Note:
8 rappresentazioni nella stagione.
Flavio
fu ripreso
nell'aprile del 1732 per 4 spettacoli.
Guida all'ascolto
Apre il dramma una classica ouverture alla francese, divisa
in due sezioni. La prima è severa, quasi cupa, anche se modula verso
tonalità più serene; la seconda presenta un vivace ritmo puntato,
sottolineato dalla fanfara degli oboi.
Il duetto “Ricordati mio ben” ci introduce in un clima
affatto differente: è un pezzo in cui momenti spiritosi e mordaci,
sottolineati da un sapiente motto dei violini, si alternano a vocalizzi
sognanti. Nella sezione B i due solisti sono accompagnati dal solo continuo,
e il clima si fa più serio.
Una gioiosa fanfara annuncia il sorgere del giorno. Al
recitativo sognante tra Vitige e Teodata si sostituisce un declamato più
perentorio: tutti i personaggi si presentano, tranne Flavio. Al termine,
Emilia esprime tutte le sue speranze in una felice vita coniugale nell’aria
“Quanto dolci”, con flauto obbligato, in cui si riconosce quella vena
espressiva teneramente elegiaca che sarà tipica del personaggio, ritagliato
apposta sulle qualità del canto della star del tempo, la Cuzzoni.
Dopo la prima donna, è la volta dell’aria del primo uomo,
nello specifico il Senesino. “Bel contento” è un’irresistibile aria di
giubilo tipicamente handeliana, dall’andamento quasi marziale, accompagnata
da archi e continuo.
Nella scena successiva fa la sua comparsa anche Flavio, ma
non è lui a cantare la prima aria, bensì Teodata, che esprime in essa i suoi
contrastanti sentimenti dopo l’incontro col re: è solo rispetto ciò che
prova, o qualcosa di più? L’aria “Benché povera donzella” spicca per
efficacia di penetrazione psicologica: ai ripetuti “no” della donna fanno
eco i violini, in uno squisito gioco concertante.
Nella scena seguente, vediamo Lotario, speranzoso di ottenere
un incarico importante in Britannia, sfogare tutto il suo furore per la
delusione di vederlo assegnato al suo rivale Ugone. In “Se a te vissi
fedele” troviamo tutta l’incisività drammatica handeliana: un breve motto
dei violoncelli fornisce la base motivica per l’elaborazione di quest’aria.
Finalmente, l’aria seguente, “Di quel bel”, spetta a Flavio.
L’intervento frequente di una fanfara di fiati le conferisce un carattere
regale e solenne. Sembra che l’amore per Teodata sia proprio una cosa seria,
o, almeno, è espresso con molta enfasi.
Comunque sia, la rivelazione dell’interesse del re per la sua
amata getta nello sconforto Vitige, che esprime questo sentimento nell’aria
successiva, “Che bel contento”. Nella prima parte, l’atmosfera è lieve e
maliziosa, nella seconda si fa strada l’inquietudine.
Un breve pezzo a piena orchestra, di andamento concitato,
introduce il recitativo in cui Ugone chiede al figlio Guido di vendicare il
tremendo affronto ricevuto da Lotario, di cui porta ancora l’infamante segno
(“Oltre l’usato rosso fiammeggia il volto”). La risoluzione di Guido di
fronte al dilemma amore/onore, topos classico dell’opera seria
settecentesca, è espressa nell’aria “L’armellin vita non cura”, che si
distingue per la straordinaria levità e per il carattere spiccatamente
virtuosistico.
Naturalmente la risoluzione subito vacilla all’apparire
dell’amata, la quale esprime infatti le sue perplessità sul futuro sposo
nella brillantissima “Amante stravagante”, che chiude degnamente il primo
atto.
Il secondo atto si apre con un bellissimo motivo strumentale,
che introduce a una serie di recitativi: prima quello tra Flavio e Teodata,
poi quello tra quest’ultima e Ugone, nel quale questi apprende del segreto
amore della figlia per Vitige. Per il rubicondo feudatario è veramente
troppo, ed egli sfoga la sua disperazione nella bellissima aria di tempesta
“Fato tiranno e crudo”, in cui predominano timbri strumentali scuri.
Nel recitativo seguente, Lotario diffida la figlia a
frequentare ancora il figlio dell’odiato rivale Ugone: e lo fa con un’aria
che veramente più perentoria non si può: “S’egli ti chiede affetto”, con uno
straordinario dialogo drammatico tra la voce e gli strumenti.
Al recitativo seguente tra Emilia e Guido fa seguito la prima
grande aria patetica dell’opera, affidata ad Emilia: “Parto sì”, anch’essa
con flauto obbligato.
Anche qui, all’aria della prima donna fa seguito
immediatamente quella del primo uomo: “Rompo i lacci”, che porta al culmine
l’intensificazione drammatica iniziata con “Fato tiranno e crudo”. La
sezione A è altamente virtuosistica, molto concitata; per contrasto, la
sezione B, nella quale riaffiora l’amore per Emilia che Guido tenta
inutilmente di far tacere, è patetica ma distesa e calma.
Nella scena seguente, rivediamo Flavio esprimere la sua
passione per Teodata, anche stavolta con un’aria, “Chi può mirare”,
dall’andamento un po’ severo, confacente alla dignità del personaggio.
Il povero Vitige consiglia all’amata di stare al gioco, e
Teodata esprime il suo consenso nell’aria “Con un vezzo”, capolavoro di
civetteria settecentesca, con violini e oboi che concertano con la voce in
maliziose imitazioni. Non senza che un’ombra si insinui in tanti vezzi nella
sezione B, per mezzo di un bellissimo vocalizzo sulla parola “tormentarmi”.
L’aria di Vitige che segue, “Non credo instabile”, è un
tipico esempio di vocalità handeliana, con un fraseggio ampio e nobile,
sostenuta da un luminoso accompagnamento a piena orchestra, che nella
sezione B cede il posto al solo continuo.
Dopo questo intermezzo, si rientra nel pieno del dramma con
la scena dell’uccisione di Lotario da parte di Guido, sottolineata da una
“battaglia” strumentale. La disperazione di Emilia di fronte allo
spettacolo, e ancor più quando apprende l’identità dell’assassino, è
espressa nella mirabile aria “Ma chi punir desio”, una struggente siciliana
con accompagnamento di archi e continuo, che chiude il secondo atto.
Il terzo atto si apre non con un preludio strumentale, ma con
un arioso di Flavio, dove per la prima volta lo vediamo in tutta la sua
debolezza umana di ardente amante (“Se non ho l’idol mio/Scettro, corona,
addio/No, non vi voglio”). E la musica sottolinea questo passaggio, passando
dall’aria di ufficialità delle precedenti due arie alla più squisita
contabilità handeliana.
L’atmosfera sognante è bruscamente interrotta dall’ingresso
in scena di Emilia e Guido, che reclamano ciascuno le proprie ragioni.
Emilia esce di scena con un’aria di furore, “Da te parto”, accompagnata da
violini e oboi, che tacciono però nella sezione B.
Ora Flavio può concentrarsi tutto sull’oggetto del suo
desiderio, e al povero Vitige tocca anche far da intermediario, nell’arioso
“Corrispondi a chi t’adora”, accompagnato dal solo continuo.
Finalmente Teodata sembra cedere, e Flavio esprime tutto il
suo giubilo nell’aria “Starvi accanto”. E’ un’aria fortemente virtuosistica,
con spiritosi interventi degli oboi.
Alle proteste di Vitige Teodata risponde con l’aria “Che
colpa è la mia”, anch’essa piena di quella malizia caratteristica del
personaggio.
A questo punto Vitige non ne può proprio più, e in un
bellissimo recitativo esprime tutto il suo sgomento di fronte a questo
comportamento ambiguo. Il recitativo sfocia in un’aria di tempesta, “Sirti,
scogli”, che prepara l’intensificazione drammatica per la scena che segue.
In essa assistiamo infatti al tempestoso recitativo tra Guido
ed Emilia, in cui quest’ultima gli chiede ragione dei suoi atti. E’
introdotta da uno splendido preludio strumentale, cui fa seguito un intenso
accompagnato di Emilia, interrotto dall’arrivo di Guido. Anch’egli prorompe
in un espressivo accompagnato, in cui la voce concerta con gli archi in
progressiva intensificazione drammatica, accompagnato in cui alla fine si
reinserisce anche Emilia. E’ una scena costruita con molta abilità, che
trova la sua degna conclusione nella grande aria patetica di Guido “Amor,
nel mio penar”, con flauto concertante. Nella sezione B trova posto anche un
“effetto eco” sulla parola “rispondi”.
Nella scena successiva, tutti i complicati nodi della vicenda
si sciolgono grazie a Flavio, vero umanissimo deus ex machina della
situazione. La riconquistata armonia è suggellata da un duetto molto
complesso e virtuosistico tra Emilia e Guido, “Ti perdono”, e dal giubilante
coro finale “Doni pace”.