CANTORE E MAESTRO DELLA CAPPELLA PONTIFICIA

ALLA FINE DEL XVII SECOLO

 

        Alessandro VIIQuando Don Gregorio de Giudici giunse a Roma, la città gli apparve come uno straordinario scrigno di tesori di arte millenaria, nel quale erano incastonati i migliori gioielli del rinnovamento urbanistico promosso dai pontefici negli ultimi decenni. L’immagine dell’Urbe che si spalancò dinnanzi agli occhi attoniti del giovane chierico offriva una serie imponente di opere architettoniche, senza eguale al mondo, fra cui si ergevano, accanto a ruderi dell’antichità classica, i modelli più ammirati dell’arte costruttiva del momento, che ispiravano un senso di vivissima sorpresa e di intensa emozione per grandiosità, linee, colori e concezione spaziale. Proprio in quegli anni, Bernini aveva completato il Colonnato di San Pietro, Francesco Borromini lo strepitoso Sant’Ivo alla Sapienza e pittori del calibro di Pietro da Cortona e Carlo Maratta, nobilitavano sale e cappelle con affreschi ammiratissimi. 

       L’immagine della Roma pontificia tracciata da Sisto V con l’apertura di nuove strade, piazze e monumentali palazzi era stata ripresa e perfezionata dai suoi successori, Alessandro VII Chigi e Clemente IX Rospigliosi, che avevano promosso grandiose opere di incredibile suggestione, simboli del potere pontificio, capaci di dettare legge in Europa per oltre due secoli.

       Roma era meta di schiere di letterati, pittori, artisti, musicisti, viaggiatori e attori, che convenivano da ogni parte d’Europa. 

Clemente IX Rospigliosi

Con regolari cadenze ed in occasione di particolari cerimonie, fioriva una serie impressionante di celebrazioni con musiche, cori, luci, decorazioni, scenografie e grandi apparati nei luoghi sacri, negli oratori e nei palazzi nobiliari e degli ambasciatori stranieri.

       Come centro mondiale della Cristianità, la Roma papale aveva accentuato, anche per mezzo di cerimonie ed apparati fastosissimi, quel sincero rinnovamento religioso e spirituale promosso dal sacrosanto Concilio di Trento. Sede del Sommo Pontefice, la città era divenuta un centro ineguagliabile di committenza artistica in cui facevano a gara fra loro i cardinal-nepoti, gli alti prelati, i nobili romani e stranieri, le confraternite e le numerose fiorenti istituzioni religiose.

       Regina Cristina di Svezia a sinistra assieme a CartesioUn aspetto fondamentale caratterizzava la religiosità barocca: la Chiesa militante celebrava la Gloria del Signore ed il suo splendore incomparabile, attraverso l’opulenza dei materiali e delle forme, esaltando la Fede e la Religione per mezzo dei migliori aspetti sensibili che alludevano e preludevano, in terra, a quelli spirituali ed ultraterreni della beatitudine celeste. All’interno delle chiese, l’arte barocca celebrava i suoi suggestivi trionfi: dorature, stucchi, drappi di stoffa pregiata, panneggi, marmi policromi, pitture e sculture, tutto convergeva verso l’Altare, sul quale la Chiesa offriva il Santo Sacrificio della Messa. Il fasto echeggiava anche nelle facciate esterne delle chiese, popolate da un susseguirsi di statue di santi, cornici, capitelli, colonne, stemmi ed emblemi. Alla straordinaria e memorabile attività culturale che contrassegnò la seconda metà del XVII secolo a Roma, diede un impulso notevole la Regina Cristina di Svezia, convertitasi alla vera fede e stabilitasi nella Città Eterna fin dal 1655, accogliendo nel Palazzo Riario, sede della sua residenza, numerosi intellettuali, letterati, scienziati e musicisti (come Bernardo Pasquini, Alessandro Stradella ed in seguito Arcangelo Corelli ed Alessandro Scarlatti). La Regina Cristina promosse rappresentazioni, concerti, accademie culturali, cerimonie ed eventi festivi, in cui veniva accentuata al massimo la meraviglia e l’effimera bellezza delle forme e la caducità delle cose. L’idealizzazione classica con ninfe, muse e pastori, ispirata ai miti greci, portò, nel 1690, alla fondazione dell’Arcadia, un nuovo e prestigioso sodalizio letterario ed artistico che influenzerà il gusto dell’Europa intera. 

       Fra i mecenati che si susseguirono negli anni di presenza di Don Gregorio a Roma ebbero maggior luce i cardinali Benedetto Pamphili e Pietro Ottoboni. Il primo fu rinomato per le accademie domenicali che riuniva Benedetto Pamphili nel suo Palazzo al Corso, in cui venivano rappresentate importanti composizioni e gli Oratori per i quali egli stesso scriveva il libretto. Con l’elezione di Alessandro VIII Ottoboni, avvenuta nell’ottobre 1689, il pronipote del Papa, il giovanissimo Card. Pietro Ottoboni, inaugurò un eccezionale periodo di mecenatismo artistico e musicale, che lo fece salutare come uno dei più grandi mecenati di tutti i tempi. Con una vastità di interessi culturali e musicali di certo non comuni, il Card. Ottoboni promosse una serie di eventi musicali di genere sacro e profano con il concorso dei migliori musicisti, fra cui le celebrazioni nella Chiesa di San Lorenzo in Damaso, le Cantate per la Notte di Natale nel Palazzo Apostolico, alla presenza del Papa e dei cardinali, numerosi oratori, cantate e sonate da camera, eseguite nel suo Palazzo della Cancelleria, a cui guardavano con ammirazione i musici di tutta l’Europa.

Fra i musicisti che operarono alla corte del Pamphili e poi dell’Ottoboni ricordiamo innanzitutto Arcangelo Corelli, geniale violinista e compositore fra i più grandi di tutta la Storia della Musica, membro dell’Arcadia e vera autorità musicale della Roma di fine seicento.

Grande stima godette anche Bernardo Pasquini (qui per ascoltare alcuni brani al Cembalo eseguiti live da Paola Nicoli Aldini), uno dei maggiori cembalisti e organisti del secolo, che brillava per le sue improvvisazioni, con cui sbalordiva gli ascoltatori. Verso il 1670, Pasquini divenne Maestro di Cappella del Principe Giambattista Borghese, poi della Regina Cristina e membro infine dell’Arcadia. Giacomo Carissimi, considerato ed ammirato come il padre della forma moderna dell’Oratorio, Maestro di Cappella della Chiesa di Sant’Apollinare del Collegio Germanico-Ungarico dei Padri Gesuiti, portò a grande perfezione il genere oratoriale, in cui la varietà drammatica era sostenuta da un accuratissimo accompagnamento orchestrale.Pietro Ottoboni

Come compositore di musica sacra si impose Giuseppe Ottavio Pitoni, Maestro di Cappella fra i più celebrati dell’epoca, autore di un numero immenso di messe, mottetti, antifone e salmi, che concluse la sua carriera musicale come  Maestro della Cappella Giulia in Vaticano e venne sepolto nella Chiesa di San Marco.

Molti musicisti di assoluto talento del periodo barocco soggiornarono a Roma, dove iniziarono la loro parabola ascendente, propagando la loro influenza in tutta l’Europa. Fra i compositori che si formarono a Roma e vi dimorarono per un certo tempo, ricordiamo Alessandro Scarlatti, giuntovi a soli dodici anni, che fin dalla sua prima giovinezza operò con successo nell’ambiente musicale romano, presentando la sua prima opera nel 1679, a diciannove anni, sotto la protezione della Regina Cristina di Svezia e del Cardinal Pamphili.

La Regina Cristina di SveziaUgualmente, il giovanissimo musicista modenese Antonio Maria Bononcini fu presente a Roma negli ultimi anni di residenza di Don Gregorio de’ Giudici, facendosi ammirare per le proprie geniali qualità di violoncellista e compositore.

Negli anni cruciali per l’affermazione dell’arte musicale barocca, con il rinnovamento dei gusti, degli stili, tecniche e pratiche musicali e l’emancipazione dai vincoli polifonici, l’ambiente romano fu estremamente idoneo all’affermarsi di iniziative musicali che impegnavano una folta schiera di protettori e mecenati, esecutori, editori e tipografi nel genere sacro e profano, nell’intento di superare con fervida fantasia, i canoni del classicismo rinascimentale. Proprio a Roma si dispiegò l’opera di numerosi artisti di prima grandezza, verso le nuove conquiste estetiche del melodramma e della musica strumentale che iniziarono a definirsi con una propria ed acclamata dignità artistica.

In questo particolare momento, assunse un ruolo di primissimo piano la Congregazione dei Musici di Santa Cecilia, un organismo a statuto pontificio ordinario, riconosciuto ed approvato con vari documenti papali, fra cui una Bolla di Papa Sisto V ed un Breve di Urbano VIII (1).

Queste disposizioni apostoliche simili a quelle emanate in occasione della costituzione di nuovi ordini religiosi, istituti, collegi e confraternite, assegnavano al sodalizio ceciliano dei compiti molto prestigiosi nel panorama artistico e culturale della Città Eterna. Le cerimonie musicali negli appuntamenti prestabiliti per statuto nel suo calendario liturgico e l’assistenza sociale dei musici confratelli infermi o indigenti, ne fecero un eccellente istituto di arte musicale e di provvida assistenza benefica.

Alla metà del XVII secolo, i membri della Congregazione erano interpellati dall’alto patriziato romano per gli interventi musicali in occasioni festive e celebrative, fornendo strumentisti, musici, cantori e organisti di primissima scelta e svolgendo una assidua vigilanza nei settori della vita musicale pubblica romana. Proprio in quegli anni, l’attività dei Barberini e dei Rospigliosi nell’organizzazione degli spettacoli musicali, consentì alla Città di Roma di assumere una posizione di assoluta preminenza nel panorama del teatro musicale dell’epoca.

La Congregazione dei Musici di Santa Cecilia aveva una struttura interna precisamente definita nelle cariche onorarie ed effettive. Il Cardinale Protettore conferiva prestigio, lustro e protezione al sodalizio in tutte le sue difficoltà, mentre il Prelato Primicerio assumeva le vere funzioni di presidente dell’istituzione. Accanto a queste figure si affiancavano, per i compiti pratici ed organizzativi, i “Guardiani”, presidenti delle varie categorie dei congregati: maestri di cappella, strumentisti, cantanti (musici) e organisti. Il Camerlengo era il tesoriere e responsabile amministrativo, affiancato dal Segretario.

Molta importanza rivestivano le cariche di Infermiere e Visitatore delle Carceri, impegnati scrupolosamente nelle pratiche assistenziali in favore dei congregati, che costituivano una parte ammirevole dell’attività del sodalizio ceciliano.

I Verbali di due sedute della Congregazione dei Musici di Santa Cecilia documentano l’aggregazione del sacerdote e musico ceccanese Don Gregorio de Giudici all’insigne istituzione romana e, nel contempo, offrono uno squarcio di luce sulla sua biografia artistica e sulla sua personalità umana.

Egli risultava aggregato al sodalizio ceciliano nella categoria degli esercenti, come musico cantore che svolgeva stabilmente ed ufficialmente una apprezzata attività artistica nelle cappelle e basiliche romane.

In ogni caso, i dati su Don Gregorio che si ricavano dalle due sedute, hanno valore retrospettivo e ci inducono a ritenere che il giovane cantore facesse parte del sodalizio già da qualche tempo, figurando fra i congregati intervenuti alle riunioni nella categoria degli artisti che godevano di una posizione sociale e di una affermazione artistica riconosciuta professionalmente.

Nel caleidoscopico e fervido ambiente musicale romano, Don Gregorio era una personalità musicale già in vista ed un serio professionista, che svolgeva la sua attività in posizioni di prestigio e con una precisa vocazione musicale. Certamente, egli si sentiva molto fiero del grande privilegio che gli veniva concesso di appartenere alla  istituzione, considerandosi quasi insignito di una preziosa onorificenza artistica.

La prima seduta in cui figura il nome di Don Gregorio de Giudici si tenne il 18 marzo 1664, nella Chiesa di Francesco Foggia Santa Maria Maddalena, presso i Padri Ministri degli Infermi di San Camillo de Lellis (2). In quella occasione, la Congregazione Generale composta da ben 48 membri, venne chiamata ad eleggere i nuovi Officiali, cioè i quattro Guardiani, il Camerlengo, il Segretario, i Sindici e gli Infermieri. Nel corso delle votazioni, fu confermato Guardiano dei Maestri di Cappella Antonio Maria Abbatini, mentre per l’ufficio di Guardiano degli Organisti, si fronteggiarono varie candidature fra cui quella di Ercole Bernabei e Arcangelo Lori.

Il Verbale della seduta costituisce un documento di grande importanza storica, nel quale Don Gregorio risulta a diretto contatto su un piano non solo artistico, ma anche umano e sociale, con alcune personalità del mondo musicale romano di assoluto rilievo ed estremamente influenti, come Antonio Maria Abbatini, Francesco Foggia, il celebre violinista Carlo Mannelli ed il cantore Francesco Litrico. Questi personaggi, con intenti di sincera fraternità e spirito di collaborazione, partecipavano all’attività di un sodalizio che preparava, in quegli anni, una nuova epoca per l’arte musicale, scenica, vocale e strumentale romana, promovendo, nello stesso tempo, una serie ammirevole di iniziative di carità.

 

Il nome di Don Gregorio è nuovamente citato nel Primo Volume dei “Verbali delle Congregazioni Generali e Segrete”, in data 22 ottobre 1669 fra i partecipanti alla Congregazione che si riunì sotto la presidenza del Primicerio, Mons. Girolamo Casanate, celebre letterato e futuro cardinale (3). Nella seduta vennero assunte delle importanti decisioni in ordine alla organizzazione di grandi celebrazioni musicali per l’imminente festa di Santa Cecilia.

Come attestano i due verbali, in queste sedute della Congregazione vennero trattati problemi di particolare natura e di significativa portata, relativi ai domini dell’arte e dell’assistenza sociale, a conferma dell’importanza dei compiti assunti dal sodalizio ceciliano negli anni del rinnovamento culturale e musicale della società romana, che caratterizzarono la seconda metà del XVII secolo.

  

 

1) Sulla Congregazione dei Musici di Santa Cecilia, si veda REMO GIAZOTTO, Quattro secoli di storia dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, 2 voll., Roma 1970. Per uno sguardo d’insieme sul periodo romano negli anni di Arcangelo Corelli, si veda lo Speciale Amadeus su Arcangelo Corelli, De Agostini – Rizzoli Periodici, Milano 1998, con articoli di Massimo Rolando Zegna, Gloria Staffieri e Carlo Vitali.

 

2) Archivio dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Verbali delle Congregazioni Generali e Segrete, Volume I, cc. 41 r et v. Nei registri del sodalizio, la posizione di Don Gregorio de Giudici come congregato è la numero 299.

 

3) Ibidem, cc. 21 r et v.  

 

La Triade Barocca (Haendel.it - handelforever.com e GFHbaroque.it) ringrazia infinitamente l'avv. Stefano Gizzi per la disponibilità e la concessione di condividere con tutti gli appassionati squarci dettagliatissimi del periodo barocco, che ruotarono attorno alla figura di Don Gregorio de Giudici 

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