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Handel aveva la consuetudine di comporre con un metodo
basato sull’improvvisazione e lavorava con rapidità.
Alcuni studiosi hanno scrupolosamente segnato la data d'inizio e fine
del lavoro: da questi dati si può affermare che la gran parte
delle sue composizioni più importanti furono scritte in un arco di tempo
sorprendentemente breve, e per citare un esempio si pensi alle sole
tre settimane impiegate per il MESSIAH. Tuttavia è indubbio che
elaborasse preventivamente molte idee, tenendole a mente o stendendole
come brutta copia abbozzata. Di queste copie alcune sopravvivono, e a
volte evidenziano una reiterato e progressivo lavoro di cesellatura e
rifinitura di una prima idea, di un primo spunto.
Le partiture autografe spesso sono l’avanzamento di uno stesso
processo: malgrado queste elaborazioni, l’intuizione gli proveniva
dalle dita sulla tastiera, o da associazioni uditive che le immagini
poetiche gli suggerivano, o dalla combinazione delle fonti insieme.
Il librettista
Morell rivela un aneddoto sull’oratorio JUDAS
MACCABAEUS: egli sottopose ad Handel il testo del coro “Fall'n is the
foe”, Handel si pose al cembalo improvvisando su un’idea che gli
avevano suggerito le parole scritte, “e su due piedi elaborò la
composizione che tutti oggi adoriamo in quell'ammirevolissimo coro”.
Anche in occasione delle parole, scritte sempre da Morell, per l'aria
di Cleopatra “Convey me to some peaceful shore” nell’oratorio
ALEXANDER BALUS, Handel esclamò: “Al diavolo i Suoi giambi!”; Morell
si propose di rimpiazzarli con dei trochei, mettendosi immediatamente
al lavoro nella stanza accanto, ma in tre minuti s’accorse che ormai
Handel li aveva già messi in musica come stavano.
L’improvvisazione è provata dall'esistenza di moltissimi movimenti,
specie nelle opere strumentali, che attaccano con lo stesso spunto
iniziale, per poi invece estrinsecarsi in direzioni talvolta
impreviste.
Altro aspetto della prassi compositiva handeliana è l’uso che Handel
fa di musiche preesistenti, sue o di altrui compositori. Tale
riutilizzo, i cosiddetti “prestiti”, hanno fatto scorrere fiumi
d'inchiostro e torrenti d'indignazione moralistica. Innanzitutto si
può osservare, come sostiene Dean, che « la “questione morale”
attualmente dei prestiti handeliani avrebbe una portata significativa
qualora si dimostrasse che la reputazione di Handel dipende da quel
ch’egli ha preso agli altri: il che, palesemente, non è ».
Può apparire strano che un compositore, pieno d'inventiva prodigiosa,
impiegasse un tale procedimento, ma si tenga presente che l'abilità di
Handel nell'elaborare e nel combinare il contrappunto era superiore:
seguendo il suo temperamento, utilizzava qualsiasi cosa gli capitasse
sotto mano, in particolar modo le proprie opere giovanili ma, ove
convenisse, anche quelle altrui, cosa che in realtà facevano anche
altri compositori, con risultati di certo meno incisivi.
Ciò che Handel prese da altri autori, fra cui possiamo citare Clari,
Erba, Kaiser, Mattheson, Gottlieb Muffat, Domenico Scarlatti, Stradella,
Telemann e Urio, possono
essere visti come un adorno ed una elaborazione degli stessi: nella
musica ogni cambiamento porta ad una creazione completamente nuova,
molto più che nelle arti sorelle, dove vi sono casi storici che
attestano che non era affatto un disonore adornare opere di altri
artisti. Si pensi a Nicia che sosteneva fosse più che lecito adornare
sculture di altri.
Mentre nel periodo Romantico il musicista doveva attendere una
ispirazione divina, e sebbene Ernest Hemingway sostenesse che uno
scrittore che scrive “quando non c’è più acqua nel pozzo”, ossia
quando deve scrivere solo perché obbligato, porta la sua vena
artistica alla distruzione, non è così che si concepiva il concetto di
composizione nel periodo Barocco: accanto alla “originalità” di un
pezzo, c’era un’altra forma compositiva: Mattheson in DER VOLLKOMMENE
CAPELLMEISTER (Il perfetto maestro di Cappella) afferma che
i prestiti
sono ammissibili, ma è necessario far fruttare bene il materiale che
si è preso, ossia bisogna cesellare questo materiale in modo che
riscuota molta più stima (Ansehen) del contesto originale dal quale è
stato tolto. Nessuno condannava questo procedimento al tempo, a patto
che in sostanza il debitore rimborsasse il prestito con gli interessi,
cogliendo i frutti del prestito e facendolo proprio migliorandolo (a questa tesi,
giunsero gli studiosi Winton Dean ed anche il premio Nobel Romain
Rolland “Tout ce qu’il touche, Haendel le fail sien”).
E Handel ha sempre rispettato questa regola.
L’ottavo concerto della sua Op.6 inizia con una
Allemande che
sembrerebbe una trasposizione del primo brano di una Pièces de clavecin
proprio
di Mattheson. Premesso che potrebbe anche trattarsi di un omaggio al vecchio
amico dei tempi amburghesi... comunque l'Allemande di Handel
progredisce molto differentemente da quella di Mattheson e si può
ben sostenere che lo supera. Invece di essere accusato di aver preso un'idea, Handel dovrebbe essere piuttosto ammirato per aver saputo svilupparla così
bene.
Sulla base di questo assunto molti compositori hanno preso materiale
altrui, sia esso melodie, sia interi pezzi, senza mai scatenare una
accusa di plagio. Handel non impiegò la musica di Urio per la sua
originalità, per fare un esempio, ma incorporò questa alla sua musica
perché rappresenta convenientemente un particolare genere di musica.
In sostanza un brano preso a prestito, se rielaborato ed adattato ad
un altro contesto, è originale come se fosse composto per la prima
volta; infatti benché sia discostato poco dalla sua forma originaria,
il suo nuovo contesto suona completamente differente. Come comunque
accadeva nel periodo per la letteratura: non si considerava plagio
l’utilizzo di forme e di argomenti altrui, il musicista Barocco era
libero di utilizzare per i suoi scopi materiale già esistente e
famoso, senza per questo esser accusato di furto, imitazione o
debolezza.
Lo studioso Edward Dent è arrivato alla tesi secondo la quale i meri
trapianti siano stati dovuti allo stato di prostrazione fisica e
mentale di Handel in quel giro d'anni, ed ha ritenuto che la vis
inventiva di Handel possa aver subito un temporaneo affievolimento; ma
questa tesi fu confutata per quanto detto sopra e perché quindi solo
una scarsa conoscenza della musica e della sua storia deve aver
portato i critici alle loro assurde conclusioni sulla natura
disonorevole dei prestiti Handeliani: pare non abbiano mai sentito
parlare di “cantus firmus”, di “soggetto cavato” e di “Messa-parodia”,
come pare non abbiano preso in considerazione, oltre alle 49 messe
parodia di Lasso. E sembra proprio che abbiano taciuto che in
vecchiaia anche Gluck utilizzò materiale in gran parte preso da se
stesso dalle sue opere giovanili: in IPHIGENIE EN TAURIDE del 1779,
incluse interi pezzi presi da LA CLEMENZA DI TITO del 1752, di
ANTIGONE del 1756, di L’ILE DE MERLIN del 1758, di TELEMACCO del 1765,
di LE FESTE DI APOLLO del 1769 e di PARIDE ED ELENA del 1770. Non si
diede anche importanza a come Vivaldi stesso utilizzò Corelli,
Albinoni e persino Handel, come anche i propri.
I critici, mentre hanno gettato fango su questi prestiti Handeliani,
hanno invece totalmente minimizzato che anche le
composizioni/adattamenti che fece Bach delle sonate dell’HORTUS
MUSICUS di Reinken e la grande quantità di prestiti da Albinoni,
Legrenzi, Corelli, Vivaldi, Graupner, Telemann, ed altri. Anche Handel
non manca da questo elenco, infatti Bach fu colpito da tre
composizioni giovanili di Handel, l’ALMIRA del 1705, la
JOHANNESPASSION del 1704 e la BROCKES PASSION: alcune arie di ALMIRA
si possono intercettare nei cori d’apertura delle cantate 21 “ICH
HATTE VIEL BEKUMMERNIS” e la cantata 70 “WACHET, BETET!”; altre
derivazioni tematiche nel terreno delle assonanze di idiomi coevi ed
il simultaneo attingere ad un patrimonio comune, come il IN DIE IRAE
SUAE del salmo DIXIT DOMINUS, che Handel compose nel 1707 a Roma, e la
FUGA IN DO DIESIS MINORE del WOHLTEMPERIRTE CLAVIER, come commenta Buscaroli a pagina 808 della sua biografia “BACH”. Bach
rielaborava, faceva cambiamenti ed utilizzava opere di altri autori
tanto quanto Handel, al punto che “la cronologia delle sue opere è
molto più oscura e ci costringe a fare la massima attenzione nel
giudicare quelle di cui non si conoscono esattamente l’origine e
l’epoca di composizione”, come sostiene Friedrich Blume in “Uber Bach’s
Parodieverfahren”: Bach modificò pezzi strumentali fino a farli vocali
e viceversa, trasformò cantate profane in cantate sacre e così via.
I motivi che spinsero Bach a rielaborare pezzi di una vecchia
composizione sono gli stessi che mossero Handel in tal senso, anche se
perseguirono modi differenti nel concepire la musica: nel suo
approccio alla composizione, fondamentale era il risultato: Handel
infatti componeva, sempre, per l'orecchio, mai per l'occhio del
lettore di partiture o per l'intuito speculativo del matematico (in
netta opposizione al modus bachiano). A volte le parti strumentali
obbligate, a differenza da quelle bachiane, non competono ad armi
eguali con le voci: fanno pausa là dove attacca la voce, per non
offuscare il testo o complicare il tessuto musicale.
Nel periodo elisabettino, come ha dimostrato in “Plagiarism and
Imitation during the English Renaisance” Harold Odgen White (1935),
nessun autore si è mai opposto alla pratica dei prestiti, ma anzi si
criticava il non
aver ben incorporato e modellato i pezzi originali, ed
Alexander Pope condivideva
ciò anche per la sua epoca.
Handel, che conosceva molta musica dei suoi colleghi, poiché, oltre
che compositore, fu un
grande studioso, usò assai pochi
pezzi nello stato in cui si trovavano: molto più frequente del banale
prestito, è la rielaborazione di materiali altrui, attraverso un
processo di frammentamento e cementificazione, con risultato di
ottenere brani squisitamente Handeliani.
Frequente inoltre è il riutilizzo di un tema o di un mattone melodico
in una composizione - o un'improvvisazione - del tutto nuova. Gli era
sufficiente estrarre, volta per volta, dei temi dai materiali che gli
servivano per le sue composizioni, ma sempre Handel rimaneva dentro i
limiti consentiti dalle convenzioni, e si lasciava guidare dalla sua
istintiva sensibilità verso le potenzialità di un brano specifico di
musica.
L'uso dei prestiti handeliani era ben noto ai contemporanei: almeno
sei tra loro ne fecero menzione in vita del musicista: Mattheson,
Prévost, Scheibe, Francesco Maria Veracini, Jennens e William Mason.
Ma
Handel stesso non ha mai fatto mistero dei propri prestiti, desunti spesso da
opere musicali a stampa in vita degli autori: un creditore, in tal
senso, fu il suo amico Telemann, di cui Handel sottoscrisse pubblicamente la MUSIQUE DE TABLE nel 1733.
Possiamo essere sicuri che nessuna controversia nacque per il fatto
che Handel si giovò per il suo concerto per organo n° 15 di una sonata
per flauto di Telemann, tratta proprio dalla Tafelmusik. Dopo tutto,
Telemann era libero di fare altrettanto, e lo fece, visto che la sua
opera Ernelinda del 1730 contiene musiche di Handel.
Il
pubblico di quel tempo, per niente urtato, trovava legittimo che tutto
ciò che sembrava di valore fosse adattato a dei nuovi bisogni: una
composizione di musica da camera veniva orchestrata per produrre un
nuovo effetto; un'aria, con nuovi testi, passava senza disagio da una
cantata ad un'altra, e tutto funzionava a meraviglia... In seguito c’è stato un tempo
in cui la
lettura superficiale di alcune partiture Haendeliane ha portato a
sentenziare che Handel copiasse semplicemente quei brani. Una osservazione più attenta rivela tutti i
cambiamenti, che, sebbene piccoli, nel loro insieme danno luogo ad una
nuova composizione, tenendo anche presente che spesso l’originale
veniva dilatato e spesso triplicato. Per Handel i prestiti non erano
considerati un piacevole passatempo da usare nelle pause dell’attività
creativa, come taluni hanno sostenuto, ma servivano ad esprimere con
parole proprie esperienze a lui vicine. La linea di demarcazione tra
il materiale altrui e quello originale – nel senso odierno del termine
– diviene confusa, giacché Handel era un compositore che aveva
perfettamente metabolizzato ogni trucco e stratagemma della grande
miniera della musica occidentale, comprendeva tutte le maniere più
profonde e misteriose, tutti gli arcani della struttura musicale.
Un esempio di genesi musicale Handeliana si è rilevato nello studio
della partitura di THEODORA: per questo oratorio Egli prese alcuni
duetti da Giovanni Maria Clari (1667 - 1754): siccome tali duetti di
Clari erano stati pubblicati da Chrysander, unendoli quale
integrazione alla stampa della raccolta delle opere del Caro Sassone,
ne è venuto fuori che Handel prese delle piccole parti, spesso poco
più di un inizio che nessuno degnerebbe di una minima attenzione, che
divennero germinali di un grandioso monumento musicale: anche questo è
Handel!
Altro prestito handeliano, molto significativo, è l'uso del XERSE di
Giovanni Bononcini in svariati punti del proprio SERSE del 1738, condotto
proprio sullo stesso libretto: ma spettacolare è in questo caso il
procedimento di “cementificazione” e di improvvisazione, tra l'altro
nella famoso Larghetto “Ombra mai fu”. Come dice Dean, “E’ davvero
difficile dare un esempio più limpido di debitore che ripaga il debito
con gl'interessi composti, e anzi ad usura”: nel tardivo SERSE
londinese, Handel arriva a tralasciare la forma del daccapo in quasi
la metà delle arie, impiegando forme ariose che sarebbero state
“normali” nel XERSE di Cavalli, sul libretto di Minato del 1654:
questo ci fa comprendere come la formazione di Handel in Italia non è
circoscritta ad una sola epoca o ad un solo stile: lo stile di Handel
fonde l’influenza vocale di Alessandro Scarlatti con quella corelliana
nell’aspetto strumentale; in altri brani handeliani si individua la
tradizione dei musicisti veneziani.
Handel aveva una personalità creativa vigorosissima, capace di
assimilare qualunque cosa per suo tornaconto, da ogni tradizione
derivasse, senza imbarazzo o incongruenze, e capace presentare una
novità senza abbandonare il vecchio. Ecco quindi confluire nella sua
musica elementi tedeschi, italiani, francesi ed inglesi (i primi tre,
in particolare, fin dagli anni amburghesi), ma il nucleo vitale rimase
sempre quello di matrice italiana.
La forma musicale tedesca dell'epoca più peculiare, il corale, si può
scorgere sia negli ANTHEMS PER CHANDOS, sia in certi cori oratoriali,
e persino nella BROCKES PASSION.
Winton Dean afferma che “per l'orchestrazione, in particolare nel
trattamento libero degli strumenti a fiato e nell'uso di figure
d'accompagnamento ritmicamente acuminate, capaci di imprimere una
forte tensione alla scrittura musicale, Handel ha ben utilizzato gli
insegnamenti tratti da Keiser, che sebbene fosse dotato di un
linguaggio melodico molto peculiare, era in realtà di scarso respiro.
Le idee migliori di Keiser avrebbero richiesto una maggiore
spazialità, in modo da sviluppare esaurientemente il loro potenziale,
e questo è proprio quel che Handel fece attingendole dall' OCTAVIA,
dapprima in Italia, indi a Londra”.
Ma questi primi apprendimenti, si fusero con altri linguaggi musicali:
infatti benchè dopo il suo trasferimento in Inghilterra il linguaggio
dell'opera italiana subisse delle trasformazioni stilistiche, varate
da musicisti quali Leonardo Vinci, Leonardo Leo e Giovanni Battista
Pergolesi, e caratterizzate da una struttura fondamentalmente
polifonica ad una omofonica, e da una linea canora sopra una di basso
assai più morigerata ed inerte e da accompagnamenti accordali, Handel
non si adattò a scrivere solo in questo nuovo modo, ma aggiunse questa
freccia al proprio arco, integrando anche questo stile al proprio
repertorio.
Purcell fornì i modelli per le musiche cerimoniali per le sue prime
composizioni su testi inglesi: Handel avrà sentito la musica teatrale
purcelliana nei teatri londinesi, dove permase ancora a lungo dopo il
suo arrivo a Londra. Anche l’influenza melodica ed armonica
purcelliana si può intravedere in molte musiche di Handel su testi
inglesi, da ACIS AND GATATEA a SEMELE e THEODORA.
L'ampia gamma di cori degli oratorii, dal coro in forma di recitativo
alla doppia fuga corale, dall'aspetto patetico alla stupefacente
eruzione sonora di certi movimenti, è il risultato di una
personalissima fusione ed estensione di tutte le tradizioni musicali
europee, ch'egli ebbe modo di inglobare e assimilare nel corso della
sua lunga vita d'artista. In ogni sua opera v’è sempre un brano
esemplificativo degno di ammirazione: Handel fu stupefacente nel
creare la tessitura sonora in tutta la sua musica, strumentale o
vocale o mista: non v’è musicista che abbia ricavato tanta varietà di
colori dall'orchestra d'archi quanto Handel nei CONCERTI GROSSI OP. 6,
o tanto abbagliante splendore sonoro quanto negli CORONATION ANTHEMS.
Sia nelle opere che negli oratorii la strumentazione è di grande
varietà, controllata tuttavia dalla finezza e dal senso della misura.
Ancora in una composizione tardiva, come SEMELE, compare l'aria con
accompagnamento del basso continuo solo, impiegata tuttavia con
mirabile appropriatezza, capace di illustrare musicalmente ciò che può
essere il sonno.
La partitura di ACIS AND GATATEA del 1718 è un miracolo di parsimonia,
quella del SAUL con tanto di carillon (usato anche ne IL TRIONFO DEL
TEMPO E DELLA VERITA’ del 1737 e in L’ALLEGRO, IL MODERATO, IL
PENSEROSO), tre tromboni, timpani contrabbassi e organi è pressoché
senza rivali, nell'epoca sua, per la grandiosità sonora.
Per i temi orientaleggianti, Handel ricorre a gruppi strumentali
considerati esotici od inconsueti: quattro corni, arpa, tiorba, una
parte di viola da gamba scritta per esteso nel GIULIO CESARE,
mandolino e arpa nell'ALEXANDER BALUS. Scelte molto appropriate per la
trattazione del soggetto, considerando la percezione dell'effetto
prodotto all'atto dell'esecuzione pratica: ogni scelta strumentale è
ben pesata da Handel, e non appare mai gratuita complicazione. La
Cleopatra del GIULIO CESARE non teme confronti con l'eroina
shakespeariana nella vastissima gamma di sfumature emozionali.
Ma in fondo tutte le figure femminili del teatro handeliano in linea
generale sono d'una sottigliezza e varietà stupefacenti. Nella
scrittura canora per soli, Handel aveva sempre bene in testa la
peculiarità della voce di ciascun artista che si può spesso, sulla
sola base dell'esame della musica, individuare quale fosse il cantante
per cui era stata in origine creata questa o quell'aria.
Le maghe nelle sue opere magiche, in particolare Melissa in AMADIGI e
Alcina in ALCINA, agiscono sì contro la felicità degli altri
personaggi in scena, ma il dipinto musicale del loro desiderio
frustrato è talmente intenso da conferire loro l’elevatura a vere e
proprie eroine tragiche.
Gismonda, matriarca ambiziosa (si pensi all’aria “Pur che regni il
figlio amato”) ed invidiosa, in OTTONE, è pervasa dalla qualità
redentrice dell'amore per il proprio figlio incapace: l'aria
handeliana che gli dà voce è tanto commovente da capovolgere quasi
l'intreccio stesso.
Un’altra caratteristica del modus operandi di Handel è legata
all’aspetto dell’equilibrio sonoro delle parti implica
l'impraticabilità della trasposizione all'ottava bassa, da contralto
castrato a baritono o basso, preferendo riscrivere di sana pianta la
musica se mai la voce era differente: nelle arie destinate ai tenori e
ai bassi Handel adotta modi e colorature vocali molto diverse che per
soprani e contralti.
Nell'età della dottrina degli affetti, tutti i compositori di musica
vocale prendevano gran parte delle realizzazioni musicali dal tenore
del testo: Handel, collezionista di dipinti e osservatore profondo
delle bellezze della natura, non fa eccezione, ma si caratterizza di
più rispetto altri nel trar partito dalle impressioni visive e dalle
inflessioni della poesia, specie quella inglese: sapeva analizzare
penetrando il senso superficiale d'un testo. Ma la grandezza di Handel
non risiede di certo solo in questo aspetto: infatti è un maestro
dell'imprevedibile sia nell’esigenza del contesto drammatico, sia in
mille profili melodici/armonici/ritmici: tutto ciò genera energia,
suscita l'espressione delle sue melodie, talvolta anche asimmetriche e
di durata più a lunga rispetto ciò che l'orecchio possa prevedere.
Handel fu praticamente il solo ad adattare le proprie musiche ai
luoghi e alle circostanze predestinate, con grande senso pratico: ed è
proprio questa empiricità che s’estende pure al trattamento di forme
musicali, quali la fuga e l’aria: Handel era infatti capacissimo di
scrivere fughe rigorose, ma preferiva ampliare il proprio dominio
variando la fuga con episodi eterogenei, grandi blocchi accordali,
unisoni, ed invenzioni di ogni tipo: naturalmente in un compositore di
minori doti, tali accortezze sarebbero riusciti goffi o inadeguati
allo scopo, mentre Handel si staglia su tutti i coevi nella capacità
di suscitare spesso effetti brillanti e sorprendenti, aggirando le
regole o trasgredendole, e quindi creando qualcosa di nuovo mai visto
prima.
Concludendo si può affermare non solo che Handel ha un linguaggio
molto personale, ma che questa personalizzazione avviene coi
procedimenti e gli accorgimenti su elencati sui principali stili
geografico-barocchi e non solo coevi: appare chiaro quindi che mai è
più calzante la frase del premio nobel Romain Rolland che si occupò di
studiare ed approfondire vita ed opere di Handel: “L'anima di Handel è
come il mare, nel quale tutti i fiumi del mondo si riversano senza
intorpidirne le acque o alterarle”.
A cura di Arsace
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