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Qualcuno ha insinuato che Handel
ha fatto una scelta "facile" impiantando l'Opera italiana in
Inghilterra, dal momento che era un genere nuovo per i londinesi.
Niente di più falso, anzi vedendo l'arco di tempo in cui Handel produsse
le sue opere teatrali, non soltanto non era solo lui che le componeva, ma
fu costretto a scontrarsi con i due più grandi operisti dell'epoca:
Giovanni Bononcini prima
e
Nicola Porpora poi (poi altri nomi di un certo rilievo si possono citare
come
Attilio Ariosti, Riccardo Broschi,
Johann Adolf Hasse e con opere anche
anteriori alla sua venuta, per esempio LA DIDONE DELIRANTE di
Alessandro
Scarlatti).
Ricordo che Handel presentò la sua prima opera a Londra nel 1711, e si
trattava
del sfolgorante
RINALDO.
La prima opera alla maniera italiana fu il pasticcio ARSINOE, QUEEN OF CYPRESS, andato in scena il 16
Gennaio 1705, meno di 4 mesi prima dell'apertura del teatro dell'Haymarket
(tra l'altro inaugurato con la piccola opera THE LOVES OF ERGASTO di Jakob
Greber il 9 aprile del 1705 "integralmente in italiano"), al Drury Lane con la
compagnia di Christopher Rich, fatto con versi inglesi tagliati su misura di alcune arie di
provenienza italiana, che conseguì un successo travolgente: 35
rappresentazioni fra
il 1705 e il 1707.
The Muses Of Mercury nel marzo del 1707 scrive:
" .... ARSINOE è importante per via della trama integralmente
sorretta dalla musica, e per esser stata la prima piéce priva di dialoghi
recitati ad aver calcato le scene dei teatri londinesi".
Ma gli ingredienti dell'opera italiana erano noti agli inglesi già nei
primi
anni del 1690. Quello che gli inglesi non conoscevano era il recitativo:
la
tradizione inglese infatti impostava l'opera in una netta dicotomia fra il
parlato secco e il cantato, fra l'azione e la musica di scena: ora il
contrasto
che si subiva fra la melodia canora e il parlato secco, e diciamolo anche
fra
il cantante e l'attore (professioni ben scisse nel teatro inglese ante
influenza italiana) non piaceva più agli inglesi di fine seicento.
Riporto un testimonianza, anche se un po' tarda rispetto i primi del 1700,
sul
recepimento del recitativo in suolo inglese: si tratta di un saggio del 3
Aprile del 1711 nello "Spectator" di Joseph Addison:
"Nulla ha allarmato tanto il pubblico inglese quanto il recitativo
italiano
alla sua prima comparsa in scena. La gente era meravigliatissima di
sentire un
generale cantare in musica i suoi ordini, o una damigella riferire in
musica
un'ambasceria.....
Ma checché se ne dica a primo ascolto, non posso fare a meno di
considerare
questo metodo italiano, di sostenere l'azione col recitativo, molto più
conveniente di quello che prevaleva nelle nostre opere inglesi prima di
questa
innovazione, la transizione di un'aria ad un recitativo essendo molto più
naturale che il passaggio da una canzone al parlato nudo e crudo: questo
era il
metodo vigente nelle opere di
Henry Purcell".
Inoltre non si pensi che prima la musica italiana non si fosse mai
sentita: la
musica strumentale italiana risuonava sia nelle scene, sia nelle sale di
concerto ed era apprezzatissima ed eseguita già dagli anni 80 del 1600: e
questo fatto fu sicuramente catalizzatore di anche altre tipologie di musica
italiana in Inghilterra: figurano
"Italian
Songs" nei drammi di quest'epoca come pure degli anni precedenti.
Si sappia bene che spesso arrivavano, chiamati ad esibirsi in suolo
britannico,
cantanti italiani, si pensi ad esempio a
Siface. Verso la fine del secolo, questi interventi forestieri si intensificarono:
agli
inizi del 1693, si ha notizia di una "Italian Lady" che canta
nei concerti di
degli York Buildings; tale viaggio di costei era finanziato da Giovanni
Battista Draghi, altro italiano.
Dopo un po' di anni molti cantanti si esibirono in teatro cantando con
idioma e
crismi italiani Barocchi, o prima dell'apertura di un sipario, oppure fra
un
atto e un altro di qualche dramma inglese.
Altra citazione coeva per esempio possiamo ritrovarla in The Post Boy, che
annunciava nel 15 Aprile 1699:
"...i responsabili del Theatre Royal hanno ingaggiato il signor
Clementine,
famoso eunuco al servizio dell'elettore di Baviera, per cantare
pubblicamente
in teatro, nel breve periodo del suo soggiorno in Inghilterra".
Altra testimonianza si può menzionare: una lettera di Nicola Haym di
scuse al
Vice-ciambellano per scusarsi del fatto che i due cantanti promessi per
quella
sera non potevano mantenere l'impegno preso prima che terminasse la
rappresentazione del dramma, e che quindi per conseguenza sarebbe stata
una
buona idea che la sua prediletta cantante italiana, chiamata "La
Baronessa"
iniziasse a cantare i suoi songs.
I cantanti si tirarono dietro anche tutta una serie di personaggi
attinenti al
mondo dell'opera teatrale Barocca, strumentisti, impresari, esperti di
"cose
operistiche", perfettamente capaci di imbastire, col tessuto magari
di
recitativi, un pasticcio su arie italiane da rappresentarsi a teatro.
Quindi altro passo verso l'opera italiana propriamente detta: da musica
solo
strumentale, a arie tratte da opere rappresentate in occasioni nelle sale
da
concerto o per l'occasione di un cantante famoso che soggiornava a Londra,
poi
arie italiane, messe fra un atto e un altro di un'opera autoctona inglese,
e
ora la realizzazione di un pasticcio teatrale.
Il colpo di grazia comunque lo diede Giovanni Bononcini con la sua superba
opera teatrale IL TRIONFO DI CAMILLA presentata integralmente nelle scene
londinesi nel 1706.
Di qualche decennio dopo sono questi
interessanti ragguagli del diplomatico modenese Giuseppe Riva, in servizio
presso l'ambasciata estense di Londra dal 1715 al 1729, sulle opere rappresentate dalla Royal
Academy of Music, dati a Ludovico Antonio Muratori, che glieli aveva chiesto
per l'amico Jacopo Martinenghi, desideroso di fornire un suo libretto alla
Royal Academy (7 settembre 1725):
"Le opere che si fanno in Inghilterra, quanto più
belle sono per la musica e per le voci, altrettanto sono storpiate per la
poesia. Il nostro Rolli che nel principio della formazione della presente
Reale Accademia ebbe l'incombenza di compone, ne fece due assai buone, ma
essendosi poi imbrogliato coi Direttori, questi presero al loro servizio
un tal Haym Romano, suonatore di violoncello, uomo nelle belle lettere
affatto idiota, e dall'orchestra passando arditamente in Parnaso, sono già
tre anni che egli accommoda o per meglio dire, fa peggiori i libretti
vecchi già ordinariamente cattivi, de' quali si servono i maestri di
Capella che compongono le opere, alla riserva del nostro buon Bononcini il
quale ha fatto venire le sue da Roma, composte da alcuni scolari del
Gravina. Se il suo amico vuol mandare, deve avvertire che si vogliono
pochi recitativi in Inghilterra, trent'arie ed un duetto almeno,
distribuite nei tre atti. Il soggetto dev'essere semplice, tenero, eroico,
Romano, Greco o Persiano ancora, non mai Gotico o Longobardo. Per
quest'anno e per gli altri due avvenire, bisogna che nelle opere vi siano
due parti eguali per la
Cuzzoni e la
Faustina.
Senesino è il primo
personaggio da uomo e la sua parte dev'essere eroica. Le altre tre parti
per uomo debbono andare gradatamente tre uno per uno in ciascun atto. Il
duetto dovrebbe essere alla fine del secondo atto e fra le due donne. Se
il soggetto portasse tre donne, può servire, perché ve n'e una terza. Se
la duchessa di Marleborough, che dà 500 sterline l'anno al Bononcini,
vorrà accontentarsi che egli dia una sua opera all'Accademia, questa sarà
l'Andromaca, quasi una traduzione della Raciniana, ma senza la morte di
Pirro, accomodata per un dramma assai bene. Da questa l'amico suo potrà
prendere un'idea delle opere che possono in Inghilterra servire. Intanto
se egli vuole mandare un dramma, io procurerò di servirlo, e se è di
buon gusto, come non ne dubito, se andrà di raccomandarlo per un paio.
(fonte: Francesco Degrada, Giuseppe Riva e il suo «Avviso ai compositori
ed ai cantanti», in «Analecta Musicologica», IV, 1967, p. 117)
A cura
di Arsace
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