Rossana
Bertini, soprano
Claudio Cavina, controtenore e direzione
La Venexiana
Cantus Records
C9620
In questo bellissimo CD della
Cantus Records (codice C9620), per la prima volta, troviamo raccolti tutti
assieme i 10 duetti italiani che Handel compose *espressamente* per soprano
e controtenore. I duetti handeliani di attribuzione certa sono 22 in totale,
ai quali se ne aggiungono 4 aprocrifi o incerti. In più abbiamo 3 terzetti,
che in realtà sono due visto che la musica di "Quel fior ch'all'alba ride"
coincide con quella di "Quel fior ch'all'alba nasce".
La riuscita di questa edizione deve molto, oltre che alla musica strepitosa
(a dir poco) del Caro Sassone, anche alle due belle voci di Rossana Bertini
(soprano) e Claudio Cavina (alto/direttore), voci a mio avviso perfettamente
amalgamate fra loro e preparate alla completissima tecnica vocale richiesta
da questi gioielli handeliani.
Claudio Cavina, in particolare per chi non lo avesse mai udito, ha un timbro
bello pastoso e qui riesce a mostrare un ottimo controllo e precisione
nell'emissione sia nei registri più acuti che non, con particolare
sensibilità nel restituire le dinamiche degli affetti e, ovviamente, la
dizione è quella di due italiani madrelingua, fatto da non sottovalutare.
Tornando ai duetti, come dicevo dei 22 pezzi, il corpus centrale è
costituito dai DUETTI PER SOPRANO E ALTO che sono esattamente 10, qui sotto
elencati. Da notare la doppia identificazione: quella ottocentesca di
Chrysander e quella moderna di Baselt (HWV):
VIII: A mirarvi io son intento (HWV 178)
XIII: Langue, geme e sospira (HWV 188)
XII: Tanti strali al sen (HWV 197)
XVIII: Beato in ver chi può (HWV 181) [31 ott. 1742]
XIX: Fronda leggiera e mobile (HWV 186) [ca. 1744]
III: Sono liete, fortunate (HWV 194)
XIV: Se tu non lasci amore (HWV 193)
XVII: Nò, di voi non vuo' fidarmi (HWV 190) [2 nov. 1742]
IV: Troppo cruda (HWV 198)
XI: Conservate, raddoppiate (HWV 185)
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, molti di questi duetti furono
composti nel periodo 1710-11 ad Hannover e non in Italia. Ecco la
testimonianza del primo biografo di Handel, Mainwaring: "Poco dopo il suo
rientro a Hannover, compose dodici duetti da camera, per esercizio della
nostra compianta regina (Carolina), allora principessa elettorale. Il
carattere di tali composizioni è ben noto agli esperti di musica. I versi
erano di mano dell'abate Ortensio Mauro...".
Possiamo quindi considerare questi duetti come il primo vero frutto della
musica italiana, che Handel assimilò completamente nei 4-5 anni precedenti,
ad essere stato concepito al di fuori di essa (se escludiamo ovviamente ciò
che Handel aveva già carpito in Germania, stando ad Halle ed Amburgo, e ai
capolavori sfornati nella stessa Italia tra il 1706 ed il 1710).
Il primo movimento del duetto che apre il CD, ossia "A mirarvi io son
intento" è scritto in da capo ed è una di quelle straordinarie melodie nelle
quali riconosciamo il miglior Handel; nobile e serena, guadagna in intensità
gradualmente, accentuando la malinconia nel da capo, ma raggiungendo la sua
massima bellezza, a mio avviso, nella seconda sezione prima del da capo.
Per tre dei dieci duetti invece la datazione è di molto successiva, parliamo
infatti di Londra anni 1742-1744 (il periodo ottobre-novembre 1742 fu il più
prolifico). Mi soffermo in particolare su "Nò, di voi non vuò fidarmi" che
Handel musicò per due volte. La prima, per due soprani, è datata Londra, 3
luglio 1741, e la sua musica fu poi usata come noto nel Messia, composto un
paio di mesi dopo. Invece, la versione per soprano e alto è *completamente
diversa*, non un arrangiamento come alcuni critici hanno indicato. Fu
portata a termine il 2 novembre del 1742, e contiene alcune innovazioni
(nell'ottica del genere duetto alla
Agostino Steffani), tanto che i movimenti
centrale e conclusivo potrebbero concludere benissimo una scena drammatica
di un'opera barocca.
Tutti sanno che i due compositori che ebbero la maggior influenza sullo
sviluppo maturo e definitivo dei duetti da camera furono, senza dubbio,
Alessandro Stradella
e Steffani. Il primo ereditò la maestria dei
Rossi, Carissimi e Cesti, ed il secondo diede ai duetti la loro forma più
perfetta fino all'arrivo di Handel, naturalmente, come poi
Alessandro
Scarlatti avrebbe fatto con le cantate. E' anche interessante osservare che,
in realtà, le cantate e i duetti non sono forme musicali diverse; il duetto
è una forma speciale di cantata, nella quale le due voci cantano quasi
sempre lo stesso testo (quando le voci hanno testi diversi, normalmente in
dialogo, ci riferiamo a cantate a due; se il testo è lo stesso parliamo
allora di duetti da camera).
Cos'è che rende i duetti (e anche le cantate) di Handel così speciali
rispetto alla produzione dei maestri del genere, ossia Scarlatti o Steffani?
La risposta più ovvia è data dalla BELLEZZA delle sue MELODIE, dalla
SOLIDITA' del suo CONTRAPPUNTO e dalla PERFEZIONE formale della sua
STRUTTURA. Quando il piccolo Mozart fu portato a passeggio per l'Italia dal
padre Leopold, non ci fu una reale produzione di capolavori nel genere,
perché Mozart assimilò ma non superò i maestri italiani del periodo, almeno
inizialmente. Molto diverso fu invece il caso Handel: il tedesco agì come
uno schiacciasassi, fece incetta di tutto ciò che di musicale (e di
gastronomico) potesse interessargli restituendolo immediatamente (nell'arco
di pochi mesi) con gli interessi. Due soli esempi:
Dixit Dominus e
Il
Trionfo del tempo e del disinganno.
Concludiamo questa presentazione, con alcune interessanti annotazioni di
Claudio Cavina a proposito dell'interpretazione in oggetto (dal libretto).
Lo sviluppo musicale di questi duetti è così ampio, rispetto ad un testo sì
interessante ma non così predominante, che spesso si è tentati di eseguirli
ad imitazione di una trio sonata o ad un piccolo concerto da camera
puramente strumentale. In realtà, il direttore e controtenore ci fa notare
come queste pagine possano essere lette sotto una luce nuova, se pensiamo
alla concezione "vocale" in uso in questo periodo, con sprezzurare e rubati.
La lettura di Cavina è basata su continui spostamenti di accento delle
sillabe del testo, a volte non posti in rilievo, ma necessari per una
miglior comprensione delle parole.
"Che il passo sia rubato sul tempo acciò diletti l'anima", scrive
Pier
Francesco Tosi nel suo trattato Opinioni de' Cantori Antichi e Moderni,
pubblicato nel 1723.
Ed ancora: "Chi non sa rubare il tempo cantando, non sa comporre, né
accompagnarsi, e resta privo del miglior gusto..."; "Il rubamento di tempo
nel patetico è un glorioso ladrocinio di chi canta meglio degli altri..."
Tutto questo ovviamente al servizio della parola e della musica: l'allargare
leggermente una sillaba o il ritardare un'entrata deve essere una
"affettazione" e non un puro calcolo matematico. Per questo quando
l'ascoltatore ode questi effetti o meglio "affetti" (lo stesso basso
continuo sottolinea gli affetti e ne crea a sua volta di nuovi), non deve
sussultare come se ascoltasse un errore o un'incertezza, ma godere della
musica.
Libretto
A
cura di Zadok