Note:
18 rappresentazioni nella stagione. Siroe venne eseguito nell'agosto 1730 e nel
gennaio 1735 a Brunswick
in Germania.
La scelta del libretto da parte di Handel ha una importanza
di tipo extra musicale: è il primo dei 3 drammi (oltre appunto SIROE,
1728; PORO, 1731; EZIO, 1732) che Handel musicherà di
Pietro
Metastasio, un poeta che nel 1728 era noto anche in Inghilterra.
Sembra che
Handel non fosse particolarmente attratto dai libretti del Metastasio, testi
letterari “forti”, per ragioni che potrebbero intravedersi nella libertà
che invece un testo di scrittore semisconosciuto, neutro e di secondo
piano, poteva concedere al compositore: egli infatti avrebbe potuto
variare e piegare il testo alle esigenze musicali, subordinando in
sostanza il testo alla partitura. Inoltre alcuni caratteri rigidi e
statici di Metastasio non si adattavano all’idea drammaturgia e musicale
che Handel perseguiva. La fama di Metastasio però dilagava anche a Londra
nel 1728, e le insidie che potevano nascondere gli ambienti musicali della
Royal Academy spinsero Handel a musicare il libretto prima che eventuali
rivali mettessero le mani sopra il testo del SIROE.
Sebbene SIROE, RE DI PERSIA fosse, dopo DIDONE ABBANDONATA, il secondo
dramma per musica di Metastasio, la scelta di Handel non si
dimostra originale poiché il libretto era stato già musicato da altri
compositori: nel carnevale del 1726 era stato presentato da
Leonardo Vinci a Venezia, nel Teatro di S. Giovanni Grisostomo, nel
carnevale del 1726. La versione di questo giovane napoletano nel Siroe
presenta come protagonista femminile, Emira, Marianna Bulgarelli Benti,
detta la Romanina, che era l’amica del cuore del poeta, e che a Napoli nel
1724 era stata la prima Didone.
Nello spazio di un anno era stato poi musicato da
Giovanni Porta, poi da
Nicola Porpora, che nel carnevale del 1727, rappresentò il Siroe a
Roma, dove però vigendo nello stato pontificio il divieto alle cantanti di
varcare le scene, i cantanti furono tutti uomini, e la parte della
primadonna toccò a Giacinto Fontana, noto come il castrato Farfallino, che
tra il 1726 e il 1750 nel Teatro d’Alibert impersonò solo ruoli femminili
del Metastasio d'ante Vienna, con musica quasi sempre di Leonardo Vinci.
Anche Domenico Sarro si occupò poi di musicare il Siroe: è a Napoli il
valente maestro di cappella nel Teatro di S. Bartolomeo - cui era toccato
in sorte, 3 anni prima, di tenere a battesimo la Didone. Nel Siroe di
Napoli la diva è nuovamente la Bulgarelli.
Anche
Antonio Vivaldi musicò quest’opera nel maggio 1727 al Teatro Pubblico
di Reggio Emilia. Questo dramma ha toccato 3 città importantissime da un
punto di vista musicale: Venezia, Roma e Napoli: chiaro che Metastasio fu
ben presto noto a tutti, e divenne il creatore di una drammaturgia che
durerà sino alla fine del XVIII° secolo, atto ad incantare mezza Europa, e
celebrato come poeta cesareo.
Nel febbraio del 1728, il SIROE, RE DI PERSIA va in scena nella Royal
Academy of Music a Londra, sulle note di Handel. Negli anni ’30, come su
detto, Handel musicherà PORO ed EZIO e darà nel suo teatro anche altri
quattro drammi del Metastasio portando in scena 4 pasticci di arie di
Leonardo
Leo in CATONE IN UTICA il 4 Novembre 1732, di Leonardo Vinci in
SEMIRAMIDE RICONOSCIUTA, il 30 Ottobre 1733, di
Hasse
e gli altri due precedenti in ARBACE, il 5 Gennaio 1734, e di Hasse,
Giacomelli, Vivaldi in DIDONE ABBANDONATA, il 13 Aprile 1737. Handel non
solo fu dei primi a musicare il Metastasio in Inghilterra, ma anche come
impresario teatrale diffusore dell’archetipo metastasiano. Componendo
opere di propria mano e pasticci, si può avere una visione di Handel che
tenderebbe a sfatare un luogo comune della critica mirante a dimostrare
una refrattarietà di Handel verso i drammi di Metastasio: ma si potrebbe
ben controbattere che dopo i primi tre esperimenti, Handel si è accorto
della poca adattabilità fra i personaggi metastasiani con la propria drammaturgia, o comunque
che un soggetto portato in dramma dal Metastasio non
stimolava l’estro creativo di Handel, prova ne sia che in seguito il Caro Sassone è
ricorso al testo di metastasio solo per dei pasticci, che
sono successivi cronologicamente alle tre opere, ed hanno impegnato Handel
solamente nei recitativi, mentre la musica delle arie è tratta da altri
compositori.
Lo stile musicale del SIROE handeliano è quello stesso noto a chiunque
abbia sentito, ammirato e goduto l'AGRIPPINA, il RINALDO, il GIULIO
CESARE, il TAMERLANO, l'ADMETO: uno stile energico, atletico, un pathos
aristocratico che con sovrana sprezzatura fonde il virtuosismo canoro
all'eloquenza sostenuta e spavalda, al tono altero ed assertivo, nella
continua gara che oppone il canto agli strumenti dell'orchestra, in primis
ad un basso continuo pervaso da un indomito dinamismo.
Il SIROE, RE DI PERSIA del Metastasio è creato apposta per conquistare
ogni spettatore che s'abbandoni al piacere dell'intreccio e al gusto del
conflitto sentimentale, condito da un sottile vena di sadismo. La storia è
ben compendiata nell’argomento premesso al dramma: si concentri
l'attenzione sulla tenerezza che il Re Cosroe, vecchio e pieno di furore
come un Re Lear antico-persiano, nutre per il secondogenito Medarse, una
carbonella coperta sotto cui si cela un “giovane di fallaci costumi”, e
sul disgusto che invece concepisce per il legittimo erede Siroe, “prencipe
valoroso e intollerante”. Queste caratteristiche sono un elogio per Siroe
poiché ha una fiera intransigenza e dirittura morale: è per questo motivo
che il popolo e i militari, che «infinitamente l'amano», alla fine del
Terzo Atto vendicano l'ingiustizia patita da Siroe e lo proclamano Re al
posto di Cosroe e del fratello Medarse. Fin qui i fatti sono tratti dagli
scrittori della storia bizantina nonché dal libretto dell'Ormisda di
Apostolo Zeno, a sua volta modellato su una tragedia di Corneille. Il vero
nocciolo del dramma risiede tanto in questa disputa di legittimazioni
della monarchiche, ma ruota attorno al personaggio, introdotto dal
Metastasio, straordinario e stupendo, che viene ad agitare il dramma con
un turbine d'irrequietezza e di spiritata vitalità di Emira.
La principessa Emira reduce dall’olocausto della sua famiglia in guerra
con Cosroe è infiltrata nella corte di Persia al solo scopo di assassinare
il feroce sovrano per soddisfare la sua sete di vendetta. Approfittando
dell'amore antecedente di Siroe, Emira in abito virile col nome d'Idaspe,
dissimulando sempre il suo odio, non riconosciuta da nessuno, tranne Siroe,
e introdotta da lui medesimo, seppe tanto accattivarsi i favori del Re
Cosroe, che divenne ne divenne il più amato confidente.
Forte della sua simulazione, Emira si avvantaggia facendo ruotare attorno
a lei un vortice di intrighi, tutti miranti all’obiettivo finale: la Morte
di Cosroe, e con questo intento non indugia ad innescare uno spregiudicato
gioco al massacro: solo Siroe conosce la vera identità e le reali
intenzioni dell'infiltrata e dunque comprende il significato criminoso
delle manovre e delle lusinghe che il sedicente Idaspe adopera verso il
senile Re Cosroe, il falso Medarse, la graziosa Laodice, amata da Cosroe e
invaghita di Siroe, e infine verso Siroe medesimo.
Siroe, dal canto suo non riesce a sbloccare la situazione di stallo dal
momento che è diviso fra l’amore verso la sua cara Emira e il caro padre:
fedele alla sua rigorosa virtù, ma imbrigliato nella ragnatela
dell’intrigo della figlia di Re Asbite: a momenti vuol rivelare, poi fa
marcia indietro, un po' tenta di svelare le trame, un po’ protegge
l'attentatore occultandone l’identità; soprattutto, nell'imbarazzo, tace,
tace, tace, un po’ come fa il personaggio Arsace in PARTENOPE di Handel,
sotto lo scacco di Rosmira e diviso fra l’amore verso Partenope e l’antica
promessa sposa Rosmira.
SIROE è un dramma dove il silenzio è da un lato a favore dei malvagi
disegni dell’attentatrice reale ma dall’altro ancorato alla nobiltà
d'animo: il verbo tacere, coi suoi derivati e sinonimi e contrari pervade
tutto il testo metastasiano: tace, via via, fa rima con loquace, verace,
fallace, pace, contumace…...
La situazione è fra le più difficili per i due protagonisti del dramma dal
momento che come potrebbe Siroe amare la propria donna a prezzo di un
parricidio, e d’altro canto come potrebbe Emira amare il figlio di colui
che le ha assassinato il genitore: situazione tragica di cui ne hanno
coscienza sia il sofferente Siroe, che piuttosto di tradire l’amore della
fidanzata o il rispetto paterno invoca la morte per mano di Emira stessa,
sia alla sua bella torturatrice che dice:
“A noi, che siamo
figli di due nemici,
è delitto l'amor:
dobbiamo odiarci.
Unir pretendi
il fido amante
ed il crudel nemico,
e ti mostri a un istante
debol nemico ed infedele amante”
fa pesare Emira a Siroe nel più
struggente dei 3 battibecchi che formano i pilastri dell'azione
psicologica (atto II, scena II).
Paradossale risulta l’alleanza che lega Siroe ed Emira, la coppia ignota
agli altri personaggi, forma triangoli conflittuali, con Cosroe, con
Medarse, con Laodice.
Con doppi sensi e con perifrasi, Emira, astutamente, dice sì sempre il
vero, ma in modo che solo Siroe ed il pubblico in sala possono cogliere
appieno le sue parole: di tutto ciò ne fa le spese Siroe, da tutti
ritenuto infame e criminale, vittima della foga vendicatrice di Emira. La
verità verrà fuori solo dopo infinite tribolazioni dell’eroe, districando
ogni errore ed inganno: non passa in secondo piano il momento in cui Siroe,
che al massimo della disperazione nel momento in cui Emira pur di salvare
il proprio complotto, gli ordina di simulare amore per Laodice, si cava
dall’imbarazzo restando assolutamente passivo alla situazione, mossa che
Emira non aveva assolutamente previsto.
Siroe infatti afferma nell’aria in andante:
“Fra ‘ dubbi affetti miei
risolvermi non so.
Tu pensaci, tu sei
l'arbitro del mio cor”
le canta in faccia, fiero e remissivo al tempo stesso, prima di uscir di
scena e di consegnarsi ai carcerieri sul finire dell'atto II.
Idaspe/Emira, spiazzata, non sa che pesci pigliare e risolve fingersi
innamorato/innamorata a sua volta della sbigottita Laodice: la scena tra
le due donne, un po’ comica, mette a nudo tutta la vulnerabilità
dell'intraprendente vendicatrice, e dovette esercitare un fascino erotico
nel pubblico coevo, stimolato dal miscuglio dei sessi dovuto sia dal
travesti che dalla situazione.
A poco a poco il progetto vendicatore innesca una certa retromarcia si
smonta man mano: Siroe, condannato a morte da Cosroe, di nascosto
risparmiato dal suo giustiziere Arasse, viene incoronato Re di Persia e
impalma la riappacificata Emira.
All'operista del primo Settecento, la miriade dei tanti triangoli
impliciti nell'ossatura del Siroe offre il destro per calibrare ad hoc il
meccanismo del dramma musicate, su misura del casi disponibile, mantenendo
in ogni caso sempre desto l'interesse teatrale. Stabilito che il conflitto
ruota attorno alla coppia di amanti nemici, la giusta quantità delle altre
parti si ottiene ogniqualvolta viene regolato il numero, il carattere, la
posizione delle arie attribuite a ciascun attore, anche in funzione dei
registri vocali: Metastasio ha attuato un miracolo di ponderato
equilibrio. Nel libretto napoletano del 1727, sul quale si dev’essere
basato Handel - Siroe, Emira, Cosroe, Laodice hanno 5 arie a testa (2
nell'atto I e nel II, 1 nel III), mentre Medarse ne sì ha solo, ma situate
nei momenti di maggior spicco, a fine atto o a fine sequenza.
Sulla scacchiera della partitura i 5 attori giocano dunque ad armi
pressappoco uguali.
Il generale Arasse ha 3 arie soltanto: come spesso accade, il deus ex
machina, il risolutore del nodo, indispensabile per concludere l'intreccio
drammatico, è musicalmente subalterno. Il chiaroscuro delle arie, ossia la
dovuta varietà degli affetti scatena l’interesse sia nella qualità delle
arie attribuite a ciascun personaggio sia nella sequenza effettiva delle
stesse.
A Napoli come a Venezia, il nucleo predominante è quello dei 2 fratelli e
di Emira: 2 castrati ed 1 primadonna, 3 soprani che si affrontano anche
vocalmente su un piano simile.
Però sono possibili anche altre soluzioni: infatti a Bologna nel 1733,
Hasse presenta un Siroe che presentava una parata di stars, 2 soprani
vertiginosi di eccelsa famea, il
Farinelli e il
Caffarelli nei panni dei due principi persiani, che gareggiano in
acrobazie canore vertiginose, e opposta a loro una primadonna contralto
famosissima come Vittoria Tesi, acclamata soprattutto per l’istrionica
bravura nei ruoli en travesti più trasgressivi: il risultato è che in
questa versione dell'opera dove è presente un incremento degli interventi
di Medarse, focalizzato sulla gara vocale sui due soprani, controllati da
un antagonista contralto metà uomo e metà donna, evidenzia nel dramma una
struttura che si fonda nel contrasto tra il Fratello Cattivo Creduto Buono
Medarse e il Fratello Buono Creduto Cattivo Siroe.
La soluzione di Handel è differente ma altrettanto pertinente e
compatibile la schematizzazione di partenza: non solo Handel con l’aiuto
del librettista Nicola Haym snellisce il libretto di partenza riducendo
drasticamente i versi da 1500 a 900, ridimensionando il logocentrismo
metastasiano ed enfatizzando il ruolo delle arie nello schema generale del
dramma risultante.
Il SIROE londinese sottostà anche alla severa logica che domina i drammi
rappresentati alla Royal Academy of Music dal 1726: questo proprio perché
era stata scritturata una seconda primadonna,
Faustina Bordoni, che si doveva contrapporre alla primadonna
precedente
Francesca Cuzzoni.
Fino a che dura l'aspra diarchia, che come sappiamo portò le 2 stars a
contrasti anche violenti, anche a scena aperta, le opere a Londra dovevano
prevedere tutte obbligatoriamente 2 ruoli di protagoniste femminili,
assolutamente equilibrati: Gesù proteggici, se la Cuzzoni avesse avuto
mezz’aria in più o in meno della Bordoni. Simili per agilità e tessitura
(Mi b3 – La 4 nel SIROE), le due attrici si differenziano per
caratteristiche canora e per prestanza scenica: la Cuzzoni era più
imperiosa e pimpante, mentre la Bordoni era più insinuante e spiritosa.
Risaltano le grandi capacità espressive e timbriche della Cuzzoni: il suo
virtuosismo era smagliante, acrobatico: Le doti acrobatiche e la
stupefacente abilità nei passaggi vocali rapidi e sbalzati della Bordoni
calzano perfettamente al furore di Emira, indugiando spesso nel ghirigoro
vezzoso, alla bizzarria volage; il patetismo della Cuzzoni dilaga nel
languore sconfinato del siciliano handeliano: in SIROE le spetta infatti,
deliziosa nelle parte come nel melos, l'aria “Ti lagnerò tacendo del mio
destino avaro” (Atto II, I). Il patetismo invece della Bordoni si diffonde
in debordante tenerezza: si pensi all’aria “Non vi piacque, ingiusti dèi,
ch'io nascessi pastorella” (Atto IIì, scena Ultima), che nel momento in
cui vi è la più desolata commozione e l'intrigante Emira è per la prima ed
unica volta sola in scena e si mettono a ronfare le zampogne, a belare le
agnelle, a sibilare gli zefiri.
Ora, il SIROE handeliano quindi risulta marcatamente il dramma d'una
rivalità amorosa fra Laodice ed Emira che si contendono lo stesso uomo,
esattamente adottando la stessa fortunata tattica di ALESSANDRO del 1726,
contesa che viene intessuta dentro il conflitto dinastico. Handel, in
questa ottica ha ridimensionato i ruoli di Cosroe (3 arie anziché 5 per il
basso Boschi), Medarse (3 anziché 4 per il contralto Baldi), Arasse
(nessuna anziché 3 per il basso Palmerini), ed ha invece aumentato da 5 a
6 le arie di Emira e di Laodice: e per incentrare il polo in questa
contesa fra le due protagoniste e Siroe, per il castrato Senesino, un po’
goffo nell’aspetto ma eccezionale nei ruoli dell'eroe sofferente e
commovente, Handel aumentò la sua parte, ben sfruttando le qualità della
tessitura grave del contraltista, di 2 arie patetiche in scene assolo, la
seconda collocata nella sequenza del carcere che segna l'apice della sua
vicenda sentimentale.
La vera partita musicalmente combattuta sulle scene di Haymarket è insomma
quella che i 2 soprani, le 2 primedonne innamorate, Cuzzoni e Bordoni,
ingaggiano per il possesso del primo uomo,
Senesino. Prova ne sia che, in tutto il dramma, una sola scena non
subì neanche il taglio d'una virgola rispetto al dramma del Metastasio, ed
è proprio la scena a 2 tra Emira e Laodice, il simulato tentativo di
seduzione tra le due donne (in Handel Atto II, scena IX).
La Trama
Il dramma si
svolge nella città di Seleucia, presso la corte di Cosroe, Re di Persia.
Attorno alla figura del Re, ruotano: Siroe, il figlio maggiore, principe
integro e valoroso che ha aiutato il padre nelle campagne militari,
procurandogli ogni volta un ricco bottino. Il secondo e ultimo figlio,
Medarse, è invece un principe furbo ed ambizioso che vorrebbe sostituire
il fratello nella stima del re e nella successione al trono.
Cosroe ha per amante Laodice, sorella del generale Arasse, capo
dell'esercito. Prima che l'azione abbia inizio, Cosroe ha conquistato il
regno di Cambaya e uccidendone in combattimento il Re Asbite. La figlia di
Asbite, la principessa Emira, fidanzata amata da Siroe, si salva
miracolosamente dalla guerra, fuggendo dal suo paese. Indossati abiti
maschili, si fa passare per il nobiluomo Idaspe introducendosi di Re
Cosroe, arrivando a guadagnarsi i favori dello stesso. Solo Siroe è a
conoscenza dell’inganno e del disegno occulto: la vendetta di Emira con
l’assassinio del Re. Quando l'azione comincia, Cosroe ha convocato i suoi
figli, poichè vuole scegliere quale di loro due sarà il suo successore,
avvertendo che avrebbero dovuto accettare in pace e in obbedienza la sua
decisione. Poiché il diritto di primogenitura era di Siroe, il principe
protesta violentemente contro l'ingiustizia che gli viene fatta nel
pretendere che Medarse, il minore, possa divenire successore al trono,
scavalcandolo. Medarse invece dal canto suo si dice pronto a rispettare la
volontà del Re. Geloso e umiliato, Siroe reagisce: Cosroe di controbattuta
sceglie Medarse come successore. È con questo conflitto che la storia
comincia. Ne deriva tutta una serie di rivalità e discordie i cui sviluppi
e voltafaccia successivi trascinano i personaggi in complessi scontri.
L’apice della tensione di questo vicolo cieco tragico esplode in una
insurrezione popolare a favore di Siroe, prigioniero e condannato a morte:
questa crisi provoca la risoluzione finale: Cosroe, si tira indietro, e un
nuovo Re prende il suo posto: Siroe.
Atto I
Durante un combattimento il Re di Persia Cosroe ha ucciso Asbite, Re di
Cambaya. La figlia di quest'ultimo, Emira, volendo vendicare il padre, si
insinua nella corte di Cosroe in vesti maschili col nome di Idaspe. Solo
Siroe, primogenito di Cosroe ed innamorato di Emira/Idaspe, sa
dell’inganno. Il re di Persia intanto deve scegliere, tra Siroe ed il
secondogenito Medarse, chi salirà al trono: tra i due sembra prevalere il
furbo Medarse a discapito del buon Siroe, che si ritiene offeso dalla
decisione paterna. Emira/Idaspe vuol coinvolgere Siroe nei suoi piani di
vendetta, lui però rifiuta. Emira allora respinge l'amore del giovane
persiano e fa credere a Laodice, amata da Cosroe, e figlia del suo
generale Arasse, ma a sua volta innamorata di Siroe, che anche quest'ultimo
sia innamorato di lei.
Quando poi Siroe smentisce, Laodice si rivolge a Cosroe capovolgendo i
fatti: racconta infatti al Re che Siroe gli è rivale ed ha cercato di
sedurla.
Casualmente Siroe, mentre è nascosto nelle stanze di Cosroe perché nel
frattempo vi si era introdotto per lasciare un messaggio anonimo che
mettesse in guardia il Re del pericolo di morte che stava correndo, sente
le parole di Laodice e quelle di Medarse che lo accusano di tradimento:
esce quindi allo scoperto, facendo cadere le accuse contro di lui.
Atto II
Siroe è indeciso: da un lato perdona Laodice, ma vorrebbe che lei
dimenticasse il suo amore per lui, dall'altro è dilaniato fra il ruolo di
amante di Emira/Idaspe e di figlio del Re. In un momento di sconforto
estrae la spada per uccidersi: in quel mentre entra Cosroe che interpreta
il gesto come un attentato alla vita di Idaspe. Siroe, che ricerca la
morte, approfitta della situazione per dichiararsi colpevole e viene
condotto in carcere, dove invano Re Cosroe gli offre il perdono in cambio
del nome del vero traditore che tenta di eliminarlo.
Atto III
Cosroe ordina di giustiziare Siroe, che viene però difeso dalla folla.
Laodice, venuta a conoscenza della condanna di Siroe, per salvargli la
vita, ne dichiara l'innocenza e si proclama lei stessa colpevole; Emira/Idaspe,
confusa dagli accadimenti, persuade il Re a revocare la condanna. Ma
quando Arasse, generale dell'esercito persiano, sottolinea che la revoca è
giunta troppo tardi, Emira/Idaspe, scagliandosi contro il Re, svela la sua
vera identità. Solo dopo Emira viene a conoscenza che, in realtà, Siroe è
ancora vivo; così con una scorta penetra all'interno delle carceri per
impedire a Medarse di uccidere il fratello Siroe.
Uscito dal carcere, Siroe con Emira, Arasse ed altri seguaci salvano
Cosroe dalla turma di ribelli. Siroe, proclamato quindi Re, perdona il
fratello Medarse e Laodice, mentre Emira risolve di fermare i suoi
propositi di vendetta per sempre.