Gioacchino
Conti nacque ad Arpino il
27 febbraio 1714 da
Marc’Antonio e Dorodea Merluzzi, genitori di modesta
condizione. Il giorno successivo venne condotto nella Chiesa
Abbaziale e Collegiata di San Michele Arcangelo, dove fu
battezzato dal sacerdote Don Clemente Fasoli, che gli impose i
nomi di Gioacchino Domenico Antonio. Suoi padrini furono il
Signor Francesco Ruggieri e sua moglie Lorenza (1).
Per un male sopraggiuntogli nell’infanzia, fu
sottoposto all’evirazione.
Il Fétis, comunque nutriva forti
dubbi sulla necessità terapeutica dell’operazione che
attribuiva, invece, alla estrema povertà della sua famiglia,
desiderosa di assicurargli, così, un avvenire di successo come
sopranista.
Poiché il fanciullo mostrava una vivacità di talento,
una sensibilità di spirito ed una voce armoniosa e dolce, i
musici della sua città suggerirono al padre di condurlo a
Napoli, in età di otto anni, affinché entrasse nella famosa
scuola di canto aperta dal concittadino Domenico Gizzi.
Questo maestro intravvide subito ciò che poteva
attendersi dal fanciullo e lo accolse gentilmente in casa sua,
lo alimentò a sue spese e gli offrì tutte le sue cure,
istruendolo con la maggiore amorevolezza, per ben sette anni. ''Non
si può esprimere -riferiva Giovanni Battista Mancini-
né
l’amorose attenzioni del maestro nell’istruirlo, né la
fedele esecuzione del buon scolare nell’ubbidire il suo
maestro''(2).
Per sincera gratitudine verso il suo precettore e in
omaggio a colui che lo aveva educato e riguardato come un
figlio, Gioacchino assunse il soprannome di Gizziello,
(alcune volte, sui libretti, trasformato in Egiziello),
che doveva renderlo celebre in tutta l’Europa.
Egli serbò
per tutta la vita un profondo legame di affettuosa amicizia per
il suo maestro Domenico Gizzi, con testimonianze di
riconoscenza, continuamente rinnovate, nei confronti di chi lo
aveva formato personalmente e della sua “famiglia
d'adozione”.
E sarà proprio Gizziello, con lettera di
procura, il Padrino nel Battesimo di Stefano Antonio Leopoldo
Fortunato Gizzi, figlio di Pietrangelo, fratello minore di
Domenico, e di Elisabetta Aceti, impartito a Ceccano, nella
Chiesa di San Giovanni Battista, dall’Arciprete Flaminio
Giorgi, il 2 settembre 1742 (3).
Al termine del severo
corso di studi, grazie alle premure ed ai dettami del Gizzi,
Gioacchino era in grado di esibirsi sul palcoscenico e di
affrontare senza timori anche il pubblico più esigente.
Secondo la tradizione, Gizziello debuttò a Roma, nel
Teatro delle Dame, il 4 febbraio 1730, nell’opera Artaserse
di Leonardo
Vinci, riscuotendo un grandissimo successo, di
fronte al pubblico che aveva imparato ad apprezzare il suo
antico maestro, e che salutò nelgiovanissimo esordiente una delle migliori voci
d’Italia. Agli albori dei suoi successi romani si riferisce un
aneddoto che ebbe vasta risonanza nel mondo musicale
dell’epoca e fu ripreso in tutte le cronache contemporanee.
L’anno seguente all’esordio del Gizziello, si doveva
rappresentare in Roma la Didoneabbandonata di
Leonardo
Vinci, su libretto del Metastasio e il giovane cantante
venne chiamato ad interpretare il ruolo principale.
Il
Caffarelli, uno dei maggiori sopranisti dell’epoca,
era appena ritornato in Napoli ricoperto dagli allori conseguiti
nei massimi teatri europei. Poiché aveva sentito parlare in
termini entusiastici del giovanissimo sopranista, che si
apprestava a recitare nel Teatro Argentina di Roma, egli volle
conoscere il valore del Gizziello, recandosi ad ascoltarlo di
persona.
Trascrizione
del minuetto a cura del maestro Lorenzo
Antinori,
in
prima assoluta in tempi moderni, con esecuzione live su
strumento Cembalo
La sera dello spettacolo, entrò in platea ricoperto di
un mantello, per non farsi riconoscere e, al termine della prima
aria, recitata con somma bravura dal Gizziello, prese un
controtempo e fra gli applausi calorosi, alzandosi in piedi,
sorprendendo tutti gridò: ''Bravo! Bravissimo
Gizziello! E’ Caffarelli che tel dice!''. Detto
questo, fra la sorpresa generale, uscì dal teatro e fece
ritorno a Napoli.
L’approvazione del
Caffarelli, conosciuto per la sua
alterigia e per il disprezzo che nutriva nei confronti dei
colleghi cantanti, costituì una solenne consacrazione dei pregi
canori del nuovo astro musicale.
Su
questo aneddoto riferito dal Grossi, peraltro assai noto
all’epoca, abbiamo anche la testimonianza autorevole di
Charles Burney, a cui era stato narrato a Vienna da Marc-Antonie
Lauger, Medico della Corte Imperiale e valente musicista.
Probabilmente, Lauger, musicologo raffinato e amico di Domenico
Scarlatti, lo aveva appreso durante il suo soggiorno in Italia (4).
Le
rappresentazioni romane si rivelarono un vero trionfo: il
pubblico applaudiva, con grande trasporto, l’arte musicale del
Gizziello, ''la sua dolcissima voce, adorna dei vezzi
più sopraffini dell’arte. Nè vi fu cuore tanto duro che
nell’arie tenere e patetiche cantate da lui, profuso non
avesse dagli occhi copiosissime lagrime''(5).
Le notizie storicamente documentate, rinvenute
recentemente, indicano nella Città di Napoli il luogo in cui il
giovane sopranista mosse i primi passi della sua fortunata
carriera musicale.
Secondo questi preziosi dati,
Domenico Gizzi
preparò con
la massima cura le prime esibizioni pubbliche di Gioacchino, ed
attese l’occasione propizia di un avvenimento di primissimo
rilievo per presentare all’esigente pubblico partenopeo il
Gizziello, appena sbocciato musicalmente, con la sicura speranza
che questi si sarebbe innalzato, ben presto, al rango di
virtuoso di gran fama e di prestigio indiscusso.
Per le grandiose celebrazioni del Centenario della Festa
del Patrocinio di San Gennaro, (festa istituita in
ringraziamento al Santo, per aver liberato la Città di Napoli
nel 1631 dall’eruzione del Vesuvio), la Deputazione della Real
Cappella del Tesoro di San Gennaro, attribuì la somma di ben 26
ducati, ''al Magnifico Domenico Egizzio e al Magnifico
Gioacchino suo figliolo'', in ragione della loro
partecipazione ai festeggiamenti musicali del dicembre 1731 (6).
L’anno successivo, Gioacchino conseguì un successo
straordinario nella cantata“Egeria”, eseguita in casa del Duca Pignatelli
di Monteleone, a Napoli, in cui cantava anche il suo maestro
Gizzi e l’anno seguente, in casa del Principe di Avellino, fu
protagonista di una Cantata a quattro voci, dal titolo “Cimotoe”,
con poesia dell’Abate Niccolò Giuvo e musica di Francesco
Araya, in occasione delle nozze del Principe di Avellino con la
Duchessa di Maddaloni. Fra gli interpreti figurava anche
Faustina Bordoni, celebre mezzosoprano, moglie del compositore
sassone Giovanni Adolfo Hasse.
Questi lusinghieri successi indussero il maestro Gizzi a
promuovere una lunga tourneé del suo migliore allievo nei
maggiori teatri d’Italia, dove il giovane fu accolto con
grandi applausi, sincera ammirazione e felice riuscita.
Una delle Città in cui gli arrise maggior successo fu
certamente Napoli, che lo vide protagonista, negli anni
1732-1733, al Teatro di San Bartolomeo, di alcune opere di
Francesco Mancini,
Leonardo
Vinci,
Leonardo Leo e
G.A. Hasse.
Ristrutturato dal celebre architetto Ferdinando Bibiena, su
commissione del Duca di Medinaceli, questo teatro conosceva in
quegli anni un ultimo scorcio di vero splendore. Dopo aver
ospitato, all’inizio del secolo, gran parte della maggiore
produzione di Alessandro
Scarlatti, sulla ribalta del San
Bartolomeo si susseguivano, a ritmo vertiginoso, le nuove
creazioni dei giovani operisti napoletani.
Per l’intera stagione, Gizziello sostenne con eloquente
raffinatezza dei ruoli di grande valore, esibendosi in quattro
produzioni, al fianco di Faustina Bordoni Hasse, Lucia
Facchinelli, Maria Teresa Cotti e del tenore Francesco Tolve.
Gli impegni del sopranista presso il Teatro di San Bartolomeo
furono scanditi dai cospicui compensi, ricevuti per gli
allestimenti: dalla primavera del 1732 al carnevale dell’anno
successivo, l’onorario a lui destinato fu di ben 850 ducati (7).
I primi successi del nuovo astro musicale napoletano
vennero particolarmente apprezzati dal Viceré Conte di Harrach,
che con sensibile mecenatismo, lo pose sotto la suprema
protezione dell’istituzione vicereale.
E la fama del Gizziello
volò velocemente verso la Corte Imperiale di Vienna, sulle ali
di una lettera del 5 febbraio 1732, con cui il Conte di Harrach
informava direttamente l’Imperatore Carlo VI d’Asburgo
dell’apparizione sulle scene napoletane del giovanissimo
sopranista ''Scolar del Musico Domenico Gizzi'',
che cantava con delizioso gusto ed eccezionale espressione,
destando l’ammirazione di tutti (8).
E per ricevere la consacrazione internazionale, Gizziello
lasciò Napoli, alla volta di Vienna, nel marzo 1734, dove cantò
nella Cappella Imperiale nell’Hofburg, nell’OratorioSan Pietro in Cesarea, di Apostolo Zeno, posto in
musica dal Vice Maestro della Cappella Imperiale, il veneziano
Antonio Caldara(9).
Accolto con il massimo riguardo nella
capitale austriaca, il giovane cantante suscitò l’entusiasmo
e il vivissimo consenso della Famiglia Imperiale e del poeta
cesareo, Pietro Metastasio, meritando grandi riconoscimenti
dalla munificenza dell’Imperatore.
Dopo altre rappresentazioni italiane a Venezia e a
Genova, quale protagonista di opere di Gaetano Maria Schiassi,
Leonardo Leo e Pietro Vincenzo Ciocchetti, fu ingaggiato da
Georg Friedrich Haendel nell’aprile del 1736 e si trasferì a
Londra.
Nella capitale inglese, Gizziello conobbe un intenso
momento di gloria, che contribuì a risollevare le sorti di
Haendel, protagonista, da alcuni anni, di una guerra teatrale
molto aspra,
che vedeva, su opposti schieramenti il Re
d’Inghilterra, Giorgio II fervente sostenitore di Haendel ed
il Principe di Galles,
Federico, fautore di una nuova società
operistica, in contrapposizione al maestro tedesco,l’Opera della Nobiltà.
Approfittando della situazione
di gravi difficoltà in cui si dibatteva Haendel, la Società
del Principe di Galles aveva rilevato il contratto di affitto
del King’s Theatre ad Haymarket, per alcuni anni tempio
dell’opera haendeliana, chiamando come direttore musicale il
maestro Nicola
Porpora, assistito dal librettista Paolo
Rolli.
Fra l’altro, l’Opera della Nobiltà aveva
immensamente aumentato il suo prestigio, assumendo nel suo
organico artistico i migliori cantanti che avevano abbandonato
la compagnia di Haendel:
Il successo dell’Opera della Nobiltà raggiunse il
culmine con l’arrivo a Londra del celebre Farinello,
interprete di un memorabile Artaserse, su libretto di
Metastasio e musiche in larga parte di
G.A. Hasse.
Per Haendel, la venuta a Londra di Gizziello si rivelò
un evento provvidenziale, gravido di positive conseguenze, per
la sua carriera artistica e per quella del giovane sopranista,
l’unico che avrebbe potuto reggere il confronto con la
temibile compagnia rivale.
Nell’annunziare il prossimo arrivo del Gizziello nella
capitale inglese, i giornali londinesi del 13 aprile 1736, erano
concordi nell’assicurare che il cantante ''is
regarded as the best singer in Italy''
(10).
Infatti, le
interpretazioni di Gizziello ebbero un clamoroso successo e si
rivelarono la carta vincente del musicista tedesco ed un
investimento sicuro per le finanze del suo teatro.
Agli inizi della
permanenza in terra britannica risale un
aneddoto riguardante i cordiali rapporti del Gizziello con il
sopranista Carlo Broschi, detto Farinelli, che manifestò un
atteggiamento di sincera bontà nei suoi confronti.
Gizziello si recò ad una rappresentazione teatrale messa
in scena dall’Opera della Nobiltà, curioso di conoscere
l’arte del suo più famoso rivale.
L’ascolto della voce
sublime del Farinelli lo sorprese in tal maniera, che
all’indomani decise di non cantare più, riconoscendo di non
poter assolutamente competere con le grandi doti del maggiore
cantante del secolo.
Conosciuta questa sua determinazione,
Farinelli in persona si recò da lui e, con amabili parole di
incoraggiamento, lo convinse a far fronte ai suoi impegni, non
smentendo la sua eccezionale sensibilità e sincera umanità.
Rinfrancato dalle parole dell’insigne collega ed ancor
più dalle sue squisite maniere, Gizziello esordì il 5 maggio
1736, al Teatro Reale del Covent Garden, nella ripresa dell’Ariodante
di Haendel (qui
potete ascoltare live l'Ouverture di ARIODANTE eseguita da
Michele Barchi). Poiché non aveva avuto tempo di studiare le
arie composte dal tedesco, egli le sostituì con le più belle
arie del suo repertorio italiano, riscuotendo uno strepitoso
successo, di fronte ad un pubblico in delirio, ammirato e
conquistato dalla bellezza davvero incantevole e seducente della
sua voce, che fu salutata come una delle più belle mai
ascoltate a Londra.
La settimana successiva, e precisamente il 12 maggio,
Gizziello sostenne la parte di Meleager nell’opera
d’occasione Atalanta, messa in scena da Haendel al
Convent Garden per celebrare degnamente le nozze di Federico
Principe di Galles con la Principessa Augusta di Saxe-Gotha,
officiate il 27 aprile del 1736 nella Cappella Reale a St.
James’s.
Il ruolo di Atalanta era affidato ad una virtuosa
di grande talento, Anna Maria Strada del
Po, molto apprezzata da
Haendel.
In omaggio ai collaudati canoni delle rappresentazioni di
corte e della migliore tradizione del melodramma barocco,
l’argomento di carattere pastorale dell’opera esaltava le
virtù dell’amore e del matrimonio, avvalendosi di una musica
deliziosamente appropriata e di un allestimento imponente, di
grande sontuosità ed eleganza:
"La scena rappresentava un viale al tempio di
Imene, adorno di statue di divinità pagane: un arco trionfale
sosteneva lo stemma della coppia felice ed in alto la Fama,
assisa sopra una nuvola, sembrava far risonare i nomi di
Federico ed Augusta scritti in caratteri trasparenti. Attraverso
l’arco appariva la facciata del tempio, che constava di
quattro colonne ed un frontone, su cui due Amorini abbracciati
reggevano la corona del principatodi Wales: il tempio di
Imene chiudeva la splendida scena''(11).
Mentre la compagnia rivale affilava le armi con
l’arrivo di un nuovo quotato compositore italiano, Francesco
Maria Veracini, nella nuova stagione, Gizziello divenne un
elemento indispensabile per la compagnia di Haendel, (a cui si
era aggiunto anche un altro famoso sopranista, Domenico Annibali,
detto il Domenichino), cantando, sempre al Covent Garden, il 6
novembre 1736 inAlcina,
alla presenza del Principe di Galles, il 20 novembre nella
ripresa di Atalanta, l’8 dicembre nel
Poro, il
12 gennaio del 1737 in Arminio, il 16 febbraio nel
Giustino
e nel maggio inBerenice.
Altre opere in cui si segnalò furono Partenope, il
pasticcio Didone abbandonata, l’oratorio
Esther
e probabilmente Il trionfo del
Tempo.
Nell’opera pasticcio
Didone Abbandonata, con
musiche di Leonardo
Vinci
e Georg Friedrich Haendel, i ruoli
principali furono distribuiti in modo da esaltare al massimo le
eccellenti
capacità vocali degli interpreti: Dido, Anna Maria Strada del
Po; Aeneas, Gioacchino Conti; Jarbas,
Domenico Annibali.
In
Esther,
il sopranista interpretava il ruolo di un israelita, cantando,
in italiano, numerose nuove arie adattate o composte da Haendel
appositamente per lui.
Il musicologo inglese
Charles Burney, giustamente
osservava che nel comporre per Gizziello le arie di Atalanta,
Haendel aveva modellato la sua melodia secondo i principi di
canto del suo prezioso interprete.
Già le prime due arie dell’opera
''Care
selve'' e ''Lascia ch’io parta'',
cantate da Gizziello nel primo atto, mostravano una scrittura
armonica capace di esaltare il suo stile di canto, patetico e
grazioso.
Sempre secondo
Charles Burney, le grandi qualità vocali del
Gizziello, pur non completamente mature, esercitarono un diretto
influsso sul nuovo stile di Haendel, che nel sopranista trovò,
per la prima volta, un cantante in possesso di tutte le
raffinatezze raggiunte dalla vocalità italiana dall’inizio
del secolo:
'La voce di Gizziello-assicurava l’inglese- era allora quella di un
soprano leggero e il suo stile era notevole per il pathos, la
delicatezza e la perfezione tecnica''(12).
Nell’opera
Arminio, Haendel introdusse un’aria
di bravura per Gizziello ''Quellafiamma'',
in cui il sopranista, verso la fine del secondo atto, poteva dar
prova del meraviglioso e soave talento della sua voce.
Nella celebre aria, il compositore inserì una parte per
oboe solista, che venne affidata al grande oboista italiano,
Giuseppe Sammartini, fratello del maestro milanese Giovanni
Battista. Insieme a due parti di ripieno, il caldo virtuosismo
strumentale prevedeva uno spettacolare “obbligato”
dell’oboe di grande incisività, appositamente introdotto,
quasi per evocare una gara di acrobazia fra l’elemento vocale
e quello strumentale (13).
La stampa inglese salutava le sue esibizioni con una
accoglienza senza precedenti, ''the press reported that
he ‘met with an uncommon Reception’'' (14)
mentre
la società londinese non esitava a riconoscere la grande
attrattiva del cantante, con un quotidiano omaggio di folle di
ammiratori che si recavano al Covent Garden per ascoltarlo, tra
cui fu notato anche l’insigne poeta Thomas Gray.
Haendel, dal canto suo, pienamente soddisfatto, gli
manifestava una stima eccezionale, considerandolo, a giusto
titolo, uno dei nomi più illustri del canto settecentesco, ''a
rising genius'', per il quale presagiva un avvenire di
straordinari successi (15).
Gizziello rimase in Inghilterra fino al giugno del 1737.
Rientrato in Italia preceduto dalla fama dei successi
londinesi, il sopranista riprese gli studi a Bologna sotto la
guida del celebre maestro Antonio Bernacchi, nel 1738. L’anno
successivo ottenne un grande successo nell’opera di Giovanni
Battista Lampugnani, Didone abbandonata, rappresentata al
Teatro degli Obizzi di Padova.
Le stagioni teatrali di carnevale degli anni 1739-40
videro il trionfo di Gizziello sulle scene del Teatro Regio di
Torino, quale interprete principale dei drammi per musica del
Metastasio, Ciro Riconosciuto e
Achille in Sciro,
entrambi posti in musica dal Vice Maestro della Real Cappella di
Napoli, Leonardo
Leo. Le recite degli spettacoli, risultarono
particolarmente curate e sfarzose e furono accolte con singolare
gradimento dal Re di Sardegna Carlo Emanuele III di Savoia e
dalla Corte (16).
La direzione musicale del
Ciro Riconosciuto venne
affidata al primo violino dell’orchestra del teatro, Giovanni
Battista Somis, fondatore della celebre scuola violinistica
piemontese, mentre per la rappresentazione dell’Achille in
Sciro, lo stesso Leonardo
Leo
giunse a Torino, in compagnia
del nostro virtuoso, per curare personalmente l’allestimento
ed accompagnare
al cembalo i passaggi più importanti
dell’opera (17).
Nella compagnia di canto, alcuni nomi prestigiosi si
misurarono, accanto a Gizziello, sul palcoscenico del Regio. Nel
Ciro Riconosciuto, si distinsero Giovanna Astrua e il
tenore napoletano Francesco Tolve, mentre nell’Achille in
Sciro fu molto lodata Anna Maria Strada del
Po, detta la
Stradina. Sempre a Torino, nella Stagione di Carnevale del 1739,
il sopranista e Francesco Tolve affiancarono una delle maggiori
stelle del teatro musicale dell'epoca,
Francesca Cuzzoni-Sandoni,
nell’opera La Clemenza di Tito, del compositore
napoletano Giuseppe Arena.
Il lautissimo compenso attribuito a Gizziello per la
Stagione di Carnevale del 1739 ammontava a £. 7.148:15,
superato solo da quello della Cuzzoni, che raggiungeva le £.
8.000, poiché la cantante aveva dovuto sostituire Santa
Santini, ammalatasi nel corso delle recite del Ciro(18).
Gizziello serbò un grato ricordo del memorabile successo
tributatogli a Torino e si recò nuovamente nella capitale
sabauda per la Stagione di Carnevale del 1744, esibendosi nel
“Nuovo Teatro Regio”, voluto dal Re Carlo Emanuele III e
inaugurato il 26 dicembre 1740, con l’opera Arsace di
Francesco Feo, su libretto di Apostolo Zeno.
La sontuosa
sala ovale del Nuovo Regio, curata da Benedetto Alfieri su
consulenza del Bibiena, aveva 126 palchi in cinque ordini, più
il palco reale, una vasta platea ed un loggione detto
“Paradiso”, per una capienza complessiva di 2.500
spettatori. Almeno otto palchi erano riservati al Corpo
diplomatico, mentre una galleria interna univa direttamente la
sala al Palazzo Reale.
In questo splendido Teatro, unanimemente giudicato uno
dei migliori d’Europa, ricco di ornamenti dorati, di pregevoli
affreschi nella volta e di macchine e scenografie meravigliose,
Gizziello cantò nell’opera Vologeso Re de’ Parti di
Leonardo
Leo, su libretto di Apostolo Zeno e nel dramma Germanico
di Andrea Bernasconi.
Per la stagione al Nuovo Regio, Gizziello aveva firmato
un contratto a Roma, fin dal 1 marzo 1743, che gli accordava la
somma di 500 luigi d’oro, ossia l’equivalente a £. 8.312:10
(19).
Dopo alcune recite a Roma, il sopranista interpretò il
ruolo del protagonista nel Siroe di Giuseppe Scarlatti,
rappresentato al Teatro la Pergola di Firenze, nell’estate del
1742, destando una grandissima impressione.
Nel 1743 fu invitato a Lisbona, dove dimorò anche
l’anno seguente, chiamato ad esibirsi nel Teatro di Corte, dal
Re del Portogallo e Algarve, Giovanni V di Braganza, finissimo
intenditore della musica italiana e vero mecenate:
'Qui
fu riputato il prodigio dell’arte, e da quel Sovrano generoso
fu ricolmato di doni, fra i quali vi fu un pappagallo d’oro,
con un brillante nel rostro, d’immenso valore''(20).
Al suo rientro in Italia, Gizziello venne richiesto in
alcune prestigiose cerimonie da uno dei più rinomati collegi
religiosi romani, il Collegio Clementino, che vantava di aver
formato sovrani, porporati, ministri, generali ed insigni
personaggi.
Nella
Sala d’Onore del Collegio, il 28 agosto 1746, Gizziello cantò
nell’Oratorio per l’Assunzione della Beata Vergine Maria,
su testo dell’abate Gregorio Terribilini e musica di Giovanni
Battista Costanzi, destando un unanime consenso (21).
Due
anni dopo, i padri del Clementino vollero celebrare la
beatificazione del Padre Girolamo Emiliani, fondatore della
Congregazione Somasca con un Oratorio in onore del nuovo Beato,
eseguito il 1 settembre 1748. La solennità venne celebrata con ''nobile
apparato'' nel teatro del Collegio,
''ridotto
a guisa di una maestosa sala regia,
e quivi fu cantato
l’oratorio, posto in musica dal virtuoso Sig.
Gio: Battista
Costanzi, a tre scelte voci, tra quali il rinomato Giziello''
(22).
Anche
la cronaca del Collegio puntualmente riportò che il ''famoso
Egiziello piacque assalissimo ai Sig.ri Cardinali che
intervennero nel numero di 27 ed alla copiosa prelatura e nobiltà''(23).
Nelle
stagioni 1746-47 il musico cantò nel Teatro veneziano di San
Giovanni Grisostomo, nei drammi metastasiani Demetrio di
G.A. Hasse
e Ezio di Giovanni Battista Pescetti.
Al culmine della stagione d’oro dell’opera seria
napoletana, e nel momento in cui la fama dei rari talenti del
sopranista si propagava rapidamente per l’intera Europa, si
colloca il fecondo incontro artistico fra Gizziello e
l’esperienza teatrale di
Niccolò Jommelli, (Aversa
1714-Napoli 1774), il più colto e raffinato compositore di metà
Settecento, certamente tra quelli che maggiormente incantavano
il vasto pubblico dei teatri d’opera. Come evidenziava un
attento osservatore della vita musicale del XVIII secolo,
Charles Burney, al pari del francese Presidente Charles de
Brosses, i suoi drammi,ricchi
''di grandi e nobili idee, trattate con gusto e con
scienza''(24), dischiudevano nuovi orizzonti
artistici al teatro musicale.
Nel 1746 Jommelli accettò l’invito di allestire una
nuova opera, il Cajo Mario, su libretto dell’abate
Gaetano Roccaforte, per la stagione di Carnevale al Teatro
Argentina, una delle maggiori sale di spettacolo di Roma.
Edificato nel 1732 dal Duca Giuseppe Sforza Cesarini, aveva 6
ordini di 31 palchetti, con davanzali dipinti, platea
interamente fornita di posti a sedere ed un’ottima acustica.
Nella stagione del Carnevale vi si rappresentavano due opere
serie, rispettivamente dal 7 gennaio e dal 9 febbraio.
In quest’opera, Gizziello cantò sulla scena
dell’Argentina nel ruolo di Annio, riscuotendo elogi
calorosi e suscitando un vivo entusiasmo, con piena
soddisfazione dello Jommelli
e del protettore di questi, il
Cardinale Enrico Benedetto Stuart, Duca di York.
Sempre nel 1746, ma nella stagione autunnale, al Teatro
San Giovanni Grisostomo di Venezia, il sopranista interpretò il
ruolo del protagonista in un’altra opera di Jommelli, la
seconda versione del Tito Manlio. Il compositore curò
personalmente l’allestimento di questo dramma musicale nella
città lagunare, dove egli risiedeva dal 1743, in qualità di
Maestro del Conservatorio musicale femminile degli Incurabili.
Chiamato nuovamente a Roma nel 1749, Jommelli
scrisse
l’Oratorio La Passione diGesù Cristo, su testo
di Metastasio, a richiesta del Cardinale Duca di York e
rappresentò una nuova opera, Artaserse, nella stagione
di carnevale al Teatro Argentina. Il compositore affidò
nuovamente il buon esito dell’opera all’interpretazione di
Gizziello, che cantò nel ruolo di Arbace, non deludendo
le aspettative dei suoi numerosi ed affezionati sostenitori.
Dopo il successo dell’Artaserse, auspice Papa Benedetto
XIV e grazie ai buoni uffici del Cardinale Alessandro Albani,
ammiratore del musicista napoletano e del Cardinale Stuart Duca
di York,
Jommelli fu nominato coadiutore del Maestro di Cappella
di San Pietro in Vaticano, Pietro Paolo Bencini, inaugurando
quattro anni di fecondo lavoro artistico, soprattutto nel campo
della musica sacra.
A tal
riguardo, il 13 aprile 1749, nella prestigiosa cornice del
Collegio Nazareno di Roma, si tenne “un’Accademia
pubblica”, voluta dai Padri Scolopi, per festeggiare la
beatificazione di Padre Giuseppe Calasanzio (1557-1648),
fondatore dell’Ordine delle Scuole Pie.
Per le celebrazioni, che furono onorate dalla presenza
del Papa Benedetto XIV, venne rappresentato l’Oratorio Giuseppe
glorificato in Egitto, con musica di Niccolò
Jommelli, in
cui Gizziello cantò come principale interprete. Per questa
sacra rappresentazione, al famoso sopranista vennero attribuiti
30 scudi, al compositore 20.50 ed agli altri due cantanti,
membri della Cappella Pontificia, Giovanni Simone Ciucci e
Giuseppe Santarelli, 8.80 scudi ciascuno (25).
Il 1749 si conferma come l’anno della più intensa
collaborazione di Gizziello con Jommelli, poiché vide i loro
nomi uniti dal successo teatrale di due pregevoli opere serie,
entrambe su libretto del Metastasio: Il Demetrio,
rappresentato nella stagione di primavera al Teatro Regio-Ducale
di Parma e la terza versione del Ciro riconosciuto,
rappresentata a Venezia, sulle scene del Teatro San Giovanni
Grisostomo, nella stagione autunnale.
Di eminente significato storico ed artistico, questa
preziosa produzione consolidò definitivamente la fama di Jommelli, quale operista e magistrale interprete musicale della
poetica metastasiana.
Nei lavori teatrali del 1746-49, il compositore delinea
il ruolo del protagonista del dramma, affidando a Gizziello
numerose arie elaborate ed estese, intessute di profonda
emozione, preparate da imponenti recitativi accompagnati e
sorrette da una finissima e accurata orchestrazione, che
annuncia la grande stagione “europea” di cui il musicista
sarà protagonista presso la Corte di Stoccarda.
Il legame con la Città di Napoli non venne meno e Re
Carlo III di Borbone, volle richiamare Gizziello in patria, per
scritturarlo come protagonista nella stagione di primavera 1747
al Teatro San Carlo.
Vero capolavoro di architettura e di decorazione, questo
grandioso Teatro di Corte, collegato al Palazzo Reale, era stato
costruito per volontà del sovrano, su progetto dell’Ing.
Giovanni Antonio Medrano, Colonnello del Regio Esercito e
condotto a termine in soli 270 giorni, sotto la direzione di
Angelo Carasale.
Inaugurato il 4 novembre 1737, festa di San
Carlo Borromeo e giorno onomastico del Re, con la
rappresentazione dell’Achille in Sciro di Metastasio,
posto in musica dal Maestro della Real Cappella Domenico Sarro,
era fornito di uno splendido palco reale e 184 palchi disposti
in 6 ordini, con un ampio palcoscenico e ornamenti
preziosissimi.
Sul palcoscenico del San Carlo, divenuto ben
presto il cuore della vita musicale italiana, si susseguirono
allestimenti memorabili, con l’intervento degli artisti più
famosi dell’epoca, che confermarono la fama europea
dell’opera napoletana.
Gizziello che aveva esordito al San Carlo nel 1746,
interpretando il ruolo di Cesare, nel Catone in Utica
di
Egidio Romualdo Duni, nella stagione 1747-48 cantò al fianco
di una compagnia di cantanti che divenne leggendaria:
Gaetano
Majorano, detto Caffarelli, Vittoria Tesi,
Giovanni Manzuoli,
Angelina Conti Leonardi, detta la Taccarina, Costanza Celli,
Gregorio Babbi.Fu
un momento intenso e ricco di soddisfazioni per gli artisti,
coordinati dalla impeccabile direzione musicale affidata al
primo violinista Domenico De Matteis.
La stagione ebbe inizio il 30 maggio 1747, con l’Eumene
su libretto di Apostolo Zeno, posta in musica da Jommelli,
appositamente richiamato da Venezia e proseguì con il Siroe
di
G.A. Hasse, l’Adriano in Siria di Gaetano Latilla e la
Merope
di Gioacchino Cocchi.
Per la sua
partecipazione a questa stagione, l’impresario del San Carlo,
il Notaio Diego Tufarelli, pagò al Gizziello ben 3.818 ducati (26).
Nel novembre 1747, la nascita del primo figlio di Carlo
III di Borbone e di Maria Amalia di Sassonia, il Reale Infante
Filippo, fu l’occasione per festeggiamenti memorabili, in cui
la musica ebbe un ruolo di grande preminenza. Patrino del
piccolo principe fu il Re di Spagna, Ferdinando VI di Borbone,
che ebbe suo procuratore a Napoli il Duca di Medinaceli.
Per celebrare l’avvenimento, fu rappresentata prima al
Palazzo Reale e poi al Teatro San Carlo, una Serenata Il
sogno di Olimpia, su libretto di Ranieri de’ Calzabigi e
musica di Giuseppe di Maio, con l’intervento di Gizziello nel
ruolo di Apollo.
Una descrizione di questa importante rappresentazione è
stata pubblicata da Benedetto Croce, nella sua opera sui Teatri
di Napoli. I segni distintivi della messa in scena della
Serenata erano quelli della grandiosa festa teatrale, che
dispiegava una magnificenza senza pari, con l’uso di una
ambientazione idilliaca, di carezzevoli aure arcadiche:
'Nel prospetto della sala una magnifica scena, una
Deliciosa, grandioso edifizio ad archi, colonne e cupola; e
varie file di portici, che si perdono nel fondo, e, in mezzo,
una fontana con Nettuno e Delfini e Tritoni. E in alto, si
librava una deità circondata da amorini ed altre figure; e sul
davanti della scena, si presentarono Vittoria Tesi, con una gran
gonna, a due ali, con ricchi disegni, e Caffarelli; e
l’Angelina Conti, appoggiata a una balaustra, pensierosa; e si
inoltravano intanto e Gizziello, e il Manzuoli e il Babbi. Tali
erano i grandi artisti chiamati per l’occasione! E le dame e i
cavalieri erano distribuiti in ricchi palchi, e su quattro fila
laterali di sgabelli; e l’uditorio era coronato da Carlo III e
dalla Regina.
Destò entusiasmo un duetto fra Gizziello e
Caffarelli, che superarono l’aspettazione'' (27).
La
cronaca dell’esecuzione della Serenata, pubblicata nello
splendido volume “Narrazione/delle solenni reali
feste/fatte celebrare in Napoli/da Sua Maestà/il Re delle Due
Sicilie/CARLO Infante di Spagna/per la nascita del Suo
Primogenito Filippo Real Principe/delle Due Sicilie”,
stampato a Napoli nel 1749, conserva l’eco dello strepitoso
successo conseguito da Gizziello in quella importante
rappresentazione di Corte:
La
Serenata Il Sogno di Olimpia era
''animata dai
più eccellenti Cantori del nostro Secolo; i quali con abiti
ricchissimi confacenti ai loro mentiti personaggi,
rappresentavano le Divinità, che dalla Virtù introdotte alla
sognante Olimpia, le predicevano la futura grandezza del
conceputo Figliolo…
Ma
ciò che più di tutto sorprese ciascuno, fu un eccellente
duetto ottimamente cantato da Caffarello, e da Giziello, dai
quali ancorché si aspettasse tutto ciò, che di più
sorprendente, e maraviglioso abbia la Musica, pure col loro
soavissimo canto giunsero a sorpassare la universale
aspettazione''(28).
Scrivendo
da Firenze, Sir Horace Mann, riferiva che Caffarelli
avrebbe
raggiunto Napoli per il mese di ottobre, appositamente per
esibirsi in questa grande cantata celebrativa della nascita del
duca di Calabria. Nel dare informazioni sull’evento, egli
poteva assicurare che ''La cantata sarà un duo di
Caffarelli ed Egiziello, e un trio con l’aggiunta di Babbi.
Caffarelli giura che farà stonare Egiziello'' (29).
In
una lettera successiva aggiunge altri particolari su questa
singolare rivalità, che aveva contrassegnato le celebrazioni
dinastiche:
''Avrete
udito dei grandi avvenimenti di Napoli e della rivalità fra
Caffarelli ed Egiziello che fortunatamente non turbò, come si
temeva, la festa. All’arrivo di Caffarelli a Napoli, Egiziello
si recò a fargli visita, e venne ricevuto da quell’insolente
su uno sgabello, sul quale rimase seduto per tutto il tempo. La
faccenda venne sistemata per mezzo di intermediari, dopo di che
sembra diventassero ottimi amici''
(30).
L’anno successivo, sempre a Napoli, Gizziello interpretò
il primo ruolo in un’altra Serenata, Le Glorie di Ibero
partecipate a Partenope, con musica di Girolamo Abos,
rappresentata nella Casa del Duca di Medinaceli, per festeggiare
il battesimo del Principe Filippo di Borbone.
Giovanni Battista Gennaro Grossi, nella sua biografia,
riporta un aneddoto, poi ripreso dal Fétis e da altri storici,
su una contesa canora fra Gizziello e Caffarelli, al Teatro San
Carlo, nell’Achille in Sciro del Pergolesi, opera che
non figura, però, fra le produzioni del maestro, né fra le
rappresentazioni del San Carlo. L’aneddoto, comunque, èinteressante, poiché conferma le notizie di maggior
credito sul carattere e sulla statura artistica del sopranista.
Il Re di Napoli, Carlo III di Borbone, dopo la vittoria
di Velletri, nel 1744, volle far rappresentare al San Carlo,
l’Achille in Sciro del Pergolesi.
Il sovrano
richiese l’intervento di due eccezionali sopranisti, il
Caffarelli e il Gizziello, i quali erano giustamente reputati
fra i migliori d’Europa. Questi due virtuosi, però, avevano
convenuto, da anni, che ognuno avrebbe evitato di cantare nello
stesso teatro e nella città in cui l’altro si esibiva, per
non fomentare gelosie e rivalità fra i rispettivi sostenitori.
Ciò malgrado, Re Carlo III richiamò il Gizziello dal
Portogallo e
Caffarelli
dalla Polonia.
Il primo, di
magra ed alta statura era insuperabile nelle arie tenere e
patetiche, mentre il secondo, di bell’aspetto, eccelleva nel
brillante e nell’allegro.
Il Gizziello, quindi, fu chiamato a rappresentare la
figura di Ulisse e
Caffarelli
quella di Achille,
per sostenere l’energia del vincitore di Troia.
Venuto il momento della rappresentazione, il primo a
cantare l’aria fu il
Caffarelli. ''La bella voce, la
delicatezza dei modi, l’arte sopraffina di lui sorpresero il
Monarca, e gli uditori tutti, e riscossero i più vivi applausi.
Gizzielli rimase fuori di sé, e per un momento quasi
sbalordito. Egli narrava dipoi che in questo pericoloso cimento
avea implorato l’ajuto del cielo e fatto dei voti per
riuscirvi con onore. Venuto il punto che dovea egli cantare,
rappresentò così bene Ulisse col suo flebile e patetico, e
seppe tanto eccitar la passioneverso la virtù delle
armi''(31), che il Re, reduce dalla vittoria di
Velletri, invitò tutti i presenti ad applaudire calorosamente
il grande sopranista. L’eccezionale sfida fra i due sopranisti
finì, comunque, in parità. Gizziello vinse nel tenero e
patetico,
Caffarelli
nell’armonioso e nelle arie di
sfolgorante bravura.
Questa cronaca certamente ebbe origine da una delle opere
interpretate dai due divi del canto, nell’autunno 1747, quando
il Teatro San Carlo li ingaggiò entrambi, con un compenso
notevolissimo, suscitando una memorabile rivalità fra le
fazioni dei loro sostenitori, che divise in due la Città di
Napoli.
Ma ben presto nuove stagioni di successi presso le corti
reali estere si profilarono per i suoi orizzonti artistici,
accrescendo notevolmente la sua chiarissima rinomanza.
Nel 1749, il Farinello, Direttore degli spettacoli
dell’Opera Reale e profondo estimatore del Gizziello,lo chiamò in Spagna, dove il sopranista dimorò per due
anni, cantando in ruoli principali, nel Teatro Reale di Madrid,
accanto alla celebre
Regina Mingotti, ricevendo gli applausi
entusiastici della Corte e del popolo, insieme a immensi doni e
riconoscimenti.
Nello stesso anno e nei seguenti, Gizziello dispiegò una
intensa attività a Venezia, dove cantò nel Ciro
riconosciuto di
Niccolò
Jommelli, nel
Siroe
di
Gioacchino Cocchi e nell’Artaserse di
Gaetano Pampani.
Nel corso del 1751, il sopranista si cimentava con la
produzione seria di Baldassarre Galuppi, detto il
Buranello(perché
nato a Burano, isola della laguna veneta), comparendo in due
importanti drammi storico-eroici di questo compositore. Accanto
ad una fortunata produzione comica, realizzata in collaborazione
con Carlo Goldoni, il Buranello era fortemente impegnato nel
genere dell’opera seria e la sua fama, da tempo, aveva
superato ampiamente i confini veneti. Al pari dei grandi
protagonisti della scuola napoletana, egli viveva un felice
periodo di fortuna teatrale ed i suoi drammi per musica
contribuivano, con caratteri originali ed efficaci, alla
creazione di un teatro musicale rinnovato e più moderno.
L’11 giugno 1751 Gizziello fu tra i principali
interpreti, nel ruolo di Arbace, accanto a Regina
Mingotti, dell’Artaserse, rappresentato per
l’inaugurazione del Teatro Nuovo di Padova, ricevendo per
l’occasione un compenso da favola di ben 9.680 lire veneziane!
Nello stesso anno, il sopranista interpretò il personaggio di Quinto
Fabio, nel Dramma per musica Lucio Papiro, su
libretto di Apostolo Zeno, rappresentato nel Teatro pubblico di
Reggio Emilia. In entrambe le opere venne ascritto un
lusinghiero giudizio sul Gizziello, per il suo magnifico stile
di canto.
In quegli anni, la luminosa carriera del virtuoso è
segnata da alcuni rimarchevoli passaggi sulle scene del Teatro
Regio Ducale di Milano, una delle sale di maggior rilievo in
Italia, resa famosa da una autorevole tradizione di qualità
degli spettacoli musicali, impreziositi dai rinomati scenari dei
fratelli Bernardino, Fabrizio e Giovanni Antonio Galliari.
Per tre anni consecutivi, Gizziello si esibì nelle
Stagioni di Carnevale allestite da quel Teatro, cantando, nel
1750, nell’Adriano in Siria di
Gaetano Pampani, nel
1751 nell’Ezio di
Davide Perez e l’anno successivo in
Alessandro nell’Indie di Perez e nell’Artaserse
di
Giovanni Battista Pescetti. Le scenografie della Stagione di
Carnevale del 1752 vennero affidate ad uno dei maestri
maggiormente celebrati del momento, Antonio Galli-Bibiena,
“Architetto e Ingegnere teatrale”, figlio di Ferdinando.
In seguito, il sopranista si recò nuovamente a Lisbona,
su personale richiesta del Re Giuseppe I, che volle avere presso
la sua Corte il cantante, affidando ai canali diplomatici
ufficiali l’incarico di convincere il musico a raggiungere il
Portogallo, a suon di un lautissimo compenso!
Tutte
le fasi della serrata trattativa furono seguite dal Segretario
di Stato per gli Affari Esteri portoghese Sebastiano José de
Carvalho e Melo e dall’Ambasciatore a Roma, Antonio Freire de
Andrade Encerrabodes, che si scambiarono una fitta rete di note
diplomatiche, ottenendo alla fine il consenso del famoso
cantante, il quale pose però alcune precise condizioni (32).
Raggiunto l’accordo, una nota dell’11 dicembre 1751
formulava un lungo promemoria, che, addirittura, indicava al
musico quale itinerario seguire per raggiungere Lisbona da
Genova, in modo da evitare il passaggio in altre Corti europee,
che avrebbero potuto distoglierlo dal traguardo del suo viaggio.
Al
termine della stagione di Carnevale a Milano, Gizziello partì
alla volta del Portogallo e agli inizi di giugno 1752 egli era
già presente a Lisbona.
Infatti,
secondo la Gazzetta di Lisbona, il 6 giugno 1752, in occasione
dei festeggiamenti per il compleanno del Re Giuseppe I, venne
eseguita una Serenata al Palazzo Reale, ''nella quale
si ammirò la voce del famoso Musico Egiziello'' (33).
Il Re del
Portogallo e Algarve, Giuseppe I di Braganza, che aveva
ereditato da suo padre, Giovanni V, una spiccata predilezione
per il teatro d’opera e per i cantanti italiani, lo accolse
con sincero calore e vivissima ammirazione, ricolmandolo di
ricchi doni.
Nel
mese di ottobre del 1752, Gizziello cantò sotto le splendide
volte del celebre Palazzo Reale di Mafra, alla presenza della
Famiglia Reale e della Corte, suscitando l’ammirazione
generale (34).
In
una serata in cui si celebrava la nascita del Principe del
Brasile, il Gizziello interpretò un’aria pastorale con tale
bravura, da commuovere tanto l’animo del monarca, che questi,
al termine della rappresentazione, dopo averlo colmato di
carezze, volle offrirgli in dono una chioccia con venti pulcini
d’oro di gran valore (35).
Secondo
il letterato italiano Giuseppe Baretti, tale era la fiducia
accordata dal Re Giuseppe I a Gizziello, che il sovrano lo chiamò
a far parte, insieme a Caffarelli e a Davide Perez della
commissione incaricata di esaminare i candidati all’ufficio di
organista reale per la Basilica di Mafra, posto che venne
attribuito all’irlandese Eugenio Nicola Egan (36).
L’opera italiana aveva trovato in Portogallo il terreno
propizio per una brillante e duratura affermazione e con i
sovrani Giovanni V (1706-50) e Giuseppe I (1750-77) visse il
periodo di massimo splendore, grazie ad una serie di opere
composte e rappresentate dal musicista napoletano
Davide Perez.
Questi grandiosi allestimenti segnarono il periodo più luminoso
della storia della musica teatrale in Portogallo.
Nato a Napoli nel 1711, da genitori di origine iberica,
Perez compì gli studi nel Conservatorio di Santa Maria di
Loreto, presentando, con successo, numerose opere di solido
impianto metastasiano nei maggiori teatri italiani. Al culmine
della sua fama internazionale, Davide Perez fu chiamato dal Re Giuseppe
I in Portogallo, dove egli allestì una grandiosa
rappresentazione del Siroe, su libretto del Metastasio,
con Gizziello e Anton Raaf nel ruolo dei principali
protagonisti. L’opera si rivelò un vero trionfo e valse al Davide Perez
il conferimento, con decreto reale, del titolo di
Cavaliere dell’Ordine del Cristo e la nomina a Maestro della
Cappella Reale e Maestro di musica delle principesse reali, con
uno stipendio annuo di 50.000 cruzeiros, a cui si aggiungevano i
proventi delle numerose rappresentazioni teatrali.
Con le opere del periodo portoghese, il compositore segna
il passaggio dallo stile severo tardo-barocco di ascendenza
scarlattiana a quello più lieve e raffinato che annuncia lo
stile galante. Davide Perez
raggiunse un perfetto equilibrio fra musica
ed esigenze drammatiche del testo, con un tessuto melodico
intenso ed una cura particolaredella parte strumentale, a cui la magniloquenza della
scenografia dettata dal grande architetto e pittore bolognese
Giovanni Carlo Sicinio Galli-Bibiena conferiva un incanto
ineguagliabile.
Gizziello si esibì con una memorabile compagnia
artistica, in numerose opere del
Davide Perez, nel nuovo Teatro Reale
della Villa di Salvaterra, al fianco dei maggiori cantanti del
momento, fra cui i tenori Anton Raaf e Gregorio Babbi, i
sopranisti Caffarelli e
Giovanni Manzuoli.
Una grande serata di gala, per celebrare solennemente il
compleanno della Regina di Portogallo, Maria Ana, figlia di
Filippo V di Spagna e di Elisabetta Farnese, si tenne alla
presenza di numerosi convitati di riguardo il 31 marzo 1755,
consacrando definitivamente il magnifico successo di Gizziello
presso la Corte di Lisbona. Per i reali festeggiamenti, al
Teatro dos Paços, venne rappresentato il dramma per musica Alessandro
nell’Indie,
libretto di Metastasio e musica di
Davide Perez, con splendide scenografie di Giovanni Carlo Sicinio
Galli-Bibiena.
Nel giugno del 1755, con il prestigioso titolo di
“Virtuoso
di Camera di Sua Maestà Fedelissima”, Gizziello fu uno
dei principali interpreti della prima rappresentazione de La
Clemenza di Tito, posta in musica dal compositore bolognese
Antonio Mazzoni (1717-1785), eseguita per festeggiare il
genetliaco del Re Giuseppe I di Portogallo, al Teatro dos Paços
de la Ribeira.
Il
libretto della rappresentazione di quest’opera di Mazzoni reca
sette magnifiche incisioni delle scenografie ideate e realizzate
da Giovanni Carlo Sicinio Galli-Bibiena, che testimoniano la
bellezza incomparabile della grandiosa messa in scena e la
iscrivono, a lettere d’oro, tra gli avvenimenti memorabili
della storia dell’opera italiana in Portogallo.
Negli anni trascorsi presso la Corte di Giuseppe I, un
sodalizio artistico molto significativo unì il virtuoso al
grande tenore tedesco Anton Raaf, che cantò al suo fianco in
tutte le opere rappresentate nei teatri di Lisbona. Nato a
Holzen (Bonn), Raaf studiò dapprima a Monaco con Giovanni
Battista Ferrandini e poi a Bologna con Antonio
Bernacchi.
Interprete di un copioso numero di opere serie nei grandi teatri
europei, nel 1749 si esibì a Vienna nella Didone Abbandonata
di Jommelli, riscuotendo grande successo.
Amico di Wolfgang
Amadeus Mozart, fu il protagonista della prima esecuzione
dell’Idomeneo, a Monaco nel 1781.
L’affettuosa
familiarità del Gizziello con Raaf, è, sotto diversi aspetti,
molto significativa: entrambi nati nel 1714, fautori convinti di
una interpretazione naturale, espressiva e ricca di pathos,
questi due artisti mostrarono, in ogni occasione, di saper
apprezzare, con tratto squisito e garbato, i talenti dei loro
colleghi e di nutrire una rispettosa stima per essi, scevra da
invidie personali e rivalità smisurate.
Il felice periodo portoghese, fu interrotto dal terribile
terremoto del 1 novembre 1755, che distrusse Lisbona. Scampato
alla catastrofe per un miracolo, Gizziello in un eccesso di
devozione, si rinchiuse in un monastero, dove avrebbe voluto
concludere i suoi giorni. Secondo il
Charles Burney, in questo luogo di
volontario ritiro spirituale, lo raggiunse il sopranista Gaetano
Guadagni, a cui egli impartì dei saggi consigli sull’arte del
canto. Anche gli altri artisti italiani scamparono al terremoto:
Davide Perez
si salvo poiché, in qualità di Maestro della Cappella
Reale, aveva seguito la Corte a Belem, mentre Caffarelli e
Gregorio Babbi attribuirono la loro incolumità alla
intercessione della Vergine Maria e di Sant’Emidio Vescovo,
protettore contro i terremoti!
Accolto con grande affetto presso la Corte spagnola dal
Farinelli, che lo considerava ''suo antiguo amigo'',
Gizziello divenne, ben presto, un ospite intimo e di riguardo
negli appartamenti reali, dove cantò assiduamente alla presenza
del Re, Ferdinando VI di Borbone e della Regina, Maria Barbara
di Braganza.
Per
le Serenate in cui cantò al fianco di Farinelli, Gizziello
ottenne una ricompensa degna di un virtuoso del suo valore: uno
splendido orologio d’oro, con catena e stemma in oro, copia
del famoso inglese Mogh, insieme ad una cedola di 400 dobloni
d’oro (37).
Di fronte alle insistenze di quei sovrani, che volevano
legarlo alla corte spagnola con un contratto favoloso, Gizziello,
obbedendo ai moti del cuore che gli ispiravano una profonda
nostalgia per la sua terra, preferì ripartire alla volta
dell’Italia.
Per salutare i familiari e gli amici, volle recarsi nella
sua città natale di Arpino, dove, in occasione di una solenne
festività, insieme ai musici del luogo, cantò una Messa con
grande orchestra, posta in musica dal suo antico maestro e
concittadino Domenico Gizzi.
Le sue ultime apparizioni pubbliche furono riservate agli
anni 1756-59 (38).
Gizziello fissò la sua dimora nella Città di Roma, dove
trascorse serenamente gli ultimi anni, morendovi il 25 ottobre
del 1761, a soli quarantasette anni.
Con il testamento, Gioacchino volle confermare il
profondo legame che lo aveva sempre unito alla sua famiglia in
Arpino, nominando erede del ricco patrimonio accumulato con una
vita di memorabili successi teatrali, il nipote Alessandro
Conti, figlio di suo fratello, favorendo così definitivamente
l’ascesa sociale della famiglia d’origine. Alessandro Conti
fece educare con somma raffinatezza le sue due figliole, alle
quali procurò un riccomatrimonio, rispettivamente con il Duca Sforza Cesarini e con
il celebre pittore paesista napoletano Giuseppe Fergola (39).
I giudizi su questo grande artista formulati dai
contemporanei o ripresi negli anni successivi alla sua morte, ma
risalenti, comunque, a testimonianze dirette ed assolutamente
attendibili, sono del massimo interesse e costituiscono un alto
riconoscimento delle sue eccelse qualità vocali. La
meravigliosa espressività e la purezza suggestiva dello stile
vocale si univano in Gizziello ad una personalità artistica ed
umana di indubbio fascino e di sicuro rilievo.
Il prezioso ritratto eseguito durante il soggiorno
londinese e le stampe realizzate mentre egli era ancora in vita
mostrano i lineamenti delicati e distinti di questo insigne
sopranista, e quasi restituiscono pienamente l’espressione dei
suoi occhi vivi e penetranti, il carattere dolce e sensibile e
la naturale modestia e riservatezza, che egli non abbandonò
nemmeno negli anni dei maggiori trionfi teatrali.
Secondo le testimonianze dei contemporanei che ebbero il
privilegio di ascoltarlo in teatro, la presenza scenica e lo
stile di recitazione non costituivano le sue doti migliori. Per
il suo portamento sul palcoscenico, qualche buono spirito non
esitava a paragonarlo ad una ... ''statua che canta''(40).
Tutto il
fascino di Gizziello risiedeva, dunque, nella tessitura ricca e
perfetta della voce, che sprigionava una fervida e appassionata
cantabilità nelle arie del genere patetico, effondendo i suoi
toni dolcissimi, sensuali e vellutati, in una sorta di atmosfera
incantata, che rapiva in estasi gli ascoltatori.
Rivolgendosi direttamente all’anima e ai sentimenti,
egli non intendeva stupire il pubblico, ma suscitare emozioni
sublimi e commoventi, rivelando un altissimo concetto
dell’arte comunicativa del canto, intesa non come un''diletto soltanto per l’ascoltatore o pel
cantante, ma una delizia per entrambi''(41).
E per far
questo, Gizziello conferiva una forma espressiva di luminosità
mediterranea al suo stile di canto, facendo leva sul potere
emozionale e sul fascino purissimo, tenero e suadente, tutto
levità e grazia, della sua voce, senza privilegiare
eccessivamente i virtuosismi acrobatici e i vocalizzi esagerati.
Dell’assoluta grandezza del Gizziello era più che
convinto il Grossi, che a conferma della sua opinione, riferiva
le dichiarazioni esplicite del Signor J.B. de La Borde e del
dotto Abate Giuseppe Bertini, accreditate anche dal giudizio di
Giuseppe Sigismondi:
''Gizzielli conosceva tutte le regole della musica:
avea una voce all’estremo melodiosa che superava
l’ordinario; ma quel che è più, possedeva il raro dono della
fermezza, percui non temeva gl’intervalli i più straordinarj,
da qual pregio dipendea la superiorità del canto. Ma nel
patetico riuscì olmodo eccellente in guisa che eccitando col
suo canto le più forti passioni, sempre trasse le lagrime
dall’uditorio''(42).
Uno dei maggiori esponenti della Scuola Napoletana e
conoscitore impareggiabile dei segreti della voce umana, Nicola
Antonio Porpora, parlando dei due grandi cantanti che aveva
conosciuto ed apprezzato, raffigurava la dolcezza della voce di
Gizziello come quella di un usignolo, dicendo: ''ambi
andavano al cuore per l’arte, e per l’espressione, ma con
voci disuguali: Gizzielli era un usignolo, Caffarelli un
canario''(43).
Per il francese Ange Goudar
''Gizziello superava
tutti i musici del suo tempo, tanto per l’armonia della voce
che per la dolcezza del canto. L’arte dell’espressione fu il
suo primo talento. Egli recitava al cuore e cantava all’anima''(44).
Il compositore André Ernest Grétry, nelle sue memorie
musicali, rivela un prezioso aneddoto sul Gizziello, da lui
personalmente conosciuto nel corso di un soggiorno romano, che
conferma la finissima sensibilità musicale del sopranista ed il
profondo rispetto che egli nutriva per i numerosi estimatori
della sua arte:
''Un famoso cantante che io ho visto a Roma,
Gizziello, inviava il suo accordatore nelle case dove egli
voleva mostrare i suoi talenti, non solamente per timore che il
clavicembalo non fosse abbastanza pregevole, ma ben anche per la
perfezionedell’accordo''(45).
P. Scudo, nel suo breve profilo del Gizziello, scritto
nel 1862 per la rivista francese “Revue des Deux Mondes”,
riferisce altri particolari del pregevole giudizio di Grétry:
''Grétry,
nel suo Essai sur la Musique, dice anche che Vinci fu uno dei
primi compositori italiani che si preoccupò del senso delle
parole e della verità dell’espressione. Egli parla di un aria
dell’Artaserse:
Vo
solcando il mare infido,
che,
cantata dal sopranista Gizziello, destava la commozione nel
pubblico romano'' (46).
Sempre P. Scudo compendiava conclusioni ancor oggi
condivisibili sul valore e sul significato dell’esperienza
artistica del Gizziello, degno a pieno titolo, di sedere
nell’Olimpo dei massimi cantanti del melodramma italiano
settecentesco:
''Accanto a Farinelli e a
Caffarelli, Gizziello è
stato uno dei sopranisti più insigni della prima metà del
XVIII secolo. Di una figura gradevole, dotato di una voce molto
estesa e di una meravigliosa flessibilità, Gizziello cantava
con sentimento la musica semplice e patetica del Vinci'' (47).
Per tutta l’epoca romantica, il ricordo ancor vivo
della sublime dolcezza della sua voce fece entrare il sopranista
nella leggenda del mito musicale.
Nel celebre romanzo storico Cento Anni, Giuseppe
Rovani pone nel Primo Libro dell’opera una discussione tenuta
nel Teatro Regio Ducale di Milano, tra i fautori di un
rinnovamento delle voci maschili, che vedevano nel celebre
tenore Amorevoli l’antesignano del nuovo stile di canto
naturale ed i nostalgici del vecchio mondo dei castrati. Questi
ultimi, nell’elencare i maggiori cantanti della prima metà
del XVIII secolo, insieme a Carestini, Caffarelli e
Bernacchi,
ricordavano con nostalgia la sublime dolcezza della voce di
Gizziello, con un aneddoto assai significativo:
''E
dove lasciate Egiziello, il grande, l’unico Egiziello, il re
dell’espressione? Fu egli che nell’opera Artaserse fece
piangere tutta Roma per questo solo accento:
Come
testimoniava l’erudito musicologo François-Joseph Fétis,
Gizziello aveva una ''voix douce, pure, pénétrante,
étendue, jointe à une expression naturelle, à un sentimentprofond du beau''(49).
Nel nostro
secolo la memoria del sopranista non si è affievolita, anzi, ha
conosciuto un costante apprezzamento, nelle enciclopedie ed in
varie pubblicazioni di carattere musicale.
Gino Monaldi considera Gizziello non solo come''uno dei cantanti più eletti del sec. XVIII,
ma un religioso interprete delle maniere più pure del bel
canto. Più che l’estensione e la forza dell’effetto erano
sorprendenti in lui la facilità, la scorrevolezza dei suoni e
laperfetta intonazione''(50).
Il giudizio della musicologia contemporanea sul Gizziello
è ben riassunto nelle note conclusive della voce scritta da
Winton Dean, per il New Grove’s Dictionary. Queste riflessioni
evidenziano, in particolar modo, la varietà del respiro
melodico e la meravigliosa attrattiva, raggiante e palpitante,
che la sua voce esercitò nella maturazione, in Haendel, di uno
stile musicale personale e di eclatanti qualità sonore:
''Conti
was one of the greatest of 18th-century singers. He was an
exceptionally high soprano with a compass of at least two
octaves, and the only castrato for whom Handel wrote a top C.
The four parts Handel composed for him - Meleager in Atalanta,
Sigismondo in Arminio, Anastasio in Giustino and Alessandro in
Berenice - indicate that he commanded great brilliance and
flexibility but also unusual power of pathetic and graceful
expression''(51).
Sylvie
Mamy ha dedicato a Gizziello la prima parte del X Capitolo “Il
regno della melodia” del suo studio sui castrati
napoletani a Venezia, illustrando compiutamente tutti i
caratteri del repertorio interpretato dal cantante nelle tre
stagioni al Teatro San Giovanni Grisostomo. Nelle arie cantate
da Gizziello a Venezia, la musicologa coglie ''il segno
di una evoluzione profonda nella concezione dell’opera nel
XVIII secolo'', segnalando che la tessitura vocale del
cantante copriva ben due ottave dal do3
al do5(52).
1)
Venerabile Collegiata Abbaziale di San Michele Arcangelo, Arpino,
Liber Baptizatorum, (anno 1714), pag. 111. Il cognome del padre
del musicista trascritto sull’atto di battesimo è ''Conte''.
2)
Riflessioni pratiche sul canto figurato di GIAMBATTISTA
MANCINI, Maestro di Canto dell’Imperial Corte di Vienna,
Accademico Filarmonico, Terza Edizione, in Milano MDCCLXXVII,
ristampato a cura di ANDREA DELLA CORTE, in Canto e bel canto,
Paravia, Torino 1933, pag. 223.
3)
Venerabile Collegiata di San Giovanni Battista, Ceccano, Liber
Baptizatorum 1726-1756, vol. IV, pag. 226.
4)
GIOVANNI BATTISTA GENNARO GROSSI, Domenico Gizzi e Gizzielli
suo allievo,in Biografia degli Uomini Illustri del Reame di Napoli,
Nicola Gervasi, Napoli 1819, pag. 3 e CHARLES BURNEY, Viaggio
Musicale in Germania e Paesi Bassi, a cura di Enrico Fubini,
EDT, Torino 1986, pag. 97. A proposito dell’ esordio di
Gizziello in teatro, tradizionalmente accolto da tutte le fonti,
occorre notare che fin dal 1924, ALBERTO CAMETTI, aveva
pubblicato il frontespizio del libretto dell’Artaserse
nel saggio Leonardo
Vinci e i suoi drammi in musica al Teatro
delle Dame (1724-30), in “Musica d’Oggi”, anno
VI, ottobre 1924, numero 10, pagg. 298-299, rendendo noti i nomi
degli interpreti della rappresentazione romana del 1730 e delle
repliche della stagione di Primavera del 1731, fra i quali non
figura il nostro virtuoso. Con ogni probabilità il vero esordio
in Teatro di Gizziello ebbe luogo nella prima opera di Giovanni
Battista Pergolesi, “La Salustia”, libretto di
Sebastiano Morelli (tratto dall’Alessandro Severo di
Apostolo Zeno), rappresentata, con poche repliche, nella seconda
metà del gennaio 1732 al Teatro di San Bartolomeo. Il ruolo di Marziano
era stato affidato al grande sopranista Nicola Grimaldi, detto Nicolino,
che morì il 1 gennaio 1732, nei giorni delle prove e venne
sostituito dal giovanissimo Gizziello.
5)
GIOVANNI BATTISTA GENNARO GROSSI, op. cit., pag. 3.
6)
Per gentile segnalazione del Prof. Paologiovanni Maione, di
Napoli, che ha rinvenuto queste preziose informazioni
nell’Archivio della Real Cappella del Tesoro di San Gennaro.
7)
FRANCESCO COTTICELLI - PAOLOGIOVANNI MAIONE, Onesto
divertimento, ed allegria de’ popoli. Materiali per una storia
dello spettacolo a Napoli nel primo Settecento, Ricordi,
Milano 1996.
8)
HEINRICH BENEDIKT, Das Konigreich Neapel unter Kaiser Karl VI,
Manz Verlag, Wien-Leipzig 1927, pag. 661.
9)
WINTON DEAN, voce Conti Gioacchino ‘Gizziello’, in The
New GROVE - Dictionary of Music and Musicians, London, vol.
4, pag. 682.
10)
S. FASSINI, Il melodramma a Londra nella prima metà del
Settecento, Torino, Bocca, 1914, pag. 115.
11)
Idem. Il Fassini riprende la descrizione delle scene
dell’opera Atalanta dagli Aneddoti di James Peller Malcolm,
pubblicati a Londra nel 1810.
12)
ANGUS HERIOT, I castrati nel Teatro d’opera, Rizzoli
Milano, 1962, pag. 139. Versione
inglese, Londra, Secker and Warburg 1956, pag. 116; CHARLES
BURNEY, A general history of music ..., New York 1957,
III, pag. 396.
13)
WINTON DEAN, Handel and the opera seria, Berkeley - Los
Angeles, University of California Press 1969, pag. 198.
14)
WINTON DEAN, voce Conti Gioacchino ‘Gizziello’, in The
New GROVE - Dictionary of Music and Musicians, London, vol.
4, pag. 682.
15)
WINTON DEAN, Idem, che riporta la testimonianza dello Jennens.
16)
GIUSEPPE A. PASTORE, Don Lionardo, Vita e opere di Leonardo
Leo, Bertola & Locatelli editori, Cuneo 1994, pp. 83-84,
114-116.
17)
MARIE-THERESE BOUQUET, Il Teatro di Corte dalle origini al
1788, Volume I della Storia del Teatro Regio di Torino,
coordinatore Alberto Basso, pubblicata dalla Cassa di Risparmio
di Torino, 1976, pag. 135. In occasione del soggiorno del 1740,
Leonardo Leo offrì al Re di Sardegna Carlo Emanuele III il suoMiserere concertato a due cori e basso numerato,
considerato uno dei capolavori della musica sacra del XVIII
secolo. Il sovrano gradì sommamente l’omaggio e dispose una
pensione annua di cento once d’argento e ricchi doni, in
favore del compositore. Si veda a tal proposito GIUSEPPE A.
PASTORE,
Leonardo
Leo, Editore Pajano, Galatina 1957, p.
109.
20)
GIOVANNI BATTISTA GENNARO GROSSI, op. cit., pag. 4.
21)
SAVERIO FRANCHI, Drammaturgia Romana, II (1701-1750),
Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1997, pag. 320.
22)
Idem, pag. 327; Diario Ordinario di Roma, n. 4857 del 7
settembre 1748, pagg. 4-5; M. LOPRIORE, G.B.
Costanzi in Dizionario
Biografico degli Italiani, Ed.Enc.Ital. Treccani, Roma 1984,
vol. 30, pag. 382.
23)
LINA MONTALTO, Il Clementino 1595-1875, Roma, Ulpiano
1939, pagg. 179-180 e 201.
24)
Citato da SYLVIE MAMY, Note storiche del libretto allegato al CD
Virgin-Veritas NICOLO’ JOMMELLI, Le Lamentazioni del
profeta Geremia per il Mercoledì Santo, 1996, pag. 11.
25)
ARIELLA LANFRANCHI - ENRICO CARERI, Le Cantate per la Natività
della B.V. Un secolo di musiche al Collegio Nazareno di Roma
(1681-1784), in “Haendel e gli Scarlatti a Roma”,
a cura di Nino Pirrotta e Agostino Ziino, Firenze, Leo Olschki
Editore, MCMLXXXVII, pag. 336.
26)
BENEDETTO CROCE, I Teatri di Napoli - sec. XV-XVIII,
Napoli, Arturo Berisio Editore 1968, Vol. II,
pag. 369.
28)
“Narrazione/delle solenni reali feste/fatte celebrare in
Napoli/da Sua Maestà/il Re delle Due Sicilie/CARLO Infante di
Spagna/per la nascita del Suo Primogenito Filippo Real
Principe/delle Due Sicilie”, Napoli 1749, pagg. 7-8.
29)
ANGUS HERIOT, I castrati nel Teatro d’opera, Rizzoli
Milano, 1962, pag. 140.
35)
GIOVANNI BATTISTA GENNARO GROSSI, op. cit., pag. 7.
36)
GIUSEPPE BARETTI, Lettere famigliari a’ suoi fratelli
Filippo, Giovanni e Amadeo, Lettera XXIX, S.E. Dante
Alighieri, Milano 1906, pag. 110.
37)
Descrizione dello stato attuale del Real Teatro del Coliseo
del Buen Retiro e del Teatro del Real Sito di Aranjuez, Disposto
da Don Carlo Broschi Farinello, Criado Familiar di Sua Maestà
Ferdinando VI, nell’anno 1758, pag. 14. (Tratto dal Sito
Fiestas Reales). Gizziello rimase a Madrid fino al Natale del
1755.
38)
BENEDETTO CROCE, I teatri di Napoli dal Rinascimento, in Scritti
di st. letter. e pol., VII, Bari 1926, pp. 154 e s, 203,
207.
39)
GIOVANNI BATTISTA GENNARO GROSSI, op. cit., pag 8, nota 2.
40)
PATRICK BARBIER, Gli Evirati Cantori, Rizzoli 1991, pag.
178.
41)
MONALDI GINO, Cantanti evirati celebri del teatro italiano,
Ausonia, Roma 1920, pag. 74.
42)
GIOVANNI BATTISTA GENNARO GROSSI, op. cit., pag. 7.
44)
Il giudizio di Jean-Jacques Sonnette, dit ANGE GOUDAR, datato
1773, è riportato da SYLVIE MAMY, in Les grands castrats
napolitains à Venise au XVIII siècle, Pierre Mardaga
éditeur,
Liège 1994, pag. 123.
45)
P. SCUDO, Les sopranistes Gizziello et Guadagni, in Revue
des Deux Mondes, Paris, XXXII Tome quarantième, 15 luglio
1862, pagg. 498-499.
48)
GIUSEPPE ROVANI, Cento Anni, Libro Primo. Questo
suggestivo aneddoto venne riferito per primo da ANGE GOUDAR, nel
1773 e riguarda il dialogo fra Megabise e Artaserse, nella scena
11.ma del Primo Atto del dramma.
49)
F.-J. FETIS, voce Joachin Conti, in Biographie
universelle des Musiciens, Paris, Firmin Didot 1870, Tome
Deuxième, pag. 351.
50)
GINO MONALDI, Cantanti evirati celebri del teatro italiano,
Ausonia, Roma 1920, pag. 74.
51)
WINTON DEAN, voce Conti Gioacchino ‘Gizziello’, inThe New GROVE - Dictionary of Music and Musicians,
London, vol. 4, pag. 683.
52)
SYLVIE MAMY, Les grands castrats napolitains à Venise au
XVIII siècle, Pierre Mardaga éditeur, Liège 1994, pagg.
121-129.
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