Nacque a Milano nel 1712,
e si ricorda per il fatto che ebbe come maestro il più grande forgiatore di
voci del settecento:
Nicola Porpora. Conobbe durante la sua formazione
Pietro Metastasio, suo compagno di studi a Napoli.
Il suo battesimo con il
teatro d’opera a Roma fu in vesti femminili nell’opera di
Johann
Adolf Hasse CAJO
FABRIZIO, nel 1731.
Nel 1733 iniziò il
servizio presso l’imperatore Carlo VI a Vienna e vi rimase fino al 1739,
anno in cui venne udito a Genova nel FARNACE e nel VENCESLAO.
A Vienna Salimbeni, nel
1733 ventunenne, fece una grande impressione allo stesso Metastasio, allora
trentacinquenne, che il poeta finì per inserire una descrizione dell’evirato
cantore nel testo della sua opera OLIMPIADE, opera in cui Salimbeni
interpretò Megacle; infatti alla fine della
quarta scena Argene dice di Megacle:
Avea chiome bionde, oscuro
il ciglio; i labbri
Vermigli sì, ma tumidetti,
e forse
Oltre il dover; gli
sguardi
Lenti e pietosi, un
arrossir frequente,
un soave parlar.
Nel 1737 tuttavia
Salimbeni decise di lasciare Vienna poiché riteneva le composizioni del vice
Kapellmeister imperiale
Antonio Caldara troppo antiquate.
Pare infatti secondo
alcune testimonianze che Salimbeni si affaticasse troppo a dover cantare
frequentemente in chiesa, e da questo possiamo dedurre che erano già
presenti i segnali della malattia che lo portò alla tomba, verso il 1751.
Prima di passare alla sua
collaborazione col teatro di Berlino, Salimbeni deve esser stato a Bologna,
dove fece studiare Bellino. A questo proposito esiste una testimonianza
scritta di Giacomo Casanova: infatti ci si rammenterà che il famoso
libertino Salimberi (Casanova scrive così anziché Salimbeni) conobbe ad
Ancona una ragazza che si faceva passare per il castrato Bellino (in realtà
il suo nome era Teresa Lanti Palesi);
dopo aver accertato che era veramente una fanciulla, venne a sapere le
ragioni del suo curioso travestimento: essendo nativa di Bologna e
Salimbeni avendo abitato in quella città in casa di sua madre, Felice
Salimbeni si era innamorato di lei, ricambiato.
Come riferì a Casanova:
“indubbiamente uomini come voi sono molto al di sopra di quelli del suo
genere, ma Salimbeni era un'eccezione. La sua bellezza, il suo spirito, i
suoi modi, il suo talento e le evidenti qualità del suo cuore, me lo fecero
sembrare preferibile a tutti gli uomini. Era modesto e discreto, ricco e
generoso”.
Nel
racconto di Casanova, Salimbeni le avrebbe suggerito di fingersi un castrato
al fine di eludere le attenzioni dei fastidiosi corteggiatori, promettendole
di farla ingaggiare presso l'elettore di Sassonia, suo signore, dicendo:
“Quando fra un anno o due il tuo petto si sarà completamente sviluppato,
sembrerà una deformità che tu condividi con molti di noi” e l'assicurò che
nessuno avrebbe scoperto l'inganno. Tuttavia prima di ultimare i suoi piani,
Salimbeni morì, lasciandola sconvolta in lacrime, ma decisa a continuare
l’inganno per poter almeno cantare negli stati pontifici, dove ben sappiamo
che il palcoscenico era vietato alle donne.
Esistono però dei punti oscuri, poiché il racconto di Casanova è inquadrato
nel 1744, e a confermare questa datazione ci sono molti dettagli, ma
Salimbeni morì nel 1751 a Lubiana, quindi più tardi. C’è la possibilità che
Casanova si sia sbagliato sul nome dell’evirato cantore: poteva essere
infatti Giuseppe Appiani, nato nello stesso anno e luogo di Salimbeni e che
realmente morì a Bologna (o Cesena) nel 1742.
Come
curiosità concludo che pare che Casanova incontrò il falso Bellino a Firenze
nel 1761 epoca in cui, egli dice, era divenuta una cantante famosa:
probabilmente ha voluto ingigantire la bravura della sua amata, poiché pare
che lo studioso Henriot non abbia trovato menzione nel listato di interpreti
dell’epoca. Esiste però un'altra cantante bolognese, Teresa Lanti, nata nel
1746 che potrebbe essere la figlia del false Bellino e forse di Casanova, e'
il cui ritratto si può ammirare nel museo teatrale della Scala.
Nel periodo italiano comunque Salimbeni fu ascoltato anche da
Charles De Brosses, in occasione di una rappresentazione a Milano.
Il 7 Dicembre 1742, a
Berlino Federico di Prussia fece inaugurare il Teatro d’Opera, luogo dove si
iniziarono a rappresentare opere liriche Barocche ogni lunedì e venerdì, a
spese della Corona: dicembre e gennaio erano i mesi dedicati all’opera.
Federico il Grande promosse lo spettacolo dell’opera Lirica pagando di tasca
propria l’iniziativa e l’accesso stesso del pubblico era gratuito. Sebbene
in questa prima rappresentazione di CESARE E CLEOPATRA di
Carl
Heinrich Graun fosse priva
di nomi altisonanti del mondo canoro, nel 1743, il primo cantante dell’opera
di Berlino fu Felice Salimbeni, che qui debuttò a Berlino nel CATONE IN
UTICA di Graun, divenendo il beniamino sia del pubblico che di Federico il
Grande.
Hiller in
“Libensbeschreibungen beruhmter Musikgelehrthen und Tonkunstler neuerer
Zeit” ci racconta:
“Nel 1743 fu chiamato al
servizio del Re di Prussia e nel Dicembre dello stesso anno giunse a
Berlino: il ruolo in cui apparve nel teatro berlinese per la prima volta fu
quello di Cesare, nel CATONE IN UTICA di Metastasio. Ottenne un plauso
straordinario, tanto dal Re quanto dal pubblico intero, che si mantenne tale
per tutta la durata del suo soggiorno a Berlino; questo plauso, tuttavia, si
riferiva più al suo canto che alla sua recitazione, che era indubbiamente
mediocre. A Berlino cantò in quattordici opere di Graun, sempre nel ruolo
maschile principale. Nella maggior parte di esse Graun scrisse per lui
un’aria in tempo adagio, che egli ogni volta eseguì da maestro di tale
genere.”
Negli anni dal 1743 al
1750 fu alla corte di Federico il Grande, e nell'ultimo anno del suo
soggiorno finì per firmare un contratto col teatro reale di Dresda.
Quali sono i dati che si
possono menzionare relativamente alla sua voce?
Innanzitutto si disse che la sua voce sia stata potente,
chiara, di ampia estensione, e di rara bellezza; si contraddistinse per il
suo modo di rendere gli adagi con ornamenti discreti e contemporaneamente
efficaci e specialmente per il suo stupefacente crescendo con cui passava da
un pianissimo a un grado quasi incredibile di sonorità. Ma Salimbeni non brillava certo per puro virtuosismo, come la
maggior parte dei castrati coevi: a lui interessava commuovere profondamente
i suoi ascoltatori. Come peculiarità, Salimbeni si contraddistinse per la
capacità della presa di fiato: il pubblico non riusciva a capire quando lui
inspirava “tanto che su dieci volte che prendeva fiato, ci si accorgeva a
stento solo una volta”.
Hiller scrisse un panegirico, nel 1784, in onore di Felice
Salimbeni, quindi dopo la sua morte, dove lo riteneva
uno dei più grandi cantanti che l'Italia prodotto. Hiller certo riconosce
che non ugualmente eccelso in tutte le modalità del canto senza
distinzione, raggiungeva livelli di straordinarietà nei settori canori a lui
congeniali.
“La
sua voce era assai pura e gradevole: forse non era potentissima, ma nemmeno
debole, bensì penetrante senza mai diventare stridula e per giunta assai
piena. Anche nei teatri più grandi, come li che si trovano a Berlino e a
Dresda, lo sì poteva udire e comprendere con straordinaria chiarezza da
qualunque punto.”
Hiller riferisce che l’intonazione del Salimbeni era assolutamente pura cosa
a cui aggiungeva il livello di consapevolezza delle possibilità della
propria voce. Salimbeni naturalmente aveva certe piccole debolezze, ma ha
saputo nasconderle al pubblico con gran abilità. Si
impegnava come ci dice Hiller solo in cose di cui era sicuro poter fare
anticipatamente.
La
sua specialità era soprattutto l'adagio, che cantava in un modo
straordinariamente toccante; più di una volta arrivò a far singhiozzare il
pubblico, e si industriava anche nell'inventare variazioni personali belle e
ben fatte.
Hiller racconta inoltre che tutto il suo modo di cantare era
straordinariamente preciso. Perfetti i trilli brevi, i gruppetti e le
appoggiature uscivano da quell’ugula d’oro.
Pare che i trilli lunghi non fossero male, forse un po' troppo veloci e non
abbastanza acuti: questo secondo Hiller non certo a causa di scarso impegno
da parte di Salimbeni, ma probabilmente per l'eccessiva flessibilità delle
corde vocali nella trachea.
Perfezione sia produrre la voce, sia nel sostenere le note: non lasciava
nulla a desiderare. Nella cosiddetta messa di voce, sapeva conformare
la voce ad un elevato grado di purezza e fluidità, dal più tenue pianissimo
a una tale sonorità che “pareva di udire squillo di tromba
straordinariamente forte, tanto che talvolta gli ascoltatori avevano paura
per lui”. Tali acuti di tromba se li sosteneva a lungo, destava assai
stupore nel pubblico.
Lasciava però a desiderare a livello recitativo, specialmente quando doveva
essere focoso e vigoroso: per questo motivo le arie parlanti o recitativi
non lo mettevan particolarmente in risalto.
Nelle arie d’adagio, il pubblico, ammaliato dal suo canto, non percepiva che
Salimbeni rimaneva fossilizzato, immobile come una colonna sempre nello
stesso punto del palcoscenico, senza muovere una mano o un piede.
Che carattere aveva Salimbeni?
Nelle relazioni con gli altri in società dimostrava una apprezzabile
finezza, intelligenza e buone maniere. A patto di non venire offeso o
disprezzato ingiustamente, era di norma modesto ed affabile, e non era mai
ragione di liti.
Poiché poteva esser sicuro delle sue qualità, non gli costava molto
riconoscere anche i meriti degli altri cantanti, evitando di criticare il
modo di cantare degli altri. Spesso, se era il caso, ne prendeva
spontaneamente le loro difese, quando era giusto.
Questo carattere meritevole in confronto a
quelli dei cantanti coevi a Hiller, lo fece sbottare nel suo panegirico:
“Ah, se ci fosse qualcuno dei nostri
cantanti di ambo i sessi che cerca di imitare Salimbeni tanto nell’arte del
canto quanto nella modestia!”
Nel dicembre de 1749, tuttavia, il Salimbeni dovette in
qualche modo dispiacere al Re Federico il Grande: venne infatti accusato
dell'insuccesso del CORIOLANO del quale Federico aveva abbozzato il
libretto: infatti il testo del libretto era stato abbozzato da Federico, e
poi rielaborato dal poeta Leopoldo de Villati. Poiché l’opera non riscosse
il successo previsto, il re se la prese a male, quindi si sfogò su un capro
espiatorio: Federico appioppò pubblicamente l’insuccesso alla performance di
Salimbeni.
Pare che la reazione di
Felice fu di ottenere il congedo da Federico il Grande; il Re
comunque non si disperò più di tanto, dal momento che un altro grande
allievo di Porpora sostituì, come primo uomo, il Salimbeni nel Teatro
d’Opera di Berlino: il Porporino, alias Antonio Huber.
Per quanto però riguarda le cause della partenza sono ignote,
esistono solo teorie, e lo stesso Hiller che aveva pubblicato nel 1784 il
suo libro, non menziona il motiva, ma chiaramente perché il Re Federico il
Grande era ancora vivo, e volle evitare di porre in piazza il vero motivo di
contrasto fra il Re e il suo primo cantante.
IìNell’autunno del 1750 Salimbeni lasciò Berlino per Dresda,
con una frase che rimase a motto identificativo dell’evirato cantore:
“A Dresda canterò in modo tale che mi sentiranno fin da
Berlino”
Forse Salimbeni si recò a Dresda per consultare un medico
italiano (pregiati e considerati i migliori nel Settecento, e molto
ricercati come chirurghi non solo per effettuare la castrazione), Filippo de
Violante, per farsi vedere i polmoni: egli soffriva di una malattia ai
polmoni. In questa circostanza a Dresda, dove fra le altre cose c’era pure
il suo maestro Nicola Porpora che insegnava ad
Maria Antonia Walpurgis, deve
esser stato contattato dal Teatro d’Opera di Dresda: 4000 talleri il suo
onorario all’assunzione il 1 Gennaio 1751, e subito il 7 Gennaio 1751 cantò
in una riproposta di LEUCIPPO di Hasse, il quale compose
espressamente 5 arie per Salimbeni, per esaltarne le sue abilità canore.
Una delle ultime performance a Dresda, fu l’interpretazione
di Salimbeni del ruolo oratoriale di Teotimo tratto da I PELLEGRINI di
Hasse.
Quando si esibì in chiesa il venerdì santo, tutti notarono
che non era in forma, condizioni fisiche precarie, calo di standard canori:
non c’era nulla da fare da Dresda decise di dirigersi in Italia, appena
passata la Pasqua, lasciando il servizio presso la corte di Dresda neppure
un anno dopo la sua assunzione.
Comunque sebbene la casa regnante di Dresda si fosse
dimostrata generosa affidando una pensione vitalizia di 4000 talleri
all’anno come primo cantante e musico della loro cappella, Salimbeni non
potè godersi tali onori poiché nell’estate del 1751, dopo una lunga e grave
si spense. Morì esattamente nel settembre del 1751 nelle vicinanze di
Laibach, oggi Ljubljana.
mentre da Dresda era diretto a Napoli con una licenza per
prendersi una vacanza e per ristabilirsi.
Hiller
sostiene che più che gli impegni canori, la causa della sua morte sia dovuta
ad una dieta carente.
A cura di Arsace