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Commento ed informazioni sul cd
registrato presso la prestigiosa Chiesa dell’Ospedaletto a Venezia in Aprile
2005
Complesso Vocale e Strumentale “Antonio Lotti” di Venezia
Direttore Paolo Cammozzo
Solisti
Andrea lia Rigotti, soprano
Lone Loell, contralto
Bo Schunnesson, tenore
Alessandro Giacon, basso
Coro
Soprani: Francesca Bressan, Patrizia Brombo, Marialuisa Cisilino, Giorgia
Crozzoli, Clotilde Gotti, Silvia Naccari, Angela Rizzato, Marina Uberti
Contralti: Nicolina Baldissera, Elena Chizzali, Anna Gagliardi, Christine
Huriet, Francesca Koch, Adelaide Purisiol
Tenori: Gabriele Bagagiolo, Roberto Rugeri, Franco Salvatori, Francesco Vio,
Francesco Zane
Bassi: Fabio Bertotto, Renato Morasco, Gianpietro Perin, Emilio Quintavalle,
Marco Toso
Violini: Stefano Bruni, Francesca Turcato
Viole: Marco Albano, Zeno Scattolin
Violoncello: Caterina Rossi
Contrabbasso: Piero Gianolli
Oboe d’amore: Manuel Bari
Flauto traverso: Francesca Cescon
Fagotto: Michele Scarpa
Corni: Dario Cabinato, Nikolay Novikov
Tromba: Paolo de Bei
Organo: Marina Baudoux
La nascita di Antonio
Lotti è ancorata ad una classe sociale di umile origine: suo padre era
“sonador” mentre la madre Marina Gasparini era figlia di un “barcariol”.
Si sa che nel 1687 all’età di vent’anni è preso come cantore contraltista
prima a San Marco mentre era direttore Giovanni Legrenzi, poi nel 1689
nella Cappella Ducale. Fu in questo periodo che iniziò anche il
perfezionamento musicale dell’arte del contrappunto sotto l’egida di
Ludovico Fuga, accedendo prima come aiuto organista sino a diventare nel
1704 titolare del primo organo.
Dopo il successo conseguito a Dresda come operista assieme alla moglie
cantante Santa Stella e agli strumentisti della Cappella Marciana, torna
in Italia nel 1719 con “una carrozza, così i cavalli e i suoi fornimenti”
dono del Principe di Sassonia, che lascia nella sua Villa di Strà. Il
ritorno di Lotti fu caratterizzato da un intenso operare nel settore
sacro, profano e strumentale, abbandonando il mondo teatrale.
Antonio Lotti fonda una scuola veneziana di canto, componendo per
l’ospedale degli Incurabili alle Zattere: presso i suoi insegnamenti si
formeranno nomi importanti nel mondo della musica Barocca, come Giuseppe
Giacomo Caratelli, Domenico Alberti, Girolamo Bassani, Michelangelo
Gasparini, Giambattista Pescetti, Benedetto ed Alessandro Marcello,
Baldassare Galuppi.
Lo stile di Antonio Lotti è ravvisabile in tecniche espressive ricche di
armonie libere che suscitarono interesse, ma anche le censure dei coevi:
nel 1705 Benedetto Marcello in una “Lettera Famigliare d’un Accademico
Filarmonico” gli scrive contro confutando le scorrettezze del suo
contrappunto, giusta giustificazione delle inattese soluzioni stilistiche
del Lotti.
Antonio Lotti fu sepolto presso la Chiesa di San Geminiano – dinnanzi la
Basilica di San Marco – che attualmente non esiste più.
Il cd che vado a commentare è una miscellanea di alcune composizioni che
spaziano in vari generi: il sacro rappresentato da pezzi sacri, esempi
della dedizione di Lotti al ruolo di maestro di Cappella, come il
CONFITEBOR, KYRIE, e DIES IRAE e pezzi profani come la musica d’Occasione
data dalla Sinfonia della cantata LE STELLE FORTUNATE, dedicata
all’Imperatrice, la musica cameristica rappresentata dal Trio per
flauto, fagotto e oboe d’amore, e un pezzo di stampo teatrale, come la
Sinfonia per il Melodramma Pastorale GIOVE IN ARGO: questi salti di
campo musicale seguono l’intento di far vedere l’abilità del compositore
in ogni genere musicale, in quanto all’epoca di Antonio Lotti un
compositore non poteva dormire sugli allori, ma doveva esser sempre in
grado di dimostrare di esser pronto a soddisfare ogni richiesta possibile.
Nella Musica di occasione è la famiglia Imperiale ad esser oggetto di
sperticate lodi, che viene presentata anche alla nobiltà Veneziana in
tutte le sue qualità e virtù, esaltandola ed onorificandola, sebbene in
sostanza i patrizi veneziani non fossero molto filo-asburgici.
L’Imperatore è depositario di impareggiabili virtù guerriere e di
condottiero, come era consuetudine al tempo sebbene materialmente non
fosse effettivamente intervenuto in alcuna battaglia: l’Imperatore figura
come un Ercole, come così appare nelle dediche delle composizioni, mentre
l’Imperatrice, “Sac. Ces. Cat. Real Maestà Elisabetta Cristina Imperatrice
Regnante”, sua consorte, viene dipinta come una figura d’Amore e di
Speranza evidenziando i caratteri che più la caratterizzavano (Le Stelle
Fortunate).
La Musica invece più legata al rischio imprenditoriale, è quella teatrale
del melodramma pastorale GIOVE IN ARGO: tale composizione era per la Regia
Elettoral Corte di Dresda nel 1717: non all’avanguardia come quello
veneziano, il teatro di Dresda univa il vecchio sistema di amministrazione
ancorato alle antiche tradizioni del vecchio teatro di Corte con gli usi
del nuovo sistema imprenditoriale, ricco di impedimenti e difficoltà
affidate ad un’unica responsabilità. Questa fusione di tipi amministrativi
di teatro, faceva in modo che la composizione non fosse in piena balia dei
gusti del pubblico, dando una maggiore libertà al compositore, che era in
grado di concentrasi sui particolari dell’opera e sull’aspetto
drammaturgico, senza dover indirizzare l’opera pienamente al pubblico
nobile che voleva un ideale che per quanto potesse esser affascinante,
spesso si staccava dalla realtà…. Ma tant’è questo è il Barocco…
La musica sacra a Venezia fu sempre importante: San Marco esigeva i
massimi musicisti per dirigere la propria cappella,: nel cd sono
presentati l’Ordinarium Missae e i vespri che rappresentano per San
Marco il banco di prova di Lotti: Ecco che viene presentato un Kyrie
tratto dalla Missa Sapientiae, copiato da un estimatore come Johann
Sebastian Bach, che nutriva un profondo sentimento di ammirazione per i
compositori veneziani suoi coevi, quali Legrenzi, Bonporti, Vivadi
Albinoni, i due Marcello e Antonio Lotti ed altri compositori oggi ancora
piuttosto sconosciuti.
Uno dei versanti più importanti della musica sacra, dopo quello delle
Messe Natalizie, che venivano presentate a Venezia non solo come evento
sacro, ma anche come vero e proprio evento mondano, circondato da tutti i
pettegolezzi sull’evento, è quello dato dai vespri, la celebrazione
serotina che assembla essenzialmente il canto di 5 salmi, alternatisi sera
dopo sera, con l’inno, l’antifona e il Magnificat. Questa esigenza di
riproporre continuamente i vespri che manifestavano la necessità di una
presenza di cantori almeno 200 giorni l’anno, imponevano ai compositori la
produzione di salmi con alta frequenza da riusare con grande parsimonia:
era necessario impiegare nuove composizioni che potevano celebrare
l’abilità artistica del compositore che una ripresa di vecchie melodie
prima composte e già udite dal pubblico (e da lui ben memorizzate).
Il Dies Irae invece è una composizione più originale, almeno nella
platea veneziana: vi è una frammentazione di versetti che è stata capace
di alleggerire la durata notevole della sequenza letteraria e in grado di
assicurare alla composizione un respiro che merita e che tende ad offrire
un grande risalto alla drammaticità del testo: ecco quindi un Quantus
tremor pensato per un terzetto di solisti, per passare poi ad un
Mors Stupebit per il solo soprano che si stupisce dinnanzi alla morte;
ecco un Recordare capace di suscitare l’implorazione, ecco un
Qui Mariam absolvisti per un soprano supplichevole e un Lacrymosa
dettato fra contralto e soprano.
A cura di
Arsace
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