|
Benedetto Marcello, ritratto di P. Ruggero
Benedetto Marcello costituisce una personalità esemplare tanto per la sua
posizione sociale di nobile, con incarichi di servizio verso lo Stato,
quanto per la sua attività ininterrotta di poeta e scrittore. La sua vita
è caratterizzata da un continuo intrecciarsi di ruoli: avvocato, giudice,
amministratore, poeta, filologo, musicista e compositore, attività quest’ultima
che gli valse il titolo di “principe della musica sacra”.
Il padre Agostino, senatore nel governo veneto, si distinse come buon
violista, mentre la madre, Paolina Cappello (Capello), mostrò una buona
attitudine nella poetica e nel disegno. Benedetto Marcello era il minore
dei suoi due illustri fratelli, il compositore
Alessandro e
Girolamo (1672-1742), autore di versi di argomento spirituale.
Nacque a Venezia nella parrocchia di Santa Maria Maddalena, nella cui zona
si trovava il palazzo di famiglia sul Canal Grande (a San Marcuola, chiesa
ove è sepolto Johann Adolf Hasse assieme a Faustina Bordoni).
Sulle orme del padre Agostino, Alessandro seguì l'esempio paterno e
divenne un eccellente violinista, Benedetto Marcello non era
particolarmente portato per lo strumento, rivelando già però all’inizio
una propensione per la musica vocale, spaziando in tutti i generi vocali,
non trascurando contemporaneamente la composizione e il contrappunto con
Francesco Gasparini e per tre anni studiò legge fuori Venezia.
Nel 1707 prese seriamente la composizione dopo la morte del padre,
avvenuta nel 1707, anno assai importante nella sua vita. Gli studi di
musica, poesia e teoria della musica continuarono per tutto questo
periodo, ed iniziò a copiare parti di un trattato del 1622 di Camillo
Angieria (l'opera venne per qualche tempo attribuito allo stesso
Marcello).
Nel dicembre 1707 entrò a far parte del Maggior Consiglio veneziano.
Nel 1708 i suoi concerti per violino e violoncello op. 1 furono le sue
prime opere musicali pubblicate; Vivaldi prese a prestito uno dei suoi
temi utilizzandolo nel Concerto op. 3 n. 11 (1711), e questo evidenzia la
notorietà di questi suoi concerti: in questi concerti però Marcello si
qualificò come “dilettante di contrappunto”, locuzione che utilizzò anche
per il frontespizio delle 12 suonate a flauto solo con il basso continuo
per violoncello o cembalo, Op. II del 1712: questo termine serviva ad
attenuare la portata dell’affermazione di contrappuntista e metteva in
sostanza Marcello in riparo dalle critiche che più tardi gli piovvero
addosso dai cultori dello “stile osservato”.
Il Triennio 1708 / 1711 condusse sia Benedetto sia Alessandro a contatto
con la famiglia Borghese a Roma. Sotto il nome arcadico di Eterio
Stinfalico, Alessandro dedicò un volume di cantate solistiche alla
Principessa Paolina Borghese a Roma nel 1708, mentre Benedetto onorò la
stessa famiglia nel 1709 col suo secondo oratorio (il primo era stato
scritto nel 1705), La Giuditta, su testo proprio. L'opera fu eseguita in
casa di Livia Spinola Borghese in novembre; il libretto venne pubblicato a
Venezia l'anno seguente. In questo triennio, Benedetto servì come avvocato
nelle corti minori veneziane.
Nel 1711 era ormai affermato compositore, tanto da poter sottoporre una
messa canonica a 4, dedicata a Papa Clemente XI, all'Accademia Filarmonica
di Bologna, in cui fu ammesso nel mese di dicembre: la messa divenne la
composizione sua sacra più nota, prima dei Salmi. L'interesse per
l'Accademia sembra aver dominato la vita di Marcello per parecchi anni:
egli ne rimase affiliato fino al 1714, anno in cui compose un Dixit
Dominus e un Laudate pueri per quella famosa istituzione. Dal 1714 fece
parte dell'Accademia di Venezia, mentre suo fratello Alessandro ospitò una
piccola accademia nella propria casa ed operò nell'Accademia degli
Animosi, una cellula arcadica insediata a Venezia, la cui figura più
illustre fu il poeta Apostolo Zeno.
Tra le altre accademie veneziane in cui Marcello partecipò si possono
ricordare quelle ospitate da Isabella Renier Lombria, dall'organista
Agostino Bonaventura Coletti, e l'Accademia Nobile detta La Cavallerizza.
Fra gli Arcadi Benedetto Marcello adottò lo pseudonimo di Driante Sacreo.
Forse egli è l'autore dell'anonima “Lettera familiare” (circa 1716), in
cui un volume di madrigali di Antonio Lotti del 1705 è il pretesto per una
dargomentazione sulla funzione della voce principale e sulla teoria
musicale in generale.
Oltre alle opere sacre composte per l'Accademia bolognese, tra il 1711 e
il 1716 M. stese intensamente musica profana.
Le Sonate a flauto solo op. 2 per flauto dolce furono pubblicate nel 1712,
e un volume di sonate per clavicembalo fu pubblicata nel medesimo periodo.
Il suo interesse per il genere della cantata si manifestò, a quanto pare,
in modo particolarmente intenso fra il 1713 e il 1715: si tratta di 23
cantate, quasi tutte per Alto, sono datate 1713; esse si dividono in due
gruppi, datati a intervalli di una settimana per un periodo di tre mesi:
si tratta evidentemente di cantate scritte per le “adunanze” settimanali
di un'accademia veneziana.
Le cantate del 1715 sono invece scritte per lo più per Soprano.
Dal 1711 al 1716 il compositore fu impegnato in una serie di incarichi
governativi: fu uno dei quattro uffici della Messetaria dal 1° Dicembre
1711 al 31 Maggio 1713, uno tra giudici dell'Essaminador dal 12 Maggio
1714 all' 11 Settembre 1715 e uno dei quattro ufficiali della Ternaria
Vecchia dal 27 Agosto 1715 al 26 Dicembre 1716.
Dal 1716 in poi vi fu un cambiamento di interessi da parte di Benedetto
Marcello.
I suoi interessi letterari si intensificarono, portandolo a pubblicare un
volume di “Rime varie” nel 1717 e un volume “Sonetti amorosi” nel 1718.
Egli scrisse inoltre tanto il testo quanto la musica degli intermezzi per
la tragedia drammatica LUCIO COMMODO (1719), e nel 1720 presentò in modo
anonimo al pubblico la sua opera letteraria più famosa, Il teatro alla
moda, satira sul dramma musicale.
Fu quasi certamente durante questo periodo di massima produzione
letteraria che in Benedetto Marcello nacque l'idea di servire la musica
per le parafrasi in vernacolo dei primi “50 Salmi di Davide” dovute al suo
amico Girolamo Ascanio Giustiniani, il giovane.
Apparsi in 8 volumi fra il 1724 e 1726, i Salmi erano fatti per esser
l'impresa musicale di maggior successo del compositore veneziano.
L'interesse di Marcello per la musica profana continuò oltre i 30 anni, e
si realizzò in opere che richiedevano un numero sempre maggiore di
esecutori.
Il Volume di Madrigali apparso nel 1717, per esempio, era costituito da
brani per 2, 3 o 4 voci, e anche i duetti, sebbene la maggior parte di
esse non rechi data, a causa di numerose altre indicazioni possono essere
attribuite principalmente al periodo compreso tra il 1715 e il 1720.
Le cantate solistiche con data posteriore al 1716 sono composte in uno
stile lontano da quello semplice, tipico della gioventù di Marcello: v’è
infatti una ricerca di una più intensa caratterizzazione drammatica e
richiedono l'utilizzazione di strumenti a corda.
Ma, oltre ai Salmi, le opere più significative degli anni venti furono
quelle create con grandiosità di intenti:
una SERENATA composta per la Corte Imperiale di Vienna nel 1725;
il dramma pastorale CALLISTO IN ORSA scritto per Venezia nello stesso anno
(forse rappresentato a Strà);
l'oratorio GIOAS, destinate anch'esso alla corte viennese e rappresentata
a Vienna nel 1726; l'intreccio scenico musicale ARIANNA, composte a
Venezia nel 1727.
Altra data importante nella vita di Benedetto Marcello fu il 1728, anno
che fu segnato da due avvenimenti:
1) il matrimonio segreto, nel mese di maggio, con Rosanna Scalfi, una
popolana che cantava sui “battelli” dei canali veneziani, che rimase
occulto fino alla morte del compositore stesso;
2) e il presagio di morte che Benedetto Marcello ebbe nel mese di agosto
durante un servizio della chiesa dei Santi Apostoli (dove era organista il
suo amico A. B. Coletti): passando sopra una tomba, la pietra si ruppe ed
egli cadde nella fossa rimanendo illeso: dopo tale evento, Benedetto
marcello evitò tutto ciò che non fosse attinente alla sfera religiosa.
Le opere più significative degli anni Trenta furono i 2 oratori scritti
per la festa dell'Assunzione IL PIANTO E IL RISO DELLE QUATTRO STAGIONI,
1731 e IL TRIONFO DELLA POESIA E DELLA MUSICA, 1733, e un volume di
sonetti spirituali, A Dio (1731).
Nel novembre 1733 Benedetto Marcello ottenne il suo primo incarico
governativo: si recò presso la città istriana di Pola come “Provveditore”.
Ritornato nel marzo 1734, per la cattiva salute, dall'ottobre 1733 al
gennaio 1737 ottenne la carica a Venezia di ufficiale della Giustizia
Vecchia.
Nel gennaio 1738 fu mandato a Brescia come “Camerlengo”. I Coevi ce lo
descrivono, in quel periodo, come un uomo gentile, di grande cultura,
sempre propenso a pratiche religiose. Avrebbe mantenuto l’incarico a
Brescia fino al settembre 1739, ma 2 mesi prima si spense. Lasciò
incompleto un trattato religioso, “L'universale redenzione”, al quale
aveva lavorato moltissimo tempo, oltre ad altri scritti e a quasi 700
opere musicali.
Le opere letterarie
L'attività di Benedetto Marcello come poeta, autore satirico e teorico
della musicale interagì con la sua produzione musicale. Il suo
approfondimento nel campo della teoria musicale fece crescere senza dubbio
il suo interesse nei confronti della musica di altre epoche, e specie nei
confronti del contrappunto di Palestrina e dei madrigali del Cinquecento,
che egli adoperò in tante composizioni.
Gli è attribuita l'anonima “Lettera familiare”, una dissertazione critica
nei confronti del metodo di Lotti.
L'intento satirico caratterizza sia la musica sia gli scritti degli anni
compresi fra il 1715 e il 1720. Anche gli scritti successivi rivelano
interessi vicini a quelli musicali che emergono dalle opere della stessa
epoca, come appare chiaro negli ultimi oratori, IL PIANTO e IL TRIONFO.
Cantate ad una
voce
Nel
campo della musicale vocale, gli interessi di Benedetto Marcello si
concentrarono in primis verso la cantata solistica. Egli poté così
esercitare anche le sue inclinazioni poetiche redigendo molti dei testi;
soddisfò inoltre i gusti dei nobili accademici, durante le “adunanze” dei
quali si eseguivano le sue musiche.
L'interesse di Benedetto Marcello per la cantata ebbe il suo apice nel
periodo compreso tra il 1713 e il 1715. Le cantate di quegli anni sono
caratterizzate da un recitativo introduttivo seguito da 2 arie separate da
un altro recitativo, secondo la comune struttura della cantata solistica.
In linea generale le 2 arie hanno tonalità e ritmi diversi: una di solito
è in 3/8 e una in 4/4. La forma col “da capo” viene utilizzata sempre,
anche se a volte sono introdotte ripetizioni in forma bipartita. L'aria è
introdotta e conclusa da un ritornello, che sembra apparentemente scritto
per clavicembalo solo: alcune partiture riportano tuttavia indicazioni che
dimostrano che nell'esecuzione si utilizzava un piccolo insieme
strumentale di archi.
Lo stile vocale di Benedetto Marcello si distanzia da quello rigido del
suo insegnante Gasparini ed anche da quello del suo predecessore nel campo
della cantata, Alessandro Scarlatti.
I caratteri della linea melodica mutano conformemente al testo e al ritmo:
per esempio nelle arie pastorali in 8/12, come “Un guardo lusinghier”
nella cantata Amanti sopirate si evidenzia una liricità e gentilezza che
si avvicina all'ideale settecentesco del “bel canto”.
Il carattere descrittivo del testo ricorre nelle arie di “affetto” in
ritmo binario.
Anche Benedetto Marcello associò il ritmo ternario ai testi di tono più
triste, come si conveniva nell'opera veneziana. Mentre le parti dell'aria
(ritornello, prima frase, etc.) dai coevi di Benedetto Marcello sono
tenute separate, egli mantiene invece la struttura tipica del contrappunto
cinquecentesco in quasi tutte le sue cantate, tranne in quelle giovanili:
l'introduzione strumentale si conclude comunemente con una cadenza dove
viene inserita la voce.
Le cantate del repertorio di Benedetto Marcello appartengono a differenti
tipologie, specchio dei vari momenti dello sviluppo dello stile musicale
del compositore. La maggior parte delle cantate solistiche sono state
composte negli anni che vanno fino al 1716.
Le prime (che risalgono forse a prima del 1712) sono di un'estrema
semplicità: alcune arrivano a tralasciare il recitativo introduttivo;
godono di melodie piacevoli con ridotte modulazioni ed evidenziano uno
scarso interesse di Marcello all’inserimento di elementi drammatici,
sebbene siano presenti “affetti” contrastanti nelle due arie.
I ritornelli strumentali, se presenti, finiscono con chiare e semplici
cadenze, prima dell'entrata della voce. Esempi tipici si possono ricordare
Mie pecorelle, l'erbe novelle, e Ecco il prato, ecco la fonte, oltre a
molte composte su testi pastorali in auge nei circoli arcadici.
Benedetto Marcello sviluppò frattanto ricerca di raffinatezza e
complessità stilistiche su diversi livelli in modo progressivo e
simultaneo. Le cantate appartenenti a questo processo di ricerca
presentano un recitativo d'apertura, arie in tonalità contrastanti e
frequenti sovrapposizioni della voce e dell'accompamento strumentale: vi
sono lunghi melismi e comparse di un recitativo drammatico. Come esempi
tipici, si possono citare Qual mai fato inumano e Lassa, passato è il
giorno.
La linea del basso è sempre parte integrante dei testi e delle linee
vocali. Anche nelle cantate più semplici voce e accompagnamento si
sostengono e rinforzano l'una con l'altro, finendo col conferire una
maggior comprensibilità al testo. Le cantate create dopo il 1720
raggiungono nuovi effetti in due nuovi modi. Certe presentano un insieme
di strumenti ad arco che consiste di volta in volta in violini soli, in
violini e viole, in violini, viole e violoncelli, tanto che ci può essere
una vera e propria sinfonia; l'insieme strumentale in altri casi
accompagna sia i recitativi sia le arie. Gli strumenti arrivano a non
esser più solo un semplice rinforzo, ma diventano un mezzo per porre in
rilievo il significato del testo: per esempio si ricordino le cantate
quali Qual turbine e Arianna abbandonata. Nelle cantate di questo tipo le
parti strumentali obbligate eclissano il ruolo del continuo. Le prime
cantate per Alto, come ad esempio, Ruscel che corri al mar e Gonfio
torrente, con parti obbligate per viola e violoncello, sono notevolmente
carismatiche.
Le cantate drammatiche, quali la Cassandra, l'Andromaca, il Timoteo, e
l'Erode furono composte alla fine degli anni venti e si basano
prevalentemente su soggetti tratti dalla mitologia greca; presentano un
accompagnamento strumentale assai scarno, semplice e frammentario; i
ritornelli, se presenti, sono assai brevi: in questo modo la voce è
protagonista assoluta.
Le altre cantate del periodo successivo presentano continue inserzioni di
simbolismo musicale: la concentrazione sul testo è così intensa che si
trascurano le caratteristiche formali dell'aria, sostituite da brevi
passaggi in stile arioso che in genere escludono ogni ripetizione del
testo: si pensi ad esempio alle cantate Lucrezia e Cleopatra, dove
persiste una libertà ritmica che si rifà in qualche modo alla declamazione
drammatica che appare spesso anche nelle cantate più brevi, ad esempio nel
tipico brano di apertura di Sorgi candida aurora.
Si può ancora aggiungere che le cantate drammatiche sono più estese di
quelle pastorali, e che Benedetto Marcello, mentre per le cantate liriche
scrisse egli stesso i testi, per quelle drammatiche si volse invece
generalmente a testi di altri poeti.
Il Timoteo si basa sulla traduzione dell'Alexander's Feast, del poeta
inglese John Dryden, dovuta all'abate Antonio Conti, che fu anche poeta e
filosofo: il Timoteo è un capolavoro per la stupefacente atmosfera da
Sturm und Drang in cui è immerso (terremoti, furie degli elementi e scene
di battaglie alternate a serene apparizioni di aurore e pennellate di
gioia). Su testi di Conti vennero composte anche Andromaca e Cassandra,
che col Timoteo figurano fra le cantate più note di Benedetto Marcello.
Cassandra è particolarmente drammatica: la descrizione dell'arco teso nel
recitativo “Ma il furibondo Greco” e quella dell'ascesa del monte Olimpo
in “Ma festeggiate o Trojani” sono due significative esemplificazioni del
talento di Benedetto Marcello nelle vesti di drammaturgo musicale.
Sebbene abbia composto molte cantate per soprano, Benedetto Marcello
mostrò una chiara predilezione per la voce di contralto: non a caso molte
delle sue cantate migliori sono infatti scritte per contralto, e Rosa
Ricci era designata come interprete da Benedetto Marcello stesso per la
maggior parte di queste.
Le cantate per voce bassa, poco numerose, presentano una struttura meno
ricercata e furono composte probabilmente in epoca un po' posteriore.
Sorgi dal Gange, rispetto alle altre cantate, è piuttosto lunga: si
presenta con 3 arie e 3 recitativi, ed è sostenuta da uno schema
simmetrico piuttosto insolito, in cui due arie in la minore incorniciano
un’aria intermedia in do maggiore.
Spezza l’arco, vigorosa nel suo insieme, si può considerare un pezzo per
virtuoso per le sestine che compaiono nell'aria “Nocchiero fortunato” e la
magniloquenza della musica che sottolinea la parola ‘libertà’ nell'aria
‘Spezza l'arco’ da cui il nome della cantata.
Particolarmente drammatico è inoltre il ‘presto’ di ‘Dov'è quel Dio’ nella
cantata sacra Erode.
Tra le cantate di Benedetto Marcello ne esistono alcune ‘bizzarre o
capricciose’: tra queste figura Senza gran pena, più volte eseguita, in
cui i bemolli della parte vocale concordano armonicamente coi diesis del
continuo e che si conclude con un'aria in ritmo quinario. Benedetto
Marcello deve essersi compiaciuto di questa cantata poiché scrisse una
lunga prefazione per spiegarne le peculiarità.
Più bizzarra ancora è La Magia, ispirata al mito di Giasone e Medea, in
cui oltre alla notazione enarmonica compaiono ritmi differenti sia nella
parte vocale che nell'accompagnamento.
Complessivamente le cantate di Benedetto Marcello segnano una linea di
sviluppo stilistico che va dalla serenità pastorale ad una drammaticità
complessa.
Nel primo periodo, il più semplice, Benedetto Marcello perseguì gli ideali
tipici dell'era classica, mentre nelle cantate più complesse giunse a
sfiorare caratteristiche espressive quasi presaghe del dramma musicale
dell'epoca romantica.
I suoi stretti rapporti con i poeti e il suo coinvolgimento personale con
la poesia, uniti alla mancanza di interesse per l'opera teatrale, furono
caratteristiche uniche per la sua epoca, che vanno prese in considerazione
se si vogliono spiegare i molti elementi insoliti che caratterizzano le
sue cantate.
I duetti, i terzetti e i madrigali
I
duetti sono più semplici e meno numerosi delle cantate, ma popolari vista
la diffusione delle copie manoscritte. I duetti più noti furono quelli
pubblicati a Bologna nel 1717 nella raccolta Canzoni madrigalesche op. 4:
predominano quelli per SS e per SA.
La maggior parte dei duetti, cioè quelli che egli nell'op. 4 denomina
“canzoni”, sono composizioni divise in sezioni. senza recitativo e
modulazioni, generalmente piuttosto brevi. Predominano i ritmi ternari e
composti; caratteristico inoltre è un assolo di apertura ripreso quindi
dalla seconda voce, procedimento che ripete il rapporto di successione tra
ritornello d'apertura ed entrata vocale delle cantate solistiche. Spesso,
per esempio in “Ti lascio mio bene / Tu parti mio bene”, il testo cantato
dalla seconda voce è contrastante con quello su cui si basa la prima voce,
così da presentare sentimenti diversi espressi similmente al duetto
dell'opera teatrale. In Farfalletta semplicetta, la generica tragedia di
una farfalla che vola verso il fuoco è posta in relazione con la personale
tragedia di un amante che languisce in un amore sfortunato.
Numericamente assai scarse sono le altre musicale profane a 3, 4 e 5 voci:
un esempio tipico è costituito dai 2 brani satirici sui castrati. In No
che lassù in si bemolle maggiore, il brano diretto contro i castrati, i
TTBB cantano su una fuga a cappella sostenendo che i castrati, poiché non
producono alcun frutto, soffriranno nella dannazione eterna.
Di rimando, in Sì, che laggiù in la maggiore i castrati, rispondono con un
canone per S e A che i TTBB, il cui canto è un monotono ronzio,
precipiteranno nelle fiamme dell'inferno mentre i castrati verranno
beatificati per la loro bellissima voce. I due brani, che a quanto pare
vennero da Benedetto Marcello offerti ai 'cantori della Basilica di San
Marco a Venezia, apparvero intorno al 171S, e furono celebrati più per i
loro testi che per la musica.
Le canzoni a 3 voci dell'op. 4 sono concepite in uno stile arcaico, con
cadenze subentranti, tonalità fluide, brevi frasi estese su lunghe linee
melodiche. Con simili caratteristiche antiquate sono i 2 madrigali a 4
voci dell'opera 4, Dove hai tu nido e Che bei vostr'occhi, che a
emulazione del madrigale del XVI secolo mancano di un continuo.
Le serenate
Le
serenate di Benedetto Marcello sono composizioni eterogenee, e
perfettamente compiute. Esse si possono ricollegare alle serenate di
Alessandro Scarlatti, e si basano su soggetti già utilizzati da Scarlatti;
sebbene le serenate di quest'ultimo siano più chiare nella forma e
costituite da una orchestrazione più robusta.
La maggior parte di quelle di Benedetto Marcello è costituita da brani
pastorali, come CALISTO IN ORSA e LA GARA AMOROSA, o da brani di
occasione, come LE NOZZE DI GIOVE E GIUNONE; abbondano cori e insiemi
orchestrali.
Una composizione un po' a se stante è rappresentata dall'intermezzo comico
Spago e Filetta per la tragedia LUCIO COMMODO (1719), il cui testo è
costituito da una dissertazione satirica sul matrimonio. Spago apre
l'intermezzo con una domanda, “Quanto caro mi costa un matrimonio?”; la
musica è semplice. Questo lavoro precede Il teatro alla moda di un anno
soltanto: un minuetto, “Questo è un passo”, e il coro finale propongono i
medesimi argomenti contro cui nel 1720 sarà diretta la satira di quel
trattato.
Un altro lavoro dello stesso periodo è LA GARA AMOROSA a 3 voci, una
serenata su soggetto pastorale senza cori, ma con alcuni duetti, e
riportante alcune indicazioni per l'uscita degli archi.
LA MORTE DI ADONE a 3 voci fu rappresentata al Palazzo Borghese a Venezia
nel 1719. L'ultima serenata composta per essere eseguita a Venezia è l'ARIANNA,
forse rappresentata all'Accademia della Cavallerizza nell'anno 1727
caratterizzata da un'atmosfera intensamente drammatica, mutevole e
patetica.
Di dubbia paternità è la pastorale perduta, CALISTO IN ORSA (1725).
Le serenate con pretese più ambiziose furono composte da Benedetto
Marcello per essere rappresentate fuori Venezia; esse ruotavano su
soggetti mitologici. Per la corte imperiale di Vienna Benedetto Marcello
compose nel 1725 una serenata a 6 voci in occasione del genetliaco
dell’Imperatore Carlo VI. Forse anche GIOVE E GIUNONE fu composta per
quella corte.
La musica sacra
Le
composizioni sacre di Benedetto Marcello si distinguono dalla maggior
parte di quelle profane per l’omaggio che esse rendono all'antichità,
specialmente per il rilievo dato a canoni, fughe e per i temi derivati dal
cantus firmus di diverse antiche tradizioni liturgiche. Le composizioni di
questo genere più note sono i 50 salmi, sui versi in traduzioni italiani
di G. A. Giustiniani, e apparsi tra il 1724 e 1726 in 8 volumi col titolo
L'Estro poetico-armonico: essi rappresentano la più importante
testimonianza sia della grande erudizione sia del talento compositivo di
Benedetto Marcello coi loro riferimenti continui agli autori
dell'antichità e al canto greco, ebraico e armeno. Tra gli attestati di
riconoscimento figurano quelli di Gasparini, Bononcini, Mattheson,
Telemann, e altri. Ogni salmo un'opera in sé completa e complessa, essendo
la parafrasi di ogni versetto biblico e quindi concepita come un brano
separato dagli altri.
Vengono usati varie combinazioni di tipologie vocali e strumentali, di
strumenti musicali e di tipi di accompagnamento. Il solo elemento
peculiare a tutti i salmi è la preoccupazione del compositore di
illustrare il significato del testo mediante la musica. I salmi vennero
eseguiti per la prima volta davanti ai membri dell'Accademia Cavallerizza
nella sala di musica dell'Ospedaletto adiacente alla sede dell'Accademia,
dove stesso Benedetto Marcello si esibì in alcuni assoli del tenore.
Fra i salmi più noti figurano il n. 41, Qual anelante cervo per 2 soprani,
un duetto spensierato con un ritmo accentuato e semplice;
il n. 42, Dal tribunal augusto per basso, dallo stile severo e serio;
il n. 50, O d’immensa pietà per Alto, tenore e basso con violette,
violoncelli e continuo solenne e contemplativo.
Aspetto caratteristico presente nei salmi è l'uso di un cantus firmus
tratto da diverse liturgie, quali l'ebraica e la greca; l’abilità di
Benedetto Marcello si manifesta nell'integrare il rigore intellettuale del
contrappunto tipico della musicale sacra con l'intensa ricerca espressiva
tipica della musicale profana del secolo XVIII. La popolarità dei salmi fu
enorme, e continuò a crescere in tutta Europa fino all'inizio del sec. XIX.
Tra i grandi ammiratori di questa parte della produzione di Benedetto
Marcello furono Goethe, Cherubini, Rossini e Verdi.
I 4 oratori composti da Benedetto Marcello rappresentano l'espressione di
una profonda devozione; essi comprendono inoltre alcune delle opere più
curate dall'autore.
GIUDITTA (testo di Benedetto Marcello), allestito in Casa Borghese nel
1709, fu assai nota per alcune delle sue arie, che conobbero anche da sole
una vasta diffusione: è caratterizzato da un forte lirismo e da un
linguaggio strumentale estremamente incisivo, può essere servita da
modello all'oratorio composto da Vivaldi sullo stesso soggetto nel 1716
Juditha Triumphans.
GIOAS (la sola opera di Benedetto Marcello su testo di Zeno, caro amico di
suo fratello Alessandro), è il più noto tra gli oratori del compositore
veneziano, e rivela un richiamo verso le sue composizioni vocali di 20
anni prima, sebbene vi sia la presenza di ampio uso di trilli, tirate e
figure di “bariolage”. Nell'accompagnamento Benedetto Marcello utilizza le
corde per illustrare una sua nuova tendenza al naturalismo poetico,
trasmesso tramite le arie.
Maggior peso dà al al coro, che viene a rivestire un ruolo più importante
rispetto a quello che esso aveva nei primi oratori.
I 2 oratori composti da Benedetto Marcello per la festa dell'Assunzione,
rispettivamente del 1731 e del 1733, terminano egregiamente il periodo
finale della sua produzione di musicale vocale: Infatti legato ai gesuiti,
immerso in riflessioni di carattere religioso, Benedetto Marcello si
dedicò totalmente alla composizione di opere che celebrassero
adeguatamente la festa della Vergine: ecco quindi che i duei oratori
ricorrono ad argomenti allegorici consueti e ben sviluppati: IL PIANTO
ricorre al naturalismo, rappresentato qui dalle quattro stagioni,: è forse
il meno fortunato dei due oratori, sebbene la natura venga rappresentata
focalizzando l’attenzione sull'elemento fantastico; mentre ne IL TRIONFO
l'interesse è rivolto alle relazioni tra poesia, musica e arti liberali:
questo oratorio, sotto molti punti di vista, può considerarsi un sunto di
quanto di meglio è possibile trovare nell'Estro poetico-armonico e nelle
ultime serenate. Entrambi gli oratori contengono comunque un chiaro
messaggio: il profano è stato umiliato dal sacro.
La musica strumentale
La musica strumentale di Benedetto Marcello, sonate per
clavicembalo, flauto dolce e violoncello, concerti e sinfonie, risale per
lo più al periodo giovanile.
Sebbene la sua attività di violinista sia stata il primo passo nel mondo
della musica, Benedetto Marcello si interessò soprattutto al violoncello,
che cercò di privilegiare rispetto agli altri strumenti, dandogli un
maggior rilievo.
Molti dei Concerti a 5 dell'opera 1 (1708), contrappongono il violoncello
al tutti, analogamente a quanto si verifica nelle sonate per tromba di
Torelli, ossia senza che vi sia una relazione tematica stretta fra solista
e l'insieme degli altri strumenti. I concerti presentano inoltre aspetti
veneziani tipici come l'abile utilizzazione di fughe, sequenze etc.
Tuttavia essendo persa la parte del violino, oggi si può avere solo una
idea incompleta di questi concerti.
Le sinfonie di Benedetto Marcello sono per la maggior parte delle
introduzioni a opere vocali. Le sonate per violoncello solo (circa 1732) e
Le sonate a 3 per 2 violoncello o viole da gamba e continuo (circa 1734)
sono stilisticamente simili alle note sonate per flauto dolce op. 2
(1712), in 4 tempi nella successione adagio/allegro/adagio/allegro; i 2
allegri sono in forma bipartita. Le sonate per flauto dolce rivelano le
stesse caratteristiche pastorali che Benedetto Marcello stava cercando di
sviluppare nelle cantate della stessa epoca.
Le sonate per clavicembalo erano notissime ai suoi tempi, e la data della
loro pubblicazione è ignota: sono caratterizzate da una successione di
movimenti variegata, in forma binaria, a seconda delle fonti. Tali
composizioni non sono varie e ricche come quelle per clavicembalo di
Domenico Scarlatti.
L'abilità nel comporre musica strumentale fu introdotta da Benedetto
Marcello nella musicale vocale: si vedano ad esempio gli splendidi
accompagnamenti per clavicembalo nella cantata drammatica La Magia, per
violino in Arianna Abbandonata, e per violoncello nel salmo n. 15,
Consenta me.
Strano a dirsi, ma con la maturità Benedetto Marcello diede sempre più
parche istruzioni riguardanti l'esecuzione: le indicazioni soli e tutti
sono le sole a suggerire che nei salmi o nelle serenate si poteva
impiegare una piena orchestra d'archi; è certo comunque che, quando i
salmi vennero eseguiti a Roma e in Inghilterra, venne usata come minimo
un'orchestra di 24 archi.
Composizioni
BENEDETTO MARCELLO
Autore Marco Bizzarini
Casa editrice L'EPOS
A cura di Arsace
|
|