I Primi innesti italiani in Francia

Siamo in Francia, attorno alla metà anni cinquanta circa.

La Capitale, Parigi, è scenografia di personaggi ben noti dopo la dipartita del Re Luigi XIII, (qui a destra) scomparso il 14 Maggio 1643: la Regina Anna, nelle vesti di Reggente, il piccolo Luigi XIV° e suo fratello minore Luigi Filippo d'Orleans, e naturalmente il  Cardinale Mazzarino; Richelieu aveva posto le basi per l’Assolutismo, che sarà il regime portato alla perfezione, per i filobarocchi e i sognanti reazionari, dal Nostro più Regale rappresentante Luigi XIV°, il Re Sole. Ma nei primi anni della sua vita, i Cardinali governano ancora il paese: il potere, vista la minor età del giovane Luigi, venne affidato alla Reggente Regina Anna, ma nella sostanza era nelle mani del Cardinale Mazzarino: Giulio, questo è il suo nome, aveva proseguito nella strada intrapresa da colui che lo aveva nominato come suo successore, il Celeberrimo Cardinale Richelieu: aveva cercato di consolidare il potere Regio, formare una nazione, che fosse pronta ad assoggettarsi al potere centrale: ma era necessario dare una dignità, un aspetto pubblico alla Monarchia, uno strumento, una vetrina prestigiosa, che potesse essere una rappresentazione della classe dominante Reale: una passerella, una rappresentazione, una delizia esclusiva che solo la Corte poteva esporre….Giulio Mazzarino, allo scopo di rafforzare il potere e dare una rappresentazione dello stesso, pensò di ricorrere anche al canale cultural-musicale introducendo in Francia la forma di intrattenimento più in voga in quel periodo in Italia: l’opera teatrale, nei primi decenni del 1600, spettacolo in grado di cementificare l’accettazione Reale...

E’ in questa ottica che furono rappresentate LA FINTA PAZZA di Francesco Sacrati (14 dicembre 1645), L’ORFEO di Luigi Rossi (prima 2 marzo 1647), IL XERSES e l’ERCOLE AMANTE di Francesco Cavalli.

Al segnale di questa presa effettiva di potere di Mazzarino, gli italiani risposero al segnale ed arrivarono a flotte dal 1644 al 1662: fra i personaggi più importanti possiamo ricordare il compositore arpista Marco Marazzoli, le cantatrici Leonora Baroni ed Anna Francesca Costa (detta la Checca), e due fratelli castrati: Jacopo ed Atto Melani, che giunse a Parigi con l’altro castrato Pasqualini (qui a sinistra). Giunse anche lo scenografo e decoratore Giuseppe Torelli, creatore anche delle macchine di scena. Il primo grande scossone culturale in Francia avvenne con la prima opera LA FINTA PAZZA, rappresentata dinnanzi alla Regina Anna (qui a destra), messa in scena dai Febiarmonici: le voci, vennero surclassate dall’aspetto visuale grazie alle meraviglie che il signor Torelli aveva concepito: attraverso l’impiego di favolose macchine era stato capace di mutare le scene a vista, attraverso un insieme di pannelli, che potevano cambiarsi a seconda della scena: tutto era completato da una grande tavola dipinta a trompe-l’oeil, che decorava il fondo della scena e che poteva essa stessa sostituirsi in brevissimo tempo con un’altra. Torelli aveva concepito la scena inquadrandola in una perfetta simmetria fra la parte destra e quella sinistra: tutti questi pannelli erano mossi attraverso un tamburo centrale, a cui erano legati: bastava solo un ragazzetto quindicenne per manovrare il tutto: un cielo annuvolato, era presto sostituito con un ameno giardino, e poi con delle mura della città, per poi presto giungere alla visione di un salone principesco. Questo meccanismo si congiungeva alla facilità con cui i personaggi potevano muoversi in scena, addirittura potendo cadere nelle fauci dell’Inferno o elevarsi fra le Volte Celesti. Il tempo di una sinfonia o di un ritornello dell’orchestra, ed ecco che lo spettatore viene trasportato in mezzo ad una foresta, su un’isola deserta, o in una carcere o sulle vette dell’Olimpo.

I Francesi rimasero a bocca aperta: una vera rivelazione ammaliante: i decori di Torelli furono oggetto di una tale meraviglia che a Nicolas Cochin fu chiesto di stamparne tutti i decori.

Dopo due mesi venne rappresentata la pastorale l’EGISTO di Francesco Cavalli, principale allievo di Claudio Monteverdi: tale opera venne data in modo privato, senza fasto e senza macchinari: l’alternanza fra le arie e i duetti malinconici incanta la Regina Anna, sempre portata per il genere lamentoso, ma la lunghezza dello spettacolo non accontenta tutti: molti disagi vengono riportati da Mme de Motteville, sulla difficoltà dei francesi ad abituarsi al parlar cantando (“parler en chantant) degli italiani.

Non vedemmo allora che gli effetti piacevoli del favore del cardinale. Per divertire la Regina e tutta la Corte, fece fare delle macchine secondo la moda italiana, e fece venire dei commedianti che cantavano le loro commedie in musica….Per me, trovo che la lunghezza dello spettacolo diminuisce il piacere, e i versi ripetuti ingenuamente rappresentano comodamente la conversazione e toccano più gli spiriti che il canto non diletti l’orecchio. Il martedì grasso di questo anno, la Regina fece rappresentare una di queste commedie in musica nella piccola sala del Palazzo Reale, dove non c’era che il Re, sua madre, il cardinale e i familiari della corte, perché il grosso dei cortigiani era presso Monsieur, che dava da mangiare al duca d’Enghien. Non eravamo che venti o trenta persone in questo luogo, e pensammo di morire di noia e di freddo.  I divertimenti di questa natura chiedono tutti, la solitudine non ha a che fare con i teatri”.

Certamente la testimonianza di Madame de Motteville deve esser considerata con la dovuta prudenza, in quanto lei non amava l’opera, né tantomeno Mazzarino.

Monsieur Barducci disse che tutti gli attori avevano “per la loro eccellenza e la loro maniera di recitare sorpassato l’opinione pubblica che si stava formando su di loro i francesi. Su tutti,la Checca Costa fu festeggiata dalle Loro Maestà, ed applaudita da tutti gli altri compresenti”.

Forte di questo consenso, Mazzarino chiamò Giuseppe Bianchi (giovane uomo di bella presenza), Marc’Antonio Sportonio detto il Bolognese (13-14 anni), e Dominichino (13-14 anni), altri tre castrati, che stupirono il pubblico per la loro giovinezza e la loro superiorità vocale. Si narra che gli ultimi due sopranisti giunsero a Parigi col compositore Venanzio Leopardi, che sorvegliò 24 ore su 24 i due “angelots” (in francese), perché essendo di costituzione più debole in ragione della operazione subita, fece di tutto per proteggere la loro salute.

Nel giugno del 1646, venne accolto Luigi Rossi, visto come uno dei personaggi più importanti: le sue più belle melodie erano ben conosciute in Francia già prima del suo arrivo, grazie al canto di Leonora Baroni ed Atto Melani

L’opera ORFEO di Luigi Rossi vide impiegati Atto Melani nel ruolo del protagonista, Orfeo appunto, Pasqualini (Aristeo), la Checca (Euridice), Dominichino e Sportonio, con la comparsa di un nuovo castrato  Panfilo Miccinello: una invasione di italiani, che se già era presente in questo periodo a Parigi, ora si intensificò, cosa che fece reagire i francesi che dimostrarono una specie di xenofobia. Se da un lato la Regina e il suo entourage di Corte apprezza moltissimo i castrati, che si sedevano anche a tavola coi cardinali, se Torelli stupiva coi suoi marchingegni, dall’altro il popolo francese era poco abituato alle messe in scena sontuose e ricche come  quelle di Roma e Venezia. Gli spettatori sembrarono ancora una volta sospendere ogni respiro davanti ai decori sontuosi e debordanti e dinnanzi ai marchingegni di Torelli; alcuni sono commossi dalla musica di Rossi: avendo il cervello umido – come si diceva al tempo, molti versarono  delle lacrime ascoltando le pagine sublimi sulla morte di Euridice e il pianto delle ninfe, altri compatirono la disperazione di Aristeo e i pianti laceranti di Orfeo….

La stessa Madame de Motteville trova lo spettacolo riuscito….

Il Maresciallo de Grammont “al di sopra delle meraviglie del mondo”

Il Duca de Mortemart incantato “al solo nome del minore degli attori”.

Ma Anne-Marie-Louise d'Orléans, detta la Grande Mademoiselle, una delle future figure femminili più importanti nella Fronda contro il piccolo Luigi XIV°, invece si annoiò da morire, e si pentì molto di non esser stata così previdente di comunicare prontamente per l'indomani, ciò che gli avrebbe permesso di lasciare a mezzanotte lo spettacolo, come la Regina. Le sole testimonianze volontariamente ostili rimasero dunque le Mazzarinate, troppo felici di trovare in questo contesto un bel soggetto di contestazione contro il regime del Cardinale. Oltre le spese voluttuarie generate da tali spettacoli, è la lunghezza di questo ORFEO che la causa di tanti lazzi: ciò che si spiega proprio nel fatto che si deve ammettere che sei ore di arie e di recitativi in una lingua straniera potevano favorire la sonnolenza degli spettatori.

       
 

De ce cher ballet, 

Ce beau mais malheureusement Orphée,

Ou, pour mieux parler, ce Morphée,

Puisque tant de monde y dormit ;

Ma foy, ce beau chef-dìouvre mit

En grand crédit ton Eminance,

Ou plutot ton Impertinence :

Tes courtisanes, tes chatrés

Y furent des mieux chapitrés.

 

 
       

La Gazette, giornale organo del governo di Mazzarino (qui sopra), riporta :

“ La rappresentazione poc’anzi fatta davanti alle Loro Maestà nel Palazzo Reale, della Tragicommedia d’Orfeo in musica e versi italiani, con le meravigliosi cambiamenti di scena, i macchinari e le altre invenzioni fino al momento presente quasi sconosciute in Francia”..... “La Francia sembra aver innalzato in questi giorni la dignità del Teatro ai massimi livelli… Ma bisogna confessare che si lascia vincere dalla pompa e decorazione delle scene straniere….” 

In sostanza con questi estratti dalla Gazzette, si va affermando il pensiero che  la Francia Teatrale, già abbastanza brillante nella scacchiera europea, si ingrandiva, diventando adulta al contatto con le opere italiane.

Le otto rappresentazioni dell’ORFEO furono coronati di successi: il giovane Luigi XIV° vi assisteva tre volte e gli spettatori francesi, più abituati dalle loro arie di cuore alle melodie melanconiche e agli struggenti dolori dell’amore, vi trovavano ugualmente emozioni e sentimenti appassionati

“Si è rappresentato l’ORFEO, scritto da Leopardi, e ciò è così ben stato accolto che ha riportato un consenso generale. La Regina, il Re ed il piccolo Monsieur, con tutta la Corte, sono venuti le tre sere che si è rappresentato, benché durasse sei ore. Voi apprenderete tra l’altro  che i putti (Riferendosi ai due giovano castrati) si sono comportati bene …. “

La danza dei centauri, gufi, tartarughe, lumache ed altri animali strani, tutti smossi dal pianto di Orfeo, aveva fatto sensazione nell’assieme; gli occhi erano stimolati al di là di ogni immaginazione, particolarmente nel momento dell'apparizione del Carro del Sole che suscitò mormorii di acclamazione delle Loro Maestà, dei principi, principesse e di tutto il teatro: 

“Nul ne pouvait assez admirer à son gré la belle disposition de tant d’or, d’escarboucles et brillants dont ce char lumineux était éclairé”

Solo le voci dei castrati non suscitarono alcun commento preciso nel giornale, ugualmente come gli spettatori non riportarono particolari osservazioni, tranne della approvazione manifesta della Reggente e dei suoi Cortigiani.

Il clamore delle rappresentazioni dell’ORFEO e i grandi contenuti della musica di Luigi Rossi avrebbero anche potuto annunciare una lenta progressione del repertorio italiano negli anni seguenti; invece un evento di grande impatto sconvolse questo lento innesto italiano nella scena teatrale francese. Gli avvenimenti politici compromisero tutto. All’inizio del 1648 iniziò la ribellione di alcuni nobili contro il regime attuato da Mazzarino e la Reggente: è la Fronda, una rivolta politica che mise in atto una guerra civile mal progettata, assemblata con elementi eterogenei e personalità non amalgamate.. alla fine finirono per consolidare il potere del Cardinale e la legittimazione del Re Luigi XIV°. Ma non furono esenti dal fatto i cantanti italiani: reagendo contro il cardinale straniero, l’aristocrazia e tutta quella parte di popolazione che la seguiva non poterono impedire di assimilare i residenti italiani di ogni tipo al ministro vilipeso. Inizialmente si attaccarono gli italiani non solo per motivi passionali, per il fatto che essendo della stessa nazionalità di Mazzarino , erano immediatamente associati alla sua causa, ma anche per motivi prettamente economici: si giudicava troppo dispendiosa la politica culturale del Cardinale Mazzarino (qui a destra), cosa che si andava ad aggiungere alle altre critiche politiche: addirittura si arrivò a stampare canzonando sarcasticamente il cardinale, quando egli lasciò Parigi, “Il gran balletto e il dondolio della fuga di Mazzarino, danzato da lui stesso e dai suoi adepti”.

Facendo venire i musicisti italiani e rimandandoli a casa dopo ogni spettacolo, Mazzarino aveva sostenuto delle spese considerevoli. Non soltanto bisognava far venire a grande spesa una truppa dall’Italia (corredata dalle stars il cui nome sopra si è accennato) per ogni nuova rappresentazione, ma anche sostenere elevati costi per la messa in scena: somme colossali che erano impiegate nella realizzazione dei macchinari e delle decorazioni. Per il Cardinale, l’opera era una vetrina di prestigio che non poteva che coronare la gloria del suo governo. Con la Fronda, ottenne però l’effetto contrario. L’opera ORFEO di Luigi Rossi costò 300.000 scudi – per alcuni addirittura 400 o 500.000, somma talmente elevata che fu ben pretesto per canzonare Mazzarino nelle Mazzarinades.

Non solo il cardinale faceva temere per la sicurezza del Re, della Regina Madre e del loro entourage, tutti rifugiati a Saint-Germain-en-Laye a partire dal 1649, 

Facciata del castello di Saint-Germain-en-Laye

Lato del castello di Saint-Germain-en-Laye, fra le torri si nota la facciata laterale della Cappella

Interno Cortile del castello di Saint-Germain-en-laye

Cortile Interno - castello Saint-Germain-en-Laye

Ancora il cortile interno del castello di Saint-Germain-en-Laye

ma assumeva anche il rischio di screditare per sempre un genere musicale che aveva appena conosciuto bei successi negli ultimi mesi. Il suo processo di italianizzazione delle arti in Francia, girava corto. Rischio che si concretizzò all’inizio del movimento della Fronda, ogni persona all’apparenza, o meglio ancora, dall’accento italiano, era cacciata, imprigionata o molestata: addirittura le “I” che tradivano l’appartenenza italiana sparirono alla vista: Torelli – si dice – si faceva chiamare Torel: scoppiò in sostanza una vera caccia alle streghe, che non poteva non riallacciarsi per similitudine a quella condotta – almeno in termini sanguinari – contro i protestanti nell’agosto 1572 (la Strage di San Bartolomeo).

“Quelli che restano della vostra corte

Sono cacciati qui ogni giorno:

e non uno osa più apparire

per timore d’esser preso per un traditore.”

Grazie alla protezione della Corte, con cui si era esiliato, Luigi Rossi riuscì a salvarsi, assieme anche al giovane castrato Marc’Antonio Sportonio, che era a servizio della Regina Anna d’Austria.

Torelli fu imprigionato a Châtelet (qui a lato in una stampa d'epoca), e parecchi suoi concittadini furono attaccati e minacciati per la strada.

Il pittore La Bella rischiò di essere mutilato, ma molto fortunatamente uno spettatore sbottò al popolaccio che non era italiano, ma fiorentino….

Lulli fu tradito dal suo accento italiano quando rispose ai parigini che gli chiedevano dove stesse andando: “Alle Tuileries”. Egli scampò a rotta di collo al linciaggio solo grazie all’intervento di un capitano che lo riconobbe dal suo abito che portava coi colori della Grande Mademoiselle (figura chiave della Fronda).

Il castrato Atto Melani aveva seguito prima a Amiens la Regina Anna che non poteva più fare a meno di lui, poi nell’umiliante esilio a Saint-Germain-en-Laye: lì si conobbe la triste sistemazione penosa su alcune ammassi di paglia e letti da campo in un castello freddo ed abbandonato, cosa che segnò profondamente il bimbo Luigi XIV°. 

Visuale dal Giardino del castello di Saint-Germain-en-Laye

Dal Giardino, visuale del Castello di Saint-Germain-en-Laye

In una delle costruzioni, incluse nel giardino del castello di Saint-Germain-en-Laye, nacque il Re Sole

Così penosamente si concludeva il primo soggiorno di musicisti italiani in Francia: un esilio che doveva durare sino al 1654. Il Re ebbe modo tuttavia di maturare l’idea di condurre in futuro una politica culturale che tenesse presente gli interessi nazionali: si ricorderà di tali eventi quando prese il Potere….

Al cessare delle Fronda, Mazzarino ritorna al potere ed entra trionfalmente a Parigi il 3 Febbraio 1653. Col ritorno del Cardinale, abbracciato pubblicamente da Luigi XIV°, che lo fece salire sulla propria carrozza quello stesso giorno, tornarono gli italiani, e la curiosità dei parigini si diresse verso la nuova truppa di castrati e cantanti italiani che stava per arrivare. Dall’oltralpe giunsero non solo uno stuolo di parenti del Cardinale, che si infiltravano in Francia attraverso matrimoni coi più grandi nomi dell’aristocrazia francese, ma anche il compositore Carlo Caproli, giunto nel 1654 con una truppa italiana: fu messa in scena la commedia LE NOZZE DI TETI E PELEO. Ma a proposito di nozze, all'inizio del 1660, tutta la Corte era impegnata alla realizzazione delle Nozze di Luigi XIV° con l'Infanta di Spagna Maria Teresa, matrimonio che andava a consacrare la pace fra Spagna e Francia, in guerra da tempo immemorabile: un vero colpo da maestro da parte del Cardinale. E' un momento favorevole al cardinale, che sollevava consensi universali, e molti lo vedevano già come futuro Papa: si diceva allora "Roma ti ha iniziato, Roma ti terminerà". 

Nulla si doveva dimenticare per accentuare il fasto di questo matrimonio, e L'Italia doveva fornire ciò che di più bello possedeva sul piano musicale: ecco che una nuova truppa era attesa che doveva superare tutte quelle precedenti: atteso come un eroe era Francesco Cavalli, che aveva iniziato a dominare le scene teatrali e musicali di Venezia, già prima della morte del suo maestro Montevedi. Cavalli al tempo aveva circa 58 anni e si sentiva vecchio e per questo riluttante ad intraprendere un viaggio  così lungo, ma il Cardinale insiste, incoraggiato da Atto Melani, ed alla fine cede: nella primavera del 1660 parte alla volta di Parigi. Giovanni Antonio Poncelli e Giovanni Calegari, due castrati della Basilica di San Marco lo seguono, e giungono tutti e tre nel mezzo di una compagnia stellare per l'epoca, in quanto a Parigi erano presenti anche i castrati Rivani, Melone, Zanetto, Chiarini e Filippo Melani (fratello di Atto), il soprano Anna Bergerotti, i bassi Bordigoni, Assalone e Piccini, il tenore Tagliavacca. Non poteva ammirarsi un così rinomato schieramento per le nozze del Re Luigi XIV°, cosa che stimolò Cavali a mettersi subito a lavoro. 

L'opera era intitolata ERCOLE AMANTE. Ma Atto Melani (qui a sinistra) si risentì perchè si verificò un capovolgimento delle carte in tavola: ora, lui credeva che il ruolo di Ercole, principale dell'opera, fosse a lui dovuto; tra l'altro, anche Luigi XIV° non lo vede più di buon occhio: se è vero che Atto era capace di incantare con il suo canto, affascinando chiunque, è anche vero che si doveva subire la sua vanità e sopportare ogni sua azione, poichè il castrato credeva che tutto gli fosse permesso, dopo che nel 1657 il Cardinale gli affidò una missione diplomatica presso l'Elettore di Baviera e lo nominò Gentiluomo della Camera. 

Il soggetto dell'opera fu scelto dall'Abate Buti, che affermò come "gli uomini senzabarba" cominciavano a rendersi odiosi agli occhi dei francesi, per  le loro maniere e le loro pretese. 

Atto Melani si infuriò di non aver ricevuto il ruolo di primo uomo, trattando l'abate Buti come un incompetente, uno stupido maestro, ed alla fine finse di rallegrarsi proprio per il fatto che non fosse costretto a cantare dei versi così banali e mediocri. 

Allora l'abate andò a lamentarsi dal Cardinale Mazzarino, mentre allora Atto si rivolse al Re, che al tempo godeva ancora della stima del sovrano poichè era il confidente e tramite del suo amore giovanile per Maria Mancini (qui a destra) . Ecco il motivo per cui ogni minaccia ed ogni eccesso era perdonato al castrato Atto Melani, che era sostenuto sia dal Re, che dal Cardinale ed anche naturalmente dalla nipote Maria Mancini. Ma una guerra oramai si era aperta fra il castrato Atto Melani ed il librettista l'Abate Buti, tanto che questo ultimo arrivò ad impedire a ogni cantante italiano, giunto a Parigi, di intrattenere qualunque contatto con il suo nemico giurato.

In un clima quindi molto teso, Cavalli non perde l'entusiasmo nello scrivere la musica dell'opera, ma questo viaggio e soggiorno in Francia si rivelerà la peggiore delle sue umiliazioni: i suoi scacchi sono da imputarsi ai modi in cui saranno percepiti i castrati, al prestigio  ascendente di Lulli (Lully dal 1661), le reazioni del pubblico....

I problemi iniziarono ben presto col fato che il Teatro che doveva ospitare l'opera presso le Tuileries, era ancora in restauro, e quindi impossibilitato di accogliere ERCOLE AMANTE.

  Mazzarino ne vuole fare una "Sala delle Macchine", come in Francia non si erano mai viste, una sala capace di  permettere degli impressionanti cambiamenti di scena, di decori e di spostamento degli interpreti, e per realizzare questo progetto fa giungere da Modena la famiglia dei Vigarani, famosi decoratori e macchinisti (Gasparre, il padre e i due figli Carlo e Ludovico).

Carlo Vigarani venne così tanto apprezzato che fu uno dei più protetti a Corte e collaborò con Lully: tra le altre cose ricordiamo che collaborò per la realizzazione dell'Immensa festa I PIACERI DELL'ISOLA INCANTATA, durata dal 7 al 14 Maggio 1664, dedicata al primo vero grande amore del Re Sole, Mademoiselle de la Valliere. Siccome la Corte si stava spazientendo, per placare questa irrequietezza si pensò di mettere in scena un'opera di Francesco Cavalli, di sei anni prima: il XERSE, una delle più belle opere del maestro. Il 22 Novembre 1660 venne rappresentata nelle gallerie del Louvre: il ruolo per castrato alto, venne in questa occasione adattato per una parte di basso baritono, e i 3 atti vennero ampliati in 5 per meglio corrispondere alla tradizione tragica francese, aggiungendo fra l'altro delle "Entrées" di danze, abbastanza pittoresche e ridicole, furono aggiunte da Lully.

Se tutte le carte vincenti avrebbero fatto un successo in Italia, in Francia fu ancora una volta uno sconcerto generale, quando si vide Atto Melani incarnare Arsamene, Giuseppe Chiarini Elviro, Zanetto Eumene, Melone una ninfa spagnola e Filippo Melani interpretare la principessa Amastre, innamorata di Serse e travestita in uomo. 

Solo il ruolo principale venne mantenuto da un basso. 

Ai sopranisti era affidata una parte di divertimento o comica, cosa che sarebbe stata giudicata un atto blasfemo in Italia, dove al Virtuoso si doveva assegnare il ruolo nobile ed eroico, non già buffonerie: il castrato Antonio Rivani divertì tutta la galleria del Louvre travestito da Giunone!  

Altro aspetto contro il buon recepimento di questa opera fu che Francesco Cavalli non tenne conto della vera passione dei francesi, ossia quella della danza, che la Corte, a partire dai fasti dell'epoca di Enrico IV° e Luigi XIII°, ne aveva fatto un elemento indispensabile di ogni tipo di spettacolo.Ecco quindi che si rileva un primo vero serio conflitto fra il modello francese e quello italiano: non sono sufficienti in Francia le voci superbe dei castrati in un dramma serio per incantare i francesi: l'Opera si dovette completare con dei balletti, oppure non si sarebbe fatta. Ed ecco che Cavalli fu costretto a subire la prima delle umiliazioni, ossia vedere la sua opera intramezzata di sei interventi di danze, scritte dal suo rivale Lully, e per di più apprezzate meglio delle sue proprie arie. 

Nel giornale La Gazette due terzi dell'articolo sono dedicati alla magnificenza di queste danze, dovutamente accennando alle più belle voci venute dall'Italia e ai migliori strumentisti. La musica di Cavalli non è accennata se non una volta, nella routine del rituale omaggio al Re ed al cardinale.Un coevo, Loret, non può negare tuttavia che malgrado sia stato sottoposto a cento meraviglie, che deliziarono occhi ed orecchie, un certo sfinimento e fatica si sia verificato presso il pubblico.

La seconda mortificazione per Francesco Cavalli: ERCOLE AMANTE non riesce a rappresentarsi, visto il protrarsi dei lavori di ristrutturazione e preparazione del Teatro, e Cavalli iniziò ad annoiarsi lì a Parigi, friggendo nella speranza che l'opera per la quale era giunto in suolo francese varcasse le scene, ma invece veniva sistematicamente rimandata. Si aggiunga che il 9 Marzo 1661 morì colui che l'aveva commissionata: con la morte del cardinale Mazzarino, il veneziano Cavalli perde il suo protettore e si trovò esposto in prima linea alle critiche sempre più numerose, dei nemici del Cardinale: con questo temporeggiamento e il costo esagerato della realizzazione del Teatro, l'opera divenne lo zimbello di tutta Parigi. Il Cardinale Mazzarino per realizzare una costruzione di sempieterna memoria in campo teatrale, aveva perso il controllo e spingeva i costruttori a sempre maggiori gigantismi, perseguendo il desiderio di grandeur "alla romana". "Io vedo la differenza di idee che esiste fra il signor Vigarani e il signor Leveau sulla lunghezza della scena del teatro, e mi sembra sia per ragioni d'architettura che per fare più bello, che bisogna sia più lungo e più largo..." (in una lettera a Buti da Mazzarino): però l'idea di realizzazione non era equilibrata, nel senso che all'obiettivo di grandezza non poteva corrispondere una soddisfacente soluzione pratica in relazione alla messa in scena ed alla acustica....Alla fine due anni trascorsero fra il matrimonio del Re con l'Infanta a Saint-Jean-de-Luz, il 9 Giugno 1660, prima che l'opera ERCOLE AMANTE vide la prima. Una tale attesa fu causa di una mal riuscita finale dell'opera.... troppe liti, troppe esasperazioni, troppe amarezze ingoiate...E' il 7 Febbraio 1662: in rinforzo sono stati convocati i castrati Melone, Rivani e Chiarini, che impersonarono la Luna, Giunone e Licas, ruoli secondari, e Eleonora Ballarini, (Deianira) Anna Bergerotti (Yole), il tiorbista Bartolotti, l'arpista Giovanni Carlo Rossi, il fratello di Luigi, che anni prima aveva presentato nelle scene della capitale francese il suo ORFEO. Piccini fu protagonisti nelle vesti di Ercole, Poncelli invece il figlio Hyllo. Solamente il ruolo di Venere è affidato ad una francese, mademoiselle Hilarie Dupuis. Il libretto dell'Abate Buti non è un capolavoro, ma segna la tradizione del PROLOGO delle tragedie liriche che renderanno omaggio al sovrano, adattandosi alla attualità politico-militare del momento. Ercole tuttavia, che doveva essere la trasposizione del Re, annuncia di non esser capace di farsi amare da Yole: sono toni azzardati che potevano considerarsi offensivi: il Re che non riesce ad amare! Il Re ebbe modo di rasserenarsi un po' quando alla fine dell'opera Ercole e la Bellezza (che erano la trasposizione rispettivamente di Luigi XIV° e di Maria Teresa) finiscono per lasciare libero corso alla felicità in un duetto piuttosto convenzionale. La musica è sì di Cavalli, ma i balletti sono scritti con musica di Lully, ora naturalizzato francese: e il dramma per Cavalli si sostanzia ben presto nella considerazione di come la musica del rivale si ascolti molto di più della sua. Ciò era dovuto non tanto perchè la musica del rivale sia più varia e ricca, ma perchè è più facile per dei francesi apprezzare una musica di danza  che delle arie e dei recitativi cantati in una lingua incomprensibile, malgrado la presenza di un libretto bilingue. 

E La Gazzette si dilungò a commentare questa opera più per annunciare la pompa dei macchinari, a nominare tutti gli aristocratici che hanno partecipato alle entrées di danza ed a stabilire il parallelo fra il matrimonio di Ercole con la Bellezza, e quello dell'incomparabile Monarca. Tirando le somme di questo spettacolo durato la bellezza di sei ore, sei lunghe ore, si può affermare che gli effetti della messa in scena e dei balletti hanno incantato gli occhi , mentre la musica di Cavalli, ascoltata in un brusio generale, non ha rapito le orecchie se non nella circostanza dei cori. 

Si aggiunga che la Gazzette riportò uno dei problemi della rappresentazione: la sala era con una scena senza fondo, cosa che aspirava le voci, ed inoltre il rumore fastidioso degli argani e delle pulegge cingolanti distoglievano dall'attenzione degli spettatori, ma è innegabile uno schieramento ragguardevole di invenzioni di scena: che ammirazione generale dinnanzi a circa 200 cantanti che venivano sopraelevati nell'aria da un piano mobile o quando un globo rappresentativo del Cielo e della Luna fece scendere una 15-ina di personaggi, oppure ancora quando un Pavone gigante, muovendo le zampe e la testa, trainava il carro di Giunone: e che trasalimento al vedere tutta la Famiglia Reale portata da un macchinario durante l'apoteosi finale. Sebbene gli eccessi di questa sala voluta e costruita con ogni sforzo da Mazzarino, si utilizzerà ben poco dopo questo spettacolo visti i limiti per rumori e grandezza eccessiva, i Vigarani furono lodati tantissimo, poichè lasciarono tutti sconvolti dallo stupore e dalla meraviglia.Cavalli comprese quello che gli rimaneva da fare: ritirarsi nelle tranquille acque veneziane, e partì ... era il mese di maggio del 1662. La partenza era anche legata ad una polemica legata alla eccessiva concentrazione di italiani nell'ambiente musicale, una troppo massiccia italianizzazione: Mazzarino volle imporre pure la lingua nell'opera anche se i francesi non la comprendevano, e questo opponendosi fin dall'inizio ad opere e concerti francesi, come aveva proposto l'abate Buti. 

In questo periodo il Re viene a sapere del tradimento di Atto Melani, o se vogliamo dire le sue manovre irregolari: c'è la morte e del Cardinale e l'arresto di Fouquet... sono tutti fatti che portano Luigi XIV° alla presa del potere, una presa che coincide anche con precise decisioni che si riversano nel piano artistico-culturale: alla rottura politica basata sulla presenza del primo ministro (il Re vuole governare direttamente) corrisponde una rottura anche sul piano artistico: sebbene il Re ha sinceramente amato ed ammirato il Cardinale, anche se si è interessato all'arte italiana, il Re vuole sentirsi libero da una preponderanza italiana: questo spiega anche come, sebbene ammirasse il Bernini, gli preferì Claude Perrault per erigere la facciata del Louvre, lasciandosi influenzare dal suo entourage: questa affermazione di un nazionalismo francese può ravvisarsi anche nella decisione di porre lontano da Versailles, la statua equestre del Re Sole scolpita dal Bernini, sistemata nel più lontano confine del Bacino degli Svizzeri.Il fatto è che arrivando alla ventina, il Re Sole vuole rompere definitivamente da questo assoggettamento al gusto musicale che crede di aver apprezzato solo perchè gli era stato imposto dalle scelte del Cardinale. E Lully, in questo contesto di evoluzione Regale, cade a pennello nella realizzazione dei desideri del Re, perchè scrive danze e balletti che piacciono al Re, e opere "alla maniera francese": Lully permetterà la creazione di un modello francese, desiderato dal Re, sia per volontà politica di affermazione di una Grande Nazione, sia per orgoglio personale (una specie di rivincita rispetto le decisioni che erano state bene o male imposte dal Cardinale). Dopo la morte del Cardinale, un po' alla volta i castrati lasciarono il suolo di Francia... saranno richiamati quando il Re mitigherà il suo giudizio sull'eccesso di presenza artistica italiana: 1666 il Re licenzia tutti gli ultimi sopravvissuti di questo lento esodo fuori dalla Francia. 

Lully, assieme a Carlo Vigarani e Moliere, inizieranno una collaborazione che farà nascere una forma artistico-musicale squisitamente francese, e che troverà nella nascita di Versailles una nuova epoca di Splendori, fra feste di Corte, caroselli, fuochi d'artificio, commedie-balletti, tragedie liriche e giochi d'acqua.

A cura di

Arsace da Versailles

Torna alla Home

Torna a Versailles