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Soprano
Il suo soprannome deriva dalla circostanza che lei era la
figlia del cuoco del principe romano Gabrielli, ed assunse quindi l’epiteto
di “la Coghetta” e (anche Cochetta, Cocchetta). Tuttavia non si ha la
certezza se il cognome Gabrielli fosse stato concesso dal principe
protettore oppure appartenesse esso stesso già alla famiglia, cosa che
sembra alquanto probabile dal momento che tale nominativo lo portarono pure
la sorella Francesca ed il fratello Antonio. Il principe la fece completare
gli studi a proprie spese, prima con il Garcia, detto lo “Spagnoletto”, poi
con Nicola Porpora. Non sono verificabili di veridicità le due date che
segnano il suo debutto di incipit della carriera, una a Lucca nel 1747, come
riportato nei “Mémoires” di Goldoni, l’altra a Napoli nel 1750 in altre
fonti.
G. B. Mancini invece è l’unico ad affermare, nelle sue “Riflessioni pratiche
sopra il canto figurato” edito a Milano nel 1754, che debuttò “sopra uno dei
teatri di Venezia”. Ebbene a Venezia la Gabrielli cantò infatti nel 1754 al
Teatro S. Moisé nell’ANTIGONA di Galuppi (nel ruolo di Ermione) assieme alla
primadonna Livia Segantini. Nello stesso teatro, nel 1755 fu la volta della
sua interpretazione de IL SOLIMANO di Domenico Fischietti e l’ASTIANATTE di
A. G. Pampani, su libretto di Antonio Salvi. Ma fu proprio a Venezia che
fece scoppiare
il primo scandalo, che indusse la Serenissima a proibire ai
nobili veneti di frequentare la sua casa.
Fu quindi chiamata a Vienna, dove si recò (come si può vedere dalle lettere
814 e 816 di Metastasio nel Volume III delle “Opere Complete”, Milano 1952)
nel febbraio 1755, stipulando un contratto triennale cumulativo per lei e la
sorella di
2.000 ongari l’anno, con in più le spese per l’alloggio, i
vestiti e il titolo di Virtuosa di corte.
Il 5 maggio 1755 ebbe l’occasione di esibirsi al castello di Laxenburg nella
DANZA (Nice), l’8 Dicembre 1755 ne L’INNOCENZA GIUSTIFICATA (nel ruolo di
Claudia), l’8 Dicembre 1756 ne IL RE PASTORE (nel ruolo di Elsa), tutte
opere di Gluck, ottenendo ben presto ad accaparrarsi il favore
dell’imperatore Francesco I, che si recava a Teatro solo quando Caterina
Gabrielli si esibiva.
Anche in Austria comunque Caterina Gabrielli non tardò molto a far scoppiare
un
nuovo scandalo.
O a causa della sua condotta o perché veramente l’imperatrice aveva deciso
di sospendere gli spettacoli durante la guerra in corso (si veda sempre
dalle lettere del Metastasio, volume III, lettera 921), già nel Febbraio
1756 Caterina Gabrielli era in trattative con la corte dì Madrid per una
scrittura che, grazie ai buoni uffici di Metastasio, ottenne a condizioni
veramente vantaggiose, nel luglio 1757, ma a cui non diede seguito.
Il 1757, per Yorke Long, segnò anche l’incontro fra Caterina con il
compositore Traetta e l’inizio della lunga relazione che ebbe con lui (è
però inesatto che nel 1757 Caterina Gabrielli abbia potuto interpretare la
DIDONE di Traetta a Venezia).
Nel 1758 iniziò a cantare in Italia con maggiore frequenza a Lucca (un
DEMETRIO di anonimo compositore), a Padova (stagione di fiera, DEMOFOONTE di
Galuppi a fianco del Senesino), a
Milano (Ducale, EROE CINESE di Gaetano
Piazza e IPERMESTRA di Galuppi) dove nel 1759 cantò di nuovo nel DEMOFOONTE
di Antonio Ferradini e nell’ALESSANDRO NELLE INDIE di Ignazio Holzbauer.
Sempre nel 1759 fu anche a Parma dove cantò in
IPPOLITO E ARICIA di Traetta,
il 9 maggio.
Nel carnevale del 1760 interpretò a Torino l’ENEA NEL LAZIO di Traetta e LA
CLEMENZA DI TITO di Galuppi; nell’aprile cantò a Parma I TINDARIDI di
Traetta e infine,
l’8 ottobre, trionfò a Vienna nell’ALCIDE AL BIVIO di J.
A. Hasse e nella serenata TETIDE di Gluck. Nella primavera 1761 fece ritorno
a Parma per far parte del cast di ENEA E LAVINIA di Traetta a fianco di
Gaetano Guadagni ed il bellissimo sopranista Giacomo Veroli. Giacomo Veroli,
futuro “giove” del “Prologo” di Gluck a Firenze nel 1767, non poteva
coinvolgere la sensibilità di Caterina, che contemporaneamente non
scontentava Gaetano Guadagni. Disgraziatamente coi due musici Caterina
voleva cumulare anche un terzo che di siffatta musica non voleva saperne.
Era il Duca di Parma in persona, Don Filippo di Borbone, allora quarantenne
e testè vedovo (Dicembre 1759). Conferma il musicologo Fétis che la ragione
delle continue apparizioni a Parma di Caterina Gabrielli era la relazione
con l’Infante Filippo di Borbone, uomo geloso e brutale; Il Duca di Parma
era innamorato di Caterina Gabrielli alla follia, rassegnato ai suoi
capricci, ma soggetto a tali eccessi di geloso furore, da spingerlo a vie di
fatto verso Caterina e non di spada: spesso accadeva che Caterina si
ritrovasse prigioniera negli appartamenti ducali ed inveiva contro il Duca
chiamandolo “gobbaccio maledetto”. Caterina si stancò ben presto di Don
Filippo e scappò a Lucca dove decise di riposarsi per un po’ di tempo.
Nel 1761 ebbe modo anche di cantare a Vienna per l’ultima volta nell’ARMIDA
di Traetta, il 3 gennaio), poi a Padova nella ZENOBIA di G. B. Pescetti e
nel DEMETRIO di Galuppi, al quale spettacolo volle assistere Goldoni (come
riporta una lettera del 4 luglio 1761).
Nel 1762 fu a Lucca, poi a Torino nel carnevale dove interpretò IFIGENIA di
F. G. Bertoni e DEMETRIO di G. Ponzo e a Reggio nell’aprile
ALESSANDRO NELLE
INDIE di Traetta.
Nel 1763 ricomparve nuovamente a Milano per l’ADRIANO IN SIRIA di G. Colla e
la DIDONE ABBANDONATA di Traetta, ma a causa della condotta dissoluta, fu
espulsa anche da questa città.
Durante soggiorno di nuovo a Parma iniziò una relazione col sopranista G.
Veroli, col cui si ritirò per qualche tempo in un luogo segreto per vivere
più tranquillamente le passioni amorose.
Caterina era anche una testa matta, un’allegra gaudente, un’indiavolata
chiassona e canzonatrice; e cominciò a mostrar il suo carattere prima ancora
di arrivare a Napoli, perché, sottoscritto il contratto col Grossatesta,
ballerino ed impresario, per la stagione 1763/1764, nel quale risultava
pattuito l’onorario di 1.800 zecchini, qualche mese dopo, chissà per qual
capriccio venutole nel cervello, gli spedì una letterina da Milano il 26
Marzo 1763, che cominciava con Monsieur e proseguiva testualmente:
“La determinazione presa di entrare in monastero per farmi monaca grazie
all’alta assistenza di Dio, fa che non possa adempiere all’impegno
incontrato con Vostra Signoria. Così li potrà servire l’avviso per pensare
al altro soggetto in mia vece, assicurandola però che, per il rispetto che
ho per questo Real Teatro, e per corrispondere al buon genio che Lei m’ha
dimostrato d’avermi, ogni qual volta debba di nuovo espormi sopra il teatro,
non canterò in altro primacché non abbi cantato in quello di Napoli, se così
piacerà a chi comanderà in quel tempo. Fra tanto Lei mi potrà graziare di
risposta, la quale servir deve per metterci ambidue in libertà e con ciò
annullare le nostre scritture. La supplico di pregare Iddio che mi mantenghi
in questa buona e santa vocazione, e con ogni stima mi protesto De vous
Monsieur, devotissima serva Caterina Gabrielli.”
Dopo questa lettera, Caterina lasciò Milano
e si nascose, non si sa dove:
forse davvero in un monastero oppure in un romitorio di amore in compagnia
del valoroso sopranista Veroli.
L’improvvisa vocazione era un pretesto per riavere indietro il contratto che
aveva firmato; e quando vide che invece ci si opponeva fieramente e
duramente, Caterina Gabrielli non parlò più di monastero e al tempo
stabilito nel contratto giunse a Napoli, e nel novembre del 1763 cantò nell’ARMIDA
musicata da Traetta, e poi nell’OLIMPIADE, musicata invece da Guglielmi,
piacendo molto, sebbene la gente ebbe modo di lagnarsi “della libertà che si
prendeva di cantare quando le piaceva, caratterizzandola per un altero
audace disprezzo”, e del suo variare le arie ad arbitrio, cosa che la fece
litigare col compositore Gugliemi.
V’era dunque burrasca per aria, ma Caterina sfidava tutto, quando a
complicare la situazione in agosto o settembre fu rimessa al Re una supplica
di Carlo Gabrielli romano, non più cuoco del Principe protettore, il quale
piativa che
“sua figlia Caterina cantatrice del Teatro Reale tiene una cameriera per
nome Rosalba Giannelli, discola ed irrequieta di pessima vita e che ha
procreato tre figli, uno che è a Vienna e gli altri due non si sa ove sono
se gli abbia buttati via o altro, con aver fatto quattro aborti, uno dei
quali un mese fa. Per correggere detta sua figlia è stato sfrattato il
supplicante da Vienna, da Torino e da Parma anche per consiglio di detta
Rosalba ed ora trovasi cacciato dalla di lei casa senza prestargli neanche
l’assegnamento che gli aveva promesso di far fare, onde vedendosi così
maltrattato ed ingiuriato per causa di una cameriera, supplica la M. V. a
dare il dovuto riparo sull'esposto con ordinare lo sfratto di detta Rosalba
e dalla casa della di lui figlia e da Napoli, acciò il supplicante possa
convivere colla medesima, senza discussioni ed inquietudini e si levino via
tanti disordini, scandali, e peccati.”
Questa supplica fu passata all'Auditore dell'Esercito il 24 settembre 1763
perché avvisasse sui provvedimenti; e difatti l'Auditore, sopracciò della
gente teatrale, provvide che la cantante assegnasse al padre 8 zecchini al
mese. Ma l'assegno fu pagato soltanto per pochi mesi, onde nel febbraio 1765
nuova supplica del padre contro la figlia, passata al solito Auditore, che
questa volta non pare si volesse più ingerire della faccenda.
Ad ottobre 1763 nuovo scandalo, anche se di altro genere:
In un concerto musicale cui la Gabrielli prendeva parte un sostituto
dell'Auditore dell' Esercito che vi assisteva per ufficio osservò come fra
un pezzo di musica e l'altro “qualcheduno si alzò accostandosi al proscenio
a discorrere e scherzare con lei”. Allora mandò un suo ufficiale ad
“insinuare alla Gabbrielli che conveniva di stare con serietà e badare al
concerto”. Invano. Causa del disturbo era “un inglese del seguito della
Gabrielli”. Intimatogli per ordine del Re che tornasse al suo posto, rispose
che il suo Re stava in Inghilterra.
L'inglese fu sfrattato dal Regno, ma la Gabrielli restò, e nonostante tutte
le noie che dava, venne riconfermata con applauso universale per la stagione
1764/1765 con 2.000 zecchini di paga.
A Napoli Caterina Gabrielli si esibì anche nell’ISSIPILE di Hasse nel
dicembre 1763.
La stessa Giunta dei teatri, qualche anno dopo, afferma che la Gabrielli,
“oltre a essere soggetto superiore per il suo merito a tutte le cantanti che
girano per i teatri più cospicui, si è qui intesa con plauso universale; e
se qualche volta non ha cantato secondo il solito, ciò è avvenuto non già
per puro capriccio, come crede la gente non intenditrice di musica, ma solo
perché la sua maniera di cantare esige fortezza di petto, nettezza di gola,
e che lo stomaco e la testa stiano perfettamente sgombri: cose tutte che non
sempre si combinano secondo il desiderio".
La Gabrielli si trovava ancora a Napoli durante il flagello della carestia
del 1764, cosa però che non impediva alla buona società di recarsi a teatro:
impresario del San Carlo dal 1764 in poi, era Giovanni Tedeschi, il ben noto
Amadori, già cantante e musicista distintissimo, e si capisce che non se la
lasciò scappare. La scrittura fu approvata dalla Giunta dei Teatri “perchè
per il merito che ha nella sua professione di cantante ha incontrato il
gradimento di tutto il pubblico”.
Anche la Giunta quindi dimenticò presto i capricci scenici della fantastica
attrice-cantante.
E non poteva essere altrimenti dopo 1' incredibile successo conquistato
dalla Gabrielli nella DIDONE ABBANDONATA: l’abate francese Coyer, descrive
la recita della DIDONE di Traetta eseguita nel Carnevale del 1764, musica di
Traetta, dove
“la fameuse Gabrielli fait le role de Didon: il faut que le pieux Enée ait
bien de la dévotion pour résister aux charmes de sa voix et de sa figure”
(sua lettera del 11 Febbraio 1764).
L’abate vide che tutti, quella sera, avevano gli occhi ad un palco dove
c’era una giovinetta che le altre dame spettatrici in quel tempo si mostrava
in abito di colore e adorna di diamanti: era una “sposa”, ossia una
fanciulla della nobiltà che, coperta delle pompe e vanità del mondo, veniva
a dare ad esse l’addio per chiudersi in chiostro. L’abate assistette il
giorno dopo alla vestizione ed udì nella cerimonia cantare il Caffarelli.
Nel 1764 la Gabrielli si esibì anche nella NITTETI di A. Mazzoni. Poi
nell'agosto del 1764 Caterina ammalò e fu sostituita dalla solita Francesca,
a Napoli vista per sorella di lei. Anch'essa incontrò il gusto del pubblico,
che la rivide con piacere più tardi (1765/1766) nel CRESO del Sacchini e nel
RE PASTORE del Piccinni con la prima donna Girelli e il celebre contraltista
Aprile.
Caterina, che nel dicembre 1764, perfettamente rimessa a nuovo, nel per la
stagione 1764/1765, cantò in qualità di Marzia nel LUCIO VERO di Sacchini,
nel CATONE IN UTICA di J. Chr. Bach e nel CAIO MARIO di Piccinni.
Poi. improvvisamente nella seguente stagione del 1765/1766 non prese parte,
anche se rimase a Napoli, rifiutando, col mettere innanzi richieste
esorbitanti, le domande giuntegli da Pietroburgo e da Berlino, oltreché da
varie città d’Italia. Diceva di volersi riposare a Napoli, ma
sostanzialmente sembra che qui fosse innamorata di un uomo, da cui le
sarebbe stato doloroso staccarsi: una nuova relazione amorosa con un giovane
gentiluomo napoletano la allontanò dalle luci del palcoscenico: da lui non
voleva separarsi (come risulta dalle lettere di
Lalande in “Voyage en Italie”,
Parigi 1776, V, pagine 444-445).
Ma Napoli non poteva far a meno della sua Gabrielli onde il furbo Amadori la
scritturò di nuovo per il 1766-67, deducendo nella sua proposta come “oltre
all' esser soggetto superiore per il suo merito a tutte le cantanti che
girano pei teatri più cospicui, si è qui intesa con plauso universale, e se
qualche volta non ha cantato secondo il solito ciò è avvenuto non già per
puro capriccio, come crede la Giunta, non intesa di musica, ma solo perchè
la sua maniera di cantare esige fortezza di petto e che lo stomaco e la
testa siano perfettamente sgombri, cose che non sempre si combinano secondo
il desiderio”.
Nella stagione 1766/1767 quindi riprese a cantare al S. Carlo, insieme con
la sorella Checca o Francesca Gabrielli e col tenore Raaff ed altri bravi
cantanti; interpretando l’ANTIGONO di G. Scolari (nel maggio), il GRAN CID
dell'abate Pizzi, romano, musicata da Piccinni (novembre), il VOLOGESO di
Sacchini (dicembre) e, il 20 Gennaio 1767, il BELLEROFONTE di un console
Giuseppe Bonechi, musicato da J. Myslivecek, detto il boemo e anche si sa
suo compositore preferito.
Ma ecco che nuovamente Caterina Gabrielli venne espulsa da Napoli con la
sorella Francesca per ragioni di moralità: dopo queste opere infatti quando
l’impresario s’accingeva a rinnovare il contratto per la stagione 1767/1768,
venne ordine da parte del Re di prendere un’altra prima donna al posto di
Caterina Gabrielli: il ministro Tanucci scriveva al margine in nome del Re:
”Il Re dsice che si proponga altra in luogo della Gabrielli”. Non fu
sufficiente, anche perché la Giunta insisteva per l’approvazione, ma ad un
certo punto intervenne un ordine esplicito del Re che si rompessero le
trattative colla Gabrielli, che non doveva più esser appaltata per il San
Carlo per le note Ragioni. Pare che vi fosse un conflitto diplomatico,
simile a quello verificatosi a Vienna: il cavaliere di Goudar, che degli
scandali di Napoli ne doveva sapere molto, scrive alla Gabrielli: “On sait
son aventure de Naples, ou elle reçu des coups d’un Ministre”. Ma le vere
motivazioni sono sconosciute: si può teorizzare che questa decisione non
dipendeva dal fatto che il suo canto fosse venuto a noia, come alcuni hanno
pensato: la ragione del divieto poteva dipendere dal numero e dalla quantità
dei subbugli e degli intrighi che Caterina Gabrielli creava a Napoli,
nell’alta società del posto e sembra dipendere anche nell’allarme che
diedero certi segni di favore e di attrazione per lei che si notavano nel
giovanissimo re, affidato alla responsabilità del ministro Tanucci. Insomma
il risultato fu che sia Caterina Gabrielli che Francesca Gabrielli furono
solennemente bandite per sempre da Napoli.
Così nel 1768 Caterina Gabrielli andò a Torino e per il carnevale cantò nel
TRIONFO DI CLELIA di Mysliveilek e CRESO di P. Caffaro; poi, sempre nel
1768, essendosi venuto a sapere che le due sorelle Gabrielli si recavano a
Palermo e, nel passare per Napoli, intendevano soffermarvisi, si temette il
“rinnovamento colla loro presenza qui di quegli scandali e romori, dei quali
erano state esse cagioni per lo passato”, e si diedero ordini severi
affinchè non posassero piede a Napoli. Per altro, le due ardite scesero a
Baja, e quando fu ordinato di arrestarle, riuscirono a fuggire attraverso
gli aiuti e gli avvisi opportuni, che non mancano mai a tal specie di donne.
Quindi Caterina si esibì al teatro S. Cecilia di Palermo (nell’arco di tempo
compreso fra giugno e dicembre interpretò l’ACHILLE IN SCIRO di J. G.
Naumann e IL VATICINIO DI CARMENITA di G. Astaritta).
A metà Maggio 1769, al ritorno da Palermo, Francesca Gabrielli scese
all’albergo degli Inglesi a Chiaia; questa volta non riuscì a farla franca e
questa volta fu arrestata davvero e riportata al confine: tanto era il
disprezzo che invano per più anni poi pregò e supplicò affinchè le si
permettesse di ritornare a Napoli, prendendo come pretesto il fatto che
colui, che i calunniatori le davano per amico, era morto.
Caterina Gabrielli invece a fianco di Pacchierotti e Campanucci, fu
nell’estate 1771 al
Teatro Santa Cecilia di Palermo dove le chiacchiere su
di lei non tardarono a circolare e farsi sentire: infatti Caterina Gabrielli
era ostile al viceré marchese Fogliani, e non si trattenne di far trapelare
questa sua antipatia evitando di dargli rispetto: fu scortese in ogni
occasione, finchè il vicerè fu costretto a imprigionarla, e la cosa si
ripetè per ben 3 volte: da un Diario inedito del parroco Gaetano Alessi, si
sa che sempre per non aver voluto cantare fu di nuovo imprigionata il
17
Novembre. Non basta, poiché poi si legge nel Diario del marchese di Villabianca:
“Carnevale del 1771. Il carnevale di quest’anno riuscì freddissimo. Vi
furono le opere in musica nel teatro di santa cecilia rappresentato avendovi
la virtuosa madama la Gabriella, detta la Cuochetta. E sia solamente cosa
degna di nota queste mie carte la carcerazione subita della cennata
Cuochetta in pena di essersi negata una volta a cantare in scena col dire:
“Piuttosto piangere mi possono fare che cantare”.
Più tardi Casanova la incontra a Roma, dove Caterina si riposava albergata
“chez Roland vis-à-vis Saint Charles”, corteggiata dal principe Battista
Borghese: qui vi rimase probabilmente fino all’Ottobre del 1771 quando passò
a Milano dove
Mozart ebbe modo di ascoltarla.
Grazie all’invito di Traetta, con un contratto stipulato per un ingaggio che
doveva durare per 3 anni, partì per la Russia, debuttando a Pietroburgo nel
1772 in una ripresa de L’ISOLA DISABITATA (nel ruolo di Costanza), poi nella
prima esecuzione dell’ANTIGONA (11 novembre come protagonista), entrambe di
Traetta.
Un impresario teatrale italiano in alcuni appunti presi nel 1772 scrive:
“La Gabrielli è impegnata per 3 anni a Pietroburgo; questi benedetti
moscoviti ci rubano tutte le nostre primedonne. Il disgustoso per noi è che
le pagano assai, di modo che quando ritornano di là domandano delle gran
paghe che per il più rovinano gli impresari; però finito che sia il suo
tempo, conviene scritturarla. E’ vero che ha degli anni, ma non importa, è
sempre una grande virtuosa, massimamente dopo un certo motivo che le ha
schiarito la voce della metà”.
Per un anno circa rimase lontana dalle scene a causa di una gravidanza,
secondo la velatissima allusione in J. Sonnette (A. Goudar), “Le brigandage
de la musique italienne”, Parigi 1777:
“Mademoiselle Gabrielli ch’ante bien, mais chanterais mieux si elle n’avait
en dernier lieu un petit opéra en Russie qui lui gata la voix. La piéce
était si naturelle qu’elle était parlante.
On dit qu’il est de la composition d’un jeune Milanais qui entend
parfaitement cette partie de la musique que nous appellons la battuta”.
Nel Settembre 1773 ricomparve nella prima esecuzione di AMORE E PSICHE di
Traetta.
Nel 1774 interpretò il LUCIO VERO di Traetta e diede molti concerti nella
residenza imperiale di Carskoe Selo. Sfruttando il fatto che Londra le aveva
offerto l’imponente cifra di 1.800 ghinee per lei e 300 per la sorella
Francesca, Caterina Gabrielli pretese per il rinnovo del
contratto in Russia
l’enorme cifra di 10.500 rubli; Indispettita naturalmente la zarina Caterina II dovette dar ordine di licenziarla, suo malgrado dal momento che ammirava
la sua arte e la sollazzavano le bizzarrie della cantante.
Caterina Gabrielli quindi, vinte le sue posizioni – vedi lettera
dell’inglese Patrizio Brydone - fu a Londra quindi nell’interpretazione del
pasticcio DIDONE ABBANDONATA di Antonio Sacchini: divenne l’idolodei
musicofili inglesi, sbaragliando tutti con la sua “Son regina e sono
amante”.
“Son Regina e sono amante
E l’impero io sola voglio
Del mio soglio e del mio cor.
Darmi legge invan pretende
Chi l’arbitrio a me contende
Della gloria e dell’amor.”
Che un po’ riassume la sua vita, spesa fra 35 anni di avventure e 15 di
calma, poiché il succo dell’aria può riassumersi così:”Sono artista sovrana
e donna ultrapossente, né conosco altro padrone che il mio capriccio”.
Quindi si esibì ancora, l’11 Novembre 1775, ne LA VESTALE di M. Vento, il 6
Febbraio 1776, ne LE ALI D’AMORE di V. Rauzzini il 29 Febbraio, nel CAIO
MARIO di Piccinni, il 20 Aprile e nel pasticcio ANTIGONO, il 18 Maggio.
Nel 1778 si esibì a Lucca, per le feste del Volto-Santo (agosto-settembre)
in un’opera teatrale di compositore sconosciuto, ARMIDA, e nell’1780 alla
Scala di Milano nell’ARMIDA di Myslivecek: benché oramai 50enne, continuò
spavaldamente a tener testa al sopranista Luigi Marchesi, tanto che gli
infuocati sostenitori dell’una e dell’altro arrivarono a incrociare le
spade.
Nel 1780 fu poi a Venezia, nel teatro di san Benedetto, nel cast della
NITTETI di P. Anfossi e nella stagione del carnevale 1781/82 ZEMIRA di
Anfossi e ARBACE di G. B. Borghi, entrambe interpretate con accanto la
sorella Francesca ed i tenori Domenico Mombelli e Matteo Babbini: ma queste
interpretazioni iniziarono a rivelare una decadenza vocale della diva.
Luigi Ballarini, il 29 dicembre 1781, scrive:
“La Coghetta ha perduto il fiato e non si sente” (da P. Molmenti,
“Epistolari veneziani del secolo XVIII”, Palermo, 1914).
Caterina Gabrielli di certo non era donna che nascondesse a se stessa i
segni del proprio decadimento; lasciò quindi definitivamente il teatro,
ritirandosi a Roma nel Palazzo Cesarini, in via dei Banchi Nuovi ove si
godette le proprie ricchezze.
Dei 15 anni in cui lei soggiornò a Roma, non vi sono notizie certe se non
quella della sua morte, attestata nel Registro della parrocchia di San
Celso, in cui si legge:
“17 Febbraio 1796
Ieri, munita dei soccorsi della nostra santa Religione, morì la celebre
virtuosa di canto Catterina Gabrielli e fu sepolta nella nostra chiesa. Morì
nel suo appartamento al primo piano di palazzo Cesarini in via Banchi nuovi.
Era nata nel 1730, per quanto mi ha assicurato la signora Nanna sua
sorella”.
“Bella, sebbene alquanto piccina di statura, e con lieve strabismo
all’occhio destro” in questo modo la dipinge Benedetto Croce sulla scorta di
documenti contemporanei. A confermare senz’ombra di dubbio l’avvenenza di
Caterina Gabrielli ci sono i giudizi concordi dell’abate Coyer, Metastasio,
Patrizio Brydone, Charles Burney e di molti altri, e naturalmente le
frequenti e focose passioni che lei ispirò.
Di lei si può dire che non fu esente da alcuno dei vizi delle primedonne del
XVIII° Secolo: ambizione sfrenata, sfacciataggine, sregolatezza, amoralità e
dissolutezza (non si conta il numero dei suoi amanti) e grandissima avidità
di denaro.
Ma il demonio non è così brutto come si dipinge, infatti ad attenuare il
quadro, oltre al gran talento canoro che indubbiamente ebbe, Caterina
Gabrielli seppe esser però generosa dimostrandosi molto caritatevole:
durante la prigionia alle Carbonie palermitane allietò con banchetti i
compagni di sventura, e arrivò persino a pagare i debiti ai più disgraziati.
“Testa matta, allegra gaudente, indiavolata chiassona e canzonatrice” così
la definisce ancora Benedetto Croce, sapeva farsi perdonare dai potenti le
sue scapestrataggini e le sue bizzarrie, proprio grazie ad un carattere
davvero stravagante e simpatico.
Burney, che ebbe modo di incontrarla a Londra sul finire della carriera, ne
elogiò il comportamento da matrona romana, giudicandola “la più intelligente
ed educata virtuosa con cui egli avesse mai dialogato”.
Algarotti la definì “gentile, dotta e armoniosa” (cosa anche riportata da
Ademollo nelle numerose lettere inviate dalla Gabrielli ad Agnese Colonna
Borghese).
Voci in netta opposizione a questi giudizi lusinghieri, Brydone vide nel suo
carattere “uno scudo contro le seduzioni del suo canto e della sua persona”
(come si può leggere in “A Tour Through Sicily”, Londra 1773 e 1776).
Il fatto è che il Carattere di Caterina Gabrielli rappresentava una vera
eccezione per l’epoca, ad eccezione però del grande Caffarelli: si potrebbe
dire che Caterina Gabrielli poteva rappresentare la versione femminile di
questo grandissimo sopranista. Questa eccezionalità era talmente risaputa
che quando si recò in Inghilterra il pubblico, malamente prevenuto, la
accolse con intensa ostilità.
Si è incerti se dare una valutazione univoca ai suoi capricci: erano
motivati dal calcolo deliberato, come la sia accusava allora, oppure per una
disposizione psichica estremamente instabile, sulla quale confluivano con
particolare prepotenza le circostanze sentimentali ed ambientali?
Carlo Goldoni, nelle sue “Memoires” scrive “La charmante Caterina Gabrielli
faisoit les délices de ce spectacle harmonieux. Elle étoit de bonne humeur...”
Brydone stesso ammette che “non sempre da capriccio proviene il rifiuto di
cantare; vi sono cause fisiche per le quali essa ne diviene incapace”.
Della sua voce, che fu generalmente portata alle stelle da quanti la udirono
cantare, Metastasio dice che era di “qualità e quantità senza uguali” in una
lettera del 18 Dicembre 1755, mentre Lalande testimonia che giungeva dal si
bemolle fino al do e in falsetto fino al fa, e che era di qualità rarissima
per pienezza, dolcezza, uguaglianza e leggerezza (“faite pour etre au dessus
des rossignols”), tale infine da nuocere indirettamente a tutte le cantanti
d’Italia che, non possedendo i suoi mezzi, cercavano di imitarla.
Altro pregio artistico di Caterina Gabrielli fu certamente le sue qualità
eccezionali di attrice e a tal proposito unanimi furono i giudizi: sappiamo
da Metastasio che ella seguì intelligentemente i consigli che le diede
Vittoria Tesi, e Brydone afferma che alla sua educazione scenografica
contribuì lo stesso Metastasio, e la giudica stupenda nel recitativo:
“Poche parole di un suo recitativo con accompagnamento semplicissimo,
suscitano un’emozione giammai prodotta da alcun altro cantante”. Della
stessa opinione c’è pure una testimonianza del letterato J. W. Heinze sulla
sua interpretazione in Russia dell’ANTIGONO di Traetta.
Le sue grazie seppero conquistare alcuni tra i più importanti letterati
italiani del XVIII° secolo: infatti, oltre a Metastasio e Algarotti, hanno
espressioni di intensa ammirazione per Caterina Gabrielli, Frugoni e Parini.
Parini arrivò ad indirizzarle anche 4 sonetti, 3 dei quali pubblicati con
altri componimenti di D. Balestrieri, P. D. Soresi, A. Tanzi, A. T. Villa,
etc. in 2 raccolte di omaggi poetici a lei dedicati, usciti a Milano nel
1758 e 1759.
Caterina Gabrielli, tra
V.Maffoli sx, D. Mombelli dx e C.. Babbi
Sonetti per Caterina Gabrielli
Gli Antenati
dei Gabrielli
Antonio e
Francesca Gabrielli
A cura di Arsace
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