Alexander's Feast or The Power of Music |
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Carestini era l'unico che riusciva a tener testa a Farinelli: dopo la sua partenza, la compagnia di Handel al Covent Garden versò in grave difficoltà. Questo fatto comportò la scelta di tralasciare le opere in italiano per concentrarsi su un'ode composta sui versi del poeta John Dryden: ALEXANDER'S FEAST, OR THE POWER OF MUSIC, HWV 75 E' un'ode in inglese in onore di Santa Cecilia che fu eseguita il 19 febbraio 1736 dal tenore Beard, dal basso Erard e da miss Cecilia Young, assistita dalla signora Anna Strada. Riscosse un grande successo: il teatro fu affollatissimo. Handel ritenne che l'Ode fosse troppo breve per occupare lo spazio temporale di tutta una serata: fece quindi eseguire anche una cantata, con testo in italiano, Cecilia, volgi un sguardo, HWV 89 Va sottolineato che Handel alla Santa dedicò pure un'altra ode, l'Ode for St Cecilia's Day, HWV 76. Alexander’s Feast venne rappresentata assieme ad un "concerto per arpa, liuto e lyricord e altri strumenti", in seguito rielaborato come concerto per organo e pubblicato nell''Op. 4, n° 6, posto dopo il recitativo "Timotheus, plac'd on high". Nel finale della seconda parte dell'oratorio, venne inserito un altro concerto poi pubblicato come Op. 4, n°1, per organo. Alexander’s Feast presenta un'ingente schieramento di colori timbrici strumentali e la musica è davvero varia, proprio perché Handel segue il testo di Dryden mirante a evidenziare il potere della musica di suscitare ed esprimere gli "affetti" più svariati dell'animo umano. Esistono diverse incisioni dell'Alexander’s Feast. Una versione consigliabile è quella edita dalla PHILIPS, diretta da J.E. Gardiner, corredata da una copertina in cartoncino plastificato portante nella facciata il dipinto di G. Domenico Tiepolo "Il Banchetto di Cleopatra". Numero catalogazione Philips: 422 053 - 2 , DDD
Cantanti Nel cofanetto è incluso anche il concerto HWV 318, che venne eseguito il 19 febbraio 1736 assieme all'Ode; non è invece presente la cantata Cecilia, volgi un sguardo HWV 89, anch'essa concepita da Handel nel 1736, un'eccezione rispetto a tutte le altre cantate da egli composte per lo più fra il 1706 e il 1710, durante il suo soggiorno in Italia. Il 19 febbraio 1736 ben circa 1300 persone secondo il giornale London Daily Post – si riversò al Covent Garden di Londra per ascoltare l'ode Alexander’s Feast, su testo di John Dryden nel 1697 in onore di S. Cecilia, e musicata da George Friedrich Handel. Dryden nella stesura dell’ode si rifece a temi dell’antichità classica: durante la festa che celebra la sconfitta dei Persiani, il musicista Timoteo dimostra che è possibile controllare le emozioni di Alessandro col suono della lira e con il so canto. La stessa Cecilia appare tardivamente, nelle stanze conclusive di Dryden, ed è rappresentata come la patrona dell’armonia e del contrappunto, piuttosto che della Musica in generale; il poeta afferma di conseguenza che la Santa dovrebbe “spartire la sua corona” con Timoteo. Per attirare grandi masse di spettatori il teatro – consumato da uno squilibrio finanziario cronico – volle impiegare diversi fattori di richiamo: · La popolarità del tema ceciliano: sin dal 1683 una società musicale celebrava Santa Cecilia con musiche e varie composizioni; · La curiosità per l’interpretazione in musica di Handel del poema di Dryden, già in precedenza musicato da Jeremiah Clarke nel 1697, e prima ancora da Thomas Clayton nel 1711; · Il testo inglese scritto dal poeta più famoso della Restaurazione, in un contesto musicale schiavo dall'idioma italiano. L'enorme successo ottenuto, costante dalla prima alle successive riprese dello spettacolo in 25 esecuzioni tra il 1736 e il 1755, consacrò ulteriormente il prestigio di Handel quale compositore: Egli, formatisi artisticamente in Germania e Italia, fin dal suo arrivo a Londra nel 1710 aveva convogliato tutte le sue energie, sia artistiche che finanziarie nell’opera italiana, che aveva iniziato a prender piede tardi In Inghilterra rispetto l’Europa continentale, grazie alle arie da Il Trionfo di Camilla di Giovanni Bononcini agli inizi del 1700, arrivando così a soffocare quasi la tradizione musicale inglese. Il Teatro italiano, sebbene all’iniziò si dimostrò un eccellente settore per conseguire profitti, poi nell’arco di un ventennio richiese enormi spese di produzione, per i favolosi compensi destinati ai cantanti italiani, per lo sfarzo scenografico, e per l’acerrima rivalità instaurata fra imprese teatrali: lentamente quindi questi elementi avevano trasformato lo spettacolo operistico in un affare sempre più svantaggioso, dovuto anche al fatto che il pubblico borghese si era stancato di assistere a spettacoli estranei alle sue tradizioni linguistiche e culturali. Proprio su questa realtà Handel dal 1732, essendo oltre che compositore anche master of orchestra, ed essendo avezzo ad armonizzare creatività col consenso, iniziò così ad presentare, nelle stagioni operistiche da lui organizzate allo Haymarket di Londra, poi al Covent Garden, alcuni suoi oratori che, impiegando testi inglesi, storie bibliche e allestimenti austeri, compiacevano la spinta nazionalistica, puritana e calvinista, della classe media. Sin dall’inizio in questo suo riproporsi al pubblico inglese, con Esther del 1732 che rielaborò dal suo precedente Haman and Mordecai, e in particolar modo con Deborah e Athalia del 1733, Handel creò un linguaggio originale, di grande intensità espressiva, capace di fondere sezioni solistiche con lunghi passaggi corali (tipico elemento della tradizione inglese), donando contemporaneamente alle strutture formali una elasticità in grado di seguire la drammaticità del testo. Se consideriamo il significato inglese del termine “oratorio” che viene spiegato definito da Newburgh Ramilton nella prefazione al Samson del 1743: “a musical Drama, whose Subject must be Scriptural, and in which the Solemnity of Church Musick is agreeably united with the most pleasing Airs of the Stage”, la composizione handeliana Alexander'sFeast non si adatta alla definizione, giacchè tratta un soggetto allegorico ed ha un carattere narrativo e poco drammatico, ma tuttavia esso presenta stile e forma tipica della produzione oratoriale, essendo un primo decisivo passo verso lo sviluppo di composizioni venture quali: Saul (1739), Israel in Egypt (1739), Messiah (1742), Samson (1743), Belshazzar (1744). Si può affermare comunque che la fortuna di Alexander's Feast si fonda sull’elegante perfetto connubio della qualità dei due testi - il letterario e il musicale - che assieme si potenziano in una superiore unità estetica. Il testo dell’ode di Dryden, pensato sin dal principio per il trattamento musicale, si rifà all'ampio repertorio dell'immaginario cinque-seicentesco: è il tema intriso di ricordi classici del potere musicale di suscitare ed esprimere gli “affetti” più svariati dell’animo umano: La libertà metrica e ritmica dell'ode - articolata in 7 stanze di lunghezza diseguale – lascia libero l'assetto formale da ogni stereotipo, dando la possibilità ad un ampio gioco espressivo con un andamento quasi di prosa: c’è solamente un vincolo che consiste in una meccanica ripetizione, affidata al coro, degli ultimi versi di ogni stanza. All'interno di ogni stanza è poi possibile individuare una diversa gradazione di temi e sottotemi che permise ad Handel di allontanarsi dalla rigida simmetria dei testi italiani, per ripensare il materiale narrativo in pezzi musicali più elastici. Il testo di Dryden può vedersi suddiviso in 3 quadri principali; nello schema seguente sono riportati anche i numeri romani che corrispondono alle stanze: 1. Alessandro il Macedone siede al trono con Taide (I). 2. Il citaredo Timoteo con la sua cetra commuove il re evocando: l'amore di Giove per Olimpia (II); il trionfo di Bacco (III); la morte di Dario (IV); una canzone d'amore (V); le Furie incitanti alla vendetta e le ombre dei Greci uccisi in battaglia (VI). 3. Avvento di Cecilia che, superando Timoteo, introduce il canto unito all’organo (VII).
Il libretto di Newburgh Hamilton suddivide il racconto in una successione di arie, recitativi e cori, intervenendo sul testo di Dryden, su suggerimento dello stesso Handel - unicamente nei cori finali delle stanze IV, V, e VI (IV: eliminazione di "Revolving in his alter'd Soul" e inserimento di "Behold Darius etc."; V: eliminazione di "The Prince, unable to conceal his pain" ed inserimento di "The many rend the skies etc."; VI: variazione di "And the King seized a flambeau etc." parzialmente cambiato in "The Princes applaud with a furious joy"). Nella tragedia greca, il coro poteva intervenire direttamente nel commento dell'azione avvantaggiando la costruzione musicale: questa funzione corale non è seguita dai solisti, vista la natura narrativa del testo, e questo permise ad Handel di far giungere in primo piano, come unico personaggio dell'ode, la musica stessa e il suo potere ammaliante sul pubblico. Per perseguire questo obiettivo, Handel impiega il concerto grosso corelliano squisitamente italiano, il principio di varietà mediante contrasto, concretizzato attraverso una opposizione di tonalità, tempi, ritmi, strumentazione, registri vocali, volumi sonori - solisti/coro, voce/strumenti. Inoltre l’interesse per il testo, fa sì che Handel si allontana dalla tipica tripartizione delle arie, archetipo tipico dell’opera italiana, (solo una con da capo - inizialmente anche "Revenge, Timotheus cries" aveva il da capo ma poi fu tolto nelle successive revisioni: si tratta di una aria per basso di furore che nelle pere Handel amava assegnare ai malvagi) - e dallo schema tradizionale di alternanza fra recitativo secco e aria, che viene rotto dall’impiego di 7 recitativi accompagnati, ponti di connessione fra le arie e i cori. In linea generale la partitura dell’Alexander’s Feast è allegra e serena, con una scrittura corale trasparente e raffinata strumentazione: è da questo momento che Handel pose le basi del nuovo rapporto fra le arie e i pezzi corali, come ad esempio all’inizio dell’Ode nell’alternanza fra cori e soli: tale ode è caratterizzata da una prevalenza di ritmi ternari, sia solistici che corali, e molti brani binari sono marce. Nei punti quindi in cui gli affetti dell’animo umano si devono mostrare nel modo più estremo - come appunto accade nella IV stanza quando Timoteo infonde pietà nel Re, invocando la morte di Dario, nella V con la presentazione dell’amore e nella VI stanza quando si descrive il Re destato e lo sprone alla vendetta - Handel espone musicalmente questi sentimenti con strutture tripartite particolari, estese cioè su più brani musicali, del tipo A B A', con A' modifica variata degli spunti tematici di A. E' il caso, nella IV° stanza, della sezione che inizia con il recitativo accompagnato “He chose a mournful Muse" e prosegue con il seguente schema: aria AB (con A in 6/8 e tonalità maggiore, e B in 4/4 e relativa minore), recitativo accompagnato, coro A' che riprende e sviluppa tramite il contrappunto il motivo di A. Nella V stanza tale simmetria ternaria è riproposta nel coro “The many rend the skies etc.” (Andante) A, aria (Allegro moderato) B, coro (Andante) A. Il trattamento della VI stanza, che apre la Parte II con la sequenza recitativo accompagnato (Andante) A, coro e orchestra (Allegro ma non troppo) B, recitativo accompagnato (Andante) A'; poi continua con il tema della 'vendetta' per finire, dall'aria "The Princes applaud etc.", con una sequenza di tipo ABC: aria (Allegro) A, aria e coro (Andante larghetto) B, coro (Allegro) C, che include però in C elementi di B. Handel con tutti questi espedienti è stato capace di raggiungere una perfetta simbiosi drammatico-espressiva attraverso strumenti di pura costruzione musicale. Il Potere della Musica non poteva non puntare anche sull'orchestrazione che riveste un ruolo di protagonista nell'interpretazione del testo: la ricchezza dell’organico è molto consistente, infatti include oltre agli archi, flauti, oboi, corni, fagotti, trombe, timpani, liuto, organo e clavicembalo. L’organico è utilizzato anche in funzione della capacità evocativa degli strumenti: ecco che si trova un concerto per arpa che imita il suono della Lira di Timoteo dopo il recitativo “Timotheus plac’d on high”, la serenità dell’intervento di due flauti dritti nel recitativo accompagnato “Thus, long ago” (quando si canta la frase “While Organs yet were mute, Timotheus, to hit breathing Flute”), la volontà incisiva coloristica dei corni, con oboi e fagotti, nell'aria “Bacchus, ever fair and young” che suggerisce un'atmosfera pastorale: l’aria presenta Bacco come uno dei pochi Dei che esige la convivialità e non la venerazione, volendo sedere alla stessa mensa dei suoi fedeli. Ma ecco che a questa esuberanza si giunge a note più scure: la tensione drammatica/evocativa del violino obbligato in risposta alle parole del contralto “With not a friend” dell'aria “He sung Darius”, ripreso poi in “Softly sweet in Lydian measures” (che inizialmente era stata scritta per violoncello obbligato). La fine di Dario viene cantata dal contralto, il cui triste destino è commentato dal coro che riprende le melodie dell’aria precedente, innalzando un triste lamento funebre, che da un arioso corale termina con un pianissimo, e non con il consueto Alleluja esplosivo. La Parte II si staglia con un indimenticabile recitativo accompagnato “A louder yet, and yet a buder strain!” con un crescendo prima strumentale e vocale, pezzo che doveva con le parole e la musica ridestare il Re dalle braccia di Morfeo: si tratta di un tema ripetuto per ben sei volte, in alternanza con la voce del tenore, dove Handel aggiunge progressivamente ad ogni ripresa nuova strumentazione (violini primi, poi violini secondi e viole, in seguito oboi e fagotti, etc.) fino all'esplosione dell'intera massa orchestrale e vocale nel coro, che ha un effetto bomba, dove la Musica celebra grandiosamente se stessa. Il momento più macabro della partitura, invece, è la marcia funerea del Largo “Behold, a ghastly band”, segnata da tre fagotti che descrivono le sinistre armonie di uno stuolo di fantasmi greci che si levano a chiedere vendetta, accompagnati dai toni cupi intonati dalle viole e violoncelli in due parti, contrabbasso e organo. Esso si oppone violentemente al movimento precedente splendente dell'aria “Revenge, Timotheus cries” per tempo, tonalità, registro vocale, strumentazione: qui è presente infatti il tono brillante di una tromba obbligata che sottolinea la richiesta ad Alessandro di vendicare gli eserciti annientati dai Persiani. Ma Dryden doveva recuperare la Santa, ed ecco che con un artifizio acrobatico la inserisce: vi sé una allusione all’organo, che è il simbolo universalmente riconosciuto di Santa Cecilia, che apre il bel coro “At last divine Cecilia came”: questo punto segna il passaggio dall’antichità a quella cristiana, ed allora Handel si propone di mostrare tutta la sua tecnica contrappuntistica: questo coro è una grande fuga. Il coro non è che il preludio poi per una gara fra Timoteo e Cecilia sul piano musicale, che finisce con un sorteggio: la contrapposizione fra queste due figure musicali viene letto come una contrapposizione fra mondo pagano (Timotheus) e quello cristiano (Cecilia), con la vittoria di quest’ultimo.
Alle parole del recitativo accompagnato del tenore “Let old Timotheus yield the prize” (il Vecchio Timoteo ceda il primato), controbatte il basso o sia divisa a mezzo la corona, poiché mentre Timoteo rapì un mortale sino al cielo, Cecilia dal cielo un angelo rapì. Il Coro finale “Let old Timotheus yield the prize”, riprendendo superbamente le parole nel recitativo, fonde l’ensemble dei solisti e coro come se si trattasse di un ensemble solistico in forma corale: viene intonato il tema di Timoteo che punta verso il Cielo, con fare leggero, mentre i passi dell’Angelo verso terra vengono presentati da solide semiminime: la gara si risolve alla fine nel momento in cui Handel indica “Adagio” nella partitura, dando all’Angelo l’ultima parola. L'ode Alexander's Feast è stata spesso conosciuta ed eseguita nella versione del 1736, che impiegava quattro voci soliste, ossia 2 soprani, un tenore e un basso (rispettivamente Anna Strada, Cecilia Arne-Young, John Beard, Mr. Erard): su questa versione - pubblicata straordinariamente da John Walsh nel marzo 1738, visto che al tempo si concedeva alle stampe solamente alcuni brani di un'opera e non l'intera partitura - si sono rifatte le edizioni di F. Chrysander per la HandelGesellschaft (Lipsia 1862) e di K. Ameln per la Hallische Handel-Ausgabe (Kassel 1957). Tuttavia studi successivi hanno permesso di ricostruire la storia delle sue ultime rappresentazioni, specie quella del 1751 avvenuta al Covent Garden di Londra, oggetto dell'edizione critica di D. Burrows (Sevenoaks 1982), su cui si basa l’incisione della Philips: nel 1751 Handel apportò alcune variazioni alla partitura adeguandola alle esigenze del nuovo cast formato da un soprano (Giulia Frasi), un contralto (Caterina Galli), un alto (Gaetano Guadagni), un tenore (Thomas Lowe) e un basso (Henry Theodore Reinhold). Sulle varie modificazioni che Handel apportò in vista di successive esecuzioni, si può consultare Donald Burrows “Handel and Alexander’s Feast”, “Musical Times” CXXIII (1982), pagina 252, e sempre dello stesso studioso “The Composition and First Performance of Handel’s Alexander’s Feast”.
A cura di Arsace |
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Ultimo aggiornamento: 17-10-21 |