Con tristezza si deve innanzitutto dire che Velluti fu
l’ultimo degli evirati cantori che varcò i palcoscenici. La sua gloria fu
costruita in gran parte anche dal fatto che brillava da solo nel panorama
canoro europeo, nel senso che non vi erano dei rivali negli anni migliori
della sua carriera, anche se questo contribuì a dipingerlo agli occhi
della gente come un fenomeno di circo ambulante.
Nacque nel Gennaio del 1780 presso Ancona, in una località allora chiamata
Pausala, poi Montolmo, per un gigantesco olmo che si inalberò fino al 1831
e che infine oggi ha preso il nome di Corridonia, in memoria di Filippo
Corridoni, medaglia d’oro della prima guerra mondiale. Il suo vero cognome
era non Velluti, ma Stracciavelluti, che venne solo in seguito abbreviato
per ragioni di tipo artistico.
Sembra che in un primo tempo i suoi genitori l’avessero designato come
futuro soldato, cosa che si desume da una lettera, di poco successiva alla
nascita, della madre che così scrive ad un’amica:
“Mi chiedi se sarei stata più felice della nascita di una bambina? Oh, ma
in questo caso come potrebbe mio marito farne quel valoroso capitano che
sogna? Pensa solo a questo: l’altro giorno mentre lo stava a guardare,
esclamò: “Questi diventerà il primo Velluti... di ferro!”
Poiché c’erano queste intenzioni da parte dei genitori, è difficile
pensare quali possano esser state le ragioni che li hanno indotti a far
evirare il figlio. Certe fonti affermano che fu per errore:
“Il bambino, che soffriva non si sa di quale malattia, venne affidato ad
un medico che, deliberatamente o no, mal capì le direttive dei genitori e
lo evirò prima che qualcuno potesse fermarlo”. Oramai la cosa era fatta ed
a Velluti non restava altra carriera che quella di cantante.
Un’altra versione della situazione del bimbo Velluti invece riguardava il
fatto che era affetto da criptorchidia, ovvero della mancata discesa dei
testicoli nel loro alloggio naturale, ossia lo scroto, cosa abbastanza
normale nei bambini di quell’età. Se il fenomeno non regredisce
spontaneamente, come avviene spessissimo, è necessario un intervento
chirurgico – oggi basta una terapia ormonica – elementare prima che si
superi l’ottavo o nono anno d’età: il punto è che a quest’età si agiva
anche per evirare per preservare la voce, e il chirurgo deve esser caduto
in questo equivoco, e poi era avezzo alla orchiectomia, e pare diede in
pasto al gatto i due piccoli ovuli.
Figuriamoci quanto ci rimasero male i due genitori, che fecero buon viso a
cattivo gioco, e siccome gli scaglionati non erano ammessi al servizio
militare, non restavano che due scelte: la carriera ecclesiastica o quella
del cantante sopranista e sperando bene anche.
La sua prima apparizione in pubblico avvenne in tenera età, quando ebbe
modo di esibirsi in una cantata in onore del cardinale Chiaramonti (il
futuro Papa Pio VII), quando quest’ultimo visitò Ancona.
Subito dopo il bimbo fu inviato a studiare a Bologna con padre Mattei, a
cui era molto simpatico, ma fu costretto per ragioni politiche dell’epoca
ad affidarlo ad altri maestri, fra cui l’abate Calpi a Ravenna.
Il momento storico era molto difficile: francesi che invadevano l’Italia,
rivoluzioni in fermento dovunque, le teste coronate e le oligarchie
cadevano. L’arte canora stava attraversando davvero un pessimo momento.
Velluti riuscì a terminare gli studi indisturbato, mentre i suoi
contemporanei si occupavano di politica e di altri simili passatempi,
appassionanti, ma altrettanto pericolosi.
Il suo debutto avvenne a Forlì nel 1800 e nel 1803 lo troviamo a Napoli,
esibendosi in PIRAMO E TISBE di Andreozzi; il suo nome fu noto a tutti ben
presto.
A Roma ottenne un successo particolare cantandovi nel 1805, 1806, 1807 e
1808, con un onorario di 600 zecchini, in varie opere fra le quali LA
SELVAGGIA DEL MESSICO e il TRAIANO IN DACIA di Niccolini, l’ANDROMACA E
PIRRO di Tritto e in una ripresa degli ORAZI di Cimarosa; seguirono
rappresentazioni poi a Milano, con fantastico successo, nel CORIOLANO,
un’altra opera di Niccolini, insieme a Cesarini e a Isabella Colbran.
Per Velluti il compositore Niccolini diventò uno dei suoi favoriti,
assieme a Morlacchi, tanto che negli ultimi suoi anni di vita era
difficile convincere Velluti a cantare in opere di altri maestri, poiché
era convinto che questi solo potessero metter in risalto la brillantezza
della sua voce. Nel 1809 cantò nell’IFIGENIA IN AULIDE di Federici e nell’ORCAMO
di Lavigna, e nel 1810 nel RAOUL DE CRÉQUY di Mayr e nell’ARMINIO di
Pavesi.
Nel 1810 Napoleone ascoltò Velluti cantare in occasione della sua visita a
Venezia e disse: “Pareils sons je ne crois pas possibles, qu’à ce qui
n’est pas homme”, complimento ambiguo che Velluti non apprezzò, tanto che
riferitogli il commento imperiale ricontrobatté:
“Non uomo, ma nemmeno quel bestione che di lui il suono del suo cannone
rivela!”
L’avversione che Velluti provò per l’imperatore Napoleone non aveva
ragioni politiche e neppure gli interessavano le lotte ereditarie delle
monarchie, come dimostra il seguente episodio narrato da un cronista
dell’epoca:
“Mentre era a Senigallia per la celebre fiera del 1814, Velluti venne
scritturato dall’impresario Osca per esibirsi nel CARLO MAGNO di Niccolini.
Dall’ultima esibizione del famoso castrato Marchesini, cioè di 32 anni
addietro, Senigallia non aveva più avuto modo di ascoltare la voce di un
musico nel suo teatro... Il suo canto era lontano dal possedere il
patetismo di un Pacchierotti o la sobria e corretta eleganza di un
Crescentini... La principessa di Galles doveva presenziare a due
spettacoli e per sua richiesta l’opera avrebbe dovuto iniziare al secondo
atto. La prima sera, quando Velluti venne a sapere del desiderio di Sua
Altezza, irritato com’era dalla forte luce che secondo lui produceva
troppo fumo e calore rendendogli quindi difficile il respiro, perse la
pazienza e si ribellò a questa richiesta regale; “La mia gola è importante
quanto la regina” gridò, e riuscì ad imporsi”.
Sempre nel 1814, Velluti incontrò per la prima volta Rossini, mentre si
trovava a Milano per cantare nell'AURELIANO IN PALMIRA. Rossini si irritò
moltissimo per le eccessive fioriture che distribuiva nella sua musica,
poiché riteneva finissero per mascherare del tutto la sua melodia.
Insistette affinché Velluti cantasse le arie esattamente come erano
scritte, cosa che seccò enormemente il musico. Ora non si sa bene se sia
stato Velluti a giurare di non cantare mai più musiche di Rossini, oppure
fosse stato Rossini ad aver giurato di non utilizzare più Velluti, poiché
fu mortificato pubblicamente dal momento che la riuscita dell’opera
summenzionata è da ricollegare alle variazioni del musico.
In realtà Velluti cantò ancora Rossini, e pare che alla fine i due
divennero grandi amici, ma per il momento rifiutarono di riconciliarsi.
Nella stessa stagione Velluti sollevò consensi unanimi nel QUINTO FABIO di
Niccolini e col suo trionfo personale impedì la caduta dell’ATTILA del
maestro Farinelli, ultima opera eseguita da Velluti alla Scala.
Una avventura amorosa di Velluti in particolare con la Marchesa Clelia G…,
che suscitò molto scalpore, costrinse Velluti a lasciare Milano per
evitare le ire dei parenti: tutto era iniziato nel 1809 infatti in
occasione del carnevale Velluti recitava presso la Scala di Milano nel
CORIOLANO, quando il suo fascino ammaliò una giovane ed avvenente
marchesa: ne scaturì una relazione che all’inizio si tenne con
discrezione: Velluti incontrava la marchesa nel suo camerino o la
ossequiava dal palco prima della rappresentazione: si dimostrava prodigo
nei regali e negli omaggi floreali, frequentava il salotto della sua
dimora. I parenti però accortisi della tresca si agitarono moltissimo:
agirono quindi affinché la relazione si interrompesse immediatamente:
vietarono alla giovinetta di andare a teatro e di incontrare il musico, a
cui era pure stato proibito l’accesso al loro palazzo. Questa situazione
degenerò nello scandalo, poiché la marchesina non poté resistere alla
separazione, per cui decise di fuggire con armi e bagagli, trasferendosi
proprio nella casa di Velluti. Tutta Milano spettegolava su questo fatto.
Ma non solo questa avventura si sviluppò a Milano, dove Velluti per le
innumerevoli avventure erotiche venne soprannominato “lo sciupafemmene”.
Proprio in questo periodo l’imperatore Francesco emise il bando da tutti i
domini italiani contro i castrati, ma fu un documento redatto in termini
poco chiari e ben presto finì coll’esser considerato come una delle grida
spagnole de I Promessi Sposi.
Velluti era riuscito a farsi scritturare presso il teatro di corte di
Modena, dove il duca si era recentemente insidiato nuovamente al potere e,
reazionario ad oltranza, pretendeva che tutto si svolgesse come se la
rivoluzione francese non fosse mai esistita. Velluti trascorse molto tempo
a Modena protagonista di intrighi amorosi, per i quali si fece la nomea di
gran seduttore; si può ricordare che si mise insieme a una certa Giannina
che cantava nel medesimo teatro, ma che era anche l’amante di un certo
Furio Girelli, che aveva fatto molto denaro in modo alquanto dubbio
durante il periodo di occupazione francese, ed ora era desideroso di
insabbiare il passato, passando per un Mecenate locale.
Giannina acconsentì ingannarlo e voleva “la dimestichezza d’un evirato,
perché la stimava senza pericolo”. Tutto filò liscio finché Giannina non
si innamorò del bel tenore della compagnia, un certo Corbelli; la cosa non
irritò Velluti, poiché si era stancato dell’amante, e così facilitò gli
amori della coppia aiutandola a celare la tresca a Girelli.
Questa disponibilità di Velluti fu ricompensata con la fuga di Giannina
col nuovo amante, e con la sfuriata e la collera di Girelli, cosa che egli
fece, sembra, ricorrendo a un gioco di parole:
“Ma di che cosa mai vi lamentate, Signor mio? Voi affermaste di non voler
Corbelli, ma non parlaste punto di corbellature!”
Subito dopo, Velluti si recò in Germania, paese che aveva già visitato con
successo e dove era stato designato cantante di camera del re di Baviera.
A Vienna fu acclamato con trasporto e, per una stagione, ogni nuova moda
fu “alla Velluti”.
Poi si recò a Pietroburgo dove lo aspettava la medesima accoglienza.
Anche una granduchessa della casata dei Romanov si innamorò di lui
portandoselo nella sua principesca residenza in Crimea, ma Velluti non si
ritenne appagato dall’avere per amante una parente stretta dello zar
poiché Velluti era oggetto di continue stizze e gelosie della dama: così
ruppe i rapporti con lei molto presto. Esiste una lettera del Velluti che
appartiene al periodo
Mentre la relazione era ancora in corso, così egli scrisse a un amico:
“uomo e donna soli soli è la via d’aver figlioli, dice il proverbio, ma
per quanto mi riguarda non corrisponde a verità. Fummo talmente soli in
Crimea, che alla fine ci togliemmo di dosso i vestiti; ma, o perché dal
mio sacco da viaggio mancavano alcuni arnesi, o perché ella soffre di
eccesso in una direzione vale a dire ha circa trent'anni in più di quelli
che dovrebbe avere, sono giunto alla conclusione che l'unico modo per
avere dei bambini a corte è quello di usare una gran quantità di
pazienza”.
Subito dopo questo assurdo amore Velluti fece ritorno in Italia senza però
perdere il suo evidente gusto per le avventure più bizzarre. Essendo
stato, nel 1821, molto applaudito a Bergamo nell’ILDA D’AVENELLO di
Nicolini, si recò subito a Milano sperando di combinare una ripresa dello
spettacolo Scala. Nella città però alcuni sbirri gli salirono in carrozza
e lo conducendolo alla polizia. Non si conosce quale esattamente dovesse
essere la sua colpa, ma si pensa si trattasse di una dimenticanza nel
procurarsi un passaporto, necessario per gli spostamenti da una città
all’altra: la burocrazia infatti, prosperava nell'Italia austriaca,
all’inizio del XI secolo, in modo esuberante.
Velluti, affrontando il capo della polizia, non chiese la ragione del suo
arresto, ma, immediatamente si mise a cantare un’aria scegliendone apposta
una che conteneva queste parole:
“Farmi cattivo é facile
ma non sapreste poi
con tutto questo rendermi
cattivo al par di voi.”
A sentir ciò il funzionario, grande appassionato di musica, cadde in
imbarazzo, e finì per scusarsi di aver scambiato il cantante per un noto
carbonaro che si riteneva fosse giunto Milano, liberandolo.
Venezia divenne poi sede di trionfi inauditi per Velluti, nonché scenario
di divertenti farse fra le quali quella causata alla moglie del
sovrintendente della Fenice.
Questa signora, il cui marito era completamente succube, lasciò, prima di
partire per la campagna, un messaggio per la sua sarta nel quale diceva
che su un certo vestito “non desiderava il velluto”.
Il marito, trovatolo e interpretandolo scorrettamente, licenziò
immediatamente il cantante adducendo pretesti poco validi. Quando la
moglie ritornò, sostenitrice com’era di Velluti, obbligò il marito a
precipitarsi in cerca del cantante e a ingaggiarlo a qualunque costo,
accettando qualunque condizione il cantante avesse voluto. Così Velluti si
lasciò persuadere a far ritorno e ad impersonare la parte del cavaliere
cristiano Armando nel CROCIATO IN EGITTO di Meyerbeer, dove vi era un
ruolo scritto espressamente per lui e nel quale sollevava unanimi
consensi.
Successivamente, il 16 novembre del 1824, prese parte a Firenze a alla
prima di FEDRA, composta dal ministro plenipotenziario inglese lord
Burghersh e data nel suo palazzo privato. Lo spettacolo si prolungò per 4
ore e costò a questo nobile dilettante un vero piccolo patrimonio.
Nel 1825 Velluti si recò in Inghilterra, e lord Mount Edgcumbe ci dà un
resoconto famoso dell’eccitazione provocata dal suo arrivo:
“Devo ora registrare egli dice un fatto che ha suscitato grande curiosità
nel mondo musicale e che per un po' di tempo apportò vantaggi per il
teatro, terminando la stagione con gran splendore. Si tratta dell’arrivo
di un soprano maschile, l’unico rimasto sui palcoscenici italiani, che per
molti anni è stato considerato, forse perché non aveva rivali nel suo
campo, il migliore cantante di quel paese. Arrivò con forti
raccomandazioni, ma senza contratto ed è rimasto qui per un po' prima che
il direttore del teatro ardisse presentare un interprete così insolito e
fuori del comune. Nessun cantante di questo genere era apparso sui nostri
palcoscenici negli ultimi 24 anni, così la maggior parte di chi una volta
veniva deliziato da Pacchierotti, Marchesi e via di seguito, da tempo non
lo era più, ed era venuta formandosi una nuova generazione che non aveva
mai avuto occasione di udire una voce di questo tipo e che aveva quindi
forti pregiudizi verso i castrati. L’accoglienza che gli fu riservata ai
concerti fu ostile; la scurrile maldicenza diffusa a suoi danni prima che
venisse udito, fu crudele e meschina, solo dopo molte discussioni e molta
opera di persuasione e assicurazioni di appoggio, il direttore del teatro
lo ingaggiò per il resto della stagione.
Anche allora, tale era il pregiudizio popolare contro i castrati e il
generale coro di proteste sollevatesi contro di lui, che furono necessarie
solerti precauzioni per assicurargli almeno in parte il favore del
pubblico e impedire l’espulsione dal palcoscenico al primo apparire, cosa
che sembrava fosse già stata decisa in anticipo. Alla finalmente fu
annunciato che la prima apparizione del signor Velluti avrebbe avuto luogo
in una serata eccezionale, accordatagli in beneficiata per via del grande
peso che si era assunto nell’allestire la nuova opera; cosa che, in
realtà, era vera, poiché, avendo egli una perfetta conoscenza del
palcoscenico, dirigeva completamente tutti gli spettacoli cui prendeva
parte... Nel momento in cui doveva apparire, regnava il più profondo
silenzio, spezzato nel suo incedere da un forte applauso di
incoraggiamento. La prima nota emessa suscitò un senso di enorme sorpresa,
quasi di disgusto, in quegli ascoltatori non avvezzi agli stilemi della
scuola belcantistica; ma la sua interpretazione venne seguita con
attenzione e infine sollevò applausi unanimi, salvo qualche nota di
dissenso che fu rapidamente zittita”.
Si deve però sottolineare che a Londra non erano 32 gli anni in cui il
pubblico londinese era avulso dall’ascolto della tipologia vocale dei
castrati: Due castrati, sebbene di secondo ordine, il Neri e il Roselli,
erano rimasti a Londra fino al 1800. Allora al Roselli, che aveva una voce
flebile e di poca potenza, ma controbilanciava questi difetti con un buon
gusto e senz’altro se avesse avuto una potenza maggiore sarebbe stato un
buon cantante, fu affidata da Mount Edgcumbe la parte principale nella sua
opera ZENOBIA, poi però si rivelò assolutamente inadatto nelle prove, fu
sostituito dal tenore Viganoni per il quale la musica venne adattata
opportunamente al tono. Roselli, offeso, partì immediatamente
dall’Inghilterra.
L'opera in cui cantava era ancora IL CROCIATO IN EGITTO e fra gli altri
interpreti vi furono madame Caradori di origine tedesca e Maria Malibran,
giovane ancora e nota allora col nome di Mademoiselle Garcia. Velluti si
rese ben conto delle qualità di quest’ultima, indovinandone la futura
grandezza, spronandola a perfezionarsi ulteriormente tramite gli studi.
Mount Edgcumbe non fu assolutamente travolto dall’arte di Velluti; infatti
afferma:
“Velluti non è più tanto giovane e la sua voce è già in fase declinante.
Pare abbia una ragguardevole estensione, tuttavia necessita, cosa alquanto
anomala, dei mezzi toni, molti dei quali sono aspri e duri all’orecchio.
Alcune delle sue note sono ancora squisitamente dolci ed egli spesso le
allunga, le rafforza e le assottiglia con effetto raffinato. Anche le sue
note più basse sono piene e morbide, ed egli sfoggia una grande bravura
nello scendere da una nota all’altra con passaggi ingegnosamente studiati
per evitare quelle note che lui sa esser difettose. Stilisticamente è
ricco, ma privo di imprevisti, i suoi abbellimenti (molti dei quali erano
nuovi per noi) pieni di gusto ed eseguiti con semplicità. Canta con uno
stile grazioso, delicato ed espressivo, senza però raggiungere mai quel
cantabile maestoso, semplice e altamente degno proprio della vecchia
scuola e senza toccare nemmeno lontanamente la vera bravura. Manca di
altre doti per cui non ha varietà nella sua esecuzione, estranee al suo
canto sono la forza e lo spirito.
Fra i grandi cantanti menzionati prima, egli si avvicina molto a
Pacchierotti in una sola cosa, e cioè nelle sue deficienze; ma sia chiaro
che per contro non può regge il paragone con la eccellenza di Pacchierotti.
Velluti ricorda un po’ la figura di Pacchiarotti, ma l’aspetto del Velluti
è molto più piacevole, e in gioventù fu ritenuto molto bello. In Velluti
vi è molto da approvare e da ammirare nella sua interpretazione e si può
ragionevolmente comprendere che all’apice della sua carriera fosse degno
della reputazione che si è guadagnato in Italia. Anche in Inghilterra,
nonostante i suoi numerosi difetti, produsse una certa sensazione ed
annullò i pregiudizi suscitati contro di lui. Ai vecchi riportava
piacevoli ricordi; altri, cui la sua voce era nuova, cambiarono opinione
consci dei suoi meriti, tuttavia mentre molti dichiararono che in fondo il
suo timbro di voce procurava loro più fastidio che piacere. Tuttavia,
fosse curiosità o ammirazione sincera, ebbe sempre teatri pieni di gente e
fino alla fine della stagione si rappresentò sempre IL CROCIATO”.
Velluti ottenne anche affidato l’incarico della sovrintendenza del teatro
per la stagione del 1826; cosa fuori della norma per un cantante del
tempo. Era eccezionalmente colto e nella veste di curatore di spettacoli
fu uno dei primi ad occuparsi di dettagli come, per esempio la fedeltà
storica dei costumi. Ma poi si stancò di queste occupazioni e
conseguentemente perse il favore popolare.
Lord Mount Edgcumbe racconta che la popolarità di cui Velluti godeva si
assottigliò sensibilmente, e nella sua seconda opera, TEBALDO E ISOLINE di
Morlacchi, che egli considera come il suo capolavoro, ebbe un consenso
molto basso rispetto il CROCIATO: C’è un aneddoto che ci riferisce di come
nella parte di Tebaldo, Velluti doveva cantare in una mattinata le parole
“il nostro casto amor”, e subito uno dalle gallerie gli urlò contro “Cosa
altro potrebbe mai essere?”: fu sufficiente questa semplice battuta per
sollevare tutto il teatro in una grande risata, e si dovette pure faticare
molto per riprendere l’opera.
Occasionalmente egli fece il ruolo di Arbace nella SEMIRAMIDE di Rossini
ruolo composto, cosa assai curiosa, per il contralto femminile Pisaroni,
che orrenda fisicamente preferiva interpretare le parti maschili.
Per colpa di una disputa di carattere finanziario, Velluti si rese inviso
nella schiera del suo pubblico. Egli infatti si rifiutò di retribuire le
cantanti femminili del coro che avevano partecipato ad uno spettacolo:
naturalmente esse si rivolsero al tribunale, e Velluti per contro sostenne
che non aveva nessun obbligo di pagamento: infatti esibì un manifesto che
aveva fatto affiggere che esordiva con le parole: “Signori coristi”: Dal
manifesto quindi Velluti sostenne la tesi che si era rivolto naturalmente
ai soli uomini e quindi in tribunale Velluti mise in chiaro la sua
posizione, pretendendo di non aver mai avuto intenzione di assumere delle
donne per il coro, e che se c’erano state, qualcun altro le aveva
introdotte sicuramente contro il suo volere e contro il suo espresso
ordine.
Non fu affatto creduto e perse la causa, poiché il magistrato fece notare
al musico come egli avesse presentato una difesa non valida;
Il resto della stagione non fu molto seguito e Velluti se ne andò appena
finita molto seccato, nel 1829, non ritornando mai più in Inghilterra.
Dopo questi eventi incresciosi in Inghilterra, pare che Velluti abbia
cantato raramente in pubblico; Stendhal ebbe modo di ascoltarlo nel 1831 a
Venezia in un concerto:
“J’ai entendu Velluti, c’était dans un salon de la place Saint-Marc, au
midi par un beau soleil. Jamais Velluti n'a mieux chanté. Il a l’air d’un
jeune homme de trente-six à trente-huit ans, qui a souffert, et il en a
cinquante-deux; jamais il n’a été mieux..."
Allora però Velluti aveva già abbandonato le scene e si stava dedicando ad
una nuova occupazione: quella cioè di gentiluomo di campagna. Allo scopo
acquistò un possedimento, interessandosi di tutti i più recenti metodi nel
campo dell’agricoltura, quando gli italiani erano molto conservatori in
questo campo. Tutto questo però non inibiva il suo dedicarsi ancora alla
musica e, fra le altre attività, aiutò il più giovane Garcia a scrivere il
suo famoso trattato sul canto.
Nel 1845 si recò a Parigi soprattutto per acquistare materiale agricolo, e
ritrovò il vecchio nemico Rossini: ma come spesso accade, gli animi si
placano in vecchiaia, per cui i due questa volta non si scontrarono,
trascorrendo molto tempo assieme, magari dedicandosi anche ad una continua
presa in giro di Berlioz.
Un giorno Velluti stava discutendo sulle potenzialità di un nuovo
strumento agricolo, ma Berlioz non capì bene e finì per credere che si
trattasse di un nuovo strumento musicale. “Naturalmente” osservò Rossini,
“quello strumento è Velluti, il musico” e il cantante aggiunse ridendo:
“Voi che scrivete di me mi chiamate “elefante canoro”, non è vero? Bene,
l'elefante ha una proboscide e penso che gli si dovrebbe trovar posto
nell’orchestra wagneriana insieme a tutte quelle trombe”.
Il possedimento di Velluti, sfoggiava una lussuosa villa e era situata nei
pressi del Brenta, e cioè a Bruson, fra Venezia e Padova: col volgere
degli anni egli condusse una vita sempre più ritirata, sebbene scrivesse
molto agli amici che ancora gli rimanevano, fra cui Rossini. Nel 1849in
occasione dell’assedio di Venezia effettuato dagli austriaci, Velluti,
recandosi dal medico, si introdusse in sbaglio in un loro accampamento;
arrestato, fu condotto dal più vicino ufficiale, che casualmente era
proprio un dottore.
Velluti spiegò i suoi sintomi, annotando che un tempo era stato un
cantante: il medico allora propose come cura la ripresa canora: Velluti
allora si esibì in un’aria della IFIGENIA IN TAURIDE di Traetta.
L’ufficiale ci dice che ricordava il fatto che suo padre parlava del tempo
in cui aveva sentito cantare quest’opera, dove Velluti cantava. Suo padre
diceva sempre che la sua era la voce più meravigliosa che avesse mai
udito.
Velluti quando si scoperse coll’ufficiale, svelando la sua identità,
incontrò l’ammirazione del medico e i due finirono per chiacchierare così
a lungo che l’ufficiale passò seri guai per aver trascurato i suoi doveri
militari.
Velluti morì infine nel 1861 a 80 anni, e i giornali dell’epoca sono colmi
di articoli di stupore dal momento che nessuno si immaginava che egli
fosse ancora in vita. Velluti era diventato infatti una figura leggendaria
e vagamente ricordata di un lontano passato.
Velluti fu una delle eccezioni rispetto gli altri castrati per il fatto
che gli si tributarono onori dopo la sua morte fra gli appassionati di
musica e del bel canto, in occasione del suo bicentenario per esempio il
suo paese natale gli dedicò un concerto, con arie tratte dalle opre che
lui era solito cantare ed interpretate dalla mezzosoprano Martine Dupuy;
inoltre nella lapide commemorativa sono incise le parole seguenti:
Giovanni Battista Velluti
Ultimo grande cantore
Tra settecento e ottocento
Nelle opere di Paisiello Cimarosa Rossigni Meyerbeer
Maestro di moda e di cultura
La sua città natale
Nel secondo centenario della nascita
Corridonia 27 gennaio 1980
In occasione del Bicentenario della nascita anche il falsettista Guglielmo
Gazzani gli dedicò onore alla memoria nel poderoso Festival Musicale della
Valle d’Itria a Martina Franca.
Velluti ebbe un carattere bizzarro ed imprevedibile, era eccezionalmente
intelligente per essere un cantante, ed univa il fatto di saper essere
gentile, spiritoso e perspicace, ma anche il fatto di esser vanitoso e
pieno di pretese e addirittura disonesto, forse questo per compensare il
disagio di esser uno degli ultimi castrati, e per questo sempre oggetto di
curiosità. Univa al fascino di una corporatura alta, snella, lineamenti
perfetti e regolari, grandi occhi espressivi e luminosi, una grande
ricercatezza nell’abbigliamento, tanto da dettare i canoni della moda,per
la gioia di sarti e camiciaie.
Nella sua biografia su
Rossini lo scrittore francese Henri Beyle, ossia Stendhal, scrive
come semplice cronista a proposito della
rappresentazione dell'AURELIANO IN PALMIRA:
" Rossino venne a Milano nel 1814 per scrivere l'Aureliano in Palmira, e
conobbe Velluti, che doveva esibirsi nella sua opera.
Velluti, uno degli uomini più belli del secolo, a quel tempo nel fiore del
suo
talento e della sua giovinezza, non risparmiava i suoi prodigiosi mezzi.
Rossini non l'aveva mai ascoltato prima, e compose per lui la cavatina
della sua parte.
Alla prima prova dell'orchestra, Velluti canta e Rossini è pieno
d'ammirazione; alla seconda prova, Velluti aggiunge delle infiorettature,
e Rossini trova i suoi effetti giusti ed ammirevoli, e non disdegna la
riuscita del pezzo. Alla terza, la ricchezza del ricamo e delle
infiorettature non lascia più vedere il fondo della cantilena.
Arriva poi il gran giorno della prima rappresentazione; tutta la parte di
Velluti fa furore, ma è a stento che Rossini riconosce la sua musica nel
canto del soprano. Quel canto sembra pieno di arcane bellezze, e giunge al
cuore del pubblico, che, dopo tutto , non ha torto ad applaudire per ciò
che gli reca tanto piacere. L'amor proprio del giovane Rossini fu però
profondamente ferito: la sua opera cadeva, mentre solo il soprano
trionfava".
Aneddoti su
Velluti
A cura di Arsace