu affidata per tutto il corso del secolo successivo alla sua attività
di Maestro di Canto.
Verso il 1720, su pressante suggerimento di
Alessandro Scarlatti, egli aprì a Napoli una scuola di canto, che doveva
renderlo celebre.
Il biografo Grossi assicurava che lo Scarlatti,
da sommo maestro, aveva ravvisato in Domenico Gizzi, "oltre degli
studj teoretici, ed un’ottima voce, una chiarezza di comprensione, ed una
felicità di espressione, e di comunicazione di idee. I presagj del
prudentissimo Maestro non andarono falliti. Dalla scuola di Gizzi uscì una
moltitudine prodigiosa di eccellenti cantanti" (1).
E nell’excursus storico delle diverse scuole
italiane di canto, il Mancini non mancava di ricordare quella diretta in
Napoli da Domenico Gizzi:
Molti sono gli allievi
sortiti da queste scuole, resi celebri tanto per l’esercizio dell’arte
che professarono, quanto pel numero di nuovi scolari che fecero, tramandando
così con una non interrotta successione chi l’una, chi l’altra delle
bellezze dell’arte stessa, ed i più naturali e facili modi di superarne
gli ostacoli nell’eseguirle" (3). Lo
spagnolo Stefano Esteban de Arteaga, nel tracciare nel 1785 la Storia del
teatro musicale del XVIII secolo, pose Domenico Gizzi fra gli insegnanti più
rinomati dell’arte vocale napoletana, che con il loro metodo rigoroso,
avevano suscitato una schiera di ottimi discepoli "prodigi
di melodia, che si fecero ammirare in tutta l’Europa"
(4).
Fra gli allievi di Domenico Gizzi si
segnalarono alcuni affermati artisti che fecero risuonare le loro splendide
voci nei teatri italiani e stranieri, onorando altamente il nome del loro
amato maestro: -
GIOACCHINO CONTI, detto GIZZIELLO, (qui)
nato ad Arpino il 27 febbraio 1714 (5).
-
ANGELINA SPERDUTI, detta la CELESTINA, nata in Arpino il 29 marzo 1729
e
morta nel 1760 a Calais. Si impose soprattutto nei teatri inglesi, per l’avvenenza e l’arte melodica e scenica, sposando poi il Duca di Oxfard. Tornata ad Arpino da Miledi, in occasione della festività di Maria SS.ma Assunta in cielo, fece erigere un altare nei pressi della sua abitazione, su cui pose una statua della Vergine. Al momento della processione, volle cantare con voce angelica, un Salve Regina a grande orchestra, che commosse tutti i suoi concittadini. Prima di lasciare la Città natale, donò alla Vergine un prezioso gioiello. Nel viaggio di ritorno verso
l’Inghilterra, la Celestina morì a Calais, dove venne sepolta, in un
elegante sepolcro di marmo bianco, con una bella iscrizione latina, che
ricordava la patria, la religione, le virtù eminenti ed il suo felice, ma
breve, matrimonio con il Lord inglese.
- GIUSEPPE SIDOTI (Sedoti, Sidotti o Siddoti), soprano, nato ad Arpino il 7 febbraio 1716 e morto nella stessa cittadina il 1 febbraio 1792.
Dopo le stagioni di esordio, cantò nei teatri
di molte città italiane, fra cui Roma (1748-49) e Venezia (1751-52).
Nel dramma Lucio Papirio Dittatore,
rappresentato nel Teatro delle Dame nel Carnevale del 1748 e musicato dal
napoletano Gennaro
Manna, Giuseppe Sidoti interpreta un ruolo femminile,
accanto a Gaetano Majorano detto Caffarelli e a
Gregorio Babbi.
In alcune opere, come l’Artaserse di
Jommelli ed Arminio di Gioacchino
Cocchi, rappresentate al Teatro
Argentina nella stagione di Carnevale del 1749, egli compare al fianco del
suo celebre concittadino Gioacchino Conti.
Di particolare importanza la sua presenza a
Stoccarda, presso la Corte del Duca Carlo Eugenio di Wurtemberg, nel periodo
in cui uno dei massimi compositori napoletani, Niccolò Jommelli, aveva
assunto l’incarico di Ober-Kappelmeister.
In occasione dei festeggiamenti del 1752 per il
“giorno natalizio” della Duchessa Elisabetta Sofia Federica, moglie del
Duca regnante, Giuseppe Sidoti canta nel Teatro Ducale di Stoccarda,
nel ruolo di Gandarte, in Alessandro nell’Indie,
posto in musica da Baldassarre Galuppi e l’anno successivo è interprete,
nel ruolo del protagonista, di Fetonte, la prima opera di
Jommelli
rappresentata a Corte, in cui sono visibili le tracce di una drammaturgia
rinnovata ed uno stile potente e tragico, che segnano gli inizi della
riforma dell’opera seria intentata dal colto musicista italiano.
Al termine di questa stagione teatrale, Giuseppe Sidoti tornò in Italia e venne ammesso nella Cappella Pontificia, come soprano soprannumerario (6). Dopo molti anni di servizio, a causa di una malattia, egli fece ritorno ad Arpino, dove concluse i suoi giorni. -
Cavalier FILIPPO SIDOTI (Sedoti, Sidotti o Siddoti) nato ad Arpino nel 1716
e morto nella cittadina natale il 15 aprile 1784. Soprannominato, in alcuni libretti, "il Napolitano", si impose nell’opera buffa, interpretando, di preferenza, una varietà di ruoli nei soggetti comici, sia in Italia che all’estero. Negli anni 1748-1750 a Napoli, si esibisce al Teatro della Pace e al Teatro de’ Fiorentini, in alcuni Drammi Giocosi, con musica di Nicola Logroscino, Nicola Calandro, Don Michelangelo Valentini e Domenico Fischietti. Dopo aver preso parte ad applaudite rappresentazioni teatrali
nelle città di Genova, Vercelli, Venezia e Torino, Filippo Sidoti si recò
in Germania, dove cantò nel 1754 a Berlino. Nel 1758 egli fu ad Amburgo,
interprete di tre opere napoletane, rappresentate nella stagione di
Carnevale, il Don Calascione di Gaetano Latilla e due drammi giocosi
per musica di Gioacchino Cocchi, La Maestra e Li Matti per
amore.
Il cantante fu per 29 anni al servizio del Re Federico II di Prussia, in qualità di Musico Aulico (7). -
Canonico Don GAETANO COSSA, nato ad Arpino nel 1715. Al termine degli studi,
fu chiamato in Roma, dove si fece ammirare come apprezzato cantore della
Cappella Pontificia (8).
Enrico Celani, nella sua opera su I Cantori
della Cappella Pontificia nei secoli XVI-XVIII, riporta alcune preziose
notizie sull’attività del Cossa in Vaticano.
Con biglietto del 16 marzo 1746, egli veniva
ammesso come numerario nella parte di basso: "Il sig. Maestro della Cappella Pontificia darà la cotta al sig. Giacomo Cossa, d’Arpino,
ammettendolo per numerario nella parte di basso.
Alessandro card. Albani"
(9).
Il Canonico Giacomo Cossa morì ad Arpino il 26
maggio 1792 e le solenni esequie organizzate dalla Cappella Pontificia in
suffragio della sua anima, si svolsero il 18 giugno nella Chiesa Nuova di
Santa Maria della Vallicella in Roma.
-
Don DANIELE QUADRINI, nato ad Arpino nel 1734. Anch’egli entrò nella
Cappella Papale, dove per molti anni prestò servizio come voce di basso (10).
Il Celani precisa che Quadrini entrò a far
parte dell’organico della Cappella Pontificia l’8 settembre 1753 (11).
Dopo dieci anni di servizio, per gravi motivi di salute, egli dovette
rientrare in Arpino. Nel 1773, persistendo la malattia, il fratello del
cantore fece istanza al Pontefice Clemente XIV affinché gli fosse
conservato l’emolumento. Il Papa acconsentì, attribuendogli la somma di
cinquanta scudi annui.
Don Daniele Quadrini morì in Arpino l’11
gennaio 1805 (12). -
DOMENICO GUGLIETTI, baritono, nato a Campoli, nei pressi di Sora, nel 1730 e
morto a Napoli nel 1803, illustrò con la sua arte il genere comico. Come
segnala Claudio Sartori, Guglietti fu interprete, nel ruolo di Bellisario,
della “Farsetta per musica”, La Serva spiritosa o Li ripieghi
della Medesima, con musica di Pasquale Anfossi, rappresentata a Roma,
nel 1763, al Teatro Capranica. -
SEBASTIANO ROSCIO, di Fondi, accolto da Domenico Gizzi nella sua casa nel
1711. Il maestro si impegnava a "impararlo di musica, così di
cantare, come di sonare secondo le sue capacità", provvedendo
con premura non solo alla sua educazione musicale, ma "durante
detto tempo d’anni tre" anche a "darli da mangiare, e
bere, e calzarlo, e vestirlo secondo il suo stato", percependo un
pagamento globale di 125 ducati, in tre rate (13).
Secondo le indicazioni di Claudio Sartori,
Sebastiano Roscio ebbe una certa notorietà a Napoli, interpretando, nel
1720, il ruolo di Neniello, nella Commedia musicale in dialetto
napoletano di Leonardo
Vinci, Lo Scagno, “Fantasia marinaresca”,
rappresentata al Teatro dei Fiorentini di Napoli (14). - FRANCESCO FEO, (Qui) indicato da Giovanni Battista Gennaro Grossi fra gli allievi che profittarono dell’autorevole dottrina musicale di Domenico Gizzi (15). Il celebre compositore napoletano studiò nel Conservatorio di Santa Maria della Pietà dei Turchini e al termine degli studi, si perfezionò nella conoscenza dei segreti della musica vocale con Domenico Gizzi. Probabilmente, il Feo sostituì il maestro alla guida della sua fiorente Scuola di canto verso il 1745. La notizia riferita dal Grossi è stata ripresa nel Novecento da vari studiosi, fra cui il musicologo Andrea Della Corte, nella sua voce su Feo, pubblicata dall’Enciclopedia Italiana: "Non meno prezioso fu per il Feo l’insegnamento di Domenico Gizzi, che quasi suo coetaneo, s’era venuto affermando insigne maestro di canto" (16). Formare un allievo e prepararlo ad affrontare le scene italiane e straniere costituiva un compito notevole, poiché il cantante, autentico “mostro sacro” della società settecentesca, era fatto oggetto di adulazione e di un entusiasmo incredibile, ricercato ed osannato oltre ogni dire. La minuziosa preparazione di questi virtuosi durava molti anni, ed affidava alla perizia del maestro, il compito di scorgere il vero talento e di trasformare un fanciullo promettente in un cantante di fama internazionale. Il legame che si configurava fra l’insegnante e l’allievo era assai complesso. Da un lato, il professore provvedeva alla formazione artistica dei discepoli, esaminati e scelti con cura prima dell’inizio dei corsi. E’ evidente che il successo dell’allievo privato, avrebbe contribuito ad aumentare la fama e la rinomanza del maestro e della sua scuola, come avvenne nel caso di Gioacchino Conti. Oltre alla
retta per il mantenimento agli studi del ragazzo, il maestro poteva contare,
in molti casi, sui proventi conseguiti
negli ultimi anni di formazione o in parte dei compensi
offerti al giovane
nei primi anni di carriera, dopo il debutto sui palcoscenici.
D’altro canto, i vantaggi per l’allievo non
erano disprezzabili, poiché la sua educazione veniva curata personalmente
dal maestro, che seguiva direttamente il progresso degli studi, evitando al
giovane i problemi della dura vita quotidiana nei Conservatori napoletani. Vivendo in familiarità con il maestro, i discepoli privati erano aiutati, con particolare sensibilità, a superare i disagi affettivi e psicologici, conseguenti alla loro delicata condizione.
Inoltre, la rete di rapporti intessuta dal maestro con gli impresari
teatrali e le istituzioni religiose, assicurava la possibilità di un
dignitoso debutto sulle scene o di un esordio onorevole nelle cappelle
musicali.
Dopo aver fondato la sua scuola per
l’insegnamento privato del canto, Domenico Gizzi si dedicò con fervore ad
una intensa attività pedagogica, impostando il “corpus didattico” sulle
celeberrime tecniche vocali napoletane, di cui conosceva tutti i segreti.
Seguendo un suo personalissimo metodo
didattico, con cui adattava le conoscenze preziose e la ricca esperienza
acquisita negli anni, alla natura ed alla disposizione particolare del
cantante, il Gizzi si distinse per la qualità dell’insegnamento e per
l’educazione di altissimo livello.
I vari gradi della preparazione erano proposti
con singolare premura al discepolo. Dopo aver appreso gli esercizi
preliminari, la messa di voce, la pronuncia, i registri di petto e di testa,
l’allievo era chiamato ad esercitarsi, con costanza, nei solfeggi, arie e
duetti indicati dal maestro, per mezzo dei quali raggiungeva la pienezza
della tecnica vocale e la perfezione nell’intonazione, i trilli, negli
intervalli, le appoggiature e l’ornamentazione.
Al termine degli studi, i risultati erano
davvero eccellenti, poiché il cantante raggiungeva una sicura padronanza
della respirazione, una sicurezza nell’intonazione ed un’autentica
comprensione della funzione degli abbellimenti e dei vocalizzi, in relazione
al testo poetico e musicale.
"Non è detto che il Gizzi mettesse per iscritto i suoi
precetti. In un certo senso, anzi, ritengo che insegnanti così famosi
tenessero poco alla divulgazione di certi “segreti” non generici, messi
da loro in pratica nell’educazione delle voci e di volta in volta adattati
alle particolarità dell’allievo. Persino i trattatisti più celebri
(Tosi, ad esempio) lasciano insoddisfatta almeno una parte della curiosità
di chi ad essi attinge" (18). La scuola di canto fondata a Napoli da Domenico Gizzi godeva, quindi, di una reputazione meritata, poiché il maestro conosceva alla perfezione tutti i segreti dell’arte del canto ed i mezzi per trasmetterla con frutto ai suoi discepoli.
Vai a 9 - La “Casa
Palaziata” di Ceccano ed i beni del Musico Gizzi
A cura di Il Principe del Cembalo - Rodelinda da Versailles Arsace da Versailles - Faustina da Versailles Arbace - Alessandro - Andrea & Carla Un enorme grazie a Avvocato Stefano Gizzi Nei restauri, ancora in corso, con Stefano Gizzi, hanno collaborato e si ringraziano: 1) il Maestro Ebanista COLOMBO VERRELLI, che ha restaurato le porte, ne ha realizzato di nuove sempre secondo lo stile dell'epoca, ha restaurato alcuni mobili fra cui lo scrittoio del Musico Domenico Gizzi ridotto in cattivo stato. 2) il Maestro FRANCESCO BARTOLI, pittore e decoratore, per la scelta dei colori, la definizione degli stessi con le tonalità assolutamente dell'epoca e l'arredamento delle sale con materiali, carte e stucchi, rigorosamente d'epoca. |