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Gli anni 1739/1740
furono un periodo difficile per Handel a causa di alcune vicissitudini
finanziarie che finirono per compromettere la sua
attività nel campo dell'opera italiana. Ma il suo dinamismo personale e il suo
acuto senso degli affari gli permisero tuttavia di ristabilirsi in
fretta e di riorganizzare la sua attività privilegiando l'oratorio inglese.
A quel tempo era consuetudine offrire dei concerti
strumentali all'interno dei programmi che prevedevano importanti lavori
vocali come serenate, odi, oratori, e
Handel
soleva rendere gradevole l’attesa del pubblico durante gli intervalli suonando egli stesso dei
Concerti
per organo che divennero ulteriore occasione di richiamo per i
suoi affezionati sostenitori.
Fu anche per rispondere alla domanda di
nuovi concerti per queste occasioni che Handel, in un
improvviso scoppio di creatività, scrisse tra il 29
settembre e il 30 ottobre 1739 i
Twelve Grand Concertos in Seven Parts, Op.6.
Con questa raccolta abbiamo l'ennesimo esempio di come egli sapesse comporre sotto la pressione delle circostanze,
forse spinto dal suo editore John Walsh, con una rapidità stupefacente.
La sequenza con cui vennero
dati alle stampe è la seguente: 1, 2, 3, 4, 5, 7, 6, 8, 12, 10, 9, 11.
Siccome gli ultimi due concerti contengono più prestiti dal proprio
repertorio, possiamo supporre che Handel avesse una certa urgenza di completare
la serie.
Il
29
ottobre 1739, mentre lavorava ancora all'undicesimo concerto, uscì sul London Daily
Post l'invito alla sottoscrizione, da farsi direttamente al domicilio di Handel in Brook's
Street o presso l'editore Walsh. La sottoscrizione si rendeva
necessaria per coprire le spese di incisione e di stampa: impegnare
quelle somme senza disporre di un adeguato finanziamento sarebbe stato
molto rischioso. Furono raccolte un centinaio
di sottoscrizioni, da parte della
famiglia reale e dei più bei nomi della nobiltà
londinese, e così
le stampe vennero pronte il 12 aprile 1740.
Handel stesso, o forse Walsh, decisero
di tradurre il termine italiano "Concerti Grossi" con "Grand Concertos",
un esempio tipico di magniloquenza handeliana, ma assolutamente
calzante: assieme ai Concerti Brandeburghesi di Bach, questi di Handel,
pur così diversi, sono
da considerarsi il vertice del concerto barocco:
in ogni loro pagina Handel vi ha infuso a piene mani tutta la sua
abilità contrappuntistica e la sua ineguagliabile inventiva melodica e
armonica.
Questi dodici concerti
subiscono prepotentemente l'influenza di Arcangelo Corelli. Già nel
fatto che siano titolati come Opera Sesta, si manifesta
l'omaggio all'omonima, leggendaria, raccolta del maestro italiano uscita
postuma nel 1714, dodici concerti che furono particolarmente amati dagli inglesi,
pubblico piuttosto conservatore. Handel in gioventù aveva lavorato a Roma con Corelli
ed evidentemente ne ammirava ancora lo stile classico.
La
velocità con la quale Handel compose i suoi concerti, è l'esatto
contrario della lunga
gestazione che ci volle per quelli corelliani.
Il sospetto che tale rapidità risultasse
favorita
da prestiti da suoi lavori precedenti o di altri compositori è smentita
dal fatto che solo alcuni
dei sessantadue movimenti che compongono l'Op. 6 furono elaborati da
Handel, già in quella forma, prima del settembre 1739, e buon numero dei
presunti prestiti
possono essere frutto di esagerazioni e, perché no, anche di malintesi.
A rigor di cronaca si riportano più
avanti i singoli movimenti che alcuni studiosi avrebbero individuato
come ispirati da due raccolte per clavicembalo: i Componimenti Musicali
pubblicati nel luglio 1739 da Gottlieb Muffat e la celebre raccolta di
sonate di Domenico Scarlatti conosciuta col nome di Essercizi per
gravicembalo, pubblicata
l'anno prima a Londra.
Di sicuro, alcune composizioni dello stesso Handel
trovano davvero eco in questi concerti: l'Ode for St. Cecilia's Day,
terminata alcuni giorni prima che iniziasse il primo concerto; l'opera lmeneo,
che all'epoca non era ancora finita, e i concerti per organo HWV 295 e
296a, completati rispettivamente nel marzo e nell'aprile 1739.
Walsh pubblicò
queste opere come Handel li concepì all'origine: dei concerti grossi per
archi e continuo, che, nella tradizione di Corelli, esigevano due
violini ed un violoncello a solo in opposizione al tutti. V’è da notare
che in seguito Handel aggiunse delle parti per oboe a quattro concerti,
i numeri 1, 2, 5 e 6. Ma il fatto che nell'insieme gli oboi raddoppino
solamente i violini, senza interventi solistici, fa capire che Handel
non volesse certo cambiare il concetto originale di queste opere in
quanto concerti per archi nella tradizione corelliana. Semplicemente
aggiunse le parti per oboe in modo da utilizzare quei concerti negli
intervalli degli oratori, dove gli strumenti a fiato erano già
disponibili.
I concerti Op. 6 sono un felice connubio tra forme tradizionali e caratteri moderni.
L’atteggiamento "conservatore" si manifesta nell’osservanza di parecchie
regole dettate da Corelli: tutti i
12 concerti iniziano con un movimento moderato, seguendo l'antica
pratica dei concerti "da chiesa" scritti per le feste solenni, come per
simboleggiare la dignità dell'occasione. Handel, come il suo amico Telemann, segue l'esempio di Corelli, mentre Bach
seguirà Torelli e Vivaldi che cominciano sempre con un movimento rapido. Handel conosceva bene le forme strumentali tradizionali e
volendo assecondare i gusti del suo pubblico londinese che prediligeva i
canoni tradizionali imposti da Corelli e Geminiani, non seguì l'esempio
dei compositori veneziani, come Vivaldi ed Albinoni, che avevano
abbandonato l'originaria forma del concerto grosso preferendo uno schema a tre
soli movimenti veloce-lento-veloce.
«
Le parti dei violini sono sempre trattate come
nella sonata a tre; esse hanno uguale importanza, si incrociano l’un
l’altra e il secondo violino emerge spesso rispetto al primo. I
movimenti lenti imitano pezzi simili delle sonate da chiesa di Corelli.
Il carattere di "modernità" risulta evidente nella
tendenza al sinfonico, nella costituzione dei crescendo, nella dinamica
sorprendente, nelle trovate drammatiche e nelle interruzioni. [Dai primi movimenti del quarto e sesto concerto,
Larghetto affetuoso, si evince che Handel conosceva il nuovo stile galante che
andava affermandosi sul continente, ma non l'abbracciò che marginalmente - n.d.r.].
Tuttavia l’aspetto più insolito di questi
concerti, aspetto né moderno né conservatore ma semplicemente handeliano,
consiste nella libertà di improvvisazione nell’ambito di principi
stabiliti per quel genere.
Non esiste un’alternanza regolare e schematica di
soli e tutti e il concertino può mancare del tutto; inoltre non è
possibile trovare corrispondenze formali o strutturali nemmeno fra due
dei dodici concerti. Tre di essi sono in quattro movimenti, otto sono in
cinque e uno in sei. Gli elementi adoperati costituiscono un fantastico
guazzabuglio: ouverture francese, danze italiane, francesi e inglesi,
sonata da chiesa, duetti da camera, sono mescolati liberamente; poi vi
si possono sentire anche un’aria o un recitativo accompagnato, un tema
con variazioni, una fuga e così via. Alcuni movimenti sono in puro stile
da concerto a quattro, cioè senza parti solistiche; altri tendono a
somigliare al concerto solistico, altri ancora appartengono a buon
diritto al campo della suite, altri infine sono decisamente sinfonici.
Il concertino di solito è episodico e raramente indugia prima di unirsi
al tutti. Questa varietà fantastica, che sembra indicare una ghirlanda
casuale di movimenti costretti in un’unica serie, trasse in inganno
molti critici che non furono capaci di apprezzare questa orgia di
fantasia, la libertà, il capriccio, l’enorme gusto, lo slancio, la
capacità creativa e l’eccitazione crescente che intervennero nella
stesura di questi concerti.
» (P. H. Lang).
«
Handel caratterizzò i movimenti con
l'uso di termini italiani: Allegro, Andante, Larghetto, Largo, Presto, i
quali non vogliono tanto indicare e suggerire la velocità con cui devono
essere eseguiti, ma piuttosto lo spirito che richiede la stessa
interpretazione. Per esempio: l'Allegro non deve essere sempre e
soltanto un movimento veloce ma anche gaio, e l'Andante non
esclusivamente lento, bensì commovente con passi regolari e calibrati.
Abbastanza frequente è l’impiego della Fuga e del
fugato. » (Nangeroni).
«
Due elementi in particolare
attribuiscono un grande senso di omogeneità questa raccolta.
Innanzitutto un’estrema rarefazione dei mezzi strumentali. L’organico
orchestrale è ridotto all’essenziale, ma nonostante questo e nonostante
anche il materiale tematico sia utilizzato con grande parsimonia, i
concerti coprono un’amplissima gamma espressiva. In secondo luogo le
ferree relazioni tonali che legano i singoli movimenti uno all’altro e
gli stessi concerti tra loro. La regola di far discendere le tonalità
secondarie dalla tonalità principale del primo movimento è tipicamente corelliana, mentre l’idea di far coprire ai dodici concerti l’intera
gamma diatonica che parte dal do maggiore è, per Handel, del tutto
inusuale [non ripeterà la tonalità che una sola volta: il fa maggiore
nei concerti 2 e 9 - n.d.r.].
Di fronte a simili arditezze tonali, che molti hanno scambiato per
ingenuità e scarsa conoscenza delle regole armoniche, c’è una grande
capacità di concentrazione melodica. I nuclei motivici sono sempre ben
definiti e solitamente brevi, se non folgoranti, sviluppati in
pochissime battute. Certo, come accade anche nelle Suites per
clavicembalo, alcune fughe non conservano fino in fondo, con rigore
bachiano, tutte le voci messe in campo. «La fuga», scrive Young, «non
era certo la specialità di Handel, ma nello stile fugato non aveva
rivali». Lo stesso Young porta come esempio l’ultimo movimento del
concerto n. 2, in cui il soggetto principale si scontra con il
controsoggetto esposto dal concertino. Ma i concerti dell’op. 6 mostrano
ben altra novità nell’articolazione del linguaggio musicale handeliano.
Viene introdotto ad esempio il principio della contrapposizione
tematica. Spesso al tema principale viene opposto un tema secondario
nettamente in contrasto col primo dal punto di vista dell’esposizione
degli "affetti"
» (Barbieri/Bonanni).
Vediamo ora in dettaglio
i singoli movimenti dei concerti, basandoci in gran parte sull'analisi di P. H. Lang:
Concerto n. 1 in sol maggiore, HWV 319
Il primo concerto è uno di più allegri
e di più animati della raccolta. Comincia A tempo giusto, come afferma Burney, "con
orgoglio e alterigia".
E' seguito da un Allegro imperioso dalla vivacità
inesauribile.
L'Adagio è un duetto d'amore d'autentica dolcezza mediterranea
tra il concertino e il tutti.
Il successivo Allegro è una fuga il cui soggetto cambia letteralmente
direzione a metà del movimento.
L'Allegro finale svanisce poco dopo una fuga veloce ed energica nella
quale i bei risultati tecnici sono ottenuti con disinvoltura. In esso
confluiscono arie di danza che sembrerebbero richiamare la Sonata in sol
maggiore K.2 di Scarlatti: Handel ne avrebbe abilmente riordinato i
differenti movimenti derivandone un brano essenzialmente nuovo.
Concerto n. 2 in fa maggiore, HWV 320
L' Andante larghetto è un felice brano
pastorale dalla linea melodica tipicamente handeliana; il tutti è vigoroso e
solo il
concertino è tenero.
Il movimento si fa pensoso, ma verso la fine, quando il fermento si spegne
in un sommerso gocciolio di seste ai violini, segue una ripresa esitante
dell'allegro tema iniziale.
Il secondo movimento inizia come una sonata in trio piena di brio che
sfocia in un indugio eccezionalmente lungo sulla sesta napoletana.
Il pathos e l'espressività del Largo hanno un carattere quasi
di vocalità teatrale.
Il movimento finale è altrettanto
drammatico e consiste in una fuga che non ha l'uguale nei vari trattati.
Si tratta di un lavoro di eccezionale bellezza e fantasia.
Concerto n. 3 in mi minore, HWV 321
Il terzo concerto si apre con un
Larghetto venato di
pathos e molto suggestivo: quel genere di lenta sarabanda prediletta da
Handel.
L'Andante che segue è una severa doppia fuga, malinconica, dal
contrappunto superbo e il breve brano raggiunge una tensione incredibile;
a detta di qualcuno, sembrerebbe ispirato dall'ultima sonata, la K.30, "Fuga del gatto", degli
Essercizi di Scarlatt...
Segue un Allegro che inizia come un tipico movimento di concerto grosso
italiano che col suo tema fortemente accentato e con i suoi intervalli di
ottava ricorda Vivaldi; poi improvvisamente Handel decide di trasformare il
tutto in un concerto solistico inserendo alcuni episodi per il primo violino
del concertino; così il brano prosegue il suo corso di sorpresa in sorpresa.
La magnifica Polonaise, riccamente orchestrata, è un prolungato
movimento di danza dal contrappunto fiorito, con accenti rustici che
ricordano il suono delle cornamuse, sul genere della Pastorale
dell'ottavo concerto fatto per la notte di Natale di Corelli.
Il concerto si chiude con una breve Allegro simile al minuetto
presente nell'Ode per il giorno di San Cecilia che Handel aveva appena
terminato.
Concerto n. 4 in la minore, HWV 322
Nel quarto concerto Handel
ricorre agli accenti appassionati.
Il Larghetto affettuoso è un arioso strumentale con una linea
melodica lunga e fluida di taglio moderno.
Segue una fuga costruita in modo magistrale su un tema irregolare e
difficile.
Handel accetta la sfida ed il risultato è una delle sue fughe più belle.
Se la fuga è irruenta ed elaborata, il Largo e piano è estremamente
sereno e semplice, ma di quella semplicità che può venire solo da un
grande compositore: è un susseguirsi di note tenute nella
parte superiore contrapposte ad un basso mobile, che danno un'immagine
tranquilla ed immobile.
Il brano potrebbe essere cantato senza alcun mutamento.
La foga ricompare nell' Allegro finale, di straordinaria drammaticità, mordente e penetrante, condotto senza esitazioni,
alla maniera di Vivaldi, sebbene l'evoluzione e la trasformazione dei suoi
temi sia esclusivamente handeliana. Da notare che verrà rimaneggiato per
l'aria "E' sì vaga del suo bene"
di lmeneo.
Concerto n. 5 in re maggiore, HWV 323
Burney considera l'ouverture iniziale del quinto concerto la
migliore di quelle composte da Handel ed afferma che essa
"sembra richiedere un organico militare deciso e rumoroso".
L' Allegro e una fuga degna compagna di quella del quarto concerto e procede senza
sforzo e con grande eleganza contrappuntistica. Handel utilizzò questi due
movimenti nella loro forma quasi definitiva anche per l'Overture dell'Ode
per il giorno di San Cecilia, e pare che siano entrambi debitori ai Componimenti
di Muffat.
Il terzo movimento, definito Presto, è uno scherzo strumentale,
leggero, conciso, audace e moderno.
Poi viene un Largo, un'altra sarabanda handeliana carica di pathos.
Il secondo, scintillante, Allegro ha un carattere davvero sinfonico quando Handel fa
gareggiare gli archi con il tremolo del tutti senza lasciare che la tensione
si allenti.
Il concerto si chiude con un Minuetto, anch'esso presente nell'Ode.
Concerto n. 6 in sol minore, HWV 324
Il sesto concerto è il più melanconico
della raccolta.
Si apre con un Larghetto affettuoso,
drammatico e meditativo.
Anche la fuga, chiamata A tempo giusto, col suo tema contorto, è cupa ma
non priva di vigore. La confusa dinamica dei movimenti, associata allo
stile sinfonico, è priva di significato per Burney, che però apprezza una
bella fuga e manifesta un’ammirazione incondizionata per questa fuga, dal disegno marcatamente cromatico: « La fuga ha un
soggetto molto bizzarro, talmente imprevedibile e difficile da trattare
che nessun compositore dotato di normale abilità ed esperto di questa
dotta scrittura avrebbe osato cimentarvisi, vista la serie poco naturale
di suoni che lo compongono ».
La Musette che segue esprime tenera serenità e ha
il fascino della musica popolare napoletana, ma ancora una volta Handel
sfida qualsiasi tradizione: la sezione iniziale secondo Schering sarebbe
tratta da Leo, ma certamente nella prima metà del Settecento nessuno sarebbe
stato capace di trarre da quel materiale un pezzo di tale straordinaria
fantasia. La Musette è formata da diverse sezioni che costituiscono
una sorta di rondò: la prima sezione si limita ad un gradevole ronzio di
cornamuse; la seconda presenta un quadro nuovo e capriccioso su un ritmo
vivace di scozzese. E in un certo senso rassicurante il modo in cui i
bassi riprendono il ritmo dei violini e ripetono il loro delicato motivo
con un certo imbarazzo, inciampando e brontolando bonariamente. A questo
punto Handel decide che i violini hanno bisogno di essere sfruttati
meglio e li fa concertare, ma all’improvviso riprende l’organico iniziale
e il delizioso pezzo si conclude con una dolce cadenza che è come un
sospiro.
Gli altri due movimenti sono stati giudicati noiosi da molti, e
da altri sono stati difesi con galanteria poco convinta. Burney, che non
nasconde la sua disapprovazione, suggerisce di ometterli, sostenendo che
anche Handel li ometteva spesso nei suoi concerti. Se è così, la ragione
sta forse nella loro audacia troppo progredita per i tempi. Chi ricerca il
chiaroscuro ritmico e melodico non lo troverà certo nel vivace Allegro
che iniziando con un tema marcatamente vivaldiano, assume nelle mani di Handel un’implacabile determinazione. Mentre ci si domanda
come proseguirà il pezzo, il violino solista attacca un frammento di musica
concertistica ricca di cascate di suoni vivaldiani apparentemente senza
relazioni col resto, ma chissà come riprende un deciso tutti con le sue frasi
vivaci. Allora lo scambio si fa più nervoso e agitato, il violino solista si
limita a brevi interventi lamentosi che sono sono soffocati dal perentorio
tutti. Dopo un po’ il complesso strumentale decide che il gioco è finito e
una scala cromatica precipitosa spazza via il solista e una rabbiosa sesta
napoletana ne suggella la condanna. Il pezzo si conclude con un energico
tutti. Questo movimento in crescendo, vigoroso e fantastico, era ancora
incompreso circa un secolo fa.
L' Allegro finale è molto più tranquillo, ma
mostra ancora le tracce di contrasto nelle vigorose terzine opposte al tema
squadrato del motivo di minuetto che conclude questo concerto composto da
un arcobaleno di forme, temi e atmosfere.
Concerto n. 7 in si bemolle maggiore, HWV
325
Questo è un concerto per sola orchestra:
manca il concertino e tutti i violini suonano insieme. Dopo un’introduzione breve e pacata Handel ancora una
volta si accalora e scrive una fuga il cui tema formato da una nota
ripetuta in valori sempre minori. E una delle rare occasioni nelle quali Handel accetta di manifestare in musica l’aspetto più vigoroso del proprio
umorismo. In realtà la fuga ha carattere sinfonico più che di vera e
propria fuga; Handel cattura la piccola figura alla fine del tema e la
elabora con un gusto tipicamente haydniano.
I due movimenti successivi, un Largo e un Andante, hanno le caratteristiche musicali di una
suite: il primo è polifonico, ma in realtà si tratta di un aria strumentale
dalla melodia sostenuta e dalla armonia ricca; l' Andante abbandona
qualsiasi intento polifonico e si limita a intrecciare ghirlande melodiche
su un accompagnamento molto semplice. La vigorosa vena "sinfonica" handeliana ricompare nell’ultimo movimento, una
Hornipipe.
Chiaramente Handel si diverte e sperimenta con piacere inesauribile il
ritmo allegro dell’antica danza inglese e le evoluzioni a cui può
sottoporre i registri acuti: il risultato è un pezzo molto significativo.
Concerto n. 8 in do minore, HWV 326
L’ottavo concerto è una vera Suite che inizia con una
Allemande grave e solenne. Si tratta di un pezzo drammatico, pieno
di cadenze d’inganno a sorpresa, che, pare, sia
una trasposizione del primo brano di una Pièces de clavecin
di Johann Mattheson: Handel nel rielaborarla, naturalmente, l'ha
migliorata...
Nell'intenzione del nostro, comunque, non c'è la volontà di conferire un tono drammatico all’intero
concerto, pur conservando una sfumatura di serietà fino alla
fine: dopo un breve Grave, un Andante allegro gioca con eleganza
sommessa con un piccolo abbellimento; le dissonanze sono poco marcate e
una certa malinconia aleggia sul pezzo. Una bella e scorrevole Siciliana
apporta un certo calore all’insieme e il breve Allegro finale è
affascinante grazie ad un tema metricamente sofisticato.
Concerto n. 9 in fa maggiore, HWV 327
Il nono concerto, assieme al sesto, è
forse il più eseguito della raccolta.
Il breve Largo,
con la sua
atmosfera "indeterminata", serve da bella introduzione allo stimolante Allegro
successivo, abilmente adattato dall'analogo movimento del concerto per
organo HWV 295, soprannominato "Il Cuculo e l'Usignolo".
Anche il Larghetto successivo è preso in prestito da quel concerto
per organo.
Il bell' Allegro è una fuga costruita su un tema molto complesso,
che troviamo anche nell'Ouverture di Imeneo; come pure il piccolo
minuetto che segue.
Chiude il concerto una Gigue dallo stile molto italiano nonostante
il titolo francese.
Concerto n. 10 in re minore, HWV 328
L’ Ouverture alla francese
iniziale è fiorita e cerimoniosa nel tono e nel gesto secondo uno stile
grandioso.
Dopo una melanconica Air, vengono ben tre Allegro di fila: sono splendidi pezzi contrappuntistici,
con temi che ben si adattano ad un’esecuzione animata.
Il primo, in forma binaria, possiede un'energia nervosa che rimanda ai
balletti per il teatro di Purcell.
L’ultimo stabilisce un geniale contrasto tra il contro-soggetto e il tema
principale; inoltre, l’allegria generale viene di nuovo turbata da piccoli
intermezzi drammatici in stile omofono; poi l’elaborato pezzo si conclude
su un tono enigmatico.
Concerto n. 11 in la maggire, HWV 329
Il Concerto per organo in la maggiore
HWV 296a costituisce la base dell'undicesimo concerto, il più lungo
della serie.
Inizia con un Andante larghetto da eseguirsi staccato, secondo le indicazioni di Handel;
i gesti sono ampi come gli intervalli delle parti violinistiche, ma dopo
un po’ l’atmosfera viene a mano a mano alterata da tocchi drammatici e il
tono si fa misterioso, appassionato e implorante. Il pezzo si conclude
come se avesse qualche programma nascosto.
L' Allegro è una doppia fuga su temi in forte contrasto fra loro,
di grande qualità.
Dopo un fin troppo lungo Andante, l'Allegro finale risulta molto gradevole, grazie ad
un tema dalla metrica pungente e agli ornamentali soli virtuosistici del
violino.
Concerto n. 12 in si minore, HWV 330
Per profondità il dodicesimo concerto
non ha eguali nella raccolta.
Inizia con una Ouverture francese inconsueta, quasi un
espressivo recitativo strumentale, più che il solito brano cerimoniale; il
ritmo è fortemente puntato, gli intervalli sono «selvaggi» (Burney);
l’intenso pathos tradizionale è disseminato di improvvisazioni fantasiose.
Segue un Allegro che è uno straordinario brano concertistico
prorompente di salute al pari dell’ Allegro finale che ha un tema
sfacciato, molto puntuto, allegro e saltellante; quando questo ritmo
marcato non lo soddisfa più, Handel introduce anche le terzine.
Il primo
Largo fra i due movimenti veloci è come una corrente tranquilla, con
increspature appena percettibili; il secondo, invece, racconta in poche
battute una storia tragica.
A cura di Rodrigo
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