Note:
28 rappresentazioni consecutive. Agrippina venne eseguita nel 1713 a Napoli, con
l'aggiunta di alcune musiche di Francesco Mancini; rimase stabilmente in
cartellone ad Amburgo nelle stagioni 1718,
1719 e 1722; nel 1719 fu eseguita a Vienna. Agrippina
include, oltre a del materiale tratto da composizioni handeliane anteriori,
un'aria dall'opera Porsenna (1702) di
Johann Mattheson.
AGRIPPINA andò in scena al teatro di S. Giovanni Grisostomo
di Venezia il 26 dicembre 1709 (ma la data esatta non è certa). Si
trattò di un vero e proprio scontro canoro, che coinvolse:
Margherita Durastanti, nei panni di Agrippina, la protagonista
dell’opera; era lei che doveva insidiare il posto della prima donna, la
virtuosa celeberrima detentrice del titolo, l’indiscussa star del
teatro,
Diamante Maria Scarabelli, che interpretava il ruolo di Poppea,
l’antagonista anche come ruolo di Agrippina. Spettatori di questo
incontro, c’erano
Vincenzo Grimani, cardinale, comproprietario del teatro, e
da un anno pure viceré di Napoli, nonché presunto autore del libretto,
ed Handel, autore certo della musica dell'opera.
In proposito si deve rammentare che nessuno dei due nomi, né Grimani né
Handel, compare sul libretto di scena veneziano del carnevale 1709-1710; tuttavia mentre il nome del musicista è presente sulle partiture
manoscritte, e almeno sul libretto di Napoli del 1718, l'attribuzione del
testo dell'AGRIPPINA a Vincenzo Grimani affiora tardi nella cronistoria
dei teatri veneziani: alcuni studiosi nel 1795 gliene affibbiarono la
paternità, insieme con quella di altre due opere date nello stesso
teatro nel 1687-1688. A convalidare la tesi di una paternità del testo
al cardinale, si può sottolineare che Grimani conobbe certamente Handel
a Roma verso il 1707-1708 e l'AGRIPPINA, includendo non solo musiche, ma
anche testo preso integralmente dall'oratorio LA RESURREZIONE di Capece
e Handel eseguito a Roma nel 1708. In un punto fondamentale dell'opera,
l’aria di Agrippina al cospetto di Poppea nell'atto I, scena XVIII, “Ho
un non so che nel cor”, venne cantata a Venezia dalla medesima cantante
che l'aveva interpretata a Roma nella RESURREZIONE, doveva
ragionevolmente di cose venir redatta da qualcuno ch'era vicino a Handel,
a Roma, dopo la pasqua 1708; e se costui fu davvero il Grimani, allora
la cosa si dovette fare prima del suo insediamento sul trono vicereale
di Napoli, nel luglio 1708.
Il match canoro che si svolse fra le due protagoniste, perché tutto il
dramma ruota attorno alle due figure femminili, fu una schermaglia
continua in tutti i tre atti.
Nell'atto I, in un interno (Gabinetto d'Agrippina), Agrippina tiene
banco da sola con ben tre personaggi maschili e intesse l'intreccio,
dando udienza man mano a suo figlio Nerone, a Pallante, a Narciso,
questi ultimi due liberti che desiderano di possederla, e ch'ella
strumentalizza ai propri intenti politici: innalzare al trono Nerone
facendolo acclamare imperatore al posto di Claudio, suo marito, creduto
morto inghiottito fra le onde. È questa la prima sequenza di scene,
dalla I alla VI: tutti i personaggi, prima d'abbandonar la scena,
cantano, come di giusto, la propria aria “d'entrata” (che si chiamerà
così perché il personaggio/cantante “rientra” tra le quinte).
Ad Agrippina spetta l'ultima di simili arie, quella più incisiva:
un'aria di virtuosismo, concertata, con un oboe solista, che espone
Agrippina in un duello con l’oboe (“L’alma mia fra le tempeste”).
Si assiste dopo questa esposizione di bravura al cambiamento di scena.
La seconda sequenza si svolge nella Piazza del Campidoglio con trono: si
ripresentano uno dopo l'altro i 4 personaggi della prima sequenza di
scene, per concretizzare il disegno di Agrippina sin dall’inizio
dell’opera, ossia la proclamazione di Nerone imperatore.
Sennonché ecco il grande colpo di scena: Claudio non è affatto morto,
perché l'ha salvato il prode Ottone, che l'imperatore per riconoscenza
ha indicato come suo successore sul soglio di Roma. Due sole arie
d'entrata, ben in vista, quella della protagonista Agrippina, e quella,
conclusiva, dell'importuno, Ottone.
Ecco però che rimonta Poppea nella terza sequenza di scene nell'atto I:
è Poppea il fulcro della trama, presente in scena dalla scena XIV alla
XXIV. Poppea riceve: Lesbo servo di Claudio e Claudio medesimo (un
imperatore che si presenta al pubblico nel boadoir d'una matrona prima
che sul Campidoglio), e riceve soprattutto Agrippina, che tra l'altro la
spia.
Poppea canta ben 4 arie, “d'uscita” (ossia al momento d'uscir in
palcoscenico) la prima, “d'entrata” l'ultima, a fine atto.
Ma Agrippina, in virtù del suo andirivieni di burattinaia, artefice di
trame ed intrighi, trova modo di collocarne due delle sue, ambedue
d'entrata, cioè di fine scena, e per di più cruciali per l'inganno
ch'ella tesse ai danni di Poppea per screditare Ottone, l'importuno,
l'usurpatore d'un trono destinato a suo figlio Nerone, e di conseguenza
a lei: Agrippina infatti crede che se Nerone divenisse Cesare, lei
avrebbe acquisito ancora più potere di quello che già in sostanza aveva,
quale Imperatrice, moglie di Claudio. Alla fine del primo atto, lo
scontro canoro si conclude con 4 arie di Agrippina, 4 arie di Poppea, e
con 1 aria a testa di tutti gli altri, eccetto Nerone che ne canta 2 e
Claudio, che ne canta 2 ma sono ambedue ariette brevi e secondarie: a
quel tempo, il personaggio di una levatura quale quella di un imperatore
che non riuscisse a totalizzare neppure un'aria d'entrata in un Atto, è
un imperatore ridicolo, da burla. Invece Agrippina, Ottone e Poppea
hanno un'aria a fine sequenza per ciascuno, quella di Poppea addirittura
a fine atto. Si può dire che il primo Atto termini con un pareggio.
Nell'atto II, si è in presenza di scena pubblica: si tratta di una
strada di Roma contigua al palazzo imperiale predisposta per il trionfo
di Claudio: in cinque scene, Ottone si esibisce in 2 grandi arie, una
tutta luminosa d'uscita e l'altra tutta angustiata, tetra e sofferta
d'entrata, giacchè nello svolgersi della trama frattempo ve ne sono 4,
una a testa per Claudio, Agrippina, Poppea, Nerone, che finiscono,
grazie alla mente di Agrippina ad un ribaltamento della situazione: da
eroe, il probo innocente Ottone passa ad esser considerato da tutti un
traditore, con una raffica di calunnie e maldicenze (nella versione data
a Napoli nel 1713 addirittura sono 6 e non 4 le arie cantate «contro» il
misero Ottone).
Ma le altre 2 sequenze di scene dell'atto II, tornano in mano alle 2
donne: Poppea dalla scena VI all'XI, Agrippina dalla XIII a fine
dell’Atto: si assiste ad un brutto colpo per Agrippina, poiché l’ago
della bilancia sembra favorire Poppea in importanza nelle scene: siamo
dinnanzi a 3 sole arie, contro le 4 di Ottone. Il riscatto, si ha nello
slancio finale alla fine dell'atto II: Agrippina segna una consistente
rivincita tornando al centro dell’attenzione: il monologo tormentoso,
momento di crisi nella sua carriera di grande macchinatrice, rimonta la
sua posizione giungendo alla esultante aria finale dell'atto, che riesce
a segnare un bel pareggio con quella di Poppea dell'atto I: ma era una
tradizione ferrea che alla prima donna toccasse l'aria finale dell'atto
II, o al primo uomo oppure, come qui, alla seconda primadonna l'aria
finale dell'atto I.
Sono presenti sole 2 sequenze di scene nell'atto III:
la prima nel boudoir di Poppea munita di tre spazi, luogo dove finisce a
collocare a vicenda i tre spasimanti Ottone, Nerone, Claudio;
la seconda con Agrippina in evidenza.
Poppea ed Agrippina, tuttavia arrivano alla fine dello scontro con una
sola aria a testa, anche se Agrippina, protagonista, canta l'ultima aria
del dramma: ne approfittano gli altri per migliorare le loro quotazioni.
Facendo le somme, abbiamo una gerarchia ben dosata ed una partita ben
giocata. I cantanti erano tutti di gran classe, sebbene non tutti noti a
Venezia.
La Scarabelli, bolognese, un soprano di enorme agilità, che
nell'AGRIPPINA vanta un ambito di quasi due ottave (dal Do al Si
bemolle), era, di tutto il cast, la più aclimatata nel teatro S.
Giovanni Grisostomo, teatro di lusso di Venezia.
Nell'anno dell'AGRIPPINA, la Scarabelli risulta essere ufficialmente al
servizio del viceré Grimani, che però ce l'aveva “in casa” (quantomeno
in casa dei suoi fratelli non espatriati) da anni ed anni. Assieme alla
Scarabelli, vantava lunga presenza nel Teatro di San Giovanni
Grisostomo, Antonio Francesco Carli, un basso di grande estensione:
aveva due ottave e mezzo nell’AGRIPPINA, dal Do basso al Fa acuto. Egli
era a servizio della corte toscana, anche se era attivo sempre a Venezia
dal 1706 al 1718.
Francesca Vanini e Giuseppe Maria Boschi, sposati, erano sempre in
esibizione nei teatri di Bologna e di Venezia, prima dell’esperienza
Handeliana: le strade della vita, dopo l’AGRIPPINA, finirono per
intersecare ancora quella di Handel: Boschi, (con una estensione dal Sol
al sol, grande interprete delle arie di rabbia e di furore), precedette
l’arrivo di Handel a Londra di un anno, e fu un fondamentale interprete
Handeliano finché durò la prima Royal Academy of Music.
La Vanini Boschi, forse anche per il suo aspetto fisico, si era
specializzata nei ruoli maschili, ed interpretò il primo Ottone in
AGRIPPINA e Goffredo in RINALDO: aveva un range vocale assai modesto
(dal sol sotto il rigo al Mi).
I coniugi boschi erano comparsi nel 1707-1708 in un teatro antico, il S.
Cassiano, che si era riproposto al pubblico sollevando consensi, sotto
la direzione efficiente di Francesco Gasparini, associato alla
contribuzione dei drammi per musica efficaci della ditta Zeno/Pariati:
dal 1708, i Boschi facevano parte con Scarabelli ed il Carli della staff
canoro di stanza al S. Giovanni Grisostomo.
Il castrato Albertini (poca voce: dal La sotto il rigo al Re) era al
servizio di Toscana, e nella città lagunare aveva interpretato solo nel
secondario S. Angelo: la sua fortuna consistete nell’apprezzamento del
viceré Grimani che lo aveva conosciuto a Napoli nel 1708-1709.
Il Pasini era della cappella di S. Marco, quindi le sue doti potevano
soddisfare la facilità del ruolo di Lesbo: non serviva molto più d'un
bravo cantante di cappella, a sostegno del cast dominato da Scarabelli,
Carli, Vanini e Boschi.
Il fatto però di accostare a questi vip, applauditi da sempre,
consolidati quindi nell’ambiente veneziano 2 novellini (per Venezia)
come la Durastanti e il Pellegrini nei ruoli rispettivamente di
Agrippina e di Nerone era una vera e propria sfida dichiarata: una sfida
pensata già a Roma, visto che la Durastanti era - come Handel - al
servizio del marchese Ruspoli: si ricordi che Handel per lei compose in
casa Ruspoli alcune delle sue più belle cantate. Visto inoltre che
Valeriano Pellegrini, al servizio dell'Elettore palatino di Dusseldorf,
era in trattative col soglio pontificio per ottenere, nel 1709, un
beneficio ecclesiastico grazie ai buoni uffici del vescovo-musicista
Agostino Steffani, si può ben ritenere che porre Pellegrini nel cast
dovesse essere una mossa per provocare questa sfida.
Anche la Durastanti e il Pellegrini, furono poi a Londra, con Handel,
anche se in epoche diverse: la Durastanti, soprano di discreta agilità,
ma molto drammatico e poderoso, con una estensione che spaziava dal Re
al La, lavorò per Handel dal 1720 a intermittenza fino al 1734,
quand'era ormai divenuta un mezzosoprano: anche la voce ha un suo
percorso di vita...
Pellegrini, invece, uno dei castrati più agili ed acuti del suo tempo,
possedeva un range vocale dal Do al La, può esser considerato quasi un
castrato di passaggio tra i 2 grandi castrati Handeliani Nicolino
Grimaldi, primo interprete del Rinaldo nel 1711, e Senesino, primo
interprete del Radamisto nel 1720, la capricciosa star fino all’epoca di
ORLANDO nel 1733.
Le due fazioni non potevano essere più chiare di così: un gruppo di
sfidanti (Agrippina/Durastanti e Nerone/Pellegrini) si contrapponeva,
ostentando abilità e leggiadria canora accanto alla tessitura della
trama drammatica, al partito avverso, saldamente stabilito nel favore
del pubblico (Poppea/Scarabelli, Ottone/Vanini Boschi, Claudio/Carli).
Ciò che però segnò la buona riuscita dell’Opera AGRIPPINA fu
l'osservanza rigorosa della distribuzione delle parti, della
distribuzione delle arie, della distribuzione delle scene. E a questi
obbiettivi sopperisce bene il testo dell’opera: il libretto rispetta le
leggi della verosimiglianza: un'azione tutta ragionevole contrapposta
alle irrazionalità dei sentimenti, totalmente avulso da interventi
divini, senza apparizioni meravigliose. Assoluto è soprattutto il
rispetto d'un requisito primario della verosimiglianza, la liaison de
scènes. Con questa locuzione si deve intendere quella tecnica
drammatica, teorizzata in Francia in età corneliana da François H. Abbé
d'Aubignac (nella sua “Pratique du théatre” del 1657), e praticata
ferreamente da Racine e dagli altri tragediografi francesi o francofili,
che prevede di collegare sempre una scena alla successiva attraverso la
permanenza di almeno un personaggio: ebbene è esemplare questa tecnica
nell’AGRIPPINA di Handel, dove v'è un solo scarto: lo stacco tra la
scena XI e la XII dell'atto III, dettata dalla necessità di permettere
un'aria ulteriore a Nerone. Questo pregio è di poche opere, siano esse
anteriori o posteriori ad AGRIPPINA. La liason de scènes garantisce,
nell'AGRIPPINA, la calibrata ed equa contrapposizione della partita fra
2 primedonne: era necessario che si evidenziasse subito l'equa
spartizione dello spazio drammatico tra le due contendenti; e solo il
sistema della liaison de scènes la esalta: alla lettura, per chi legga
il libretto prima dello spettacolo.
Questa tecnica di legatura favorisce anche alla caratterizzazione dei
personaggi secondari: grazie alla sequenza di scene, si è riusciti a
porre in evidenza l'anomalia d'un imperatore che canta poche arie
davvero di terzo piano, quasi mai d'entrata, e quindi non capaci di
suscitare nel pubblico una bella ovazione, sempre in mezzo a situazioni
imbarazzanti, inopportune, disdicevoli ed indecorose: Claudio, è un
imperatore tonto, libidinoso e senile: si tratta di una comicità
raffinata, comprovata sia dalla musica di Handel sia dalla
intempestività delle sue comparse in scena: ma non è comicità
carnevalesca e grottesca, abbandonata al gusto selvaggio della
caricatura, ma è comicità di un comportamento fuori delle regole, delle
convenienze e pertinenze del sistema in cui agiscono gli altri
personaggi. Claudio si è detto sia stata la caricatura del vecchio papa
Clemente XI, antiasburgico e quindi assolutamente detestato dal
cardinale Grimani, viceré austriaco a Napoli, nonché anti-Durastanti o
anti Agrippina che dirsi voglia in virtù d'una sua interdizione
all'esibizione della canterina nelle vesti - puramente metaforiche -
della Maddalena nell'oratorio Handeliano LA RESURREZIONE a Roma durante
la Pasqua del 1708.
AGRIPPINA si propone come un’opera che rinunzia a tutto un sistema di
luoghi comuni del libretto seicentesco: nessun travestimento, nessun
equivoco sull'identità dei personaggi, solo un piccolo fraintendimento,
quello di Claudio, per l'assonanza Ottone/Nerone, nessuna agnizione
finale, una sola azione fermamente tenuta in pugno dalla protagonista e
dalla rivale.
La Trama
ATTO I
Agrippina, consorte dell'Imperatore
Claudio, è assetata di potere, che vuole rafforzare ulteriormente,
assicurando il trono a Nerone, il figlio avuto dal primo marito, così
da poter esercitare meglio il potere attraverso lui.
Per raggiungere lo scopo, mette in atto vari stratagemmi sia politici
che erotici.
La stanza del trono.
Agrippina riceve un dispaccio che riporta la morte di Claudio in un
naufragio mentre tornava da una vittoriosa campagna in Germania:
questo le permette di organizzare le cose secondo i suoi progetti.
Chiede quindi a Nerone di presentarsi immediatamente alla popolazione
come nobile e generoso amico del popolo e convoca i due ministri
Pallante e Narciso, entrambi invaghiti di lei, a quali comunica, l'uno
a l'insaputa dell'altro, la notizia della morte di Claudio,
promettendo i suoi favori se sosterranno Nerone nell'ascesa al
Campidoglio.
Seguendo i consigli della madre, Nerone distribuisce pubblicamente
denaro ai poveri e quando la notizia della morte di Claudio diventa
pubblica in Campidoglio, Agrippina chiede ai presenti di scegliere il
successore: immediatamente si levano le voci di Pallante e Narciso che
salutano in Nerone il nuovo Cesare.
Durante la proclamazione, Lesbo servo di Claudio, irrompe con la
notizia che Claudio è vivo: il generale Ottone è riuscito a salvarlo
dalle acque. Nerone deve scendere dal trono appena sedutosi ed è
costretto a far buon viso a cattivo gioco fingendosi felice con
Agrippina.
Ma le cose si complicano, poiché si viene a sapere che Claudio,
riconoscente per l'eroico gesto che gli ha salvato la vita, promette
ad Ottone la carica di Cesare: sarà Ottone a succedergli al trono di
Roma.
Ottone ne è lusingato, e accetta, ma tutto quello che vorrebbe è solo
la mano di Poppea: chiede perciò la mediazione di Agrippina che,
consapevole che anche suo marito è invaghito di Poppea, vede subito il
terreno per un nuovo intrigo.
Il boudoir di Poppea.
Poppea ha ragione di essere contenta, può infatti scegliere tra tre
pretendenti di alto rango: Claudio, Nerone e Ottone. Fin'ora non si è
impegnata con nessuno dei tre, sebbene le sue preferenze siano rivolte
ad Ottone.
Lesbo le annuncia la venuta di Claudio, che desidera mantenere
l'incognito. Anche se Poppea avrebbe preferito vedere Ottone,
acconsente ad avere un incontro con l'Imperatore.
Nel frattempo Agrippina le fa visita per avvisarla che Ottone l'ha
tradita cedendola a Claudio in cambio del trono. Perciò le suggerisce
un piano per vendicarsi: ella dovrà fingersi innamorata di Claudio e
ingelosirlo facendo insinuazioni circa le intenzioni amorose di
Ottone. Così Cluadio avrebbe punito Ottone levandogli il trono. La
gelosa Poppea cade nella trappola, ignara delle vere motivazioni di
Agrippina.
Quando l'Imperatore le viene a fare visita segretamente, ella intriga
ai danni di Ottone, come suggerito da Agrippina. Claudio non ha
tuttavia il tanto sospirato premio amoroso, poiché è costretto ad
andarsene frettolosamente a causa dell'arrivo di Agrippina.
Quest'ultima rassicura Poppea della sua amicizia.
ATTO II
La sala del trono.
Pallante e Narciso sono al corrente dell'intrigo di Agrippina e
tramano per mandarlo a morte. Claudio entra a Roma portato in trionfo
con timpani e trombe, con seguito di prigioni germani, trofeo della
vittoria.
Ottone che credeva di essere nominato Cesare, si sente mortificato,
dal momento che Claudio, geloso per le avances del generale alla sua
amante Poppea, lo disprezza e si rimangia una promessa ad un uomo vile
che insidia la virtù di giovani donne romane.
Tutti lo evitano, perfino Poppea. Disperato si lamenta del suo triste
destino.
Il giardino dell'Imperatore.
Poppea è turbata del provato tradimento di Ottone, purtuttavia le
riesce strano poter credere che e lei Ottone abbia preferito il trono.
Quando scorge che Ottone le si sta avvicinando, si finge di
addormentata così da poter constatare i suoi veri sentimenti. Come se
stesse sognando accusa Ottone, che ascolta venendo quindi a conoscenza
del motivo della sua caduta in disgrazia.
Egli si difende dalle sue accuse e indica Agrippina come unica
artefice degli intrighi.
I due decidono di prendersi una rivincita su Agrippina.
Lesbo annuncia a Poppea l'arrivo di Claudio al suo boudoir, ma Nerone
giunge prima dell'Imperatore nel giardino.
Poppea coglie immediatamente l'opportunità di perfezionare la sua
pariglia contro Agrippina, chiedendo a Nerone di farle visita nel suo
boudoir per provarle il suo amore; Nerone accetta con entusiasmo.
Agrippina teme di essersi spinta un po' troppo in là con i suoi
intrighi, poiché la situazione comincia a sfuggirle di mano.
Urge un suo intervento, cosicché tenta di convincere Claudio del fatto
che Nerone è il suo degno successore, riuscendo ad ottenere ciò che
vuole e, giacchè Claudio ha fretta per l'appuntamento
con Poppea, riesce anche a strappargli la promessa che farà un
proclama ufficiale il giorno seguente.
ATTO III
Il boudoir di Poppea.
Poppea ha dato appuntamento ai suoi tre ammiratori.
Ha invitato anche Ottone, come testimone dei suoi complotti: egli
osserverà tutto da una posizione nascosta.
Quindi riceve l'innamorato Nerone, lo intrattiene fino all'arrivo di
Claudio: Indica a Nerone quindi un posto dove nascondersi per non
esser visto dal patrigno regale.
Giunto Claudio, Poppea accenna al fatto che il suo rivale è Nerone e
non Ottone: Claudio si è probabilmente confuso tra i due nomi simili.
Per estirpare ogni dubbio dalla mente del povero Claudio, fa
incontrare i due in modo apparentemente accidentale, chiamando Nerone
dal suo nascondiglio. Claudio è in collera per l'impudenza dimostrata
da Nerone nel coinvolgere una vergine e lo caccia via.
Questo però convince Poppea che Agrippina non accetterà la caduta in
disgrazia del figlio e dovrà scoprire le sue carte.
Anche questa volta le speranze di Claudio di passare un'ora d'amore
con Poppea svaniscono, e andatosene dal boudoir, finalmente Poppea e
Ottone, lasciati soli, suggellano la loro riconciliazione.
La sala del trono.
Agrippina è furibonda: Nerone rischia di perdere il trono a causa
della sua avventura e il suo complotto contro Ottone è stato
neutralizzato da Poppea.
Nonostante questi fatti, Agrippina non si ritiene vinta.
Temendo un castigo esemplare visto che il gioco di Agrippina sta
andando di male in peggio, Pallante e Narciso raccontano a Claudio
delle folli macchinazioni messe in atto da Agrippina per usurpare il
trono di Claudio, a favore di Nerone, durante la sua assenza.
Claudio affronta Agrippina con queste accuse. Per Agrippina sembra sia
tutto perduto, eppure è capace di giustificarsi con "un'ardita
difesa": per salvare la pace di Roma e la stabilità dell'Impero doveva
agire rapidamente.
Claudio finge di essere preso in contropiede e di vergognarsi di
fronte alla moglie, specialmente quando Agrippina, altra contromossa
per intimidire Claudio, allude al suo debole per Poppea.
Claudio decide di radunarli tutti e annuncia le sue decisioni: è
stanco di esser in mezzo a tutte queste macchinazioni e vuol fare
tutti contenti: Nerone sposerà Poppea e Ottone diventerà Cesare.
Ma anche in questo caso l'ottusità dell'Imperatore si palesa subito:
c'è una infelicità generale poiché Nerone non vuole sposarsi, ma
regnare e Ottone vuole solo Poppea. Claudio stanco asseconda i loro
desideri: Cesare sia Nerone e Ottone sposi Poppea! Corona poi il tutto
con il proclama di un decreto che glorifica la moglie Agrippina, ma
che avvantaggia anche i suoi desideri personali: Ottone viene mandato
in Germania, senza Poppea che l'aspetterà a casa,
consolata da Claudio, con l'alto compito di fondare una città che
porterà il nome dell'Imperatrice: Colonia Agrippina.