Antonio Lucio Vivaldi nacque il 4 marzo
1678 a Venezia, da Giovanni Battista e Camilla Calicchio. Fu battezzato immediatamente:
"hebbe l'acqua in casa per pericolo di morte dalla Comare allevatrice"
così si legge nell'atto di battesimo, che fu consacrato nella parrocchia
di San Giovanni in Bragora,
due mesi dopo, il
6 maggio, evidentemente a causa della fragile costituzione di Antonio. Probabilmente
era affetto da un'asma incurabile,
quella "strettezza di petto" come la definì egli stesso,
che lo tormentò per tutta la vita.
La formazione musicale di Antonio è estremamente incerta: probabilmente
fu il padre, umile barbiere, ma anche violinista nell'orchestra della basilica di San Marco dal
1685, che gli insegnò a suonare il violino, ma molti hanno
ipotizzato che le lezioni ricevute dal
padre, sebbene fosse uno dei più brillanti violinisti della città, non
fossero bastanti a spiegare la successiva maestria dimostrata da Vivaldi
nella composizione, ed hanno azzardato che Antonio si sia formato musicalmente sotto la guida di un maestro
più quotato, il compositore Giovanni Legrenzi, maestro di cappella a San
Marco dal 1685 al 1690; ma non si hanno notizie certe al riguardo.
Comunque Antonio manifestò precocemente il suo talento tanto che già all'età di
dieci anni era in grado di sostituire occasionalmente il padre nell'orchestra.
Antonio era il maggiore di sei figli. La
famiglia era numerosa e non certo agiata:
fu quindi destinato alla carriera ecclesiastica, che offriva qualche
speranza di promozione sociale. Entrò in seminario, ma probabilmente a
causa delle sue precarie condizioni di salute, gli fu concesso di studiare privatamente: ciò gli permise di completare la sua
educazione musicale.
Il 1703 fu un anno decisivo per Vivaldi: il 23 marzo fu ordinato
sacerdote, e così, e grazie al colore dei suoi capelli,
divenne universalmente noto come il "Prete Rosso".
Parallelamente iniziò la sua carriera
musicale all'Ospedale della Pietà, il più famoso dei quattro
orfanotrofi per ragazze della città (gli altri erano quello dei Mendicanti, degli
Incurabili, e dei ss. Pietro e Paolo), dove ampio spazio veniva dato
all'insegnamento della musica. Dapprima fu
impiegato come violinista e insegnante di violino e "viola
all'inglese", poi come maestro di coro e più tardi (1716) divenne "Maestro de'
Concerti", cioè primo violino e direttore dei concerti là tenuti dalle famose "putte",
fanciulle che ricevevano una rigorosa educazione musicale fino a diventare esecutrici di ottimo livello,
in grado di tenere concerti che erano una delle maggiori attrazioni della
Venezia del tempo. Nel 1720 E. Wright
testimonia come «
Tutte le domeniche e le festività, si svolgono nelle
cappelle di questi ospedali dei concerti vocali e strumentali eseguiti
dalle ragazze; esse sono sistemate in una galleria e nascoste alla vista
del pubblico da una grata di ferro. L'esecuzione straordinariamente buona:
molte fra loro hanno una voce stupenda, e il fatto che siano celate alla
vista rende tutto più affascinante
».
Ma a causa dei suoi disturbi respiratori,
dopo poco più di un anno, Vivaldi ottenne di essere dispensato dal dovere d'impartire messa.
Ciò diede adito a pettegolezzi e contribuì a creare leggende intorno alla
figura del Prete Rosso.
In una lettera indirizzata al marchese Guido Bentivoglio d'Aragona parecchi
anni dopo, datata 16 novembre 1737, egli scrive: "Sono venticinque anni
ch'io non dico messa né mai più la dirò, non per divieto o comando, come
si può informare Sua Eminenza, ma per mia elezione, e ciò stante un male
che io patisco a nativitate, pel quale io sto oppresso. Appena ordinato
sacerdote, un anno o poco più ho detto messa, e poi l'ho lasciata avendo
dovuto tre volte partir dall'altare senza terminarla a causa dello stesso
mio male. Ecco la ragione per la quale non celebro messa".
Secondo un gustoso aneddoto invece riferito dal conte Grégoire Orloff: "Una volta che Vivaldi diceva la Messa,
gli viene in mente un tema di fuga. Lascia allora l'altare sul quale
officiava, e corre in sacrestia per scrivere il suo tema; poi torna a
finire la Messa. Viene denunciato all'Inquisizione, che però
fortunatamente lo giudica come un musicista, cioè come un pazzo, e si
limita a proibirgli di dire mai più Messa".
A quale versione dobbiamo credere? Certo è che i dubbi accrescono quando
leggiamo cosa scrisse Vivaldi in merito al suo male: "Io vivo quasi sempre
in casa, e non esco che in gondola o in carrozza, perché non posso
camminare per male di petto ossia strettezza di petto". Cosa che quantomeno
stride con una condotta di vita tanto intensa e faticosa come quella di
compositore e concertista che Vivaldi condusse fino all'ultimo.
Comunque sia andata la cosa,
Antonio ebbe modo di dedicarsi alla musica con sempre maggiore impegno e
incominciò ad essere famoso. I suoi concerti venivano dati in differenti
chiese veneziane, dove egli stesso si esibiva come virtuoso del violino impressionando
i testimoni dell'epoca.
Del 1705 sono la serie di Dodici
sonate a tre op. 1, prima raccolta che Vivaldi diede alle stampe.
Nel 1708 iniziò a collaborare con Francesco Santurini, impresario di
un teatro minore di Venezia, il Sant'Angelo .
Durante il carnevale di quell'anno
venne dato
alla Pietà un concerto di musica sacra in onore del re di Danimarca,
Federico IV.
La notorietà di Vivaldi travalicò i confini dell'Italia: L'estro
armonico, op. 3, raccolta di dodici concerti per violino del 1711,
pubblicata, come il resto della produzione vivaldiana, ad Amsterdam, luogo
deputato a consacrare la fama di un compositore attraverso pubblicazioni a
stampa di grande prestigio e diffusione, ottenne uno straordinario successo in
tutta Europa. Bach ne
trascrisse una parte per tastiere.
La popolarità di cui godeva Vivaldi è dimostrata dal fatto che
Etienne Roger, celebre editore di Amsterdam, grazie ad una qualità di
riproduzione unica per quell'epoca, a cui Vivaldi affidò l'edizione delle
sue composizioni, gli commissionò le op. 5, 6 e 7, incidendole a sue
spese.
Nel 1713 Vivaldi succedette al Santurini alla direzione del Sant'Angelo e si recò a Vicenza per mettere in scena la
sua prima opera, l'Ottone in Villa.
Nel 1716 divenne maestro di cappella alla Pietà, incarico che
richiedeva l'impegno di comporre almeno un paio di messe e vespri ogni
anno, un minimo di due mottetti al mese e brani d’occasione su richiesta:
sfortunatamente quasi tutte le composizioni di quel periodo sono andate
perse.
A partire dal 1717 Vivaldi lasciò temporaneamente la Pietà ed iniziò a
viaggiare per far fronte alle commissioni che gli arrivavano dal nord
d'Italia. Ricoprì l'incarico di maestro di cappella presso la
residenza del principe Filippo di Hesse-Darmstadt a Mantova, città nella
quale soggiornò dal 1719
al 1722,
e che lo vide distinguersi sopratutto come compositore d'opera.
Poi tornò a Venezia, dove lavorò al conservatorio
per tre anni, prima di ricominciare a viaggiare: la sua musica era diventata
estremamente popolare in tutta Europa e i suoi numerosi viaggi
contribuivano a diffondere la sua fama come un violinista e compositore:
in quel periodo veniva richiesto dalle maggiori corti europee e la pubblicazione delle sue numerose partiture lo rese ricco.
In quegli anni conobbe una cantante,
Anna Girò, contralto di discreta levatura, a cui si
legò molto e che gli restò vicino per tutta la vita, cosa che
chiaramente fu causa di non pochi pettegolezzi.
Nel suo peregrinare, Vivaldi si recò anche a Roma, probabilmente tra la
fine del
1722 e il 1725, dove ebbe l'onore di suonare per il Papa uno o due suoi
concerti.
Quindi ritornò a Venezia per dedicarsi all'opera e pubblicare la raccolta di concerti intitolata Il Cimento
dell’Armonia e dell’ Invenzione, di cui fa parte il suo lavoro più
celebre: Le quattro stagioni. Fu quello il momento di massima
celebrità per Vivaldi.
Seguì un decennio costellato di viaggi a Mantova (1726), Trieste (1728),
Germania (1729), Praga (1730), Verona (1731), ancora Mantova (1732) e
Vienna (1733). Nella capitale austriaca Vivaldi suonò per l’Imperatore
Carlo VI, già incontrato a Trieste nel 1728, e a cui aveva dedicato l'op.
10, La Cetra. L'Abate Conti racconta che l'imperatore gli "aveva
dato molto denaro, una catena e una medaglia di oro, e l'aveva fatto
cavaliere".
Riprese le sue funzioni presso la Pietà solo nel 1735, dietro
condizione che rinunciasse ai suoi
continui viaggi. In quell'anno
collaborò con
Goldoni per l'allestimento dell'opera Griselda.
Nel gennaio 1738 lo troviamo ad Amsterdam dove diresse il concerto d'apertura
per il centenario del teatro di Schouwburg.
Nell'aprile del 1740 Vivaldi lasciò definitivamente il suo incarico alla Pietà.
Nel frattempo la sua popolarità andava scemando:
le sue opere non incontravano più come un tempo il favore del pubblico,
ammaliato dal nuovo stile imposto dalla scuola napoletana dei vari
Sarro,
Vinci,
Leo,
Hasse, iniziato con
l'arrivo a Venezia di
Porpora, che dal 1726 al 1733 fu impegnato come insegnante all’Ospedale degli Incurabili.
Charles
De Brosses, grande viaggiatore e melomane, che incontrò Vivaldi alla
Pietà nell'agosto del 1739, definendolo “un vecchio posseduto da una
prodigiosa furia di composizione”, si disse sorpreso nel constatare che
non era stimato quanto meritasse "in questo Paese dove tutto deve essere
moda, dove si ascoltano le sue opere da troppo tempo e dove la musica
dell’anno prima non fa più cassetta...".
Nell'estate del 1740, Vivaldi decise di
lasciare Venezia e, dopo un passaggio a Dresda, dove suonò i famosi
"Concerti di Dresda", si trasferì a Vienna, con la speranza di ricuperare lì la sua fama. Forse
Vivaldi confidava nella benevolenza dell’Imperatore
d'Austria Carlo VI. Forse bramava alla carica di maestro di
cappella alla corte asburgica, occupata dall'ormai vecchio
Fux. Fatto sta che l'improvvisa morte del suo mecenate austriaco,
avvenuta il 20 ottobre prima del suo arrivo a Vienna, spiazzò Vivaldi, che si trovò così senza
committenti e il
suo proposito svanì.
Antonio Vivaldi morì per una "infiammazione interna", il
28 luglio 1741, solo e indigente, a Vienna, dove fu seppellito in cimitero di
un ospedale per poveri che oggi non esistente più.
Violinista virtuoso e compositore fecondo, Vivaldi è ricordato oggi per il numero enorme di concerti che
ci ha lasciato, più di 550. In un’occasione, si vantò di aver composto un
concerto più in fretta di quanto il suo copista fosse riuscito a
trascriverne le parti (De Brosses).
Oltre alle 73 sonate, Vivaldi compose 223 concerti per violino
e orchestra, 22 per due violini, 27 per violoncello, 39 per fagotto, 13 per
oboe e molti altri per flauto, viola d'amore, liuto, tiorba e mandolino.
Oggi è uno dei compositori di musica barocca più interpretati e più
apprezzati dal pubblico. La sua fama si basa principalmente sui concerti per uno o più violini ed orchestra
che sono usciti dalla sua prolifica penna.
A cavallo del Settecento, alle prose con le prime prove compositive nel
campo della sonata e del concerto grosso, Vivaldi risente in misura
decisiva del magistero di
Arcangelo Corelli.
Fu con L'estro
armonico, op. III (Amsterdam,
Estienne Roger 1711), che la fantasiosa e rutilante arte strumentale di
Vivaldi prese il sopravvento, affrancandosi dallo stile ormai classico del
maestro di Fusignano, per seguire le indicazioni che gli provengono da
alcuni musicisti più anziani, tra i quali
Torelli e il
concittadino Albinoni,
nella direzione di una sua personale codificazione del concerto solistico
(che ricalca lo schema Allegro-Adagio-Allegro), imponendosi ben presto
quale esito d’avanguardia nell’Europa intera. In
questo senso i suoi concerti possono considerarsi
innovativi perché gettarono le basi per lo sviluppo del concerto solista
del
periodo classico di Mozart e Beethoven.
Fra le sue raccolte di concerti, oltre alla citata op. III, si
ricordano La Stravanganza, op. IV, La Cetra,
op. IX, e sopratutto la serie di quattro concerti divenuti popolarissimi: Le Quattro Stagioni,
nella quale ogni concerto dipinge in musica una stagione dell'anno,
concerti che fanno parte dell'op. VIII, Il Cimento dell'Armonia e dell'Invenzione.
Ma la musica strumentale non fu l'unico suo interesse: Vivaldi si
dedicò proficuamente anche a
quella vocale: compose 16 grandi mottetti per solisti, coro ed orchestra, 28 mottetti ad uno
e due voci, e 3 oratori. Le sue opere religiose più conosciute sono il Gloria in re maggiore (1708),
lo Stabat Mater e l'oratorio Juditha Triumphans (1716). Fu anche autore di
30 cantate profane, parecchie serenate, centinaia di arie e di più di 50 opere, di cui
solo 21 sono giunte ai nostri giorni.
Nel 1974 Peter Ryom ha pubblicato il catalogo delle composizioni vivaldiane,
che si assommano a più di 760, assegnando a ogni lavoro la sigla RV.
Vivaldi cadde immediatamente nell'oblio dopo la sua
morte. Certo circolava il suo nome fra i bibliografi, ma sua musica fu
subito dimenticata, forse anche per il fatto che il suo stile era tanto
stravagante e innovativo. L'attento
Burney
per esempio non lo menziona nel
suo resoconto del 1770 sullo stato della musica in Italia.
Il Prete Rosso veniva ricordato più per la sua nomea di virtuoso del
violino e di prete incline a trascurare i suoi doveri di dir messa... per
non parlare dei pettegolezzi sull'amicizia fin troppo stretta con le
sorelle Anna e Paolina Girò.
Fu solo grazie alla riscoperta ottocentesca di
Bach che il nome di
Vivaldi iniziò a circolare come compositore, da quando cioè i musicologi
tedeschi scoprirono che Bach aveva ripreso le melodie da un gran numero di
concerti, circa una ventina, di Vivaldi.
Automaticamente il Prete rosso venne rivalutato come grande
compositore strumentale. Poi, attorno agli anni trenta, anche gli studiosi
italiani finalmente si accorsero di Vivaldi e sue composizioni vennero
recuperate e fatte conoscere al pubblico grazie alla riunione di due
raccolte private, Foà e Giordano, nella Biblioteca Nazionale di Torino.
Oltre a tutta la sua immensa musica strumentale, una maggior attenzione si
puntò verso altre categorie di composizioni: le cantate sacre in primis,
e le opere e gli oratori.
Vivaldi oltre ad essere impegnato nella composizione dei suoi innumerevoli concerti, si industriò freneticamente all'attività di autore di opere teatrali, e in questo ha una sua vicinanza con il Caro Sassone, sebbene non avesse rivali
del calibro di Bononcini e Porpora.
Come scrive l'Abate Conti nel 1927 a Venezia:
"Vivaldi ha composto tre Opere in meno di tre mesi, due per Venezia e la terza per Firenze. Quest'ultima ha risollevato il teatro fiorentino e a lui ha procurato un bel gruzzolo di denaro.
E fra il 1713 ed il 1739 Vivaldi di opere ne scrisse circa cinquanta"
Quindi Vivaldi non si dedicò
esclusivamente alla forma concertistica, e qualche volta per capriccio a
quella teatrale: il teatro fu oggetto primario del suo interesse, e questo
lo testimonia la quantità di opere da lui scritte.
Tuttavia i coevi di Vivaldi avevano come convinzione
profonda e
comune all'epoca di ritenere non conciliabile il dedicarsi alla scrittura
strumentale con quella destinata alla musica vocale: ecco quindi che il
Prete Rosso era visto come autore di pagine strumentali di grande pregio,
mentre le sue vocali erano ritenute di scarso valore.
Goldoni, con il quale collaborò fornendo i libretti delle opere
Griselda e Aristide, lo definì "eccellente
violinista e mediocre compositore".
Tartini commentò così i lavori di Vivaldi:
"Queste due specie [strumentale e operistica] sono totalmente
differenti, quello che è speciale all'una non lo può essere all'altra.
Venni invitato a lavorare per i teatri di Venezia, ho sempre rifiutato
sapendo troppo bene che una gola non è un manico di violino.
Vivaldi che si è voluto provare nei due genero s'è sempre fatto
fischiare nell'uno, mentre riusciva benissimo nell'altro"
Vero che la voce non è un manico di violino, ma forse se Tartini non si
è cimentato nell'Opera, ci vien da azzardare che non se ne sentisse
all'altezza: evidentemente non aveva quella competenza musicale a 360
gradi che possedeva Vivaldi - e Handel, naturalmente...
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